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Autore: Roiben    12/02/2020    0 recensioni
[Arsène Lupin (Maurice Leblanc) – Sherlock Holmes (Arthur Conan Doyle)]
Quando si ha per le mani un caso delicato e la concreta possibilità di fallire, nella migliore delle ipotesi, o di venire arrestati nella peggiore, in che modo risolvere un problema che sembra non avere sbocchi? A chi chiedere un estremo aiuto? Quando un uomo probo è disperato, prende decisioni disperate.
|Revisionata 11.08.2020|
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, John Watson, Sherlock Holmes
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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29 - Il manoscritto 

 

 

 

 

 

Cyril è impegnato in maniera abbastanza fittizia a lucidare una libreria in salotto, nel mentre si sofferma a osservare Caitlin, la quale è appollaiata su una delle ampie e morbide poltrone, con le ginocchia piantate sul cuscino inferiore e i gomiti sul poggiatesta, intenta a sua volta a osservare il padrone di casa che, al contrario del resto dei presenti, è del tutto assorbito dalla sua lettura o, per meglio dire, dalle sue letture, considerato che sul tavolino al suo fianco sono impilati libri su libri, alcuni aperti su pagine specifiche, altri rivoltati sottosopra, i pochi fortunati ancora chiusi ma già in attesa del peggio. Sono ormai trascorse le undici di sera ma, da quanto può dedurre Cyril, egli non appare intenzionato ad abbandonare il suo attuale compito entro breve tempo. Ha perfino dovuto costringerlo a cenare, meritandosi per di più uno sbuffo seccato e unocchiata esasperata, e solo perché si è preoccupato del suo benessere comè del resto suo compito. Stringe le labbra, contrariato, e sfrega lo straccio imbevuto di olio di lino con maggior vigore, come se far brillare a specchio quello stupido mobile possa essere la chiave per risolvere tutti i loro guai. Scuote la testa, scoraggiato, pensando che se anche arrivassero a una soluzione per il presente problema, nulla cambierebbe davvero; tempo una settimana al massimo e il suo padrone si caccerebbe in un altro mare di guai. A cosa vale darsi tanto pensiero, dopo tutto? Digrigna i denti, facendoli stridere in maniera dolorosa, poi getta in un angolo lo straccio e sparisce a passi pensanti e nervosi su per le scale che portano alle camere superiori. 

 

Limprovviso trambusto distrae qualche momento Lupin, che solleva lo sguardo appena in tempo per identificare la confusa e sfuggente figura del suo cameriere personale che svanisce oltre langolo. Incurva un sopracciglio, perplesso, e si attarda a scrutare con un moto di dubbio Caitlin, ancora pazientemente intenta a fissarlo. 

 

«È accaduto qualcosa?» si informa. 

 

«Il solito» commenta la ragazza, scrollando le spalle. «Cyril è in collera perché non ci siamo impegnati a sufficienza durante la cena e ora voi siete tutto occupato e con il naso immerso in quelle pagine polverose e puzzolenti». 

 

Lupin arriccia un angolo delle labbra in un sorrisetto storto. «Capisco. Gli passerà. Lo fa sempre». Sta per tornare alle sue letture quando unidea imprevista lo coglie. «Credo dovresti andare a dormire, ma petite. Non serve che tu rimanga in piedi per nulla» soppesa, preso da uno slancio di doveri e sentimenti tutoriali. 

 

«Fra poco. Ora vorrei farvi ancora un po di compagnia» annuncia decisa. «Se non vi do noia» aggiunge, più incerta. 

 

«Affatto. Ma non fare troppo tardi, sil te plaît». Detto ciò, e ritenendo di aver assolto ai più pressanti doveri, torna finalmente con il naso nei suoi libri, come Caitlin poco prima ha verosimilmente definito i suoi studi. 

 

 

 

Si desta con un brusco sussulto. Confuso, si guarda attorno, ma non nota nulla di strano, nulla di diverso dalla sua solita, rassicurante camera da letto ancora immersa nel buio della notte. Borbotta parole inintelligibili e senza un granché di costrutto, poi la sua testa torna ad affondare nel guanciale ancora impregnato del suo calore. Mugola, deliziato, e i suoi occhi si richiudono. Il suo cervello sta per tornare alloblio del sonno quando qualcosa lo fa trasalire leggermente, lo stesso qualcosa che, poco prima, lo ha risvegliato, con buona probabilità. Svogliatamente riapre gli occhi e torna a fissare un punto imprecisato del soffitto buio. Ma non cè nulla da guardare, come del resto non cera poco prima. 

