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Autore: Urban BlackWolf    12/02/2020    3 recensioni
Come la vite, ogni essere umano ha un lato esposto al sole ed uno all’ombra. Un lato più caldo ed uno più freddo, che non sempre riescono a convivere, anzi, che spesso e volentieri cozzano l’uno contro l’altro creando dissonanza, una profonda lacerazione interiore che rende tutto confuso e complicato.
Come la vite, ogni essere umano porta frutto e lo dona agli altri, ma a seconda delle stagioni e delle cure ricevute, lo fa generosamente o meno.
Come la vite, ogni essere umano ha bisogno di sentirsi amato, spronato e protetto per dare il meglio di se, senza soffocamenti o costrizioni.
E come la vite che allunga i tralci verso la pianta accanto, anche gli esseri umani sono alla costante ricerca dell’anima affine alla quale potersi tendere ed intrecciare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Starlights, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kou e Yaten Kou, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

 

Un proiettile schivato

 

Nella masseria Tenou la mattina successiva alla bomba H lanciata da Haruka, tutto si svolse come al solito. Un compito per ognuna ed ognuna concentrata sul proprio compito. Tutte tranne la bionda e la sua frustrante impossibilità nel non potere andare e fare ciò che voleva. Mentre l’ora del pranzo si affacciava, Usagi entrò in cucina vestita del suo completino da lavoro rosa convinta di non trovarci ancora nessuno. Ed invece vide il televisore acceso sul telegiornale, Giovanna ai fornelli e il suo sguardo grigio perso oltre i vetri della finestra a nastro che lasciava inondare di luce tutto l’ambiente.

La maggiore quasi trasalì. “Che spavento! Non ti ho sentita rientrare. Come mai già di ritorno? Credevo ti saresti fermata al ciclo di produzione con Michiru e Minako.”

“Michiru è dovuta andare a fare una commissione personale e Mina è intrattabile. Sarà anche nervosa, ma io non sono certo il tipo da starmene buona e zitta troppo allungo, perciò ho preferito andarmene. Lavorerò da casa.”

”Siamo tutte nervose e Mina non è mai stata brava a reggere lo stress.” Ne convenne Giovanna sospirando.

“Lo so. Si è rigirata nel letto tutta la notte non facendomi chiudere occhio.”

“Anche Haruka, o meglio, ha tentato di farlo, ma il dolore alle costole glielo ha impedito. Così ha grugnito come un cinghiale ferito fino a quando verso le quattro non è crollata.”

La biondina non commentò astenendosi da qualsiasi giudizio. Le verità sapute la sera precedente l’avevano scioccata a tal punto che la sua parte irrazionale, quella ancora adolescente, era corsa in suo aiuto per strapparla alla dura realtà, così non appena Minako aveva spento la luce della loro stanza, si era messa alla finestra a guardare il quarto di luna far capolino da dietro l’orizzonte, perdendosi nel fantasticare sulla vita di coppia che presto avrebbe iniziato con il suo Mamo. Tutto questo finché le luci della piccola cascina dell’uomo non si erano accese al di la del torrente rivelandole il perché non lo avesse trovato a casa per la solita telefonata serale. L’impulso di volerlo vedere era stato forte, ma ancor di più lo era stato il sonno ed una volta appoggiata la testa sul cuscino, si era addormentata inanellando una serie di sogni incoerenti e senza senso.

“Hai fame?” Chiese la maggiore.

“Per niente, anzi, ho la nausea. Quello che è successo ieri è stato allucinante.”

“Io qualcosa la preparo lo stesso. Senti; tu e Mina avete parlato di quello che è successo ieri sera?” Indagò guardinga mettendo l’acqua sul fuoco.

“No. Dopo aver sparato frasi non troppo carine su di voi, credo sia andata a telefonare a Yaten e quando è tornata mi ha dato la buonanotte e ha spento la luce. Questa mattina non abbiamo fatto altro che beccarci, perciò......” E le si avvicinò.

Fantastico, pensò ironicamente l’altra.

Abbassando la voce Usagi le si accoccolò sulla spalla. “Io non credo che Mina abbia ragione. Sul fatto della tua partenza intendo.”

“Evidentemente lei l’ha vissuta così. E mi dispiace.”

“Già. Per me è stato più facile; tre anni fa ero ancora una ragazzina.”

Giovanna fece una smorfia divertita che la sorellina non vide. Era. Ma perché adesso di anni ne aveva cento?

“E su Haruka cosa pensi? Sei d’accordo come lei sul darle la croce o pensi qualcos’altro?”

Si guardarono e poi la più giovane ammise che alla bionda una certa colpa la dava. “Quantomeno avrebbe dovuto parlarcene invece di decidere per tutte, anzi per noi due, visto che tu ne sei stata una degna complice.” Spezzando il contatto affettuoso si allontanò per dirigersi verso l’uscita di servizio.

“Se avessi saputo che la posta per gareggiare era il suo quarto, stai pur certa che le avrei impedito di partecipare alla corsa!”

Fermandosi con una mano già sulla maniglia l’altra si voltò sentendosi triste. “Si, ma non è successo! Tu non capisci Giò! Non si tratta dei terreni di Haruka, ma dell’averci tagliate fuori, come se non facessimo anche noi parte di questa famiglia. - Poi guardandola rabbuiarsi, continuò dopo una breve esitazione. - E si…, è anche un po’ per quelli. Un po’ TANTO. Insomma… Come ho già detto ieri, avete fatto proprio un bel casino e se mamma e papà fossero ancora qui, ve le avrebbero già suonate di santa ragione.” Ed aprendo la porta uscì all’aperto.

“Ma dove vai?”

“Alla cascina di Mamo!”

“E per pranzo torni?”

“Non lo so!” Rispose scocciata prima d’iniziare a correre verso il torrente.

