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Autore: Mash    11/02/2020    0 recensioni
Un demone si risveglia dal suo sonno e come ogni 30 anni deve continuare la sua maledizione. Uccidere tutti coloro che professeranno il loro amore per lui per trovare finalmente colei o colui che sarà in grado con i suoi sentimenti di spezzare finalmente il maleficio che lo lega da più di un secolo.
Genere: Malinconico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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M3: Sinfonie celestiali - “Nell’estasi o nel fango” di Michele Zarrillo

II Capitolo – Confine

 

2 ottobre 20XX ore 22.50 – Night club Horizon

Superò la guardia all’ingresso che l’aveva perquisito con un sorriso più imbarazzato che spavaldo e si diresse verso il centro di quell’immenso locale. Cercò di guardarsi intorno il meno possibile, fallendo miseramente, notando parecchie donne poco vestite e parecchi uomini che sembravano usciti da un deludente film di serie B. Senza niente da togliere a quei film, anzi, in realtà quel genere di film non gli dispiacevano.

Si appoggiò a un bancone con un’aria a dir poco annoiata dipinta sul volto, cercando di recitare per bene la sua sgradita parte. Nonostante fosse quello che aveva insistito per andare a indagare, essere lì in quel momento non era per niente facile, dato che non si sentiva per niente a suo agio in un simile ambiente. Non avrebbe mai ammesso con nessuno che i suoi colleghi avessero ragione nell’affermare che non era portato per indagare in un simile posto. Detestava che qualcuno pensasse che si trovasse lì per piacere e la mancanza del suo distintivo si faceva sentire.

In quel momento, se qualcuno avesse dovuto descriverlo, imbarazzato e annoiato sarebbero state le parole più adatte.

Daniel fece un respiro più profondo e svuotò la mente.

Era pronto a rischiare.

1 ottobre ore 11.30 – centrale di polizia di Rivendell

“Daniel, ho riflettuto su quello che hai detto l’altro giorno,” iniziò il comandante della polizia rivolto al suo sottoposto, in piedi davanti a lui: “… controllando con Ivan, abbiamo scoperto che all’ingresso dell’Horizon hanno una restrizione su alcune creature soprannaturali specifiche, non importa quanto facoltose esse siano. È un modo per tutelare i propri dipendenti, a quanto pare. Cosa che non si applica per i dipendenti, si possono trovare moltissime razze diverse.” l’uomo tossì dopo aver detto quella parola, come se nel pronunciarla ci fosse intriso tutto il suo disgusto.

“Nel mio dipartimento non ho agenti umani o più alti in grado che siano stati informati del caso, a parte te.” si fermò per un istante, come se il resto di quelle parole fosse troppo difficile da pronunciare “Mi vedo quindi costretto ad accettare, nonostante non voglia assolutamente farlo, la tua richiesta di prendere parte alle indagini sul campo. Almeno finché non ci sarà qualcosa di talmente importante che ci permetta di entrare con un mandato e fare le dovute domande del caso ai proprietari e ai dipendenti.” 

Le sue parole tradivano tutto il suo fastidio per aver preso una simile decisione, e Daniel riusciva perfettamente a leggerglielo sul volto. Ma non gli importava. L’importante era aver avuto l’occasione che aspettava.

Il volto del giovane assunse un’espressione che poteva essere definita grata, e forse in minima parte entusiasta per l’opportunità ricevuta: “Non la deluderò signore. Ripagherò la fiducia che sta riponendo in me.”

“Mi raccomando, non scoprirti troppo e soprattutto non combinare guai. Come ti dicevo, non tutte le persone che lavorano all’interno dell’Horizon sono semplici esseri umani, inoltre, la cosa più importante è che devi ricordarti che sei sotto copertura, non potrai andare lì dentro mostrando il tuo distintivo, dovrai agire in incognito. Spacciati per un cliente, che ne so, seduci qualcuno con il tuo aspetto. Sei giovane, sono più che sicuro che assumendo un’aria da ricco figlio di papà in cerca di divertimento riuscirai a passare inosservato.”

La faccia del detective tradì il fastidio per il giudizio del suo superiore: “Ricco figlio di papà in cerca di divertimento?” si aspettava di dover agire in incognito, ma non pensava di spacciarsi per un cliente. Non poteva farsi in qualche modo assumere? “Pensavo che avrei potuto chiedere di essere assunto, non di dover frequentare i dipendenti spacciandomi per un cliente!”

