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Autore: Fanny Jumping Sparrow    25/01/2020    8 recensioni
Com'è germogliato e si è evoluto il profondo sentimento di affetto, attrazione, fiducia, stima, amore che lega i nostri due sweeper preferiti? Hojo ha lasciato molti punti in sospeso, sia sull'inizio, sia sul durante che sul dopo la loro convivenza. Con questa raccolta di one-shot mi propongo di trattare alcuni missing moments, ispirati dalle tavole del manga o da episodi dell'anime, oppure di mia spontanea invenzione.
Commenti e opinioni sono sempre graditi :D
Buona lettura!)
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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Salve gente :)
Rieccomi con un nuovo capitolo/one shot, questa volta collocata ipoteticamente tra il giorno successivo all'arrivo di Kaori nell'appartamento che d'ora in avanti condividerà con Ryo e prima dell'episodio (del manga) "La trappola del generale".
Come alle solite, avevo già scritto degli scambi di battute tra i due che avevo pensato di inserire qui, ma alla fine ha prevalso la vena introspettiva e, per evitare di dilungarmi troppo, ho deciso di trasportarle alla prossima shot che spero di non tardare a concludere.
Mi auguro anche di non essere sfociata nell'OOC nel tracciare questi loro primi approcci, in cui comunque ho notato come anche Hojo li tratteggi un po' più rilassati e soprattutto istintivi: insomma sono ancora in una fase di reciproca osservazione ^.^
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno letto silenziosamente, chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate e in particolare chi ha anche voluto spendere un po' di tempo per lasciarmi un commento: ne tengo sempre molto conto!
Augurandovi un buon fine settimana, vi lascio alla lettura.
A presto!)

II – Regole di convivenza

Si svegliò con le guance umide e un denso sapore di sale tra i denti. Le lacrime che aveva soffocato per tre giorni e che era riuscita a trattenere perfino davanti la bara di suo fratello, durante quella cerimonia intima e deserta, erano infine sgorgate nel mezzo dei sogni confusi e travagliati di quella notte, la prima trascorsa lontano da casa.
Il chiarore nascente dell’alba s’infiltrava tra le tapparelle, illuminando a strisce la parete di fondo della sua nuova camera da letto. Si girò sulla schiena, stiracchiandosi e stropicciandosi le palpebre appiccicaticce, cercando tastoni la foto che aveva tenuto stretta sotto il cuscino. In cuor suo sapeva che non avrebbe mai potuto superare del tutto quella fitta che le opprimeva il petto ogni qual volta il ricordo della sua vita passata sarebbe tornato a bussare, ma non voleva più scoraggiarsi: d’ora in poi si sarebbe servita di quel dolore e di quella rabbia per aiutare altre persone sfortunate, continuando la missione per la quale lui era stato ucciso.
Aveva già avuto un primo assaggio di cosa significasse vivere al fianco di un uomo costantemente impegnato a combattere il crimine durante quel movimentato viaggio in autobus. Era intervenuta in prima persona ed aveva risolto con successo quasi tutto da sola, perciò aveva capito che avrebbe potuto riuscirci, che col tempo sarebbe diventata una degna sostituta di Maki.

Fortificata da questa rinnovata fiducia nel futuro e nelle sue capacità, Kaori scostò le coperte, si alzò dal materasso e si allacciò la vestaglia, schiudendo le imposte per far entrare l’aria fresca e i raggi tiepidi del sole mattutino. Sperò che l’unico bagno a disposizione fosse libero e di non trovarci dentro il suo coinquilino, perché avrebbe avuto proprio bisogno di una bella doccia per rimettersi in sesto e cominciare bene la giornata. Stava per uscire quando notò un foglietto di carta per terra, proprio vicino all’uscio. Lo raccolse incuriosita, leggendo le righe scritte con una calligrafia spigolosa: “Dovevo fare qualche giro. Fa’ come fossi a casa tua. Ryo”.
Lo chiamò un paio di volte, ottenendo risposta solo dal silenzio, accertandosi che effettivamente non c’era. Non volle dare molto peso all’amara considerazione di essere stata lasciata da sola, nonostante quei malviventi che li minacciavano fossero capaci di tutto, perché quelle ultime parole, anche se probabilmente erano solo parole di circostanza, in qualche modo furono capaci di farle tendere le labbra in un timido sorriso rasserenato. Era l’inizio di un nuovo giorno e anche di una nuova vita.

