Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: _Zaelit_    11/02/2020    1 recensioni
[What if? in cui tutta la squadra di Bucciarati è sopravvissuta agli eventi di Vento Aureo.]
Irene è una ragazza cresciuta per strada e dal carattere ribelle che conduce una vita monotona e pericolosa. A salvarla dalle sue condizioni è Bruno Bucciarati, ora braccio destro del boss di Passione, Giorno Giovanna. Irene comprende di poter ricominciare daccapo e di poter far parte di una famiglia ma, non appena entra a far parte dell'organizzazione, una nuova minaccia ostacola Passione e i suoi membri. Una nuova organizzazione criminale, infatti, sta muovendo guerra a Giorno e ai suoi sottoposti, i cui fili vengono tirati da una figura misteriosa soprannominata "Arcangelo". Irene comprende di ritrovarsi in una battaglia che la coinvolge in prima persona e dovrà quindi scavare nel suo passato e trovare la forza e il coraggio necessari per impedire la sconfitta di Passione, tutto ciò in compagnia del saggio e protettivo Bruno e dei suoi formidabili compagni: Guido Mista, Narancia Ghirga, Leone Abbacchio e Pannacotta Fugo.
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Bruno Bucciarati, Giorno Giovanna, Leone Abbacchio, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Per quasi un mese, Irene non rivide più Bucciarati, l'uomo che l'aveva salvata ma che si era infine rifiutato di accoglierla nella sua organizzazione
(un rapido bozzetto di Irene da me realizzato)


 

[ HUNGRY PLANET ]


 
Per quasi un mese, Irene non rivide più Bucciarati, l'uomo che l'aveva salvata ma che si era infine rifiutato di accoglierla nella sua organizzazione. La ragazza avrebbe voluto porgli mille domande, aveva così tanti dubbi... ma il suo orgoglio era più potente del suo buonsenso, questo era sicuro.
Quel che fece per un intero mese fu cercare di trovare lavoro, uno qualsiasi le sarebbe andato bene. Presentò domanda come cassiera, commessa, persino come cameriera, ma non venne mai accettata. A causa della sua cattiva reputazione, neppure l'idea di poter fare da baby-sitter per mettere da parte qualche soldo andò mai in porto. Era cosciente di ciò, per cui non si prese nemmeno la briga di tentare quest'opportunità.
Le sembrava di impazzire. Non aveva davvero speranze, era tornata a essere la ragazzina sperduta di un tempo. Ogni tanto, per la disperazione, usciva di casa a ora tarda e finiva per bere fino a star male.
Si stava rovinando con le sue stesse mani.
Quasi ogni giorno, però, poteva sentirsi un po' meno sola visitando l'ospedale San Paolo e, nello specifico, il signor Sergio, che fortunatamente si stava riprendendo dalle vicende di qualche settimana prima.
Da quando era stato colpito dal proiettile la tabaccheria nella quale aveva lavorato era stata chiusa per impossibilità del proprietario di continuare a lavorare lì. Sergio avrebbe voluto lasciare a Irene il compito di mandarla avanti e anche di prendere parte degli incassi per ringraziarla del disturbo, ma i suoi figli, già adulti ed entrambi molto educati e con più lauree che senso della compassione, conoscevano Irene e i suoi precedenti e si rifiutarono di affidarle quel compito per mancanza di fiducia, specie dopo aver saputo di come si era gettata alle calcagna dell'aggressore con un coltellino in pugno per farlo a pezzi in un impeto di rabbia.
Sergio provava a confortare Irene come possibile ma era chiaro che v'era poco che potesse fare in merito. Quando venne dimesso dall'ospedale, infine, i figli decisero di vendere una volta per tutte il tabacchino e di aiutare i genitori a pagare le spese mediche della madre, tenendo il padre a casa con loro. In breve, Irene venne tagliata fuori dalle loro vite, con grande dispiacere dell'anziano uomo che, anzi, le era molto riconoscente e vedeva sempre e comunque del buono in lei.
«Non lasciarti schiacciare dal peso dei pregiudizi,» le aveva detto una volta, mentre lei era seduta nella stanza d'ospedale proprio accanto a lui, «né dalla disperazione. Andrà meglio e tu troverai la tua strada. Troverai le persone giuste. Qualsiasi cosa farai, so che sconfiggerai il tuo destino.»
Irene ricordava spesso quelle parole. Le sembrava ancora di sentirle rimbombare nella sua testa, mentre finiva l'ennesimo bicchiere di birra e anche le ultime monete rimaste.