 

«Che diamine è stato?» borbotta, questa volta in modo più chiaro ma per nulla più partecipativo. 

 

Sbuffa, irritato per quella noia che gli impedisce di tornare al suo sonno che, per una volta, era anche piuttosto piacevole. Con un grugnito di protesta e movimenti impacciati si volta su un fianco. Ma nemmeno da quella prospettiva nota qualcosa che valga la pena di quella veglia indesiderata. Quindi, mandando al diavolo qualunque fosse il precedente disturbo, si decide a richiudere gli occhi per la seconda volta. 

 

Trascorre qualche lungo, beato minuto di ovattato silenzio. Sulle sue labbra fa capolino una lieve smorfia di soddisfazione. Un leggero, discreto picchiettio, rompe il pacifico silenzio della camera da letto e gli fa spalancare gli occhi. Questa volta lo ha sentito. Non si può ingannare. Era sveglio, pressappoco. Con un brontolio e uninvettiva a non sa bene chi, si arrende, scosta le calde e invitanti coperte e si mette a sedere, aguzzando la vista e ludito. Per qualche eterno, tedioso attimo, non accade assolutamente nulla. Poi, di nuovo quel discreto picchiettio, come di qualcosa di rigido che rintocca sul legno, ma attutito dalla distanza. Si volta di scatto, fissando con sospetto la finestra. È schermata da tendaggi pesanti in velluto e mussola, ma attraverso la trama arriva comunque un vago riverbero delle luci della strada e forse della luna. Stringe le labbra e assottiglia gli occhi, ora decisamente contrariato, ma un nuovo picchiettare lo fa sbuffare esasperato e lo convince a lasciar perdere ogni ulteriore ragionamento o indugio inutile. Così, oramai deciso e in qualche modo ineluttabile consapevole di ciò che lo attende, lascia il comodo rifugio del suo letto e si avvia alla finestra, scostando con un gesto blando e rassegnato le tende. Ad accoglierlo, oltre il vetro, la figura familiare di Arsène Lupin, come del resto si aspettava, considerato che nessun altro può essere tanto scriteriato da scalare il cornicione del suo appartamento per arrivare fino alla sua finestra, portando con sé un sorriso sfacciato del tutto fuori luogo. Toglie il chiavistello e apre i battenti. 

 

«Bonjour» lo accoglie la voce delicata del ladro francese. 

 

«Non è più tardi delle cinque e mezza, signor Lupin» fa presente Holmes, fissandolo con desolazione e una punta di divertimento. 

 

«Oui, je sais. Mi rincresce darvi disturbo tanto presto». 

 

«Hum! Sicuro, come potrei dubitarne?» strascica sarcastico. Fa qualche breve passo indietro, in modo da lasciare lo spazio sufficiente al visitatore. «Entrate. Od oltre a voi farete prendere freddo anche a me». 

 

«Merci» soffia, scavalcando con grazia il davanzale e atterrando senza un suono sul parquet. 

 

Mentre richiude la finestra Holmes si sofferma a osservarlo e cruccia la fronte. «Avete un aspetto sciupato, questoggi» tenta, non sapendo come spiegarsi con esattezza quellimpressione. I suoi vestiti sono eleganti come sempre, e i suoi capelli in ordine per quanto lo permetta lumidità esterna. Eppure alcuni altri dettagli lo inducono a pensare che non abbia visto lombra di un letto, durante la notte, ma piuttosto la luce di una lampada accesa. Ha gli occhi arrossati e le labbra secche, il viso è leggermente velato da un accenno di barba e al taschino della giacca manca il fazzoletto. 

 

«Eh bien, diciamo che avevo altro per la testa e ho scordato di tenere il conto del tempo che scorreva» ammette Lupin, non senza un sottile strascico di imbarazzo per essere comparso in uno stato meno che perfetto di fronte allo scrutinio impietoso dellinvestigatore. 

 

Sospira, massaggiandosi il collo e soppesando la situazione. «Immagino che attendere un momento più propizio fosse al di fuori dei vostri programmi». 

 

Il ladro impallidisce e si agita irrequieto sul posto. «Avevo necessità di alcune conferme e lidea di rimandare mi era insopportabile. Vi domando perdono se ho invaso ancora una volta la vostra intimità senza il vostro permesso». 

 

Per qualche momento ancora rimane a osservarlo, ma infine scuote la testa. «Sedete, coraggio. Posso portarvi qualcosa da bere? Magari qualcosa di caldo. Mi pare siate piuttosto intirizzito». 

 

Annuisce, abbozzando un piccolo sorriso tremolante. «Sarebbe ben accetto, in effetti. Merci» ammette riconoscente, indietreggiando e accomodandosi sulla sedia accanto alla scrivania. 