C’erano ancora degli scatoloni da disfare, quel disordine la faceva sentire nervosa, fuori posto. Avrebbe cominciato da quelli e poi si sarebbe dedicata a sistemare il resto di quell’abitazione che avrebbe dovuto imparare a considerare anche sua.
Si affrettò a docciarsi e a fare una leggera colazione con una tazza di latte freddo e biscotti che consumò in piedi, per evitare di contaminarsi con la patina di sporco che insozzava il tavolo, dopodiché si rimboccò le maniche e tornò nella sua camera, cominciando ad ordinare vestiti e altri suoi oggetti personali tra armadi e cassettiere, con un criterio ben definito, conservando per ultimo il cofanetto con l’anello regalatole da Hideyuki in fondo ad un cassetto del comodino. Contenta del ritrovato ordine, passò dunque alla parte più impegnativa che consisteva nel tentare di rendere più vivibili quegli spazi, dato che al piano di sotto si trovavano degli ambienti in comune in cui anche lei, nolente o volente, avrebbe dovuto coabitare con quel Saeba.
La sera prima era filata dritta nella camera che lui le aveva indicato e non si era soffermata più di tanto ad ispezionare ogni angolo, ma ad una rapida occhiata aveva già potuto appurare la confusione e la sporcizia dominanti, tipiche del covo di uno scapolo scansafatiche allergico alle faccende domestiche.
Scendendo le scale e guardandosi attorno, Kaori costatò che era un appartamento luminoso e spazioso, il che avrebbe limitato le situazioni di promiscuità, ma anche freddo e dispersivo, quasi come se fosse disabitato. L’arredamento era anonimo e spartano, impersonale, e non c’erano quadri, né foto o soprammobili a dare qualche tocco di calore umano. Somigliava quasi al rifugio di un latitante. In compenso, a testimonianza dello stile di vita sregolato del suo proprietario, bottiglie e lattine vuote di birra, cartoni di cibo da asporto, cicche di sigaretta, quotidiani e giornaletti per adulti giacevano qua e là, e il lavello della cucina era colmo di bicchieri e piatti dimenticati che imploravano di essere lavati da chissà quanti giorni, mentre in frigorifero sostavano residui di cibo avanzato il cui tanfo avrebbe potuto competere con una bomba chimica. Il parquet di legno chiaro che ricopriva il pavimento era inoltre scalfito e macchiato in più parti di chiazze untuose non meglio definite e sulla cui origine non volle interrogarsi.
«Ahimè, qui ci vorrebbe una disinfestazione!», valutò sconcertata ad alta voce, imbattendosi perfino in dei calzini maleodoranti abbandonati sotto il tavolino del salotto, adornato unicamente di un vecchio divano a due posti e di un piccolo televisore.
Per fortuna lei era stata tanto previdente da portarsi appreso tutto l’occorrente per le pulizie, così si armò di pazienza e di buona lena, di guanti, detersivo e disinfettante, cominciando a sgrassare il ripiano cottura e le mattonelle, a raccogliere tutta la roba da destinare alla spazzatura e quella da mettere in lavatrice, a spolverare gli scaffali e a spazzare via le ragnatele. Trovò una radiolina e poté almeno svagarsi con un po’ di gradevole musica pop mentre portava avanti quelle noiose mansioni.
Dopo poco più di un paio d’ore poteva dirsi soddisfatta del risultato ottenuto, le rimaneva soltanto da passare lo straccio per completare l’opera, ma un pensiero dispettoso cominciò a solleticarle la mente. Aveva rovistato in tutte le stanze, tranne che in una, forse per timore, forse per discrezione. La sua.