Una mattina, mentre si aggirava nei pressi del centro città, sentì lo stomaco brontolare con una forza tale da costringerla quasi a piegarsi sulle ginocchia. Istintivamente cercò il portafoglio nella tasca, tirandolo fuori in tutta fretta.
Lo aprì e per un momento soltanto si fermò a riflettere su quanto fosse vuoto: non aveva che i documenti con sé. Niente foto di amici o parenti, non un portafortuna o anche solo un bigliettino di promemoria per eventi particolari. Era completamente spoglio.
E poi notò che le foto non erano le uniche a mancare: pareva che il portafoglio avesse un buco nel mezzo, perché non le era rimasto nemmeno un centesimo lì dentro.
Colta dal panico, controllò di nuovo e un'altra volta ancora, sicura di sbagliarsi. Eppure realizzò che non aveva soldi. Non poteva più nemmeno comprarsi da mangiare.
Come si era ridotta così? Perché si era lasciata andare?
Aveva deluso tutti. Il giovane poliziotto che le aveva offerto una lezione di vita, il misterioso eroe che l'aveva tirata fuori dalla gattabuia appena in tempo... e anche se stessa. Era come se non fosse più una persona, ma solo un'ombra opaca che vagava senza meta e riposo, attendendo solo di svanire del tutto.
Si era annullata. Non aveva più neppure la speranza. Non le restava che una fortissima fame. E la disperazione.
Fu per questo che, quando udì una voce nelle vicinanze, in lei si risvegliò un istinto simile a quello di un animale che desidera solo nutrirsi per sopravvivere.
Un ragazzo all'apparenza più piccolo di lei le passò affianco senza nemmeno guardarla: tutta la sua attenzione era rivolta a un foglio bianco che teneva fra le mani e in cui vi erano parecchi segni rossi e scarabocchi.
Il giovanotto si grattò la testa, a capo chino, e lesse ad alta voce perso nei suoi pensieri.
«Accidenti... ho sbagliato anche questo esercizio. Era il... come si chiamava? Quadrato di... binocolo? No, quello non c'entra... binomio! Quadrato di binomio!» ridacchiò vittorioso, «Argh, ho confuso la formula. Qui andava il due, non il tre!» continuò a farfugliare.
Irene lo guardò con parecchio interesse. Non perché gli importasse di lui più di tanto, ma perché notò un dettaglio che l'attrasse come la falena al lume: portava una maglia a scacchi legata in vita e, dalla tasca posteriore, riuscì perfettamente a intravedere un portafoglio che faceva capolino e che praticamente la implorava di afferrarlo.
Il ragazzino continuò a camminare e a borbottare sottovoce.
«Spero di non aver preso un'altra insufficienza...» sospirò prima di girare il foglio. Poi, all'improvviso, si fermò. Le sue mani parvero tremare. «Sei?!?» esclamò allora, a voce così alta che, se ci fosse stato qualcun altro lungo la strada a parte loro due, avrebbe certamente attirato l'attenzione di tutti. «Porca miseria! Ho preso sei!» scoppiò a ridere e praticamente saltellò per la gioia.
Era abbastanza distratto. Irene scelse di entrare in azione. Si avvicinò di soppiatto alle sue spalle e, non appena egli saltellò per l'ennesima volta, con un rapidissimo movimento afferrò il portafoglio e senza che se ne accorgesse lo infilò in una delle proprie tasche e balzò indietro. Il suo tocco era come quello di un fantasma, impercettibile. A quanto pare il lupo perdeva il pelo ma non il vizio, dato che ricordava ancora perfettamente come si borseggiasse qualcuno senza farsi scoprire.
Il ragazzino continuava a festeggiare il suo buon voto.
«Sei! Sei!» batteva i piedi a terra, «Fugo sarà contentissimo quando lo saprà! Per non parlare di Bucciarati!» esclamò quindi, iniziando a correre lungo la strada.
Irene dimenticò la sua fame per un paio di secondi.
Bucciarati? Aveva sentito bene? Quel ragazzino conosceva Bucciarati?
Si fermò anziché scappare e osservò confusa il giovanotto che si allontanava, tentata dal fermarlo per chiedergli informazioni. Purtroppo, però, aveva rubato il suo portafoglio. Non poteva certo rischiare di farsi scoprire e perdere la possibilità di pagarsi il pranzo.
Sconfitta dalla tentazione, però, decise di fare un tentativo. Avrebbe potuto comunque rubare una pagnotta più tardi. Sviluppò un'idea abbastanza in fretta.
Allentò la presa sul portafoglio e lo fece cadere a terra, a qualche metro da lei, come se si fosse già trovato lì.