Il comandante aggrottò le sopracciglia: “Abbiamo provato a far assumere uno dei nostri agenti e non siamo riusciti a nascondere in alcun modo il loro passato, nemmeno con il lavoro migliore dei nostri informatici. Hanno un controllo troppo alto quando si tratta di assunzioni e gli schermi mentali li insospettiscono anche di più che una risposta poco chiara.”

“Capisco.”

“Sono sicuro che riuscirai a inventarti qualcosa, puoi inventare la storia che preferisci, Ivan ti darà tutto il supporto informatico per farla combaciare, basta che non spifferi ai quattro venti di essere un poliziotto; inoltre, se la cosa non ti soddisfa, posso sempre mandare qualcun altro al tuo posto.”

“No, non è necessario! Non ho problemi a essere un perfetto figlio di papà in cerca di divertimento.” disse il giovane con un tono che faceva trapelare la sua soddisfazione per l’opportunità concessa.

“Perfetto, questione chiusa. Ah, un secondo…” il comandante lo fermò con un gesto della mano: “Come stai messo a livello di guardaroba? Hai cose migliori rispetto quello che indossi di solito a lavoro?” domandò sarcastico il comandante.

“Sta criticando il mio normale abbigliamento?” chiese a sua volta Daniel, sospettoso che quello non fosse ironia ma che nascondesse una parte di verità.

L’uomo sorrise facendo cenno di no con la testa e il giovane uscì dall’ufficio ancora più infastidito di prima.

2 ottobre ore 22.51 – Night club Horizon

E alla fine eccolo lì, appoggiato a un bancone a sorseggiare chissà quale drink dal nome impronunciabile. Fingendo di essere qualcuno che non era, avvicinando i dipendenti come se fosse un cliente. Non era così che aveva immaginato il lavoro sotto copertura, ma di certo avrebbe continuato quella piccola recita dando del suo meglio per passare inosservato e riuscire a recuperare tutte le informazioni che gli servivano per risolvere il caso.

Aveva deciso di seguire i consigli di sua sorella, e aveva messo una semplice camicia azzurrina, che secondo la ragazza s’intonava con i suoi occhi verdi, sbottonata per i primi bottoni e un paio di pantaloni del suo completo migliore, di un cupo blu notte. Non aveva aggiunto altro, né giacca né cravatta, ai piedi dei semplici mocassini e i capelli tirati indietro con del leggero e quasi invisibile gel.

Era quindi riuscito a entrare senza problemi, ma ora sarebbe arrivata la parte più difficile… Trovare qualcuno che avesse effettivamente incontrato la vittima. Magari colui che le aveva dato il biglietto. Quella “chiave” che gli mancava per completare il puzzle. Non aveva pensato molto a cosa potesse significare, aveva capito quasi immediatamente che quello fosse un biglietto da visita e che quella stampa fosse un nick per indicare il soggetto che si era visto con la donna. C’era qualcuno in quel posto che si chiamava come una chiave.

Key era quello che doveva trovare per avere qualche risposta.

“Benvenuto!” esclamò una voce chiaramente in falsetto di un uomo. Daniel, perso nei suoi pensieri, si fissò sulla figura che gli aveva parlato, notando che l’altro aveva tentato, con discreto successo, di assumere l’aspetto di una donna. Non aveva mai visto una drag queen e per un attimo rimase senza parole, era fantastica.

“Salve…” rispose al saluto con una voce che tradiva un certo nervosismo, rivolto alla persona dietro il bancone, che, aveva tutta l’aria, di essere uno dei pezzi grossi del locale.

“È la sua prima volta, signore?”

L’altro assunse un’espressione imbarazzata, quel tono che aveva utilizzato, quasi come se si stesse rivolgendo a lui come a un bambino, non gli piaceva.

“Posso consigliarle delle bellezze niente male… Ho dei giovanotti che farebbero al caso suo.” continuò la signora notando dalla sua faccia una risposta affermativa alla sua precedente domanda. Con un gesto della mano indicò un paio di uomini più avanti che sembravano tutto, tranne che il suo tipo.

“Veramente… Vorrei incontrare Key.” sussurrò il giovane, interessato alla reazione della donna davanti a lui nel sentire quel nome.

“È impossibile.” affermò l’uomo abbassando il tono della sua voce di qualche nota, fissandolo negli occhi.

