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Autore: Roscoe24    13/02/2020    3 recensioni
“Non mettere alla prova la mia pazienza, Maryse. Ne ho poca. Molto poca.”
Maryse sospirò.
Era il suo ultimo tentativo, quello. Aveva provato di tutto, negli anni. Magie di ogni tipo, ma nemmeno l’Angelo aveva potuto aiutarla. La sua condizione era irreversibile. Tutti gliel’avevano detto, tranne il libro bianco.
Il Grimorio Proibito aveva detto che dove non arriva la magia angelica, arriva quella demoniaca.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Jace Wayland, Magnus Bane, Maryse Lightwood
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’odore di zolfo fu la prima cosa che colpì le sue narici, non appena arrivarono ad Edom.
La seconda, fu la mancanza di ossigeno e il fatto che ebbe l’impressione che il suo sangue stesse ribollendo nelle vene. Gli sembrava di avere dell’acido corrosivo che passasse per il suo sistema circolatorio, come se improvvisamente il suo cuore avesse cominciato a pompare veleno e non sangue.
Annaspava, e il ricordo della sala grande e la mancanza di ossigeno lo invasero. Lo scenario era diverso, questa volta. Sebbene la sensazione di soffocamento fosse la medesima, intorno a lui adesso c’era l’Inferno. Era diverso da come se l’era immaginato. Aveva sempre avuto una visione dantesca di Edom, immaginandoselo diviso in gironi, con fiamme rosse che partivano da ogni angolo del suolo, e un cielo costantemente nero, tempestoso.
Edom era diverso.
Edom sembrava… normale. Se si esclude il fatto che l’aria non era fatta per essere respirata da un Nephilim e che il suo sangue non riusciva a reggere quell’atmosfera.
Uno schiocco di dita, un lampo di luce blu, e Alec portò la sua attenzione su Magnus, il quale senza dire nulla gli stava porgendo una collana. Era un semplice cordino nero a cui stava attaccato un ciondolo luminoso. Sembrava una pietra trasparente al cui interno era presente un liquido brillante, dal colore indefinito.
Se Alec fosse riuscito a parlare avrebbe chiesto cosa fosse – e Magnus, che aveva imparato a leggere le espressioni delle persone, durante i suoi quattro secoli di vita, sistemò il ciondolo al collo del ragazzo e aspettò che si riprendesse, prima di dargli una spiegazione. 
“Serve per proteggerti, come puoi notare. Dentro a quel ciondolo c’è un mix del mio sangue e della mia magia. Finché lo avrai addosso, starai bene.”
Alec riprese fiato, respirando a pieni polmoni la stessa aria che prima lo faceva soffocare. Il ciondolo funzionava. In altre circostanze, avrebbe persino ringraziato lo Stregone, ma visto che l’aveva praticamente rapito e separato dalla sua famiglia con il solo scopo di ferire sua madre, Alec decise di non dire niente.
Spostò persino lo sguardo, tornando a guardare Edom.
Era diverso da Idris, non c’erano un lago mistico o boschi dove si nascondevano le più antiche famiglie di licantropi. Non c’era un villaggio, o qualcosa che facesse presumere che in quel luogo ci fosse della vita. Ma c’era una grossa distesa d’erba, talmente infinita che metteva angoscia. Era come guardare il nulla, l’assenza totale. L’aria era pesante e il cielo violaceo non aveva sole che aiutasse a conferire a quel colorito un aspetto più naturale, come se si stesse avvicinando il tramonto, o l’alba. Non c’erano sfumature che facessero presagire la presenza di una qualche luce, era semplicemente violaceo. E aveva qualche nuvola sporadica che lo rendeva meno statico, ma pur sempre innaturale.  
A parte questo, Edom sembrava un posto normale, ma nella sua normalità riusciva a trasmettere l’angoscia delle terre desolate.
“È diverso da come te lo descrivono, vero?”
Alec non rispose.
“Ti stuferai di questo giochetto del silenzio, Nephilim. Presto ti renderai conto che sono l’unica cosa che ti è rimasta.”