«Ehy tu, con quella bandana arancione!» chiamò quindi, alzando le braccia al cielo e gesticolando per farsi vedere. Subito dopo le abbassò e indicò l'oggetto a terra. «Ti è caduto questo...» recitò infine.
Il ragazzetto sembrò riconoscere il richiamo e si volse in sua direzione, spalancando gli occhi all'improvviso.
Irene sussultò.
"Cos'è quello sguardo sorpreso? Che mi abbia scoperta...?" si chiese iniziando a pensare al peggio.
«Be'?» chiese dunque, indietreggiando. «Non torni a pren-?»
Non finì la frase.
«Sta' giù!» le gridò il ragazzo dall'altro lato della strada. Prese immediatamente a correre verso di lei.
Irene, a quel punto, non comprese più cosa stesse accadendo. Piuttosto che ascoltare le sue parole, ebbe l'istinto di guardarsi alle spalle. E, quando compì un giro su se stessa, rabbrividì.
Un enorme mostro alto almeno tre metri la guardava dall'alto al basso, con le braccia sollevate. Sembrava essere fatto di terra o di roccia e ricordava vagamente un gigantesco gorilla a causa della sua postura. Differiva dall'animale grazie al viso dall'aspetto più robotico, come se la mascella pietrosa fosse attaccata al grosso viso tramite bulloni grandi come sassi. Gli occhi, poi, erano scavati nel suo volto, profondi come piccole caverne, e dal buio emergevano solo due piccole pupille rosse. Sulla fronte e sulla schiena, invece, apparivano degli strani tubi dello stesso materiale della pelle, rialzati, e dai quali uscivano dense nubi di vapore caldo.
La ragazza non ebbe il tempo di osservarlo oltre. Il mostro si batté i pugni sul petto e poi alzò le braccia, lasciandole ricadere con enorme forza e velocità proprio su di lei.
«GORAAAAH!!!» gridò mentre attaccava, mettendo i brividi.
Irene dimenticò la fame, il portafoglio e il ragazzino. Veloce come una serpe si gettò su di un lato e rotolò fino a raggiungere il marciapiede, riempiendosi di terriccio e polvere. I pugni della belva toccarono il suolo e scavarono fino a creare dei crateri.
La giovane li guardò con gli occhi quasi fuori dalle orbite: se l'avessero colpita, a quel punto sarebbe stata bella che spacciata. Già all'altro mondo.
«Prendila, Hungry Planet!» gridò una voce lontana. Impossibile capire da dove provenisse o a chi appartenesse.
La ragazza tornò in piedi con fatica, sentendo la testa girare e le gambe farle male. Per la fretta aveva colpito il marciapiede, il che non era stato esattamente piacevole. Barcollando guardò la creatura scuotere le braccia per far cadere i detriti di cemento rimasti incastrati tra le dita.
Immediatamente, ricordò qualcosa a cui avrebbe dovuto pensare sin dal primo momento in cui aveva visto quella creatura.
«Uno Stand...» mormorò allibita, «Quello è uno Stand!»
Non ebbe neppure il tempo di spaventarsi. Un rumore di passi la riportò bruscamente alla realtà.
«Vattene, ho detto!» gridò il ragazzo che stava per raggiungerla mentre correva. Sicuramente aveva già provato a chiamarla diverse volte. «Qui è troppo pericoloso, lascia perdere le spiegazioni! Adesso ci penso io!» ruggì fieramente.
Si fermò proprio di fronte allo Stand, che lanciò un altro dei suoi mostruosi urli.
Gli occhi violetti dello studente incrociarono quelli di Hungry Planet senza nessuna paura.
«Uno Stand nemico a Napoli? Bucciarati aveva ragione, sono ricomparsi. Allora non mi resta che massacrarti...»
La voce di poco prima tornò a risuonare alle spalle della belva di pietra.
«Non avere pietà, Hungry Planet, uccidi quel ragazzino!»
«Aerosmith!» gridò a sua volta il ragazzo, sollevando le braccia e indicando lo Stand avversario, «Vai! Crivellalo di colpi!»
Irene comprese immediatamente cosa stava succedendo e ne ebbe conferma quando un curioso suono attirò la sua attenzione.
Un ronzio particolare e potente. Come il suono di un motore... o di un aeroplano d'altri tempi. Non si sbagliava, in effetti: ben presto un oggetto volante sfrecciò sopra la testa del ragazzo e si avvicinò allo Stand di roccia rapido come il vento.
«Un... un caccia a elica?» lo riconobbe subito, sicura di averne già visti altri ad alcune mostre d'epoca a Siracusa, da piccola. «Lo ha chiamato lui... dev'essere...»