 

Sul tavolo da lavoro linvestigatore, con un fiammifero, accende un piccolo fornelletto a gas, posandovi sopra un contenitore di vetro panciuto in precedenza riempito dacqua. Il ladro reclina il capo, incuriosito. 

 

«Quello è un set da chimico?» considera, un poco stranito nellosservare il pallone di vetro nel quale di norma non si scalda lacqua per il tè. 

 

Holmes solleva lo sguardo sul giovane uomo, mentre va in cerca di un paio di tazzine, trovandole nel ripiano superiore del proprio armadio. «Continuate a dimenticare che non è ancora nemmeno sorto il sole, a quanto sembra. Di certo la padrona di casa starà ancora dormento. Donna fortunata, la signora Hudson; a volte sarei tentato di fare a cambio». 

 

Lupin, gli occhi sgranati, è indeciso se essere offeso, contrito oppure divertito. Siccome è abbastanza stanco decide che la cosa migliore da fare sia ridere, e quindi lo fa, osservando linvestigatore sospirare esasperato mentre posa sul tavolo le tazze e la scatola contenente le foglie di tè. In seguito lo sorprende di nuovo, infilandosi per la seconda volta nellarmadio e uscendone con una bottiglia di porto e un piccolo bicchiere, i quali vengono posati sulla scrivania proprio accanto a lui. 

 

«Se non vi disturba io mi accontenterò di una tazza di tè bollente» si limita a commentare Holmes, spargendo una generosa cucchiaiata di foglie essiccate sul fondo della propria tazzina ma facendogli segno di servirsi pure del liquore, che con un po di fortuna servirà a farlo smettere di rabbrividire. «Dunque» riprende la parola, dopo che Lupin ha inghiottito un piccolo sorso di porto, «a cosa devo la vostra gentile e inattesa visita, questa volta?». Nel tempo che serve allospite per radunare le idee, si rialza dal bordo del letto in cui ha preso posto e spegne il fuoco sotto allampolla, trasferendola con cautela fino alla scrivania e riempiendo le due tazzine dacqua fumante. 

 

«Potrei aver avuto unidea sensata sul motivo per cui il manoscritto e la lamina erano in possesso dellex-segretario» annuncia Lupin. 

 

Holmes posa la sua tazza e lo fissa con sorpresa. «Potreste? E in che modo sarestgiunto a questmezza consapevolezza?». 

 

«Spulciando libri polverosi e facendo qualche calcolo e considerazione. Ma, come ho anticipato pocanzi, a questo punto necessito di qualche conferma, o di eventuali smentite, se è questo il caso». 

 

«Vorreste quindi, se ho ben compreso, visionare i vostri due reperti» azzarda Holmes. 

 

«Per essere sincero non lo vorrei affatto, ma temo non ci siano molte alternative, giunti a questo punto». 

 

Lo fissa sospettoso per qualche momento, poi sospira. «Immagino non intendiate anticiparmi quel che cercate, dico bene?». 

 

Lupin lo occhieggia incerto, facendo oscillare fra le dita il liquido scuro nel suo bicchiere. «Voi lo fareste, al posto mio?». 

 

Holmes si prende qualche istante per riflettere e poi mettere in dubbio le sue stesse riflessioni. «No, non lo farei» ammette, meno turbato di quanto sarebbe ovvio aspettarsi. 

 

«Bien. Ora, se non vi dispiace, vorreste recuperarmi quei due oggetti, così che possa mettermi al lavoro?». Incuriosito, suo malgrado, si sofferma a osservare il cruccio che crea solchi profondi lungo la fronte dellinvestigatore e non gli occorrono che pochi momenti per comprendere la ragione del suo turbamento. Ridacchia piano, placandosi in fretta. «Avete timore che veda dove siete solito nascondere ciò che vi sta più a cuore, forse? Magari desiderate che torni sul vostro cornicione nellattesa?» propone, beandosi nel prendersi gioco di lui. 

 

Linvestigatore lo fulmina con uno sguardo truce e sbuffa, seccato. «Potreste anche astenervi, di tanto in tanto, dal mettermi in ridicolo, sapete? E comunque no, non serve che torniate fuori dalla finestra. Prendereste freddo inutilmente. Probabilmente, se ne foste interessato, lo trovereste comunque senza la mia collaborazione e in non più di venti minuti il mio nascondiglio» suppone pensoso. 

 

«Parbleu, in questo modo mi offendete, Monsieur. Dieci minuti, o meno» esclama, ghignando. 