Lui a quell’ora sarebbe potuto rientrare da un minuto all’altro, almeno così si aspettava, non volendo considerare alternative meno rassicuranti. Temeva un po’ di essere colta in flagrante a ficcanasare e di essere tacciata di invadenza, ma la tentazione a quel punto era troppo forte. Avrebbe dato solo una sbirciata veloce, tanto per soddisfare la sua curiosità, si convinse dopo alcuni secondi di esitazione, mollando il bastone del mocio, spegnendo la radio, e avanzando in punta di piedi sulla rampa che conduceva all’ultimo piano.
La porta non era chiusa a chiave, girò la maniglia cercando di farla cigolare meno possibile, sempre con l’orecchio teso ad eventuali rumori dal piano inferiore. Le tende erano mezze alzate, facendo entrare appena uno spiraglio di luce, l’aria era viziata da un pungente odore frammisto di sudore, fumo e polvere da sparo. Oltre ad un letto da una piazza a mezzo con le lenzuola disfatte, posto quasi al centro della stanza, c’era anche uno scialbo divano addossato ad un muro, su cui erano sparpagliati giornaletti, cartacce e qualche bottiglia scolata. Dentro l’armadio erano appese poche giacche di modello sportivo, tutte sgualcite, e qualche paio di pantaloni piegati in malo modo e mescolati a calze e scarpe. Anche tra quelle cose non scorse alcun rilevante indizio di un qualche legame affettivo. Sulle pareti, di contro, campeggiavano immagini di procaci modelle seminude in pose molto esplicite, da cui distolse subito lo sguardo, arrossendo di vergogna. Sembrava la camera di un adolescente in piena tempesta ormonale!
Il suo imbarazzo raggiunse il culmine quando si accorse che dal cassetto del comodino fuoriusciva un triangolino di stoffa di pizzo. Approfittando d’indossare ancora i guanti, si azzardò a frugare, trovando un gran numero di mutandine femminili, di diversa foggia e colore, ma più o meno tutte della stessa misura. Con le guance in fiamme si domandò se appartenessero tutte quante alla stessa donna o se piuttosto non fossero della sorta di trofei, rispondendosi subito dopo che alla fin fine non era una questione che la riguardava. Quell’individuo doveva essere davvero un depravato, ma era anche un uomo adulto e libero di vivere le sue avventure con chi gli pareva. A patto che non si fosse intrattenuto con qualcuna di quelle compagnie in sua presenza, acconsentì con forzata indulgenza e uno strano sapore amarognolo in bocca, uscendo in fretta con la preoccupazione di essere sorpresa lì dentro al suo arrivo.

Ritornò al piano inferiore e si apprestò a finire di lavare il pavimento, non potendo arrestare il corso del suo galoppante rimuginare. Anche Hideyuki era trasandato e molto sbadato, non fosse stato per lei certe volte avrebbe perso perfino gli occhiali pur avendoceli sul naso, ma il caos squallido che regnava tra quelle mura era diverso; oltre a disgustarla, per qualche imperscrutabile ragione, la turbava. Non c’erano tracce di un passato o un presente che si discostasse dal suo lavoro o dalla sua ossessione per le donne. Forse si stava facendo suggestionare troppo, quel Ryo Saeba doveva essere semplicemente un impenitente donnaiolo, un uomo solitario e privo di interessi. O magari il frenetico e rischioso mestiere di giustiziere non gli dava modo di coltivare passatempi leggeri o relazioni lunghe.
Con un po’ d’inquietudine, Kaori si augurò vivamente di non diventare anche lei così, riaccendendo la radio e distraendosi con le note di una ritmata canzone rock, che la allietò nel portare a termine le ultime passate di straccio.


Risaliva quel gran numero di gradini a passo sostenuto, i sensi vigili e i nervi pronti a scattare al minimo sentore di un qualche segnale di pericolo. Quel palazzo era il posto più sicuro che conoscesse, ma non poteva escludere che chi lo voleva eliminare potesse individuare dove si nascondesse. Dopotutto aveva messo a soqquadro il rinomato Silky Club e aveva sottratto una valigia con diversi milioni di yen. La potente e spietata organizzazione criminale cui si era opposto aveva innumerevoli risorse, avrebbe potuto corrompere chiunque per lavare l'onta dello smacco subito. Sembrava che le acque si fossero calmate, ma lui non si sentiva affatto tranquillo, nonostante i suoi più fidati contatti non gli avessero spifferato alcuna informazione di rilievo e non avesse avvertito nessuno pedinarlo durante i vari sopralluoghi che aveva compiuto nelle ultime ore.
Un incontro aveva tirato l’altro, e lui aveva fatto più tardi di quanto non si fosse prefisso, si rimproverò, il respiro stretto dalla morsa del rammarico e da una leggera ansia.