Con i palmi dimenticati sull’acciaio del lavabo, Giovanna costatò per l’ennesima volta quanto il rapporto che legava loro quattro si fosse drasticamente sfilacciato. Abbandonando quello che stava facendo sentì la necessità di andare a vedere come stesse Haruka. In passato era già capitato che le loro discussioni avessero portato a crisi e schieramenti, ma mai si era arrivate ad una così netta distinzione; Usagi e Minako da una parte e lei ed Haruka dall’altra.

Salendo le scale ritornò a mettere in discussione la scelta che lei ed Haruka avevano fatto nel tenere le più piccole lontane da quella storia e per l’ennesima volta si diede dell’idiota. Aprendo la camera che da sempre condivideva con la bionda vide che il letto era vuoto e sfatto.

“Evasione in piena regola. Troppo ha resistito.” Disse alzando gli occhi al cielo tornando giù da basso mentre il suono del brecciolino calpestato dagli pneumatici di una macchina arrivava dallo spiazzo antistante.

Forse è Michiru, pensò provando uno strano senso di riconoscenza per l’equilibrio che quella forestiera stava riuscendo a dare a quella loro casa disastrata.

E di fatti, una volta aperto il portone d’ingresso, la vide scendere dalla macchina che le aveva prestato con un sorriso radioso ad illuminarle tutto il viso. In quel preciso istante Giovanna pensò che tutto sommato, pur nella loro estrema diversità, lei ed Haruka avrebbero fatto proprio una gran bella coppia.

“Sei riuscita a sistemare le tue faccende?” Le chiese poggiandosi all’anta fissa inforcando le mani nelle tasche.

“Si e non avrebbe potuto andare meglio!”

“Meno male, almeno una buona nuova.” Si lasciò scappare.

Kaiou smorzò un poco il sorriso. Era venuta a conoscenza del quarto di Haruka riuscendo a porvi rimedio, ma doveva continuare a far finta di niente, perché non era affatto sicura che quell’invasione, se pur fatta a fin di bene, sarebbe stata accettata. Soprattutto da Haruka e Giovanna. Virando su discorsi lavorativi, l’assicurò che dopo pranzo avrebbe raggiunto Usagi e Minako al ciclo di produzione.

“Non ti conviene, oggi sono parecchio nervose. Fammi invece la cortesia di provare a tenere a bada Haruka. Dovrebbe stare a riposo, invece è già uscita.”

“Come uscita!?”

“Hai capito bene; USCITA e prima che al ritrovarmela davanti la prenda a sganassoni, ti prego Michiru…, credo che in questo momento soltanto tu abbia il potere di farla ragionare.”

L’altra voltò allora la testa verso il muro d’edera che divideva lo spiazzo dallo spicchio erboso che si affacciava sopra la Prima e storcendo la bocca accettò la sfida. “Penso di sapere dove possa essere.”

“Grazie e digli che tra mezz’ora si mangia.”

“Va bene.” Soffiò andando a passo svelto verso il cancelletto oltrepassato il quale, si trovò sul letto erboso di Dicondra che tanto amava sentire sotto la nudità dei piedi prima di coricarsi per la notte, arrivando poi al parapetto in pietra per affacciarvisi e riconoscere le spalle della bionda seduta su uno dei soliti gradini.

Sei diventata prevedibile, pensò con una certa punta di soddisfazione. Scendendo lentamente, la violinista sentì il petto scoppiarle d’affetto al pensare a quanto Haruka sarebbe stata sollevata e felice una volta saputo che il problema che tanto la stava affliggendo non era più tale.

“Buongiorno! Qui si evade?! - Se ne uscì raggiungendola. - Posso sedermi?”

“Certo.” Disse l’altra stirando le labbra continuando a fissare le prime piante della vecchia vigna.

“Pensavo che questa mattina saresti scesa per colazione. Mi sei mancata.”

Haruka aggrottò la fronte. “Posso chiederti una cosa?”

“Dimmi.”

“Perché sei tanto gentile con me? Sono ferita, ma non ancora morta. Mi risolleverò! Non so come, non so quando, ma ci riuscirò, perciò se è pietà quella che provi, ti pregherei di lasciarla per…”

Due dita premute sulle labbra e Michiru l’azzittì prima che potesse tirar fuori qualche altra stupidaggine. “Sto iniziando a capire come sei fatta. So che sei sufficientemente forte per tornare in piedi ed intelligente per capire dove hai sbagliato, ma ho anche visto quanto tu sia orgogliosa e caparbia, perciò è meglio che ti fermi subito prima che tu dica un’inutile cattiveria. - Spostando le dita dalle labbra ai capelli disordinati che le stavano coprendo parte della fronte iniziò a sistemarglieli. - La mia non è condiscendenza, ma affetto. Credevo che ieri fossi stata abbastanza chiara. Ho hai già dimenticato tutto?”

Ma l’altra scansò la testa sottraendosi a quel tocco gentile. “E io ti ho detto che in questo momento non merito l’affetto di nessuno.”

A quella sorta di rifiuto Michiru si accese. “Questo nichilismo idiota non ti fa onore Haruka!”

“Ma che ne vuoi sapere tu!” Sbottò poggiando il braccio sano sulla coscia.

“So che ti senti in colpa e lo sarei anch’io se avessi perso tanto. - All’incrociare improvviso del verde dei suoi occhi continuò con più calma. - Scusami, ma non sono abituata a sentirti parlare così..”

“Scommetto che la grande Michiru Kaiou non avrebbe mai compiuto un’azione tanto folle!”

“Guarda che di casini ne ho commessi anche io, perciò finiscila!”

“A si?! Hai mandato a puttane l’attività di famiglia facendoti odiare dalle tue sorelle?”