 

«Sbruffone» borbotta stizzito, scuotendo la testa e alzandosi dal materasso per recarsi a recuperare gli oggetti necessari alle esigenze del ladro francese. 

 

«Oui, Monsieur Holmes. E in questo momento sono in ottima compagnia» soffia, occhieggiandolo con placido languore. 

 

Holmes fa scorrere le dita su un angolo di parquet accanto allarmadio, alcuni tasselli si scostano con un leggero schiocco e liberano unarea non troppo vasta al di sotto del pavimento. Con cura ne estrae linvolto di velluto e il cofanetto metallico, portandoli fino alla scrivania e poggiandoli entrambi accanto alle mani accostate del giovane uomo. «A voi. Badate: se vi pesco con le mani o il naso sotto il mio pavimento, giuro che ve li taglio». 

 

«Vi posso assicurare fin dora che ciò non accadrà» promette solenne. Abbassa gli occhi sullinvolto, arriccia le labbra in una piccola smorfia pensierosa e, con cautela, scosta il tessuto, mettendo a nudo il manoscritto. Tuttavia, mentre sta per avvicinare le mani, ha un momento di titubanza e le sue dita fremono, rimanendo a distanza. Risolleva lo sguardo sullinvestigatore e si mordicchia un labbro, turbato. «Per caso avreste un paio di guanti in stoffa?». 

 

Holmes inarca un sopracciglio ma poco dopo annuisce e si allontana di nuovo, questa volta infilando la testa nella parte superiore dellarmadio e tornandone fuori con una scatola in cartone spesso. Allinterno, sotto una velina ordinata, non trovano postsolo guanti ma anche fazzoletti e perfino una sciarpa. Torna infine da Lupin con quanto richiesto. 

 

Questultimo, raccogliendo lofferta, resta per un attimo interdetto. «Questa è seta» commenta perplesso, rimbalzando lo sguardo dai guanti a Holmes e viceversa. «Curioso, non vi facevo tipo da guanti in seta, né da occasioni mondane che li richiedano». 

 

«Non lo sono, infatti. Ma, come già ebbi occasione di farvi notare, vi sono obblighi cui non è possibile sottrarsi. Quelli ne sono un ricordo, nemmeno fra i più piacevoli». 

 

Lupin, dopo averci riflettuto, si limita ad annuire e a indossare con attenzione i guanti. Poi, molto lentamente e senza quasi respirare, sfiora le prime pagine del manoscritto con le dita fasciate di seta e, ancor più piano, ne scosta una dall’altra, facendo scorrere velocemente lo sguardo sui caratteri ancora stranamente scuri sulla carta ingiallita. «Una matita e della carta, s’il vous plaît» soffia con urgenza e senza spostare lo sguardo dalle fragili pagine. Quando un blocco di carta gli viene posato in grembo lo raccoglie a tentoni e sempre senza guardare trascrive alcuni dei caratteri. Muove le labbra, in silenzio; arriccia il naso, le sue sopracciglia si inarcano e poi spianano, guidate dall’incertezza; mordicchia l’interno di una guancia, mentre il blocco degli appunti si riempie di una scrittura pressoché indecifrabile, per lo più a causa dei caratteri desueti. 

 

«Non potreste...?» prova a chiedere Holmes in seguito a lunghi minuti trascorsi in un silenzio concentrato. 

 

«È qualche cosa che ha a che fare con i regnanti danesi» borbotta Lupin, strizzando gli occhi e scuotendo la testa. «Il re cui fa riferimento il libro, vous savez. Lui era danese. Lo ha commissionato allecclesiastico. Ora abbiamo una Principessa, a giorni regina, ed è danese anchella. E cè un uomo del parlamento… non, pas ça; un ex uomo del parlamento, che prima sottrae un documento che appartiene a questa donna, un documento che in teoria si trovava al sicuro nelle mani della Principessa, e poi nasconde nella sua villa un manoscritto che parla di regnanti danesi. E una lamina doro. Quella è... ah, non so cosa pensare. A meno che non si tratti di qualche tipo di sigillo. Può darsi» considera Lupin tutto dun fiato, senza mai staccare gli occhi dal manoscritto e la matita dal taccuino. 

 

Nel frattempo Holmes è impallidito perché crede, o piuttosto, teme di aver iniziato a comprendere e quello che gli è balenato in testa non gli va per nulla a genio. «Voi parlate di un reato grave, signor Lupin. Di quelli punibili con la morte, e senza processo preliminare». 

 

«Oui» soffia, distratto. «Non sono io in effetti che ne parlo, Monsieur, quanto piuttosto le circostanze» contesta, ma con il pensiero impegnato altrove. 

