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Autore: Cindy03    10/02/2020    0 recensioni
Larhette e Rock condividono gran parte della loro infanzia, ma ora sono 6 anni che non hanno notizie l'uno dell'altro. Inoltre da quando Larhette ha deciso di scappare dall'orfanotrofio in cui viveva non si sono più visti.
Per fortuna c'era Denny a smorzare le loro tensioni.
Ora la ragazza ha una vita stabile e piuttosto tranquilla che verrà scombussolata dal ritmo delle sue due più grandi passioni: la musica e la cioccolata.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La cena è andata a meraviglia. Abbiamo passato il tempo parlando del più e del meno, ricordando vecchi aneddoti e ridendo come matti. Alla fine ha voluto pagare lui per tutti e due, nonostante le mie proteste insistenti.
Ora ci troviamo sul marciapiede e passeggiamo l’uno accanto all’altra, in silenzio. L’aria non è delle migliori e sembra che stia per venire a piovere. Rock ha le mani conficcate nelle tasche dei pantaloni, mentre io le tengo conserte per assicurarmi un tiepido calore. Lo sento sospirare un paio di volte, prima di interrompere il silenzio.
“Larhette, c’è una cosa che voglio chiederti da un po’, ma non vorrei essere invadente quindi sei libera di sviare la mia domanda” fa una pausa, fermando anche il passo e costringendomi a voltarmi. Taccio, invitandolo a proseguire.
 “Cos’è successo dopo la tua fuga? Tu sei rimasta a contatto con Denny e ti ha detto tutto di me, ma io di te non ne ho mai saputo nulla” Sembra abbastanza a disagio e non mi guarda nemmeno in faccia.
Sospiro rassegnata. Era inevitabile non andare sul discorso. Tanto vale essere subito sincera.
“Sono corsa davanti alla mia vecchia casa, dove tutto è iniziato.” Riprendo a passeggiare, seguita da lui che ascolta attentamente. “In quei momenti ero spaventata e indifesa e una massa di senzatetto ubriachi cercava in tutti i modi di avvicinarmi. Sai, quella casa ora è abbandonata. Entrai, ma non  riconobbi nessun arredamento. Girai ovunque, era ridotta un disastro. Qualcuno sicuramente era entrato prima di me e aveva saccheggiato l’appartamento. Proprio quando stavo per andarmene vidi una sedia a dondolo buttata in un angolo, di quelle con la seduta e lo schienale imbottiti. Era molto simile alla sedia su cui sedeva sempre mio padre, così pensai che fosse la stessa, solo un po’ rimodernata. Mi venne in mente mia madre che mi diceva di averci nascosto delle cose li dentro. Un piccolo ricordo dei bei tempi, quando eravamo felici tutti e tre insieme. Corsi in cucina e presi un coltello, poi tagliai lo schienale in più punti, finché non notai una piccola busta di carta, proprio all’altezza del cuore di chi ci si sarebbe seduto. La tirai fuori e vi trovai queste” presi la borsa ed estrassi dal portafoglio due foto ingiallite. Una ritraeva mia madre e mio padre molto piccoli, forse adolescenti, che si scambiavano un bacio sulla riva del mare. Nell’altra c’era invece un uomo, mio padre, seduto su una sedia a dondolo con la seduta e lo schienale imbottito, con in braccio me, un piccolo fagottino che rideva e a cui lui dava un bacino sulla minuscola guanciotta. Accanto mia madre ci guardava come se fossimo la cosa più importante che avesse. “Le porto sempre con me!”
Rock prende delicatamente quelle foto e le rigira tra le mani. “Tua madre era bellissima, ti somiglia tantissimo” mi dice guardandomi di colpo più intensamente. Abbasso lo sguardo incapace di reggere il suo. Non so nemmeno perché me ne sia uscita con questa cosa. In fondo non è ciò che mi ha chiesto.
“Non vergognarti di me Larhette. So che sei una persona straordinaria e molto forte. Tua madre da queste foto sembra straordinaria quanto te!” mi dice alzandomi la testa con un dito.
Una piccola lacrima solca la mia guancia, ma non ha il tempo di scendere troppo giù perché fermata dal dito caldo e morbido di Rock. È solo un attimo ma mi basta per farmi rabbrividire dal desiderio di baciarlo.
“Aspetta”  mi dice di colpo allontanandosi da me e restituendomi le foto. Poi si toglie la giacca e me la posa delicatamente sulle spalle. “Ecco, così va meglio” conclude passandomi un braccio dietro la schiena e attirandomi a se. Ha palesemente frainteso il mio brivido. Menomale!
Annuisco e lo ringrazio godendomi appieno la sua fragranza che mi circonda e si impossessa del mio corpo con forza, fino a farmi quasi girare la testa. Riprendiamo a camminare tranquilli e mi prendo qualche attimo prima di continuare. “Mi ritrovò mio zio qualche giorno dopo, affamata e sporca, che cercavo in tutti i modi di sfuggire a quei barboni, sempre più insistenti. Mi portò con se nel lurido motel in cui dormiva e mi diede dei vestiti puliti e una minestra calda. Era per questo che non mi aveva ancora presa con se. Non aveva nemmeno lui un posto dove andare ne i soldi per farmi mangiare, visto che il ristorante non era ancora aperto. Mi rimisi presto e iniziai a ballare nei locali per tirare su qualche soldino, finché i lavori non si conclusero e potemmo finalmente trasferirci qui a Manhattan. Successivamente ci raggiunsero anche mia zia e i miei cugini.” Sorrisi contenta di aver concluso. “Ed ora eccomi qui: con una casa tutta mia, un lavoro e anche del tempo libero per divertirmi!” Allargo le mani sospirando. Sono abbastanza soddisfatta della mia vita!