Non è vero, mi è rimasta anche la possibilità di morire. Ma questo Alec non lo disse. L’aveva messo in conto, comunque, non appena aveva messo piede in quel luogo. Se non avesse trovato un modo per tornare a casa, avrebbe strappato la collana che aveva al collo e avrebbe fatto sì che Edom lo uccidesse.
Davanti al silenzio risoluto di Alec, Magnus perse la pazienza e abbandonò ogni tentativo di comportarsi da buon padrone di casa. Perché doveva farlo, poi? Aveva davanti un Nephilim, uno Shadowhunter, e Magnus non doveva assolutamente niente a quelli della sua razza.
“Fai come vuoi,” sbottò, quindi. “Andiamo, voglio tornarmene a casa.” Si incamminò senza assicurarsi se il Nephilim lo seguisse oppure no.
Alec ponderò la possibilità di scappare.
Scappare, dove? Lo circondava solamente il nulla e solamente un portale l’avrebbe aiutato a fuggire di lì.
Di conseguenza, pensò che almeno per il momento la cosa giusta da fare era seguire lo Stregone – e così fece.
Camminò dietro di lui, in silenzio, continuando a cercare dettagli che avrebbero potuto aiutarlo ad orientarlo in una sua futura fuga, ma niente. In quel luogo non c’era niente. Solo erba.
Era. Tutto. Uguale.
“Da perdere la testa, non è vero?”
Alec tornò a guardare Magnus. Non si era accorto che si era fermato e voltato verso di lui, troppo concentrato a guardare ciò che lo circondava.
“L’ho creato io così. Ho modificato l’essenza di Edom.”
Alec non riuscì a stare zitto, questa volta, trovandosi a chiedere istintivamente: “Perché?”
Magnus tirò le labbra all’interno della bocca per trattenere un sorriso. A quanto pare la curiosità era una chiave per raggiungere il muro invalicabile fatto di silenzio e occhiatacce.
Ancora, perché ti importa?
Non gli importava. Voleva solo divertirsi un po’.
“Perché il fuoco e le eruzioni vulcaniche mi avevano stufato. Era tremendamente banale che Edom avesse del fuoco, e io sono tutto fuorché banale, quindi… un prato.”
Alec annuì, tornando al suo silenzio. Osservò ancora una volta il paesaggio. In lontananza non si vedeva nemmeno una montagna, o una collina. Era qualcosa di immutabile, eterno. Qualcosa che poteva rispecchiare la natura di uno Stregone.
“Sembra che tu l’abbia creato a tua immagine e somiglianza.” Disse, senza nemmeno sapere perché stava parlando. “Questo luogo non cambia mai. È sempre tutto uguale. Come te. Nemmeno tu cambi mai.”
“Mi credi così megalomane?”
“I tuoi comportamenti fanno pensare che tu lo sia.” Gli occhi di Alec si posarono sulla figura di Magnus. “Lo sei?”
Lo Stregone emise una risata di scherno, “Vuoi psicanalizzarmi, ragazzino?” Lo derise, mettendosi sulla difensiva. “Smetti di cercare troppe risposte dietro ad una mia decisione, dettata più che altro dalla semplice noia.”
“Quindi è così che fai? Ti annoi e di conseguenza crei qualcosa che faccia perdere la testa?” Chiese Alec, usando le stesse parole usate poco prima da Magnus. E, ancora, il Cacciatore davvero non si capacitava di come mai non riuscisse più a stare zitto. Detestava ciò che Magnus aveva fatto a sua madre, detestava Magnus, e detestava dover parlare troppo eppure… non riusciva a chiudere la sua boccaccia. “Qualcosa che possa provocare panico? Perché è tutto così vasto, senza nemmeno un dettaglio. Non c’è un punto di orientamento, non una via d’uscita, ma nemmeno un’entrata. È una trappola gigantesca. Hai creato il nulla. E il nulla fa paura. Vuoi creare paura.”  