 

Holmes vuota la tazza e si sofferma sul cofanetto che contiene la lamina doro. «E se invece si trattasse di una chiave di lettura?» propone. 

 

Lupin solleva di scatto gli occhi su Holmes, crucciato. «Ma non parlano neppure la stessa lingua» lamenta, mordicchiandosi langolo di un labbro, confuso. «Una vacanza in Sud America, ecco quel che mi servirebbe ora. Un mese, magari anche due. Questo posto è una ghiacciaia. Finirò con lammalarmi. Sapete, sarebbe una grave perdita per il mondo». 

 

Holmes lo fissa a occhi sgranati. «Siete proprio suonato» commenta, usando però un tono divertito. «Tuttavia, forse vi servirebbe davvero una pausa: non avete per nulla una bella cera questoggi». 

 

Incrocia le braccia al petto e punta uno sguardo sospettoso sullinvestigatore. «State cercando di liberarvi di me, per caso? E magari, mentre non ci sono mi sgraffignerete il manoscritto e ci pianterete sopra le vostre manacce. Ve lo potete scordare. Non intendo lasciarvi campo libero». 

 

«Come siete diffidente, signor Lupin. A dar retta a voi sembra quasi che il furfante qui dentro sia io» insinua con un sogghigno divertito. 

 

Unocchiata eloquente scorre sullinvestigatore. Lupin scuote la testa, mentre torna a trascrivere caratteri sul taccuino. «I vostri compatrioti sembrano convinti voi siate un gran modello di rettitudine. Personalmente credo che siano degli stolti che non sanno come e dove guardare. Sareste invece unottima risorsa per il mondo criminale, ma probabilmente finireste con il diventare un serio pericolo e qualcuno dovrebbe eliminarvi per evitare il peggio. In definitiva è una buona cosa che vi limitiate a mettere il naso negli affari della polizia». Per un lungo momento tace, continuando a spostare gli occhi sui caratteri bruniti del manoscritto con gesti fugaci e febbrili, ma nel momento in cui il silenzio nella stanza diviene troppo pesante e insistente li risolleva sullinvestigatore, scorgendolo intento a scrutarlo in maniera più intensa e insistente del solito. Aggrotta la fronte, interdetto. «Forse ho parlato a sproposito? Qualche volta mi trovo in difficoltà per aver avuto la lingua troppo svelta. Vi siete offeso?». 

 

Holmes trasale, sentendosi interpellato. «Io... No, non credo» dubita, incerto su ciò che avverte. «Il fatto è che potreste aver ragione, anzi, ne sono piuttosto sicuro». Sposta lattenzione sul taccuino. «Spiegatemi quel che state cercando. Prometto solennemente di non toccare nulla, ma vorrei almeno aiutarvi». 

 

«Ah, questa è una bella domanda. Cerco un legame. In primo luogo fra questi due oggetti, e di conseguenza tra di essi e sir Dominick». 

 

«E da qui la lettera della Principessa». 

 

«La lettera? No, è solo un pretesto (e forse una potenziale fonte di guadagno per lex-segretario). È proprio la Principessa il fulcro, lei non tanto come persona, ma per ciò che rappresenta». 

 

«E cosa...? Il regno di Danimarca» comprende Holmes. 

 

«Il regno di Danimarca, sì. Potrebbe essere una casualità. Ma voi credete sul serio nel caso, quando vi si presentano tracce che portano in ununica direzione?». 

 

«Quasi mai, per la verità» ammette Holmes. 

 

«Bien, perché qui abbiamo un manoscritto che parla di gesta eroiche compiute da uomini. E questi uomini erano norreni. In particolare, in questo manoscritto compaiono nomi danesi, in più punti e con una certa insistenza. Di alcuni ho il ricordo di aver già letto in passato, altri mi sono del tutto nuovi. Se davvero la lamina doro è una chiave di lettura, bisognerebbe per prima cosa decifrare la chiave». 

 

«Posso vederla?» si fa avanti Holmes, mantenendo un tono stranamente pacato e paziente. 

 

Lupin rinserra le labbra, affatto attratto da tale possibilità. Si rende però conto che prima o poi sarà necessario ricorrere a quellesame, e a quel punto temporeggiare diventa inutile, se non addirittura dannoso per il proseguimento delle loro ricerche. Sbuffa, seccato dalle sue stesse conclusioni. «Très bien, mais sil vous plaît...». 

 

«Sì, ricordo: solo occhi, niente mani. Parola donore» si burla di lui Holmes, aumentando il cipiglio del ladro francese. 