“Bhe, non avevo dubbi che ce l’avresti fatta!” mi dice sicuro di se con un sorriso e stringendomi un po’ di più. Poi mi chiede euforico “Vuoi vedere una cosa?”
Annuisco, pur essendo perplessa. Non so davvero cosa aspettarmi.
Rock tira fuori un mazzo di chiavi e apre la porta di un palazzo, entrando in un corridoio con una rampa di scale. Lo seguo curiosa e insieme iniziamo a salire. Leggo l’euforia e la gioia nei suoi occhi che non posso far altro che ricambiare, perché lui è così: riesce a farmi sentire bene ovunque e in qualunque momento, anche il peggiore.
Dopo 4 piani arriviamo ad un'altra entrata, questa volta leggermente più grande della precedente. Infila le chiavi nella serratura e da un paio di mandate, poi viene dietro di me per posizionarmi le mani sugli occhi e impedirmi di guardare. Siamo vicinissimi. Posso poggiare la schiena al suo petto e la solita scarica elettrica mi attraversa, risvegliando emozioni che credevo sopite da tempo. Sento il suo respiro sul collo e brividi di piacere mi pervadono. Sto per andare in estasi solo per un suo tocco. Come sono messa male!
“Sei pronta piccola Larhette?” mi sussurra ad un orecchio. Annuisco, per poi fare qualche passo avanti e varcare la porta. Non vedo nulla ma sento le mani e il corpo di Rock allontanarsi e un senso di vuoto incombere su di me. Sono nel buio più totale e non so dove mi trovo.
“Rock? Dove sei?” chiedo quasi spaventata. Una luce improvvisa mi costringe a ripararmi gli occhi con una mano.
“Tadan! Ti piace?” mi chiede lui speranzoso. Mi guardo attentamente intorno. Mi trovo in un ampio salone spoglio, con le pareti macchiate qua e la da qualche pennellata di vernice di diverse tonalità di grigio. Sul pavimento un parquet nuovo di zecca contrasta con la polvere e i tavolini incartati e impilati sul fondo. Una sorta di cucina da finire si trova ad angolo sulla destra del locale, contornata da un bancone bordeaux brillantinato in stile contemporaneo. Il pezzo forte però è la parete che dà sulla strada: quattro ampie vetrate si aprono su un piccolo balconcino da cui è possibile osservare uno sprazzo di città illuminato dalla luna.
“Wooow, è il tuo locale?  Fantastico!” esclamo estasiata senza smettere di guardarmi attorno. Rock si gratta la nuca imbarazzato.
“Bhè ovviamente devo ridipingere le pareti. Lì ho fatto qualche prova per vedere che colore sta meglio. Poi devo finire di montare la cucina, i tavoli e le sedie e… non ci ho ancora portato nessuno qui e.. ho pensato di portarci te per vedere se, bhe… se ti piace insomma!” quasi balbetta a disagio. Ha forse paura del mio giudizio? Ma allora mi ritiene importante! Senza pensarci due volte corro verso di lui e gli salto al collo scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia. “E’ bellissimo credimi! Sono felicissima di essere stata qui per prima!” esclamo con un sorrisone, senza rendermi conto che anche lui mi ha abbracciato attirandomi ancora più vicino. Adesso siamo davvero vicinissimi, a un solo centimetro di distanza. I nostri nasi si sfiorano, i nostri occhi si cercano, le labbra fremono per il desiderio. Si avvicina ancora di più, piegando leggermente la testa e alternando lo sguardo dai miei occhi alle mie labbra. Le nostre bocche si sfiorano, procurandomi ondate di eccitazione che si bloccano tutte nel basso ventre. Potrei morire in questo momento. Senza allontanarsi, Rock devia la direzione della sua bocca, posandomi un bacio appena sotto al mento in grado di farmi fremere. Poi scende sempre di più, disegnando una linea umida sul collo fino all’orecchio. Il contatto con le sue morbide labbra è estasiante, così dolce e delicato, ma nello stesso tempo sicuro e determinato. Mi stringe ancora di più con le sue mani sulla mia schiena, costringendomi ad aggrapparmi al suo collo.
Troppo presto però, troppo in fretta, si allontana e mi sussurra:
“Mi sei mancata. Da morire!” Poi si stacca bruscamente, di nuovo a disagio, passandosi le mani sul viso. Cerco di riprendermi il più in fretta possibile per non fargli capire quanto in realtà quel contatto mi abbia destabilizzata e, ancor di più, il suo distacco fisico ed emotivo subito dopo.
Mi volto un ultima volta verso il locale, per poi dargli le spalle e dirigermi verso la porta.
“Complimenti! Proprio un bel posto!” dico, mantenendo le distanze e sperando che quel nodo in gola non si senta. “Forse è ora che torni a casa, vado a chiamare un taxi.”
“Non ci pensare nemmeno!” lo guardo stranita, ma noto che mi da ancora le spalle. “Ti accompagno io!”
“Non disturbarti, non è necessario.” Fredda, apatica.
“Non era una domanda… ti accompagno io!” mi dice autoritario, mentre spegne la luce e si tira la porta alle spalle.
   
 
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