“No, ma avrei anche potuto se la mia madre biologica non mi avesse scaricata al mio primo giorno di vita! - Le ringhiò contro sentendosi le lacrime agli occhi perché quel tasto era ancora troppo doloroso. - Ma se proprio lo vuoi sapere, anche con i miei genitori adottivi non è sempre tutto rose e fiori, anzi, da quando ho lasciato Seiya mia madre non fà altro che spalleggiarlo dando a me la colpa di tutto, mentre mio padre è convinto che il non avergli ancora sfornato un erede, dipenda solo ed esclusivamente dal mio utero ostile! E lui si che mi guarda con pietà, come se non fossi sufficientemente donna da poter assolvere ad una delle cose più nobili e belle della natura.”

Haruka deglutì a vuoto. “Michiru io… non ne avevo idea, scusami.”

“Non importa, ma non è questo il punto. Devi cercare di capire che anche se hai fatto scelte sbagliate, rimani sempre una brava persona che non deve cadere nell’errore di soppesare un pezzo di terra, anche se prezioso, con l’amore delle sue sorelle.”

Dopo questo sfogo ci furono alcuni secondi di silenzio, poi, perdendosi nella Prima, Haruka ammise che Seiya Kou era un vero cretino. “Come ha potuto lasciarsi scappare una donna come te!? Se fossi la mia compagna avrei piu' rispetto per il tuo cervello e l'empatia che dimostri verso gli altri. Mi ricordo poco di lui. L’unica immagine che ho è di averlo sempre visto con un libro in mano seduto all’ombra di qualche albero durante le estati che da ragazzo passava qui con la sorella, perciò credevo fosse un tipo intelligente.”

Un armistizio. Un armistizio che fece sorridere Michiru a tal punto che il nervoso provato in quel rapido scambio di battute, cedette il posto ad una strana e calda serenità d’anima.

“Lo sai che alle volte sei impossibile?”

“Io sono adorabile…, bisogna solo sapermi prendere.” Ed un sorriso guascone, anche se spezzato da un’immensa tristezza, le velò le labbra mentre l’altra si rialzava.

“Non è il caso che con il costato ancora gonfio tu te ne vada in giro. Devi riposare. La vendemmia è alle porte e non puoi permetterti di non prenderne parte. O sbaglio?”

Emettendo nell’aria calda un profondo sospiro, Haruka tornò ad incurvare la schiena. “Non so che fare.”

“Anche se non potrai essere parte attiva del raccolto non resterai certo con le mani in mano.”

“Non intendevo per la vendemmia. Non so che fare per raddrizzare le cose, Michiru.”

Da qualsiasi punto di vista la si guardasse, perdere il venticinque percento di un’attività come quella avrebbe gettato scoramento in chiunque. Kaiou non poteva fargliene una colpa.

“Troverete una soluzione, ma se questo non dovesse accadere, andrà bene lo stesso, perché siete e rimarrete sempre una famiglia e te lo dico con il cuore Haruka, questa è la cosa più importante di tutte. - Porgendole la mano le sorrise incoraggiandola. - Adesso vieni. Il pranzo è quasi pronto. Credo che Giovanna abbia bisogno di un po’ di compagnia e di saperti al sicuro dentro quattro mura.”

Stringendole il palmo la bionda si rimise lentamente in piedi, forse non soltanto fisicamente, ma anche un po’ emotivamente. Michiru Kaiou non era brava solo a far vibrare un archetto sulle corde, a saper interagire con le persone o a saper chiudere un affare d’oro, ma riusciva a leggerle il cuore come pochi altri.

“Certe volte mi sembra di sentir parlare Rose.” Disse strizzando gli occhi al dolore che continuava a provare al fianco.

“La tua mentore? Per me è un complimento bellissimo, grazie.”

“Non credere, aveva un caratterino dittatoriale, sai?”

“Sempre meglio. Continua, mi piace.”

Haruka si fermò guardandola. Era di una bellezza impareggiabile. “Sei incredibile, ma come fai?!”

“A far che?” Chiese furbescamente.

A farmi provare quello che sto provando ora, pensò. Ma non disse nulla. Non sarebbe stato da lei dire simili smancerie senza averle prima catturato le labbra. Scuotendo leggermente la testa tornò a salire lasciando Michiru a guardarle le spalle.

 

 

 

Yaten la guardò uscire dagli uffici Tenou con un viso accigliato che era tutto un programma. Era bella la sua Minako. Proporzionata, un viso lineare e pulito, impreziosito da due splendide gemme azzurre. E poi c’erano i capelli, lunghi, lisci e biondi come l’oro zecchino, la cosa che, oltre ad un carattere di fuoco e fiamme, l’avevano portato negli anni, prima a volerle bene come amico e poi ad amarla come uomo. Non appena avesse potuto farlo le avrebbe chiesto di andare a convivere, avrebbero preso un appartamento più grande del monolocale nel quale stava accampato da un paio d’anni e avrebbero messo su famiglia, lentamente, senza fretta, facendo le cose per bene.

Questo almeno fino a qualche giorno prima, quando una serie di notizie avevano drasticamente rivoluzionato tutti i sogni che come coppia avevano. Non ultima, la questione della corsa clandestina e dell’incertezza sulla sorte dell’azienda vinicola Tenou che una disperata Minako, tra un singulto rabbioso e l’altro, aveva cercato di spiegargli la notte precedente. Una telefonata a tarda sera che aveva tirato giù Yaten dal suo comodo letto per portarlo a sbiascicare un pronto non proprio del tutto convinto.

“Amore, sei tu?! Ma cos’è successo? Perché mi stai chiamando a quest’ora? Stai bene?” Le aveva chiesto stropicciandosi un occhio non ancora del tutto vigile.

Così quel giovane uomo che aveva fatto del lavoro un rimedio ad un dolore non ancora pienamente accettato e dell’amore verso quella creatura non sempre dolce, la sua stella polare, aveva ascoltato sempre più sconcertato la notizia che a stretto giro avrebbe decretato la fine di molti dei suoi sogni. Haruka aveva dato via il suo quarto e con i terreni rimanenti difficilmente le altre sorelle sarebbero riuscite a concludere in positivo una stagione già colpita dal temporale di qualche settimana prima.