 

«Sarà meglio per le vostre mani» borbotta Lupin, recuperando con prudenza il cofanetto e poggiandolo saldamente sulla scrivania, prima di sollevarne il coperchio ed esporne il contenuto. 

 

Ancora una volta i due uomini rimangono quasi abbagliati dal piccolo oggetto di sottile metallo, e dedicano i seguenti istanti alla sua semplice contemplazione senza secondi fini. 

 

«È davvero bello. Qualunque sia la sua funzione, cè dietro del lavoro accurato» considera linvestigatore. 

 

Lupin si limita ad annuire, ammirato. Poi recupera il taccuino e si dispone a ricalcare il più fedelmente possibile ciò che ha di fronte agli occhi, sotto lattenta supervisione di Sherlock Holmes, appollaiato alle sue spalle come un avvoltoio. 

 

«Siete piuttosto inquietante» commenta infatti Lupin a un certo punto del suo lavoro. 

 

«Perché? Cosa ho fatto?» borbotta Holmes, agitandosi in piedi e spostando alternativamente il peso da una gamba allaltra. 

 

«Mi state col fiato sul collo come un maledetto mastino. È molto irritante». 

 

«Scusate. È lunico punto di osservazione da cui posso vedere senza farvi ombra o coprirvi la visuale» obbietta linvestigatore, in parte stizzito, ma suo malgrado anche divertito. 

 

«Meraviglioso. E allora rendetevi utile, da lassù, e ditemi se notate qualcosa di particolare. Se sto facendo un lavoro appropriato oppure sbaglio in qualcosa». 

 

Holmes lo prende in parola e, per somma sfortuna e disperazione del ladro, si accosta maggiormente, fissando con cura e insopportabile intensità ora il disegno in corso dopera, ora loriginale a poca distanza. «È un buon lavoro, molto rassomigliante al soggetto ritratto» conferma, senza però abbandonare il suo posto di guardia. «Scommetto che usate i vostri talenti di riproduzione in numerosi campi più proficui» azzarda, sogghignando di nuovo. 

 

Lupin sbuffa. «Se anche fosse, non credo vorrei farne parola con voi» replica acido. 

 

«Siete in collera?» si accerta, cauto. 

 

«Sì. No. Ah, non ne ho idea! Temo di essere incompatibile con voi. Forse siamo entrambi troppo lunatici. Stare al passo con i miei cambi dumore è un affare gravoso. Ma stare al passo con i miei e i vostri contemporaneamente va oltre le mie possibilità» ammette. 

 

Holmes annuisce. «Vi capisco. Credo di aver avuto le vostre stesse impressioni in questi giorni» conferma. 

 

«Ho finito» annuncia dopo qualche altro lungo minuto. «Guardatela bene unultima volta, perché fra poco richiuderò il coperchio e la rivedrete solo dietro una teca al museo» avverte, facendolo sembrare un ultimatum. 

 

«Siete certo di non avere più bisogno degli originali? Dubito che vi permetterebbero di sfogliare il manoscritto, una volta sotto la loro custodia». 

 

«Quel che riporta di utile lho trascritto nel vostro taccuino. Il reststa a loro». 

 

«Mi permetto di dissentire. Il resto, piuttosto, sta a noi. Dobbiamo ancora venire a capo della chiave, se tale è» contesta Holmes. 

 

«State cercando di mettermi ansia, mi pare. Al momento sono troppo stanco per diventare ansioso, mi rincresce» borbotta Lupin, rimettendosi in piedi un poco traballante. «Sarà meglio che vada, ora, o finirò con laddormentarmi lungo la strada». 

 

Linvestigatore si alza con un gesto brusco, seguendo il ladro francese che già si è diretto verso la finestra. «Potrebbe non essere una buona idea uscire ora. È passata lalba e il traffico di fuori è già parecchio. Non sarebbe più saggio se rimaneste fino a un momento più tranquillo?» protesta impensierito. 

 

Lupin, con un piccolo sbuffo, poggia la fronte sullo stipite della finestra. «Fatemi capire: prima quasi non volevate farmi entrare, ora sembra che non vogliate farmi uscire. Qual è il problema, questa volta?». 

 

Holmes si irrigidisce e piega le labbra in una smorfia scontenta. «Non cè nessun problema» sbotta scontroso. «Andate, se vi preme tanto. In fondo non è ciò che fate sempre: andare e venire a vostro piacimento, senza interpellare nessuno? Sciocco ragazzino francese» sputa. 

 

Arsène Lupin si volta e lo guarda confuso. Ha come il vago sentore che gli sia sfuggito qualche dettaglio«Che cosa vi turba, Monsieur Holmes?». 