“Adesso BASTA!” Gridò Magnus, e i suoi occhi si accesero di un giallo più intenso. La sua voce rimbombò come un tuono ed echeggiò nella vastità di quel luogo, facendo tremare l’aria e la terra sottostante. “Torna al tuo gioco del silenzio. È sicuramente meno stressante di sentirti fare domande stupide.”
“Io non sono stupido.” Affermò Alec, che non si lasciò intimorire da quella reazione. Non gli provocò paura, ma gli diede solo un accenno del potere che aveva Magnus. La sua magia era immensa, se un suo solo scoppio d’ira era talmente forte da riuscire a scuotere Edom. Chissà cosa era in grado di fare, con tutto quel potere. Alec accantonò quella curiosità, appuntandosi piuttosto quel dettaglio, inserendolo nella lista delle caratteristiche del suo nemico. Perché di questo si trattava. Magnus era un nemico e non perché fosse un Nascosto, ma semplicemente perché era stato meschino, l’aveva rapito e aveva goduto nel veder supplicare sua madre.
Magnus gli riservò un’occhiata furente e si voltò di nuovo, incamminandosi verso una direzione ad Alec sconosciuta.
Al Cacciatore non rimase altro da fare che seguirlo.





Alec non avrebbe saputo dire quanto fosse durata la sua passeggiata per Edom. Di certo, era stata abbastanza lunga e silenziosa.
Dopo la sua esplosione, Magnus non aveva più detto niente e ad Alec era andata bene così. Nemmeno lui voleva conversare con qualcuno che aveva provocato scompiglio e dolore nella sua famiglia.
Per un attimo si chiese come stessero andando le cose all’Istituto, come stessero i suoi fratelli, cosa provasse sua madre. Pensò a suo padre, allo sguardo che le aveva riservato quando lei si era messa a spiegare il perché delle sue azioni. Sembrava deluso e arrabbiato. Sicuramente avrebbero litigato. Lo facevano così spesso, ultimamente, che Alec non ricordava l’ultima volta che si erano rivolti una parola gentile. E ad ogni lite, Robert reagiva lasciando l’Istituto, rifugiandosi ad Idris con la scusa di dover fare qualcosa per ordine del Clave, e la sua permanenza alla Città Celeste durava sempre di più. All’inizio erano sempre stati solo pochi giorni, adesso erano diventate settimane intere.
Alec si era chiesto, più di una volta, se si amassero ancora, se avessero ancora il desiderio di passare la vita insieme. E spesso e volentieri si era risposto che, probabilmente, no, non si amavano più, ma continuavano a stare insieme per lui e i suoi fratelli, o per mantenere intatto quell’aspetto di famiglia modello che tanto piaceva al Clave.
Non gli piacevano certe regole del Clave. Non capiva perché dovevano essere così rigidi. Impedivano categoricamente l’amore tra parabatai – e Alec non capiva perché. Non che l’avesse mai sperimentato sulla sua pelle, ma…se qualcuno era stato così fortunato da trovare l’anima gemella nel proprio parabatai, che c’era di sbagliato?
Un parabatai è la persona che ti conosce meglio al mondo, una persona fidata, un migliore amico. Se da ciò nasceva l’amore perché impedirlo?
E perché impedire e vietare l’amore tra due persone dello stesso sesso?
Alec deglutì a quel pensiero. La paura di dire la verità l’aveva sempre sopraffatto, proprio perché era consapevole che se avesse ammesso di provare attrazione per i ragazzi, quelli del Clave l’avrebbero punito.
Con la derunizzazione, magari. E Alec sapeva che se gli avessero tolto le sue rune, lui avrebbe perso se stesso. Non sapeva cos’altro potesse essere, se non un Cacciatore.
Non aveva detto a nessuno la verità. Nemmeno ad Izzy e a Jace, e di solito a loro diceva tutto. Aveva solo… paura che potessero cambiare idea su di lui, guardarlo in modo diverso.