Non si aspettava che gli sarebbe stato proibito, ma perlomeno la sua deduzione era esatta, esisteva un certo Key che lavorava in quel luogo. Lo guardò mostrando tutta la sua sorpresa: “Perché mai?” domandò cercando una spiegazione a quel rifiuto, assumendo un’espressione curiosa ma allo stesso tempo insoddisfatta per aver ricevuto un rifiuto. Di certo non credeva di essere ricevuto a braccia aperte, ma, nemmeno si aspettava la negazione nel vedere uno dei dipendenti.

“Kay si occupa solo delle nostre clienti, non vuole avere a che fare con gli uomini.” Daniel registrò l’informazione e la pronuncia esatta di quel nome, la donna dietro il bancone continuò: “Potrei però presentarti qualche altro ragazzo interessante.”  disse facendogli l’occhiolino e lasciandolo a dir poco senza parole.

“Sono interessato a lui.” notando il dubbio sul volto del dipendente, si sbrigò a precisare sperando che non facesse troppo caso al suo nervosismo: “Me ne ha parlato una mia cara amica e mi ha descritto quanto sia fantastico.” aveva concordato una storia con una delle clienti il giorno prima, e anche se avessero controllato, la faccenda della sua amica era più che vera. Anche se ciò gli era costato cancellare un bel po’ di multe al suo contatto.

Una mano gli si posò sulla spalla facendolo trasalire.

“Perché vuoi incontrarmi? Mi pare ti sia stato detto che io non sia affatto interessato agli uomini.” vibrò una voce alle sue spalle.

Daniel si girò e riconobbe immediatamente chi aveva davanti, restando semplicemente a bocca aperta. Capelli lunghi, legati in una coda bassa, occhi che brillavano di un chiaro e penetrante color argento, l’abito scuro e un’espressione tutt’altro che allegra sul volto. Chiuse la bocca per dire qualcosa ma rimase in silenzio, limitandosi a fissare l’uomo che aveva davanti.

“Oh, sei il ragazzo di quella notte…” sussurrò l’uomo davanti a lui con un sorriso divertito.

A quelle parole il detective ritrovò la sua mente. Non capiva nemmeno lui cosa fosse effettivamente successo e come fosse possibile perdersi dopo aver guardato in quegli occhi argentei ma scosse la testa ritrovando se stesso e tirando fuori una plausibile scusa da utilizzare con quel tipo. Con quelle parole l’uomo gli aveva dato la storia giusta da poter utilizzare senza destare il minimo sospetto.

“L’ho cercata dappertutto!” esclamò sorridendo all’altro dolcemente, almeno all’apparenza dolce, anche se in realtà si poteva vedere una forzatura nel renderlo più enfatico di quanto Daniel volesse: “La prego, mi permetta di rimanere almeno un’ora con lei.”

Kay guardò il ragazzo per quelli che sembrarono interminati istanti. Lo studiò per bene, il sorriso un po’ troppo enfatizzato, quel portamento che sembrava non essere minimamente adatto a quel luogo, il suo perdersi così facilmente a osservarlo. Sarebbe stato divertente vederlo rivelare i veri motivi per il quale voleva incontrarlo.

“Se è disposto ad accettare i miei prezzi, sarò ben lieto di accontentare la sua richiesta.” l’uomo era passato dal dargli del tu al lei senza tanti complimenti quando aveva accettato di averlo come cliente.

Si rivolse poi al proprietario dietro al bancone, che era rimasto a guardare senza parole entrambi e gli disse, gentilmente: “Faccio un’eccezione per questa volta Sally.” alla fine fece un gesto a Daniel, invitandolo a seguirlo fino alla sua stanza.

Daniel lo seguì con uno stato d’animo inquieto ma allo stesso tempo eccitato per finalmente aver avvicinato il suo obbiettivo. Nessuno dei due disse niente fino a quando entrambi non si furono accomodati su due poltroncine nella stanza personale di Kay.

“Preparo un drink” disse, mentre si rialzava e avvicinava al piccolo baretto da un lato della camera. Riempì due bicchieri con un liquido ambrato e senza che Daniel avesse effettivamente risposto a quell’affermazione gliene passò uno, risedendosi in poltrona.

Si fissarono per altri interminabili istanti, nessuno che voleva fare la prima mossa in quel gioco di silenzi. Vicini ma a distanza.