 

«Proprio nulla» esclama, quasi ringhiando. 

 

Lupin ride, una risata aspra. «Non avete alcun problema, n’est-ce pas? Non vi turba nulla. Fosse per voi dovrei credere che siate il ritratto vivente dell’equilibrio. Devo purtroppo disilludervi. Ma, ancora una volta, siete in buona compagnia» lo sbeffeggia, il tono un poco amaro. Poi sospira e, allontanandosi dalla finestra, torna verso il centro della camera e, poiché non ha voglia di intraprendere una discussione penosa (l’ennesima) su due piedi, si siete sul materasso e prende a strofinarsi le mani in modo nervoso. «Può darsi che vi abbia infastidito in qualche maniera, non lo escludo. È accaduto in passato, so bene che potrà succedere in futuro. Ma, davvero, al momento non sono in grado di mettere insieme gli indizi necessari per risolvere il problema attuale. Per questo motivo vorrei foste voi a chiarirmi la situazione. Ho fatto qualcosa che vi ha offeso? Vi ho in qualche modo insultato senza rendermene conto? Spiegatemi, vi prego». 

 

Sherlock Holmes, invece di replicare, scuote la testa e distoglie lo sguardo, prendendo a percorrere il perimetro della camera a passi nervosi. E dun tratto, mentre passa a fianco della sua scrivania, fa qualcosa di imprevisto, persino da lui stesso. Afferra con forza il piccolo bicchiere usato dal suo ospite per bere il liquore, oramai vuoto, e voltandosi repentinamente lo scaglia contro il ladro, mancando la sua testa di un soffio solo perché questi si è scansato pochi istanti prima di essere colpito, rovesciandosi sul letto. 

 

«Siete impazzito?» affanna, piantando un gomito nel materasso e cercando invano di rialzarsi. 

 

«Ancora no, ma ci sono vicino». A passi rapidi lo raggiunge e gli afferra le spalle, sollevandolo. «Voi state facendo un ottimo lavoro nel condurmici». 

 

«Non sto facendo proprio nulla, invece» brontola, digrignando i denti perché le dita dellinvestigatore lo stanno stritolando. «Lasciatemi». 

 

«Perché? Così potrete sgusciare fuori dalla mia finestra? E poi? Vi ho quasi colpito, poco fa. Non capite?». 

 

«No. Mi dispiace, non capisco. Che cosa state facendo?». 

 

«Sto cercando di trattenervi. Perché non provate a liberarvi? Cosa vi impedisce di scrollarvi di dosso le mie mani?». 

 

Lupin, come per riflesso, contempla le proprie di mani e cruccia la fronte. Sono sfocate. «Il manoscritto» biascica confuso, tentando di radunare le idee, che invece sembrano decise a sfuggirgli. 

 

Anche Holmes aggrotta le sopracciglia, interdetto. Piano, allenta la presa e, costernato, osserva il giovane uomo afflosciarsi di fronte ai suoi occhi. «Lupin? Che avete?» sussurra, piegandosi su di lui e poggiando le dita sul suo collo. Forse non è un esperto, ma sa riconoscere un battito irregolare quando ne sente uno. Smarrito, si guarda un momento attorno nel tentativo di capire cosa stia accadendo, ma un attimo dopo torna a dare attenzione al ladro, il cui respiro è diventato più frettoloso e superficiale. 

 

E allora si rimette in piedi e corre fuori dalla sua camera, precipitandosi su per le ripide scale che portano alla camera da letto del coinquilino. Entra rapido senza bussare, svegliando con il fracasso della porta che sbatte contro il muro oppostil povero dottore, il quale lo fissa allucinato e registra con un poco di ritardo la sua espressione sconvolta. «Che accade?» chiede preoccupato Watson. 

 

«Venite giù da me. Portate la vostra borsa. Cè Lupin, credo sia svenuto, ma non ne sono certo. Fate in fretta» articola tutto dun fiato, prima di ripercorrere la scalinata al contrario e raggiungere di nuovo il suo ospite. 

 

 

 

Quattro ore dopo, in quella stessa camera, sono di nuovo radunati tutti e cinque i componenti di quella stravagante squadra. Dopo che il dottor Watson ha, con una certa fatica, riportato Lupin in condizioni stabili, Holmes ha convenuto con lamico che fosse il caso di avvisare le persone al momento più vicine al ladro, ovvero il suo cameriere personale e la ragazzina scozzese. Ora entrambi sono immobili accanto al letto dellinvestigatore su cui giace il ladro, intenti a fissarlo senza quasi batter ciglio, aspettando che riapra gli occhi, sempre che ciò possa avvenire. 