“Novità?” Chiese lui staccandosi dalla sella della moto che faticosamente, ma orgogliosamente, era riuscito a comprarsi l’anno precedente.

“No. Quello che dovevo dirti te l’ho già detto ieri.”

“Non hai parlato con Haruka?”

“E a che scopo?! Dai, portami via. Devo allontanarmi da questo posto. Sto male.”

Corrugando la fronte la guardò improvvisamente preoccupato. “Dovresti andare a farti vedere.”

“So già che cos’è!”

“Quando lo dirai alle tue sorelle?”

“Quando sbollirò. Ora come ora non ho voglia ne di vederle, ne tanto meno di parlarci. Anzi, posso venire a stare da te per un po’?”

Offrendole un casco alzò le spalle divertito. “Lo sai che mi casa est tu casa. Ma prima o poi dovremmo affrontare la cosa.”

Afferrando il casco se lo calzò con rabbia. “Che si fottano!”

Yaten non replicò, troppo bene conosceva quella Erinni. Minako aveva ragione; doveva sbollire e solo dopo, forse, sarebbe stata pronta per affrontare le sorelle maggiori, ed in particolare Haruka, che quanto a caratteraccio era anche peggio di lei.

Inforcando quella vecchia Yamaha che proprio grazie alle mani di Haruka era riuscito a riportare in vita, attese le braccia della sua donna cingergli la vita e partendo la portò lontano dal mondo che Minako stava vedendo disgregarsi davanti ai suoi occhi.

 

 

Passarono altri due giorni e la situazione in casa Tenou non migliorò, ma grazie al cielo non peggiorò nemmeno. Nella fremente attesa di ricevere notizie dal suo Notaio, Michiru cercò di sostituire al meglio Minako, che avvertita Usagi con una breve quanto esaustiva telefonata, si era data malata abbandonando momentaneamente la baracca. La diciassettenne era rimasta talmente male dal voltafaccia della sorella, da rifugiarsi frignando tra le braccia di Mamoru.

“Non può lasciarmi sola proprio adesso! - Aveva urlato la biondina all’indirizzo dell’uomo all’indomani della sparizione di Minako. - Dice di avere un problema, ma anche IO ne ho!”

“Forse ha solo bisogno di un po’ di tempo per digerire il fatto che con molta probabilità questa sarà la vostra ultima vendemmia. Cerca di portare pazienza tesoro.”

“Lo so, ma è proprio per questo che ora più che mai dovremmo essere unite!”

“Già, ma almeno voi potete dire di essere ancora una famiglia.”

“Cosa intendi? Hai nuovamente litigato con tuo padre?” Gli aveva chiesto spostando immediatamente l’attenzione dai suoi problemi a quelli del suo uomo.

Ma Mamoru non le aveva detto nulla del vecchio Kiba e del patto fatto con Haruka e non perché gli mancasse il coraggio o non sentisse la necessità di farlo, tutt’altro, ma perché proprio come Minako, anche lui aveva bisogno di ordinare per bene i suoi sentimenti e capire quale passo successivo fare nei confronti del genitore

Così per la prima volta da quando Alba e Sante avevano iniziato a fare i viticoltori, per tutta l’azienda si respirò un’aria strana, quasi innaturale. La notizia della cessione del quarto di Haruka era naturalmente rimasta tra i più intimi della famiglia Tenou, Max e Mamoru in testa, ma più di un dipendente aveva iniziato a farsi delle domande sul perché proprio su quei terreni non ci fosse ancora una squadra che li stesse preparando per l’imminente raccolto. In più mancava un coordinamento, una testa che riuscisse a gestire tutto quanto, ovvero quello che la bionda aveva fatto negli ultimi tre anni. Così Giovanna, che sempre aveva mal digerito dare comande pur avendone pienamente il titolo e la bravura, chiese a Michiru di aiutarla nella speranza di far quadrare almeno la tempistica delle cose più importanti, come i B and B per gli stagionali, la registrazione dei loro contratti, la revisione delle macchine agricole che sarebbero servite per le varie lavorazioni e il numero preciso di bottiglie da ordinare per l’imbottigliamento del vino.

“Sarà anche una gran zuccona, ma Haruka è sempre stata portata per l’organizzazione.”

In quel sabato pomeriggio dal cielo un po’ velato, Giovanna salvò il file per incrociare gli occhi stanchi della donna seduta accanto a lei.

“Porta pazienza, abbiamo quasi finito. Quante squadre hai detto che servono per il raccolto?” Le chiede Michiru dall’alto della sua efficientissima razionalità.

“Dunque, fammi pensare. Di solito dividevamo la tenuta in quattro parti lavorandone due per volta, Ma visto che la parte che era di Haruka non va più considerata, a questo punto farei lavorare solo una squadra.”

“Questo vuol dire che alcune persone dovranno restare a casa.”

“Già e comunicarglielo con la vendemmia alle porte è una vera carognata.”.

Maledicendo la lentezza del suo Notaio, Kaiou cercò allora di temporeggiare. “Lo immagino, ma dimmi piuttosto…, come sta il Landini?”

L’atra scoppiò a ridere neanche avesse chiesto di un parente. “Ho saputo che quella pazza te lo ha fatto guidare più di una volta.”

“E credo si aspetti che lo faccia ancora.”

“Ci mancherebbe! Le tue dita valgono un patrimonio e non le rischierò per mettere in scena la parodia della bisbetica domata. Dai, cerchiamo i nomi degli stagionali ai quali dovrò dire di non venire.”

“Non puoi aspettare ancora un po’?” Chiese mordendosi il labbro inferiore.