Il primo a rompere il silenzio fu Kay. Di scoprirsi non gli importava. Doveva capire quanto potesse essere fastidioso quel giovane per il suo futuro. Se stava sospettando di lui, o se era capitato lì per puro caso e le sue teorie fossero campate per aria.

“Allora signor poliziotto. Che cosa vuole domandarmi?” chiese l’uomo al giovane, mentre accavallava le gambe e prendeva un sorso dal suo bicchiere.

Daniel a quelle parole sbiancò. Che errore aveva fatto per farsi scoprire in un così breve tempo? Aprì la bocca per negare ma poi ci ripensò. L’altro non si sarebbe fatto convincere nemmeno con la migliore bugia, non aveva senso giocare quel gioco. L’avrebbe fatto condurre per il momento e avrebbe visto fin dove si sarebbe spinto.

“Come hai fatto a capire che sono un poliziotto?”

Kay sorrise e fu contento di non dover insistere nell’affermare quanto sospettava: “Non sembri proprio il tipo di persona che mi cercherebbe disperatamente soltanto per aver avuto un colpo di fulmine.”

“Non sono un idiota hai ragione, ma allo stesso tempo non credo sia l’unica cosa che te l’abbia fatto capire… cosa hai percepito grazie ai tuoi poteri?” chiese il giovane passando anche lui a dare all’altro del tu.

“Ohhh…” soffiò l’altro, quasi come se fosse ammirato da quella domanda: “È il tuo odore. Odori di sangue e carne in putrefazione e ciò significa che o sei un volgare assassino, o un poliziotto.”

Daniel posò il bicchiere che l’altro gli aveva passato su un tavolino vicino a lui. Non aveva osato toccare una singola goccia del liquido e aveva bisogno di avere entrambe le mani libere. Anche la sua posizione, dapprima più rilassata si irrigidì.

“Inoltre, l’odore che ti sento addosso è quello di una delle mie clienti, Cherry; fare due più due non è difficile per chi possiede un cervello.” concluse, giocando con il bicchiere e prendendo un nuovo sorso da esso.

“Cheriel Amanto è stata ritrovata deceduta tre giorni fa e all’interno del suo portafogli c’era questo biglietto,” espose mostrandogli il biglietto da visita del locale che aveva preso precedentemente all’ingresso: “dietro, al contrario di questo, c’era la stampa di una chiave.” tirò fuori una penna e fece il disegno stilizzato di una chiave sul retro del biglietto da visita, imitando nello stile e nella forma quello che aveva visto sul biglietto che aveva trovato alla donna.

“Il mio biglietto da visita… sei stato bravo ad arrivare a capire che potesse essere in qualche modo collegato a una persona.”

“Fare due più due non è difficile per chi possiede un cervello.” ribatté Daniel imitando quanto l’altro gli aveva detto in precedenza. Era bene che l’altro non lo trattasse troppo da stupido.

Kay sorrise alle sue parole e prese un ulteriore sorso dal bicchiere. Ormai aveva quasi finito il suo drink mentre Daniel il proprio non l’aveva minimamente toccato.

“Che tipo di creatura sei, signor Kay?” domandò curioso, dopo che aveva lasciato la scena del crimine non si era riavvicinato al corpo della donna, quindi quell’odore di sangue che diceva di sentire era quello di tre giorni prima e lui si era lavato prima di quella sera.

“Sono un demone.” rivelò l’altro come se fosse una comune razza. Cosa che non era. Trovare un demone era una cosa rara, soprattutto perché i loro esponenti non amavano raccontare ai quattro venti di essere dei demoni, per paura delle reazioni degli altri intorno a loro. Potevano fare talmente tante cose che nessuno ancora aveva capito fin dove si potessero spingere i loro poteri e se avessero effettivamente alcuni limiti alla loro influenza sugli altri. Mentre Daniel lo fissava, realizzò che gli occhi dell’altro non lo avevano ancora degnato di uno sguardo da quando erano entrati nella stanza, fissi sul bicchiere e il liquido al suo interno.

“Un demone? E cosa ci farebbe un demone a lavorare come accompagnatore?” chiese Daniel cercando di non far trasparire troppo l’incredulità dalle sue parole. Riflettendoci però, era probabile che fosse un demone del sesso, un succubus, o almeno credeva fosse quello il nome per coloro della sua razza.  Lavorare in un night club sarebbe stato in più di un modo conveniente in caso avesse ragione.