L'aeroplano volò sul nemico, decine di volte più grande di lui, e gli scaricò addosso una raffica di proiettili che colpì la sua corazza di pietra.
«Un altro Stand!» capì allora, sentendo un nodo in gola.
Ma in che situazione si era andata a cacciare per colpa di un maledetto portafoglio?
I proiettili, malauguratamente, rimbalzarono sulla roccia di cui era fatto il nemico e per poco non vennero riflessi contro gli altri due presenti.
Il ragazzo che era accorso per salvare Irene indietreggiò preoccupato.
«Merda!» imprecò marcando fortemente l'accento napoletano, «Aerosmith non riesce a ferirlo! Quanto è spessa quella corazza di pietra?»
Hungry Planet parve ridere divertito e poggiò le grosse mani a terra, iniziando a scuotere il terreno che, effettivamente, tremò.
"Un terremoto?" si chiese Irene, ma capì ben presto che l'abilità del nemico era tutt'altro che quella.
Ben presto i pezzi di cemento staccatisi dalla strada vibrarono e presero a fluttuare come se fossero privi di peso, ondeggiando in aria mentre dalla schiena dello scimmione di pietra soffiava altro vapore.
«Oh-oh...» deglutì il ragazzetto, comprendendo cosa stesse per accadere. Senza esitare, saltò indietro e prese a correre.
A quel punto i macigni si scagliarono contro di lui a piena potenza. Uno atterrò a un soffio da lui, sfiorandogli un fianco e facendogli perdere l'equilibrio. A quel punto egli cadde a terra e il secondo planò davanti alla sua faccia. Se avesse fatto un solo passo di più, sarebbe stato colpito in pieno.
L'ultimo arrivò un secondo più tardi, ma sembrò letale quanto gli altri.
Irene capì che il giovane non avrebbe fatto in tempo ad alzarsi e a evitarlo. Istintivamente allungò un braccio verso di lui.
«Attento! Alle tue spalle!» gridò per avvertirlo.
Lui la sentì, per fortuna. Rotolò sulla schiena e fronteggiò il masso. Sempre con estrema rapidità, l'aereo da caccia lo raggiunse e, questa volta, sparò abbastanza colpi da fare a piccoli pezzi il macigno, non abbastanza compatto come invece era lo Stand nemico.
La polvere terrosa cadde e coprì la faccia dello studente, che tossì e si guardò attorno. Accanto a lui, la pagina che poco prima aveva in mano era stata stracciata e strappata da uno dei macigni. Nel notarlo, parve arrabbiarsi di brutto.
Saltò in piedi e strinse i pugni, fuori di sé.
«Maledetto! Hai distrutto la mia verifica! Dovevo portarla al mio amico Fugo, e tu l'hai distrutta! Proprio ora che avevo finalmente preso una sufficienza!» gridò con voce acuta, «Mi hai fatto proprio incazzare! Questa me la paghi!»
Con voce stridula ordinò di nuovo al suo Stand di attaccarlo, ma questa volta intervenne la voce dell'uomo che ancora non si era fatto vivo ma che sicuramente era il portatore di Hungry Planet.
«Ignora il ragazzino, il suo Stand non può ferirti. Occupati di lei! Il boss ha dato ordini precisi!» ordinò da un punto indefinito.
Hungry Planet si voltò lentamente in direzione della ragazza mentre i proiettili dell'aeroplano da combattimento gli facevano il solletico piovendogli addosso.
Irene capì che qualcosa non andava. Il nemico... voleva vedersela con lei? Per quale motivo, fra l'altro? Non sapeva nemmeno chi fosse.
Con un pugno il nemico colpì la strada: altri pezzi di cemento iniziarono a fluttuare ma, questa volta, si accartocciarono in un unico globo roccioso grande almeno quanto la stessa Irene, che capì di essere nei guai.
«Huh? Mi stai ignorando? Ti distruggo!» continuava a infierire lo studente dai bizzarri vestiti, di colore arancio e violaceo. Avrebbe volentieri preso a calci l'avversario ma sapeva che, se lo avesse fatto davvero, si sarebbe di sicuro rotto un piede nel tentativo di infliggergli un minimo danno.
La palla di cemento vibrò e si lanciò verso di lei, rotolando furiosamente.
Irene sentì di essere giunta al capolinea. Realizzò che non aveva possibilità di fuga. Una macchina alla sua sinistra si era ribaltata sul marciapiede a causa dei colpi dello Stand, mentre a destra il terreno era spaccato e non le permetteva di trovare il tempo di saltare per evitare di cadere.