“Prima si fa e meglio è, così forse potranno trovare lavoro altrove. Non dai nostri vicini però, visto i macchinari spettacolari che il vecchio Kiba ha comprato ultimamente.” Canzonò provando una certa punta d’invidia per quelle terre tanto redditizie.

Chissà se Mamoru ha poi avuto occasione di confrontarsi con il padre per la storia della vendemmiatrice semovente, pensò Giovanna scartabellando i fogli sparpagliati sulla scrivania.

“Per favore Michiru, aiutami a trovare quei contatti telefonici. Una volta fatte le telefonate vorrei avere il tempo per passare alla serra a controllare le piantine della First delight.”

La violinista prese l’occasione al volo e sapendo quanto quelle persone sarebbero servite, spinse Giovanna a lasciarle il compito. “Posso pensarci io.”

“Ma sei sicura?”

“Certo, non preoccuparti. Sono stagionali che lavorano con voi tutti gli anni, per me sarà meno gravoso. Vai alla cantina.”

Un tantino interdetta l’altra accettò ringraziandola e schernendosi sul fatto che una volta decretato il fallimento dell’azienda di tutte quelle splendide piantine di vite non ci avrebbero più fatto nulla, uscì dallo studio avvertendo il primo brontolio di un tuono.

“Per fortuna c’è lei. Con Haruka fuori gioco e Minako desaparecidos, quella donna è l’unico appiglio che mi resti.” Si disse uscendo di casa puntando la sagoma della bionda accanto alla porta della rimessa.

“Questa mattina mi avevi promesso che non saresti uscita di casa!” Urlò per farsi sentire ricevendo in cambio un gestaccio.

“Se aspetti che le macchine si revisionino da sole… Invece di sbraitare, perché non vieni a darmi una mano?! Con un braccio solo faccio fatica sai?”

“Voglio andare alla serra.” Tagliò corto imboccando la discesa per la valle.

“Che diavolo ci andrà a fare se tanto presto saremo costrette a svendere?!” Soffiò rientrando nella rimessa non accorgendosi che da una delle finestre dello studio, Michiru la stava guardando con la cornetta del cordless stretta nella mano.

 

 

Giovanna ci mise una vita. Tutto il pomeriggio passato ad annotare dati sulla crescita delle piantine e a parlare della temperatura ottimale per serra con l’agronomo dell’azienda. Nervosa ed abbastanza sicura dell’inutilità di quel lavoro, fece ritorno a casa all’ora di cena, proprio mentre le prime goccioline di una pioggia carica di calore iniziavano a scendere da un cielo ormai plumbeo.

Camminando a passo svelto lungo la pendenza del declivio, inquadrò le luci del loro studio ancora accese. Non le piaceva l’idea che Michiru si fosse soverchiata dell’ingrato compito di avvertire gli stagionali che non avrebbero collaborato con loro, ed ancora meno il sapere che Haruka se ne stava a briglie sciolte con cacciaviti e chiavi inglesi per le mani. Strafava sua sorella, lo aveva sempre fatto e per i più disparati motivi, poi una volta fattasi male, andava a rifugiarsi in qualche tana per leccarsi le ferite. Perciò armatasi di tutta la scarsa pazienza che madre natura le aveva concesso alla nascita, una volta oltrepassato e chiuso il cancello dello steccato, si diresse alla rimessa con l’intenzione di trascinarla a casa.

”Haruka?” Chiamò mentre una chiave inglese faceva un disgraziato carpiato volando fuori dal portone.

“Porca puttana lurida!”

Giovanna la evitò per puro miracolo. “Ma che sei scema?!”

Non essendosi assolutamente accorta dell’altra, la bionda sobbalzò per la sorpresa. “Ah… sei tu.”

Ah, sei tu, un accidente! Per un pelo non mi fracassavi la testa! Vedi di stare più attenta quando ti prendono i cinque minuti.” Raccogliendo l’attrezzo ed entrando al coperto, se lo pulì sui jeans prima di ridarglielo.

“Scusami. Non ti ho sentita arrivare.” Abbastanza frustrata per l’impossibilità di utilizzare anche il braccio sinistro, riprese la chiave abbandonandola sul telaio del trattore.

“Perché stavi smoccolando tanto?”

Smorfiando il viso la bionda indicò il tutore lasciando che si rispondesse da sola. “Posso immaginare che sia dura, ma l’unica cosa che adesso puoi fare è quella di portare pazienza. Ti aiuterò io con le manutenzioni. Devi solo dirmi cosa fare.”

Sospirando Haruka non rispose. Il non poter lavorare concedeva alla sua mente troppo tempo per pensare e facendolo si ritrovava a colpevolizzarsi e questo, giusto o sbagliato che fosse, non andava bene.

“Hai già avvertito gli stagionali che non ci servono?” Le chiese Haruka dopo qualche secondo.

“In realtà lo sta facendo Michiru. Si è offerta e vigliaccamente ho accettato.”

Uno sguardo duro disegnò il bel viso della bionda, ma non giudicò Giovanna. Poteva capirla. “Sono l’ultima persona che possa dire qualcosa in merito. Se Kaiou si è offerta allora vuol dire che se la sentiva..”

“Si, ma la trovo comunque una cosa ingiusta, ed è per questo che ora andrò a…”

“E’ pronta la cena! Haruka, dai, muoviti!” Il richiamo di Usagi riecheggiò per tutto lo spiazzo nonostante il brontolio di tuoni sempre più vicini.

Le due si guardarono stirando le labbra. Con molta probabilità Minako non si sarebbe fatta viva neanche quella sera, ma almeno sarebbero state in quattro. Uscendo corricchiarono verso casa arrivarono appena in tempo per evitare il primo scroscio d’acqua.

Usagi le lasciò passare richiudendo poi il pesante portone d’ingresso. “Ci sei anche tu? Non ti ho visto arrivare.” Disse la minore sorridendo a Giovanna.