“È di rilievo per la sua indagine, signor poliziotto?”

“No, non allo stato attuale delle indagini.” Daniel chiuse appena le labbra, irritato per il suo evadere la domanda.

“Allora non sono tenuto a rispondere.” Kay si sistemò più comodamente sulla sedia, sorseggiando il bicchiere pieno di un liquore ambrato che Daniel non era riuscito a identificare solo con l’odore. Più passava il tempo a guardare il bicchiere dell’altro, più avrebbe voluto riprendere il proprio e berlo tutto d’un fiato.

Doveva resistere all’impulso di farlo. Non si fidava per niente di qualsiasi cosa ci fosse nel suo bicchiere.

“Quand’è l’ultima volta che l’hai vista?” chiese, iniziando a domandarsi perché l’altro passasse a dargli del tu e del lei con così forte frequenza, come se volesse mettere in evidenza le risposte che dava al Daniel civile e al Daniel ufficiale di polizia.

“Circa una settimana fa.” rispose, mentre con un gesto faceva girare i blocchi di ghiaccio nel bicchiere e prendeva con un ultimo sorso il resto del liquido nel suo bicchiere e lo appoggiava sul tavolino alla sua destra.

“Perché hai accettato di parlare con me?” chiese di nuovo, sperando che adesso che aveva finito di bere, l’altro alzasse lo sguardo su di lui, degnandolo finalmente di una vera attenzione.

“È di rilievo per la sua indagine?” domandò di nuovo, alzando lo sguardo su di lui per un istante, per poi allungare la mano verso il bicchiere di Daniel e prenderlo tra le sue mani.

“Sì.” ribatté quella volta azzardando un sorriso.

“Perché non ho nulla da nascondere.” rispose schietto, quella volta fissando il detective negli occhi.

Daniel ricambiò lo sguardo per qualche istante, specchiandosi negli occhi argentei del demone, sentendo la stessa sensazione che aveva provato la prima volta, perdendosi in quell’oblio argentato che sembrava trascinarlo sempre più a fondo di un pozzo. Staccò il contatto visivo e si accorse di riuscire a respirare di nuovo, come se quegli occhi avessero avuto su di lui uno strano maleficio. Era forse possibile? Avevano quel tipo di poteri? Incantare con un semplice sguardo coloro con cui parlavano?

“Sei deluso?” domandò Kay sorridendogli: “Forse avrei dovuto dirti che sono rimasto colpito da te e volevo avere solo una scusa per parlarti?” domandò sarcastico passando a una voce più sensuale, come se si fosse ricordato che l’altro era al momento un suo cliente, e niente di più. Continuava forse a prendersi gioco di lui come aveva fato all’inizio?

“Affatto.” rispose il giovane: “Conosci qualcuno che avrebbe potuto avercela con la vittima?” pensò che ignorare le sue provocazioni sarebbe stato meglio che assecondarle o ribattere a tono, così tornò a fare domande inerenti il caso.

“No. Cherry non mi parlava molto di sé.” l’altro non sembrava esserci rimasto male per il suo ignorare le provocazioni, alzò il bicchiere alle labbra e bevve ancora.

“Hai delle altre clienti che avrebbero potuto provare gelosia nei confronti della vittima?” non sospettava particolarmente che una delle sue clienti umane fosse la colpevole del caso ma ogni pista doveva essere indagata.

“No. Ho molte clienti, ma… non farebbero niente del genere.”

Quell’uomo era strano. Daniel avrebbe quasi giurato che nelle sue parole si nascondesse qualcosa che volesse fargli intendere che sapeva tutto quello che era successo. Perché gli parlava in quel modo sospetto? Che fosse in realtà proprio quel demone il suo colpevole? Allora perché stava rispondendo tranquillamente alle sue domande? Un’altra tattica? Magari per evitare che sospettasse di lui a causa del suo atteggiamento collaborativo? Scosse mentalmente la testa e sospirò, girando il polsino della camicia, nervoso per le troppe domande e teorie che il suo cervello gli stava suggerendo.

Forse era il caso di andare via. Sentiva di star perdendo del tempo prezioso ma allo stesso tempo voleva continuare a fare domande a Kay, sperando che magari si sarebbe in qualche modo tradito se fosse stato effettivamente il colpevole dell’omicidio.

“Da quanto la conoscevi?” chiese, sperando che le domande nella sua testa si calmassero.

L’altro sembrò rifletterci: “Da qualche settimana.”