Istintivamente si coprì il viso con le braccia e portò le ginocchia al petto.
«No, no, NO!» gridò con tutta la forza di volontà rimastale mentre chiudeva gli occhi, nel panico.
Sentì un tintinnio metallico non appena la roccia sfiorò i palmi delle sue mani, che si erano spinti in avanti nel tentativo di difendere il resto del corpo. Poi un tonfo fece trasalire la ragazza, che riaprì gli occhi e non riuscì neppure a prendere fiato.
La grande roccia davanti a lei... sembrava una gigantesca palla di alluminio liscia, pesante centinaia di chili più del normale. Non aveva dubbi: il macigno che giaceva ora innocuo ai suoi piedi era fatto di metallo. Uno strano ferro molto resistente e di colore scuro. Non si muoveva più, come se il possessore di Hungry Planet non potesse più muoverlo.
«Cosa...?» si chiese, osservando le proprie mani. Non notò nulla di particolare.
Lanciò allora un'occhiata allo studente dai capelli neri arruffati: che fosse opera sua? Improbabile. Il suo Stand non sembrava avere poteri del genere. Allora chi l'aveva salvata?
Hungry Planet non sembrava felice del proprio attacco respinto. Tornò sulle gambe posteriori e si batté il petto una seconda volta.
«GORAH!» urlò di nuovo, selvaggiamente.
Notando la sua distrazione e la posizione favorevole, il ragazzo portò le mani sui fianchi e sogghignò.
«Non vuoi proprio andare giù, eh?!» sbuffò ancora furioso per quanto accaduto alla sua verifica. Forse non aveva notato quanto accaduto a Irene. «Allora beccati questo! Vediamo se anche questo non ti farà battere ciglio!»
Aerosmith volò rapido a un'altezza più alta e le sue eliche ruotarono con forza tale da permettergli di restare sospeso in aria. A quel punto, dal ventre dell'aereo, qualcosa cadde a chiodo sul nemico.
Una bomba. Piccola ma potente.
«Mettiti al riparo!» urlò il ragazzo a Irene, che non se lo fece ripetere due volte e strisció fino a ripararsi dietro la macchina capovolta.
Anche lui indietreggiò in tutta fretta, finché la bomba non piovve sulla testa dell'avversario.
L'esplosione fu abbastanza forte da riscaldare l'aria e fare scattare gli allarmi di tutte le altre macchine parcheggiate nei dintorni. Sicuramente sarebbe presto intervenuta la polizia e non sarebbe stato facile spiegare quanto accaduto.
Irene pregò che l'idea di quel ragazzo fosse efficace. E lo fu, almeno in parte.
Hungry Planet emerse dalla nube di polvere con il viso per metà sgretolato. Delle urla in lontananza suggerirono un indizio importante.
«Uno Stand a distanza, eh? Quindi non ricavi gli stessi danni subiti dal tuo Stand. Vorrà dire che mi occuperò prima di questo bestione e poi ti prenderò a calci!» esclamò ancora arrabbiato il ragazzino.
Irene notò che il nemico sembrava riprendersi in fretta. Quando soffiava vapore, però, faticava a mettersi di nuovo in piedi. Fu allora che ebbe un lampo di genio.
«Ehy, tu!» si sbracciò di nuovo per attirare l'attenzione dello studente, «Ho capito come sconfiggerlo! Lo distrarrò, tu colpiscilo con quel tuo aeroplano nei comignoli sulla sua schiena! Inizierà a non funzionare più, come un robot, e allora si distruggerà dall'interno!» suggerì astutamente.
Hungry Planet non poteva certo capire la sua conversazione e il suo portatore era troppo lontano per udirla. Era il momento perfetto per entrare in scena.
«Buona idea! Allora io...» provò a dire lo studente, poi però batté le palpebre, colto impreparato. «Aspetta, quindi tu... puoi vedere gli Stand? Sei una portatrice di Stand?» chiese sconvolto.
«Non c'è tempo per questo! Te lo spiegherò quando entrambi non rischieremo più di lasciarci le penne! Fai come ti ho detto!» tuonò la ragazza, spazientita.
Il ragazzo sollevò le braccia, come a scusarsi.
«Oh, be'... se proprio insisti.» concluse per poi voltarle le spalle e mormorare sottovoce un'altra frase. «Cavolo, una portatrice di Stand! Che faccia parte dell'organizzazione? Ma Giorno non l'ha mai presentata alla nostra squadra...»
Irene non badò a ciò che aveva detto. Sapeva solo che, dopo aver scampato il pericolo di morire per un soffio, l'adrenalina stava muovendo i suoi muscoli e non riusciva più nemmeno a pensare.