Il cuore di Usagi era così; incapace di rimanere per troppo tempo arrabbiato.

“Vado a lavarmi le mani e arrivo.” Baciandole la fronte la maggiore raggiunse Haruka su per le scale ed una volta infilato qualcosa di pulito, entrarono in cucina trovando Michiru ad aspettarle già seduta a tavola.

“Ben tornate.”

“Sei poi riuscita a chiamare gli stagionali?” Chiese Giovanna crollando sulla sua seduta.

Non avrebbe voluto, ma Kaiou continuò a mentire conscia del fatto che fosse a fin di bene. “Ho ricevuto una telefonata dal mio agente, ed è stata piuttosto lunga. Scusami. Sarà la prima cosa che farò domani.”

“Spero nulla di grave.”

“No, ma devo giustificare il fatto che non stia lavorando.” Rispose mentre Usagi poggiava alla sua destra un invitante piatto da prima portata.

“Ma tu sta lavorando.”

“Si tesoro, ma qui…”

Rimanendo con il mestolo a mezz’aria, la biondina la guardò sbigottita tanto che Haruka continuò spiegandole a cosa stesse alludendo.

“Michiru è una violinista. E’ questo che fà per vivere ed essendo anche piuttosto brava, credo che abbia accanto parecchia gente che lavora con lei. Giusto?” Una domanda retorica visto che una volta che le era stata sbattuta in faccia la verità dalla sua ex, si era fiondata su internet spulciando ogni sito parlasse di Michiru.

Un gridolino stile groupie e Usagi andò in visibilio. “Ma dai, davvero?! Ecco perché ti sei immediatamente innamorata di quel vecchio violino in soffitta!”

“Già.” Confermò la donna alzando il suo piatto.

“Ma so che i musicisti dovrebbero esercitarsi tutti i giorni.” Chiese stupendo l’altra.

“In effetti… credo di essermi un po’ arrugginita.”

“Allora perché dopo cena non ci suoni qualcosa?”

“Usa non iniziare a darle il tormento! E poi lo sai che qui in campagna ci si corica presto.”

“No Haruka, non è un problema, anzi, mi farebbe piacere. Ha ragione, dovrei riprendere ad esercitarmi un po’.”

“Tanto più che prima o poi dovrai far ritorno sul palcoscenico.” Rincarò Giovanna guardando prima Kaiou e poi la bionda, che abbassando la testa prese a mangiare non parlando più.

Era vero, prima o poi Michiru sarebbe dovuta tornare alla sua vita ed il fatto che per la prima volta stesse manifestando la voglia di fare esercizio, non era altro che l’ennesima conferma che con quel posto, quei tralci di vite, la grande dea dell’archetto non c’entrava assolutamente nulla.

Haruka s’incupì. Erano ancora vivide in lei le sensazioni forti che la melodia emessa dalle corde di quel vecchio violino le aveva procurato dentro nell’unica volta che l’aveva sentita suonare e la cosa la urtava. Se lo stava ripetendo da settimane; quello non era il momento per pensare all’amore, ne di provare a capire cosa stesse frullando nel cuore di quella donna tanto tremenda e meravigliosa.

Da sole, nella sua camera da letto mentre stava aiutandola a vestirsi, Michiru le aveva lanciato più di un segnale. Allusioni neanche troppo velate che se fossero venute da un’altra donna, Haruka non avrebbe tardato a raccogliere. Sul terreno di caccia non aveva mai avuto esitazioni di nessun genere ed il suo fascino androgino l’aveva sempre aiutata. Se una donna le piaceva era lei la prima a farsi sotto ed etero o meno che fosse la sua preda, mai nessuna si era lamentata dopo aver conosciuto le sue carezze. Anzi. Ma in quel caso, in quello specifico momento, le cose si erano fatte dannatamente complesse. La storia del suo quarto, la stagione compromessa ed il consequenziale fallimento che l’azienda Tenou avrebbe dovuto dichiarare da li a breve, costringevano un’Haruka ormai stanca di tutto, a tentennare davanti ad una possibile ulteriore sofferenza. Sicura che Michiru non stesse giocando, non poteva però altrettanto esserlo sul fatto che non fosse anche lei caduta vittima di una momentanea infatuazione saffica. Non era più il tempo delle storielle da una sera e via, ne tanto meno da una stagione. Se doveva mettere il cuore in discussione, Tenou lo avrebbe fatto solo ed esclusivamente con una donna che l’amava veramente, che condivideva i suoi stessi progetti di vita, cosa che ora come ora la violinista non sembrava poterle dare.

Nonostante il repentino cambio d’umore della bionda la cena si svolse tranquillamente fino alla frutta, quando il rumore di un motore irruppe nel chiacchiericcio femminile istauratosi attorno alle tendenze musicali del momento.

“Chi può essere a quest’ora?” Chiese Usagi alzandosi da tavola per andare ad aprire alla porta.

“Un rompiballe!” Rispose ferale Haruka cercando faticosamente di sbucciarsi una mela.

“Forse è Mina.” La imitò Giovanna mentre saluti entusiasti arrivavano dall’ingresso e la bionda sbuffava di rimando.

“No, è Kiba.”

Ed infatti un Mamoru bagnato dalla testa ai piedi fece capolino da dietro lo stipite della cucina. “Buonasera.”

“Salve Mamo. Qual buon vento? Vuoi favorire o hai già mangiato?”

“Non preoccuparti Giovanna, ho già cenato grazie. Sono passato nella speranza di potervi parlare un attimo. Lo so che l’ora è indecente per gente come noi.”

“Se lo sai allora potevi aspettare domani.” Ruminando come un bue Haruka lo guardò storto sperando di toglierselo dai piedi, anche se sapeva che quando ci si metteva di buzzo buono, quell’uomo era più fastidioso di una zecca sul dorso di un cane.

“Haru non essere acida!” La rimproverò Usagi.