Le aveva raccomandato di non aprire a nessuno e di non uscire da lì per nessun motivo, ma rammentava sin troppo bene quanto fosse avventata e testarda quella ragazza. Maki se ne disperava spesso, e lui non aveva dimenticato la primissima volta in cui si erano incontrati, né quando era andata ad invischiarsi in quella spregevole faccenda di rapimenti, volendo indagare per conto suo. E la mattina precedente su quell’autobus si era improvvisata a diventare l’eroina della situazione, pur non avendo alcuna esperienza con le armi da fuoco e rischiando di fare una strage.
Pur avendola segregata in casa, era certo che, irrequieta com’era, sarebbe stata capace di ingegnarsi per trovare qualche via di fuga. Se le fosse successo qualcosa, non si sarebbe perdonato di fallire ancor prima di cominciare a proteggerla. La ferita della perdita del suo amico era ancora troppo fresca, non avrebbe sopportato un’altra sconfitta del genere. D’altra parte la sera prima l’aveva sorpresa a piangere, quindi forse sarebbe stata troppo provata dallo sconforto per commettere qualche colpo di testa. O magari l’avrebbe commesso proprio sospinta da quel movente.

Tribolato da tali pensieri, Ryo inserì la chiave nella toppa, appurando con sollievo che non fosse stata scassinata. Oltrepassando la soglia inciampò in un grosso sacco nero che gli restituì un clangore di vetro e metallo, ma non ebbe tempo di interrogarsi sul suo contenuto perché fu distratto dal riecheggiare di una melodia allegra che pareva provenire da un piccolo altoparlante. Continuò ad avanzare verso il salone scorgendo infine la sua ospite dimenarsi tutta indaffarata. Indossava canotta, pantaloni di tuta e guanti di gomma e reggeva uno scopettone che faceva scivolare sulle assi del pavimento, lindo e brillante come non era mai stato neanche quando lui era andato ad abitare lì.
Si mosse piano, cercando gradualmente di inserirsi nel suo campo visivo, preparandosi a subire qualche sua legittima reazione dettata dallo spavento o dalla collera.

Kaori sussultò appena, accorgendosi improvvisamente della sua presenza: «Ah, sei tornato! Com’è andata?», lo interrogò spigliata, fermandosi e andando ad abbassare il volume della radiolina, restando a fissarlo in impaziente attesa di una risposta.
Quella domanda banale, gettata in maniera così confidenziale e spontanea, gli fece uno strano effetto e lo disorientò. Si aspettava che lo avrebbe aggredito per essersi dileguato, nonostante la seria minaccia che incombeva sulle loro teste. Quella premura gentile invece gli ricordò immediatamente Makimura e di riflesso sovrappose il suo volto a quello del suo defunto socio, benché la somiglianza esteriore tra i due fosse pressoché inesistente. Per un attimo si domandò se fosse così avere una sorella, essere accolti da qualcuno che si preoccupava di lui.
«Ho contattato qualche mio informatore. Si faranno sentire, se dovessero esserci movimenti sospetti», tagliò corto, tenendosi sul piano professionale e tralasciando di rivelarle le sue ipotesi sul come avrebbe potuto concludersi quella spinosa vicenda. Non aveva ragione di rivelarle che era passato a controllare il suo precedente domicilio scoprendo che era stato rivoltato da cima a fondo.
Ad ogni modo, gli parve che lei non lo stesse neppure ascoltando, impegnata com’era a tentare di scrostare vecchie macchie di sporco, perciò si accinse ad attraversare la stanza per raggiungere la cucina, ma la ragazza lo sgridò perentoria: «Fermati lì! Non farmi pedate!».