Senza esitare raggiunse lo Stand nemico e urlò per attirare la sua attenzione.
«Cerchi me, bestiaccia?» lo provocò sfacciatamente, «Vieni a prendermi allora. Sempre se ce la fai!»
Hungry Planet ruggì e iniziò a battere le mani sul terreno, distruggendolo. Un attimo dopo prese a correre verso di lei.
Irene trasalì. Non credeva che fosse così veloce, ma era troppo tardi per pentirsi del proprio piano. Gli voltò le spalle e corse anche lei, fuggendo.
«Adesso! Vai!» gridò allo studente.
Lui puntò i piedi a terra e usò tutta la forza possibile per l'attacco finale.
«Aerosmith! Finiscilo!»
Il caccia a elica volò rapido e ronzò alle spalle del nemico, individuando i punti deboli. Aveva ben tre forti addosso, oltre a quello sulla fronte ormai distrutto: due si trovavano sulle spalle e l'ultimo in corrispondenza della spina dorsale, al centro della schiena. Con mira impeccabile, sparò all'interno dei primi due e li mise fuori uso in breve tempo. Una nube di vapore, però, lo investì.
Rabbioso, Hungry Planet alzò un braccio per colpire e distruggere immediatamente l'aereo. Sarebbe bastato un colpo per ridurlo a un rottame e questo Irene lo sapeva.
Per questo motivo, corse a perdifiato in direzione opposta, tornando da lui, e allungò una mano verso quella del nemico, come se potesse trascinarla a terra.
«Accidenti! Fermati!» imprecò, sicura che adesso l'avrebbe gettata via contro un edificio e che non si sarebbe risvegliata tanto facilmente una volta subito il colpo.
Al contrario, però, la mano sembrò non riuscire più a sollevarsi dal terreno. Vi ricadde addosso con grande pesantezza e, mentre Irene indietreggiava cambiando idea grazie al buonsenso ritrovato, cigolò in maniera insolita.
La mano si ricoprì o forse si trasmorfò in metallo, identico a quello che aveva avvolto la roccia. Il ferro mangiò la roccia e la bloccò al suolo per sempre.
Hungry Planet tornò a urlare come un animale feroce, esasperato.
«Allontanati da lì!» gridò il ragazzo quando ebbe ripreso il controllo di Aerosmith. Aveva sicuramente un'idea.
Irene non se lo fece ripetere due volte. Confusa ma decisa a sopravvivere, scappò a gambe levate.
L'aereo da combattimento tornò a funzionare correttamente e raggiunse di nuovo il nemico. Si avvicinò all'ultimo comignolo rimasto... e sganciò una bomba proprio al suo interno.
Quando esplose, persino il vapore prese fuoco e pezzi di roccia esplosero in aria. Uno di loro raggiunse il ragazzo e, a causa della punta affilata, segnò un taglio sul suo braccio, non troppo profondo per fortuna. Lo stesso accadde a Irene, che invece se la cavò con qualche taglio sulla guancia.
Hungry Planet lanciò un urlo finale, più forte di tutti, e prese a tremare in maniera spasmodica. Fumo nero fuoriuscì da ogni suo poro e, ben presto, il colosso di pietra crollò inerme al suolo. Lo Stand era stato sconfitto.
Irene era stata sbalzata via a causa della vicinanza, ma riprese fiato e si alzò in fretta, guardando il ragazzino.
«Stai bene?» gli chiese pur essendo dall'altro lato della strada.
Lui bloccò la ferita con la mano del braccio opposto e annuì, alquanto stanco.
«Non è ancora finita!» sbuffò subito dopo.
Irene strabuzzò gli occhi.
«Che intendi? Lo hai appena distrutto!»
«Era uno Stand a distanza. Tra un paio d'ore il suo portatore sarà in grado di utilizzarlo di nuovo. Sempre che... non elimini anche lui...»
Senza distrarsi, si passò una mano sul viso con aria nervosa. Quando abbassò il braccio uno strano oggettino levitava davanti al suo occhio destro. Irene non poteva vedere a cosa servisse, ma sembrava uno schermo.
Lo studente respirò a fondo e controllò bene cosa stesse accadendo.
«Fortunatamente non c'è nessuno oltre noi su questa strada. E a giudicare dalla direzione di provenienza della sua voce... dovrebbe essere...»
A quel punto indicò il tetto di un edificio lungo quella stessa strada. Era una vecchia casa abitata ma al momento vuota, per miracolo. Alcuni panni erano ancora stesi nel balcone ad asciugare.