“Siete…” si bloccò un istante ma poi riprese senza ulteriori tentennamenti: “… stati a letto insieme?”

“Sì.” rispose senza nemmeno un’esitazione nel rivelare certi particolari. D’altronde la sua era una domanda superflua, dubitava che i clienti venissero al locale e pagassero un conto così alto semplicemente per farsi due chiacchiere. Forse avrebbe dovuto appuntarsi qualcosa delle sue risposte, ma era abbastanza sicuro di riuscire a ricordare tutte le sue risposte.

“Non mi hai detto il tuo nome.” disse l’altro, manifestando per la prima volta interesse nell’interlocutore, posando il secondo bicchiere ormai vuoto sul basso tavolino alla sua destra, vicino a quello che aveva precedentemente finito.

“Daniel.” rispose il ragazzo non pensando minimamente di dargli un nome inventato.

“Se l’idea ti aggrada potrei accettarti come cliente abituale, non sei troppo male per essere un esemplare maschile.” disse sorridendogli.

Un leggero fastidio si lesse sul suo volto a quelle parole, si stava prendendo gioco di lui, di nuovo. Era tutto un gioco per quel demone, non gli interessava altro che divertirsi con qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Inoltre, davvero aveva detto “esemplare maschile”?

“La vostra razza è longeva?” domandò scegliendo di nuovo di ignorarlo, anche se provava un certo fastidio con se stesso perché doveva ammettere di aver veramente riflettuto sulla sua proposta per un attimo.

“Come prego?” in maniera del tutto inaspettata, Daniel vide passare un lampo di pura sorpresa negli occhi del demone, come se quella domanda l’avesse totalmente spiazzato.

“La vostra vita. Potete vivere per quanto? 100 anni? 200? Invecchiate?” scosse la testa pensando che se anche l’altro avesse voluto rispondergli, nulla gli avrebbe assicurato che le sue parole fossero la verità. La vita dei demoni, i loro poteri, la loro storia… tutto era avvolto nel più oscuro mistero. E lui non avrebbe potuto risolverlo parlando tranquillamente con uno di loro. Si alzò in piedi quasi di scatto: “Lascia stare… non aveva a che fare con l’indagine, era una mia curiosità personale.” sorrise, sperando che l’altro non facesse troppo caso alla domanda che aveva posto: “Sarà il caso che vada, è quasi passata un’ora e il mio superiore non sarà felice di pagare il salato conto che gli porterò in centrale.”

“Aspetta…” disse il demone avvicinandolo e porgendogli un biglietto simile a quello di quella donna.

“Con questo sei ufficialmente un mio cliente. Sally non ti darà più fastidio e ho aggiunto il mio numero di telefono, contattami e chissà, forse, ti risponderò.” concluse sorridendo, scoprendo dei denti di un bianco quasi irreale e dei canini leggermente più appuntiti di quelli di un essere umano normale.

Daniel prese il biglietto con sospetto e fece per avviarsi alla porta.

“Riguardo la tua domanda di poco fa, alcuni demoni possono vivere per tutta l’eternità…” disse, per poi aprirgli con galanteria la porta della stanza, facendolo uscire fuori.

“Per l’eternità…?” ripeté l’altro come sconvolto da una simile aspettativa di vita. Stava per fargli un’ulteriore domanda quando Kay fu più veloce di lui nel formulare i saluti.

“A presto, signor poliziotto, ricordati di saldare il conto prima di uscire.” informò, chiudendogli praticamente in faccia la porta della propria stanza.

“Ma che diavolo…” borbottò Daniel tra sé scendendo malvolentieri a saldare quanto doveva per quell’ora passata insieme. Quando gli fu presentato il saldo sbiancò, il suo stipendio giornaliero era infinitamente sotto quella cifra. Sperava solo che il tutto gli fosse rimborsato in qualche modo, soprattutto vedendo due zeri accanto al primo numero.

2 ottobre ore 23.54 – Interno della stanza 303 Horizon

“Il poliziotto è un piacevole imprevisto, da ciò che ha domandato sembra aver già idea degli omicidi degli anni precedenti, non so in quale modo…” versò nuovamente da bere nel suo bicchiere e lo finì in un solo sorso. Poi riempì un altro bicchiere per lui e il suo ospite, posandolo tra le sue mani.