Ryo obbedì, rimanendo ad osservarla intontito mentre blaterava della necessità di comprare cera per pavimenti e gli raccontava quanto aveva dovuto sgobbare dopo essersi alzata. Per assurdo, giunse a chiedersi se quello fosse ancora il posto in cui aveva vissuto finora. Non c’era niente di nuovo, ma così pulito e sistemato sembrava comunque molto diverso. Anche Kaori sembrava diversa. I suoi caldi occhi nocciola erano meno tristi, era più serena e vivace, di buonumore, e il lieve colorito che aveva acquisito per via di tutto quell’affaccendarsi la rendeva davvero molto carina ...

Smise di strofinare lo straccio sul pavimento oramai asciutto e gli andò incontro, affiancandolo: «Quindi sul serio tu abiti qui, tutto solo?» si risolse a domandargli di punto in bianco, con un’espressione tra la sbigottita e la perplessa, rivolta più che altro all’appartamento.
«Già. Tutto solo», sospirò sconsolato lui, le spalle incurvate e il muso lungo, stirando un braccio verso la sua spalla, che però si ritrasse, sbilanciandolo.
«Caspita! Allora l’affitto deve costarti un occhio della testa!», ipotizzò attonita la ragazza, rimpicciolendo le pupille.
Ryo balbettò, grattandosi la nuca: «Non saprei … »
Una smorfia sospettosa e preoccupata arricciò le labbra della giovane coinquilina: «Non è che sei abusivo?! Oppure questo è uno di quegli edifici sotto confisca della polizia che servono agli agenti sotto copertura?»
Lui non sapeva se sorridere, sbalordirsi per la sua immaginazione o sentirsi insultato: «Eh? No! Ma cosa vai a pensare? Guardi troppi film gialli!», commentò non potendo contenere un risolino divertito, per poi farsi meno beffardo. «Semplicemente era tuo fratello ad occuparsi di queste cose burocratiche».
Il viso di Kaori si rabbuiò: «Oh. Certo. Hide non è mai stato un uomo d’azione», bisbigliò con un tenero sorriso, togliendosi i guanti e passandosi un dito su uno zigomo.
«È morto con una pistola in mano», la smentì drastico Ryo, ripensando che avrebbe dovuto esserci lui al suo posto. Quell’idea continuava a perseguitarlo e di certo non aveva abbandonato nemmeno lei. Distolsero reciprocamente lo sguardo per qualche secondo.
Fu la ragazza a decretare che era il momento di cambiare argomento: «Allora, cosa posso fare?» si risolse a domandargli spiccia, sbarazzando mocio e secchio e portando le mani ai fianchi.

Era chiaro che voleva sdebitarsi della sua ospitalità, rendersi utile. Si era affaccendata senza sosta per non pensare, per riempire quel vuoto, impedirgli di scavare troppo a fondo.
Lo sweeper si rese conto che in realtà non sapeva bene come comportarsi con lei. Aveva dimestichezza con donne di altro tipo, smaliziate, frivole, consenzienti. Ma quella lì era una ragazza tremendamente normale, gli occhi limpidi e la faccia pulita, l’animo candido e ferito. Si convinse che forse l’unica maniera per non sbagliare era considerarla una specie di allieva e dunque mantenere un po’ le distanze, anche se era pur sempre un essere di sesso femminile e già il suo delicato profumo floreale aveva saturato ogni cosa che lo circondava.
Si allontanò da lei, accomodandosi sul divanetto, poggiando i piedi sul tavolino di fronte: «Non lo so, per esempio potresti cominciare a pensare cosa preparare per pranzo?», propose con assoluta noncuranza, accendendosi una sigaretta.

Kaori boccheggiò indispettita. Non gli avrebbe permesso di abusare della sua gentilezza o della sua presunta debolezza. Gli si avventò contro, tirando giù con uno spintone le sue gambe da quella postazione, per potergli parlare faccia a faccia.
«Senti, mettiamo in chiaro due o tre regole. Primo: le cicche vanno nel posacenere, calzini e mutande usate nel bidone della biancheria sporca, gli altri rifiuti nella spazzatura. Non pretendo che impari subito, ma gradirei un minimo di collaborazione», asserì quasi in un ringhio, strappandogli il mozzicone di bocca e spegnendolo in una ciotola di vetro. «Secondo: se ho dato una sistemata a questo porcile, è perché ormai purtroppo dovrò viverci anch’io. Ma non ho nessuna intenzione di essere la tua cameriera o la tua mantenuta! Voglio essere la tua assistente, come lo era mio fratello!» ribadì stringendo i pugni fino a sbiancare le nocche.
«E terzo: per poter mangiare dobbiamo lavorare!».