Sul terrazzo, tuttavia, un uomo se ne stava accovacciato e sussultò quando venne individuato.
«Cosa?!? Come diavolo hai fatto a trovarmi?»
Scattò in piedi e saltò agilmente fino al tetto successivo.
«Non mi scappi! Aerosmith, colpiscilo alle gambe!»
L'aeroplano saettò verso di lui, che tremò spaventato.
«Vuoi impedirmi la fuga così potrai torturarmi e farmi parlare, vero?» ridacchiò poi, follemente, all'improvviso. «Ti risparmio la fatica. Non ti dirò nulla! La mia fedeltà va oltre la semplice mortalità del corpo!»
Irene non comprese molto di quanto stesse accadendo, ma si coprì le labbra quando il nemico su gettò volontariamente giù dal tetto, con un sorriso soddisfatto. Non si sarebbe mai fatto catturare vivo.
Chiuse gli occhi e sentì solo un tonfo quando il suo corpo toccò il marciapiede.

 
[ 26 aprile 2002. "?", Stand: Hungry Planet ... Sconfitta totale. Ritirato. ]

 
Subito dopo il ragazzo lo raggiunse e pigiò due dita sulla sua gola.
«Niente da fare. È bello che andato.» sospirò, affatto colpito da quella scena. Come se non fosse la prima volta che vedeva morire qualcuno.
Irene lo raggiunse con le gambe che le tremavano. Non era una debole di stomaco, per fortuna, ma restava comunque inorridita.
«Ora non potrò fargli domande e sapere per chi lavorava! Accidenti, e cosa racconto a Bucciarati?» si grattò la testa il ragazzino.
Lei lo osservò e notò che non sembrava nemmeno preoccuparsi delle sue ferite.
«Quindi... non lo conoscevi, giusto?»
Lui scosse il capo.
«Stavo per farti la stessa domanda. Speravo che ne sapessi qualcosa tu, dato che sembrava avercela con te.»
Poggiò le mani sui fianchi, soffiando aria dalle narici con un'espressione combattuta.
«No... a dire il vero non ho idea di chi fosse, né del perché sembrava volermi eliminare.» replicò lei, ancora disorientata.
Si era fatta dei nemici tra i portatori di Stand? Di questo passo sarebbe morta nel giro di poco tempo.
Il ragazzino sospirò e richiamò il suo Aerosmith, che lo raggiunse planando. Lui allargò e sollevò le braccia in orizzontale. L'aereo lo raggiunse, calò sul suo braccio e con una sgommata svanì dietro il suo collo senza ricomparire.
Irene incrociò le braccia, osservandolo.
«Quindi... quello sarebbe il tuo Stand, o qualcosa del genere, giusto?»
Il ragazzo tornò a grattarsi la testa.
«L'ho usato senza riflettere. Il mio capo non vuole che mostriamo i nostri Stand se non per assoluta emergenza. L'ho fatto perché credevo che non potessi vederlo. A proposito, tu non fai parte dell'organizzazione, giusto?»
«No, io...» provò a dire, ma non voleva rivelare troppo.
Fortunatamente il ragazzo tornò a parlare senza darle tempo.
«E il tuo Stand? Non l'hai usato per niente, a parte per ripararti da quel macigno che ti aveva lanciato?»
Irene batté le ciglia, confusa.
«Cosa? Stai dicendo... che non sei stato tu a fermarlo?»
«Certo che no. Il mio Aerosmith non può mica bloccare massi in movimento, solo distruggerli con raffiche di proiettili.»
La ragazza dovette tenersi la testa, convinta che stesse per svenire. Non era stata lei, non poteva essere stata lei. Quel macigno si era trasformato palesemente in metallo, come il braccio di Hungry Planet. Lei non sapeva fare trucchetti del genere.
Lo studente si chinò sull'uomo sconfitto e frugò nella sua giacca, prendendo una carta.
«Ah! Per fortuna questo idiota aveva i documenti addosso!» esultò, poi lesse, «Gabriele Ferragamo, nato il 7 settembre del 1977. Qui dice che faceva l'imprenditore... chissà se è una carta d'identità falsa.» sbuffò.
Irene notò qualcosa di particolare che a lui era sfuggito.
«Cos'è quello strano segno sul suo collo?» domandò, «Non sembra un tatuaggio...»
Il ragazzo scostò la parte di colletto della camicia che nascondeva gran parte dello strano simbolo, dopodiché rivelò una forma particolare: nella sua pelle era scavata una sagoma particolare. Una sorta di "A", dagli estremi allungati.