“No, ha ragione, ma vedete…, domani devo andare in Comune per richiedere delle carte e non posso più convivere con questo macigno nel petto.”

A quelle parole la bionda poggiò il coltello e il frutto nel piatto dandogli la più completa attenzione. Quando Mamoru era così serio aveva sempre paura che ci fosse di mezzo anche la sorellina.

“Siamo tutt’orecchi. Sputa il rospo.”

Un respiro più pronunciato degli altri e l’uomo sparò la cartuccia. “Qualche giorno fa ho parlato con mio padre… E’ lui l’uomo che tutti chiamano Giano. Quello che ha organizzato la tua corsa Haruka e perciò anche quello che attualmente ha le tue quote.”

Usagi e Giovanna sgranarono gli occhi per la sorpresa mentre stranamente Haruka riprese a mangiare svogliatamente la sua mela come se nulla fosse.

“O Mamo, ma come… Ne sei proprio sicuro?”

“Si Usa. - Poi rivolgendosi a Giovanna si scusò mortificato per non essersene accorto prima. - Te l’avevo detto che c’era qualcosa che non andava, ma non avrei mai pensato ad un simile giro.”

Haruka guardò storto la maggiore, ma non commentò. Non le piaceva l’idea che Usagi venisse toccata da quell’uomo e men che mai che Giovanna gli fosse amica. Con il suo branco la bionda era un tipo geloso e possessivo, poco importava che si trattava d’amore o d’amicizia. Riusciva a tollerare Yaten forse solo per il fatto che fosse stato cresciuto da Max e Rose e poi Minako non gli stava sempre incollata addosso come invece stava facendo ora la piccola di casa con il suo principe azzurro.

Toccando il cotone fradicio della maglietta di Mamoru, Usagi gli chiese di togliersela. “Giano o non Giano se non ti togli subito questa roba fradicia ti prenderai un malanno.” E con quei piccoli artigli che erano le sue dita riuscì a sfilar via parte del cotone rivelando al pubblico femminile presente una parte dei muscoli dell’addome dell’uomo.

“Usa, fermati!”

“Non essere sciocco, qui siamo tutti una famiglia.”

“Un cazzo! Io sto ancora mangiando! - Sbottò Haruka scattando dalla sedia arpionandosi il costato. - Usagi, vedi di finirla e tu Kiba, ora che hai detto quello che dovevi puoi anche tornartene a casa!”

Il tono fu talmente imperioso e freddo che la diciassettenne si bloccò immediatamente dimenticando le mani sulla pelle dei fianchi di Mamoru.

Giovanna fu lesta a bloccare immediatamente quella che sembrava in tutto e per tutto una pericolosa energia repressa. “Haru basta così! Hai capito cosa Mamo ci ha appena detto? Suo padre è la testa pensante che da anni controlla le corse clandestine della zona.”

“E allora?”

“Ma cosa ti prende?! Mi sembra una notizia più che grave.” E si alzò da tavola anche lei.

“Per noi non cambia niente!”

“Non intendevo dire questo.”

“Dunque finiscila tu! Quel che è fatto è fatto e chi sia Giano a me non frega un emerito.”

“A meno che tu non lo sapessi già. - Tagliò corto l’uomo. - Non è vero Haru?!”

Con tutti gli occhi dei presenti improvvisamente puntati contro, Haruka si bloccò di colpo mentre lui azzerava la distanza con continuando ad incalzarla. “Questo spiegherebbe tante cose.”

E lei ne sostenne lo sguardo. “A si? Illuminami.”

“Ti conosco da sempre e so quanto tu possa essere gelosa nei confronti delle tue sorelle e ci sta, non lo posso capire perché figlio unico, ma ci sta. Come ci sta che al sapere delle mie prime uscite con Usagi, tu possa aver pensato che vista la disparità d’età, l’avrei fatta solo soffrire. Ma sta di fatto che hai continuato a mantenere una certa calma. Non eri troppo soffocante e se pur controllandoci a distanza, non hai mai interferito più di tanto. Poi, da un giorno all’altro sei diventata peggio di un mastino, non hai più visto in me solo un uomo più grande che stava uscendo con tua sorella, ma un vero e proprio nemico.”

“Conclusione?!” Ringhiò sottile stringendo il pugno destro abbandonato lungo il fianco.

“Tu avevi scoperto i traffici di mio padre ed è per questo che volevi che mi allontanassi da Usagi. E ora mi spiego come tu sia riuscita a farti ammettere alla gara.”

“Haru è vero? Sapevi già che questo Giano fosse il signor Lucas?” Le chiese Usagi.

La bionda non rispose subito, ma rilasciando il tremore che aveva nel pugno tornò a sedersi. Quanto aveva avuto paura che prima o poi nei giri disonesti del vecchio Kiba ci sarebbe andata di mezzo anche sua sorella. E ancora ne aveva.

“Si. L’ho scoperto una sera, mentre me ne stavo per i fatti miei a farmi una passeggiata al crepuscolo. Ed è allora che è successo. Riconoscendo una delle macchine della famiglia Kiba ferma sul ciglio della strada e pensando ad un guasto, mi sono avvicinata aggirando un canneto. Ancora seminascosta ho scorto le sagome di due uomini che lavorano per voi ed una terza, quella di uno del Direttivo della Cooperativa. Oltre a vedere sono anche riuscita a sentire. Il poveretto che stavano prendendo a pugni, doveva una grossa cifra al signor Giano, cifra che non era ancora stato in grado di saldare. Non mi è servito altro per fare tutti i collegamenti del caso.”

“Avresti potuto dirmelo!” Se ne uscì lui alzando improvvisamente il tono.

“Che cosa? Che tuo padre è uno strozzino?! Uno che se non pagato fa spezzare ai suoi le ossa della gente?”