 

Watson ha spiegato a Holmes che, in base ai sintomi riscontrati su Lupin, egli è stato avvelenato. Non ha la certezza del tipo specifico di veleno, ma ha fatto presente che è stato con buona probabilità assimilato in maniera indiretta e in quantità non immediatamente letali, fatto che ha permesso al dottore di arrestarne lazione, ma al momento non di farla regredire, motivo per cui attualmente non è in grado di stabilire in quanto tempo Lupin sarà di nuovo sveglio. 

 

Holmes, dopo aver dato al piccolo Dawson il compito di contattare la gente di Lupin, si è piazzato in un angolo della camera su di un grande e morbido cuscino e ha iniziato a vagliare gli indizi in suo possesso, senza più dar retta a chicchessia. I suoi indizi non sono molti per la verità, ma cè qualcosa che continua a riproporsi, una breve frase, due parole che sono anche le ultime che ha udito pronunciate da Lupin: “Il manoscritto”. Che possano avere a che fare con ciò che sta capitando in quel momento? 

 

Il dottor Watson, nel frattempo, è stato raggiunto anche dalla signora Hudson che gli ha portato di che rifocillarsi e ne ha portato anche per il resto dei presenti. Poi lei stessa è rimasta con gli altri, accertandosi che nessuno ignorasse la sua tardiva colazione (a parte Lupin, si intende). È perfino riuscita nel glorioso compito di distrarre linvestigatore da quella sua specie di meditazione, piantandogli sotto il naso una tazza fumante di tè e un piattino di biscotti, con unesortazione che era piuttosto un ordine: «Mangiate», guadagnandosi unocchiata truce che non lha nemmeno scalfita. 

 

 

 

Unaltra ora trascorre senza cambiamenti di rilievo. Il dottor Watson ha ammesso che lunico modo certo per essere di aiuto al signor Lupin sarebbe quello di conoscere il genere di veleno utilizzato e di conseguenza procurarsi un antidoto. Poiché non è stato ancora possibile stabilire la provenienza di quellintossicazione, di fatto non è ancora possibile giungere alla conclusione auspicata. 

 

Tuttavia, dopo aver rifiutato caparbiamente di sgranocchiare lennesimo biscotto fornito dalla signora Hudson ed essere sprofondato in una sorta di dormiveglia molto poco riposante, Holmes riapre gli occhi e si precipita sul povero Watson, abbrancandogli un braccio e traendolo in piedi. 

 

«Conosco la provenienza del veleno» annuncia soddisfatto. 

 

«Bene» considera Watson con prudenza. «Vi ascolto». 

 

«Il manoscritto» esulta Holmes. 

 

«Scusate?» dubita Watson. 

 

«Il dannato manoscritto, Watson. Quello che siete incaricato di portare al museo» si spazientisce Holmes. 

 

«Ho presente. Ma non comprendo il nesso con il nostro attuale problema» fa notare Watson. 

 

«Il veleno, si trova nel manoscritto. Credo che potrebbe essere disciolto nellinchiostro, oppure ne sono impregnate le pagine. E lui aveva i guanti di seta. Non sono impermeabili, certo, ma isolano abbastanza da ridurre lesposizione dellepidermide con la sostanza velenosa contenuta nel manoscritto. Così, come penso abbiate intuito, lintossicazione è stata solo parziale e ha preso molto più tempo del normale per manifestarsi. Capite, ora?». 

 

«Signore Iddio» replica Watson con gli occhi sgranati, infine comprendendo. 

 

 

 

Hanno lasciato Cyril, Caitlin e la signora Hudson a fare la guardia a Lupin, e si sono recati assieme nella sezione scientifica di Scotland Yard, irrompendo senza invito nel laboratorio di Stanley Barnell, chimico e neurologo al servizio della polizia scientifica. Con loro hanno portato anche il famoso manoscritto, impacchettato per bene nel drappo di velluto e anche, per prudenza, in una borsa di pelle. Poi hanno costretto i collaboratori di Barnell a sloggiare e, quasi minacciandolo, lo hanno obbligato a giurare di non spifferare ad anima viva lesistenza di quellammasso di carte decrepite e potenzialmente mortali. E dopo averlo vessato e tediato a turno, non contenti, gli hanno intimato di esaminare la sostanza velenosa presente nel manoscritto e di trovare il modo di produrre un antidoto, per giunta in tempi brevi. 

 

«Oh, è sempre un piacere incontrarvi!» sbotta Barnell, voltando loro le spalle e mettendosi al lavoro. 

  
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