«Huh? Che roba strana. Sembra inciso con un ferro caldo, come si fa con le mucche e i cavalli! La pelle intorno è un po' bruciacchiata e rossa, in effetti.» spiegò in modo grezzo.
Irene guardò bene quel simbolo ma non riuscì a riconoscerlo. Rapidamente cacciò via dalla tasca il cellulare e lo fotografò per sicurezza. La foto era sfocata a causa della bassa risoluzione dei telefoni di quel tempo, ma sarebbe andata bene comunque.
Lo studente mosse qualche passo, dando le spalle al nemico.
«Non c'è storia, devo subito fare rapporto a Bucciarati. Io non ci arrivo proprio a capire queste cose...» sospirò ancora, «Mi sembri una persona affidabile, quindi non mi preoccupa averti mostrato il mio Stand, però non raccontarlo in giro o dovrai finire come lui!» la guardò poi, più minaccioso.
Irene non gli rispose nemmeno, tanto era sconvolta.
«Be', ci si vede! Stai lontana dai guai!» consigliò lui.
Non appena mosse un altro passo, lo stomaco della ragazza brontolò con aggressività, ricordando un lontano rombo di tuono. Lei si tenne lo stomaco. Non mangiava da un giorno intero e non aveva fatto altro che bere alcolici: il dolore al ventre era inimmaginabile.
Il ragazzino si fermò e i suoi occhi assunsero una luce nuova per un attimo.
«Tu... non starai mica morendo di fame, vero?» le domandò, indicandola.
Irene calò la testa, vergognandosene.
«Pensavo fossi una studentessa, ma ora che ti guardo meglio... immagino tu non sia nella migliore delle condizioni, vero?» chiese, sapendo già di avere ragione, «Pensa te... mi ricordi tanto qualcuno...» mormorò poi, perdendosi un attimo nei propri pensieri.
La ragazza lo guardò stranita. Se stava per offrirle del cibo, non lo avrebbe di certo rifiutato.
«Be', il mio capo è un tipo per bene, uno gentile per davvero! Se ti porto con me al Libeccio sono sicuro che ti offrirà un bel piatto di spaghetti caldi. Ti piacciono gli spaghetti?»
Irene sorrise. In quel momento avrebbe mangiato qualsiasi cosa. Il pensiero di poter avere degli spaghetti era paradisiaco.
«Forza, seguimi. Così avrai modo di parlare anche con lui e spiegargli insieme a me il casino che è successo qui. Ci penserà lui a tenere la polizia fuori dalla questione.» la invitò, muovendo una mano e ripulendosi il braccio insanguinato. Prese a camminare, tranquillamente, per poi guardarla di nuovo mentre lei si affrettava a raggiungerlo.
«Come ti chiami?» le domandò, innocentemente.
«Irene.» rispose lei, ancora alquanto imbarazzata dall'idea di star mendicando cibo a uno studente.
«Irene, eh?» si portò le mani dietro la testa, «Io sono Narancia! Sembri simpatica, sai? Scommetto che andrai d'accordo con gli altri.»
E con quella predizione, Irene e Narancia si diressero al ristorante Libeccio, dove avrebbero incontrato persone a lei sconosciute... e anche alcune che invece le erano familiari.

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Spazio Autrice
Un saluto a tutti i miei lettori. Fortunatamente sono riuscita a rilasciare questo capitolo in poco tempo. Tra l'altro mi soddisfa molto questa presentazione a sorpresa di Narancia, spero possa piacere anche a voi! In quest'AU, il nostro caro amico negato nella matematica è sopravvissuto agli eventi di Vento Aureo ed è tornato a scuola, dove sta pian piano migliorando e imparando nuove cose. Fugo e Bruno saranno sicuramente fieri di lui.
Adesso Irene sta per raggiungere il ristorante più iconico della parte 5, il Libeccio, dove ne accadranno delle belle. La squadra Bucciarati è ovviamente raccolta lì, quindi cosa accadrà? Ci sono alcuni personaggi che conoscono già Irene, la riconosceranno? Oppure dovrà ricominciare dal principio? Comunque vada, la nostra bizzarra avventura procede con la sconfitta del primo nemico e con un mistero che andrà infittendosi man mano che la storia procede. Se vi va e se ne avete il tempo, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo con una recensione. Ne approfitto anche per ringraziare tutti quelli che hanno letto la storia fin qui e chi ha anche voluto commentarla, spero che Angel of Iron vi stia piacendo e interessando. Io vi saluto e vi aspetto al prossimo capitolo, che spero di fare uscire presto. Arrivederci!

 

   
 
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