“Ma cosa dici…”

“E si, mio caro Mamoru, mettiamo anche questo all’interno del calderone di profondissima merda che ristagna nella tua famiglia. Tuo padre presta soldi ad usura ai viticoltori della Cooperativa e scusami tanto se non ti ho informato subito, ma sai, avevo un tantito paura per me e le mie sorelle.”

Giovanna rabbrividì al solo pensiero di quanto Haruka fosse stata vicina dall’essere risucchiata in quel vortice.

“Credi che se tuo padre fosse stato una brava persona non avrei accettato l’aiuto che voleva darci la primavera scorsa? Lo so che avete pensato tutti che il mio rifiuto fosse dettato solo dalla spocchia, dalla superbia di credermi chissà chi. Ma guarda un po’, non è così!”

Detto ciò Haruka si sentì improvvisamente meglio. Si era appena tolta un piccolo sasso dalla scarpa. Ne aveva combinate tante negli ultimi tre anni di gestione a capo dell’azienda, scelte che se fosse potuta tornare indietro non avrebbe rifatto, ma per alcune di queste, come per esempio il rifiuto di farsi aiutare dal vecchio Kiba, ne sarebbe sempre andata fiera.

Avvicinandosi alla sua sedia Usagi le mise una mano sulla spalla sorridendole. Quanto si erano scontrate e quanto ci erano state male. Ora la piccola di casa ne conosceva il vero motivo.

Perdendosi in quell’azzurro tanto puro, la bionda alzò il braccio sano accarezzandole una guancia. “Questo è un patto fra sorelle; ci si protegge sempre, anche a costo di non essere capite. Giusto piccoletta?”

“O Haru…” E l’abbracciò forte.

“Va bene, va bene, ma resta il fatto che TU sei ancora minorenne e LUI è troppo vecchio!" Rimarcò la bionda con pudore.

Giovanna interruppe l’idillio chiedendo all’uomo cosa intendesse fare ora che sapeva tutta la verità e nuovamente l’attenzione si concentrò su di lui, che alzando le spalle ammise di non saperlo.

“Se lo denunciassi e Dio solo sa quanto vorrei, tutti i nostri collaboratori rischierebbero il posto di lavoro e questo non deve accadere.”

“Ma non puoi neanche esserne complice!”

“Lo so… Praticamente sono nella merda.” E la risatina isterica che gli uscì dalle labbra spinse Uragi a staccarsi dalla bionda per andare a consolarlo.

Proprio in quel momento il video citofono collegato al cancello trillò sul lato sinistro del portone.

“Più che una masseria, questa sera sembriamo una stazione.” Ci scherzò su Haruka mentre Michiru si alzava per andare a vedere chi fosse.

Conosceva già la risposta, meno di tre ore prima si era attaccata al telefono per questo ed una volta aperto al corriere, nel petto provò una gioia indescrivibile.

“Chi è?” Le chiese la bionda dalla porta della cucina.

“Una raccomandata.”

“Oddio… La banca.” Lamentò Haruka mentre la raggiungeva seguita dagli altri.

Il ragazzo arrivò, consegnò, si fece firmare la ricevuta, ringraziò e si dileguò nella pioggia correndo verso il suo furgone. Un plico giallo, affrancato ed indirizzato alla famiglia Tenou venne girato e rigirato tra le mani scettiche di Giovanna fino a quando un’esasperata Haruka non glielo strappò dalle mani.

“Tolto il dente, tolto il dolore. Tanto peggio di così..." Ed aprendo malamente estrasse una decina di fogli ricchi di bolli e firme notarili.

“Che cavolo è?!” Chiese Usagi mentre man mano che leggeva la fronte della sorella si corrugava sempre più.

“Haru… Allora?” Incalzò anche la maggiore.

“Io non vorrei sbagliare ragazze, ma… questo sembra proprio un atto di cessione.”

“Cessione di cosa?!”

“Guarda, leggi qui.”

“Con la presente si prende atto che il terreno di ettari cento, coltivato a vigneto da produzione, sito in località Bel Vedere, è stato ceduto come proprietà esclusiva…- Giovanna si bloccò un istante raddrizzando la spina dorsale. - … alla signora Haruka Tenou."

“Cosa! - Esplose Haruka prendendo il foglio continuando. - Il presente documento è stato autenticato e registrato in data odierna e presenta gli estremi di ... donazione anonima.”

La bionda ebbe nuovamente tutti gli occhi puntati contro quando, scuotendo la testa, iniziò a balbettare parole senza senso all’indirizzo del vecchio Kiba.

“Brutto bastardo, che cos’è uno scherzo?! Un gioco?! Che sono io, il giochino di un cane da masticare e sputare in giro a proprio piacimento?!"

“Calmati e cerchiamo di riflettere. - Disse Giovanna frastornata. - Credo che qualcuno ti abbia voluto salvarti le chiappe.”

“Haru, allora adesso che i terreni sono nuovamente tuoi non saremo più costrette a dichiarare fallimento?” Chiese Usagi.

“Si. I debiti con la banca rimangono, ma se riusciremo a fare un buon raccolto potremmo galleggiare ancora per un po'. Questa volta credo proprio di aver schivato il proiettile.” Ammise illuminando il volto con un sorriso radioso condito da un anomalo luccichio degli occhi.

“Allora faremo una buona vendemmia! Menomale che non abbiamo bloccato l’arrivo degli stagionali.” Sottolineò con entusiasmo l'altra.

E mentre Mamoru cercava di capirci qualcosa e la piccola di casa se l’abbracciava forte, Giovanna ripensò alla frase appena pronunciata dall’amico, un angelo a guardarti le spalle ed istintivamente guardò verso la violinista che se ne stava composta ad un lato del quartetto.

“Già… E’ stata proprio una fortuna non aver fatto quelle telefonate.” Mormorò socchiudendo gli occhi a quelli altrettanto profondi dell’altra.

 

 

 

 

   
 
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