Si affacciò alla finestra della propria stanza vedendo il poliziotto cercare di attirare l’attenzione di un taxi giallo che lo ignorò completamente: “Forse potrebbe tornarmi utile in più di un modo.” ripensò al loro incontro e la strana scarica elettrica che aveva provato nel raggiungere i suoi occhi quando quella notte l’aveva chiamato per strada. C’era stata una connessione tra loro, l’aveva sentito anche lui. Come se si fossero già incontrati.

“La rincarnazione potrebbe non essere così lineare come pensavo, qualcosa potrebbe essere andato storto nella scelta…” si passò una mano sul volto, poi chiuse le tende dopo aver visto il giovane sparire in un taxi che l’aveva finalmente degnato di un’attenzione e sorrise tra sé.

“Forse potrei provare a dare una possibilità a questo ragazzo, tentare non costa nulla e potrebbe rivelarsi un gioco interessante, lo stimolo che aspettavo.” si rivolse quindi all’altra creatura nella stanza con lui e sorrise: “Mi servirà il tuo aiuto.”

5 ottobre 20XX ore 09.12 – Laboratorio della scientifica di Rivendell

“Avete scoperto qualcosa su quel pelo trovato sulla scena del crimine?” domandò Daniel a una dottoressa del laboratorio.

“Purtroppo per noi, è un pelo di mannaro.”

“Assurdo.” disse Daniel avvicinandosi al microscopio per esaminare il pelo con i suoi occhi. Lo sapeva dal primo momento in cui la sua attenzione era andata a quelle scarpe. L’assassino voleva fargli trovare quella prova. Era stato piazzato lì, come negli altri casi.

“Sì, un pelo di un mannaro adulto, sui quarant’anni. Colore dei capelli scuro: marrone rossiccio. Di sesso maschile.”

“Ne è sicura?”

“Certamente.” rispose la dottoressa infastidita da quella mancanza di fiducia nel suo lavoro: “Abbiamo fatto tutte le analisi, non possiamo spingerci oltre come ben sa.”

Sapeva benissimo che ulteriori indagini non avrebbero portato ad ulteriori elementi, ma avevano scoperto che il pelo apparteneva a un mannaro. Sapeva benissimo che non poteva essere il suo colpevole, soprattutto perché non avrebbe mai accettato una soluzione a quel caso come gli anni precedenti. Un lupo mannaro come colpevole equivaleva ad ammettere la sconfitta della sua teoria. Una teoria che l’aveva accompagnato per tutti i suoi anni in accademia e durante lo studio per diventare un detective. Se gli toglievano quel caso, gli toglievano tutte le sue convinzioni.

Era sicuro della sua teoria. Che qualcuno aveva voluto far scoprire quel pelo. Collegarlo con un mannaro, così come aveva fatto in precedenza. Di certo non si aspettava che qualcuno avrebbe collegato un caso del genere con quelli risolti di trent’anni prima.

Sospirò appoggiandosi all’interno dell’ascensore per tornare alla centrale.

Avrebbe scoperto gli elementi che gli mancavano e avrebbe arrestato il vero colpevole. Il volto del demone di nome Kay balenò nella sua mente.

Era una persona sospetta, intelligente e calcolatrice. Non avvertiva alcun pericolo stando vicino a lui, ma, c’era qualcosa di strano nel modo in cui l’aveva guardato e per come gli aveva parlato. Sicuramente conosceva qualcosa che lui ancora ignorava.

Ripensò alla scarica elettrica che aveva provato a incontrare i suoi occhi quella prima notte di luna piena. C’era qualcosa in lui che non poteva ignorare, nemmeno se avesse voluto.

Rimaneva nella lista dei sospetti per via dei suoi rapporti con la vittima e soprattutto perché continuava a ripensare alle sue risposte dirette. Ripensava al suo modo di non interessarsi per niente alla conversazione, al fatto che stava parlando con un ufficiale di polizia. Un colpevole l’avrebbe mai fatto? Avrebbe mai risposto a tutte le sue domande in maniera così limpida? Forse, ma poteva essere la parte di un piano più grande e di gran lunga più complesso di quello che lui avrebbe potuto immaginare.

Quello che doveva fare era chiaro nella sua testa. Parlargli ancora una volta. Non gli importava quando gli ci sarebbe voluto, quanta energia avrebbe dovuto impiegare per raggiungere il suo obiettivo.

Fece un respiro più profondo.
Era pronto a rischiare un po' di più.

  
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