Ryo assorbì tutte quelle recriminazioni facendo ricorso a tutto il suo sangue freddo: «Per il momento non c’è niente da fare. Dobbiamo aspettare che siano i gentiluomini della Union Teope a compiere la prossima mossa», si limitò a replicare evasivo, alzandosi e sovrastandola con la sua imponente statura, con lo scopo di farla sentire piccola e inerme.
Lei però non desistette: «Ma qualcun altro nel frattempo potrebbe avere bisogno di City Hunter!», gli gridò dietro incaponita, quando ormai poteva parlare solo con la sua schiena.
«Se vuoi farti ammazzare, esci pure. Io vado a recuperare un po’ di sonno», si defilò, salutandola sprezzante con un gesto della mano, percependo il suo respiro aggrovigliarsi e diventare rabbioso, ma continuando ugualmente a percorrere la rampa di scale che conduceva al sesto piano.

La sua grinta e il suo zelo erano encomiabili, era animata da buone intenzioni, ma era piuttosto ingenua e imprudente, oltre che completamente estranea alle meschinità di quel sottomondo che era la criminalità di alto bordo, meditò Ryo varcando la porta, desideroso di sprofondare sul materasso. Subito riconobbe che c’era stata un’intrusione.
Le persiane erano più sollevate di una decina di centimetri rispetto a come le aveva lasciate, il cassetto del comodino non era più socchiuso e guardando nell’armadio notò che gli abiti erano stati frugati. Inoltre le particelle di una dolce fragranza impregnavano l’aria. Non aveva dubbi: quell’impicciona era stata lì a curiosare tra le sue cose. Non capì se esserne lusingato o disturbato. Aveva proprio un bell’ardire: appena arrivata, già si permetteva di comandare in casa sua!
E adesso, a giudicare da quel rumore metallico, stava armeggiando con la serratura d’ingresso. C’era da scommetterci che non si sarebbe arresa alla sua intimidazione. Gettò la giacca sul letto, sedendosi a riflettere. Sarebbe finita nei guai, da sprovveduta principiante qual era. Non poteva perderla di vista, era sotto la sua responsabilità, anche se non era più minorenne.

Traendo un sospiro snervato, ridiscese a grandi falcate, intercettandola proprio davanti l’uscio, con gli stivaletti ai piedi e la borsetta al collo, in palese procinto di sgattaiolare, disobbedendo al suo precedente ammonimento. La bloccò frapponendo un braccio tra lei e lo stipite, senza neanche sfiorarla. Era ora che anche lui ribadisse alcune norme di convivenza.
Kaori si voltò piano, sostenendo il suo sguardo con un cipiglio impertinente.
«Per collaborare e vivere con me, anche tu dovrai accettare alcune regole. Uno: non sei ancora pronta ad affrontare da sola feroci malviventi di quella risma. I ladri che hai battuto ieri erano delle schiappe» la redarguì tagliente e severo, sgonfiando la sua supponenza.
«Due: non accetto nuovi incarichi se prima non ho concluso quelli cominciati. Potrei fare un’eccezione soltanto se si presentasse una donna veramente bella e disperata, disposta a pagarmi in natura», specificò impunemente, facendola indisporre.
Quindi si curvò leggermente su di lei, passandosi una mano tra i capelli, con fare vanesio: «Tre: capisco bene che il mio fascino da bello e impossibile ti attrae, ma la prossima volta anziché entrare in camera mia di nascosto, chiedimelo e basta», sussurrò con un malizioso occhiolino.

Kaori sentì ribollire un miscuglio di sensazioni, tra le quali prevalse il bisogno di colpirlo in qualche modo per rimetterlo in riga e chiarire che a lei non importava affatto averci a che fare in quel senso. Sollevò il ginocchio, centrando il suo punto più sensibile, proprio lì in mezzo alle gambe: «Presuntuoso!»
Ryo si piegò in due, mugugnando dolorante, vedendola andare via: «Forse non è così indifesa».

   
 
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