E di certo non l’avrebbe mai detto ai suoi genitori, che ne sarebbero rimasti delusi – soprattutto suo padre, che mirava a farlo sposare con una ragazza di buona famiglia, magari appartenente ad una importante cerchia politica.
Alec si era sentito solo più volte di quante gli piaceva ammettere, per via di questo suo segreto. Non si era mai innamorato, non aveva mai avuto esperienze di quel tipo, a differenza di Jace ed Izzy che in quanto ad esperienza erano simili a dei veterani.
Alec non era mai riuscito a lasciarsi andare, vergognandosi troppo della verità – sebbene provasse anche una sorta di rabbia nei confronti di quelle leggi che lo facevano sentire in imbarazzo, o sbagliato, per essere quello che era.
Aveva sentimenti contrastanti. C’era una parte di lui che avrebbe voluto ribellarsi, gridare ad alta voce fino a farsi male alle corde vocali, distruggere la gabbia dorata in cui era prigioniero. Un’altra parte di lui, invece, trovava che quella gabbia, dopotutto, non fosse poi così tanto stretta, o scomoda. Quella era la parte di sé che veniva dominata dalla paura. E nemmeno una runa del coraggio sarebbe riuscita a cancellare quell’emozione.
E, per quanto fosse triste ammetterlo, quella era la parte di sé che vinceva sempre.
“Siamo arrivati.”
La voce di Magnus interruppe il filo dei suoi pensieri. Alec alzò la testa, notando che si trovavano nei pressi di una specie di castello. Era bellissimo, questo doveva ammetterlo. Sembrava una reggia medievale, senza ponte levatoio, però.
C’era una grossa porta di legno di mogano, alta più di tre metri. Alec si chiese se fosse necessario, ma poi si rispose che molto probabilmente lo era, dal momento che quasi sicuramente una varietà di demoni faceva visita al loro Re – e alcuni di loro erano davvero alti, Alec lo sapeva bene.
La facciata del castello era in pietra nera e conferiva all’intera struttura una certa importanza. Alec era convinto che quella scelta architettonica da parte di Magnus servisse per incutere un certo timore reverenziale nel cuore di chi la osservava. Sembrava fosse stata costruita di proposito per far capire fin da subito chi fosse il Sovrano, chi è che comandava in quel luogo dimenticato da Raziel e creato da Lilith.
Chissà se l’avrebbe mai incontrata, la Regina di Edom. Chissà se Magnus l’aveva mai incontrata.
Non doveva interessargli.
“Entriamo.” Magnus ruotò il polso in un gesto quasi incurante. Scintille di luce blu fuoriuscirono dalle sue dita e la porta si aprì magicamente.
“Ti direi benvenuto, ma non so quanto questo possa essere vero.”
“Puoi sempre rispedirmi indietro, se non mi vuoi qui.”
“Bel tentativo, zucchero, ma non è così che funziona.”
Alec provò un profondo imbarazzo per quel nomignolo e pregò che Magnus non se ne accorgesse. Non sapeva nemmeno perché il suo viso stava prendendo fuoco in quel modo e decise comunque di non rimuginarci troppo.
Distolse lo sguardo dallo Stregone e lo fece vagare per la stanza in cui erano appena entrati. La porta si chiuse con un colpo secco alle loro spalle, ma Alec lo percepì appena. Era troppo concentrato sulla bellezza di quell’ingresso, sull’eleganza che emanava. Il pavimento era in marmo bianco, venato di nero. Le colonne portanti al centro di quella stanza stavano ai lati di una scala che si incurvava leggermente a destra. Tutto era di marmo. Tranne i muri, ovviamente. Quelli erano in pietra ed erano ricoperti di quadri. Alec non li conosceva tutti, ma tra il mucchio riconobbe la mano di Dalì e Monet.
Si domandò se fossero delle copie o se Magnus avesse trovato il modo di compiere il furto degli originali e passare inosservato, ma si rispose anche che non erano affari suoi. Sebbene l’ipotesi del furto lo irritasse parecchio, decise di accantonare quella sensazione in un angolo remoto di sé.
Tutta quella stanza era bellissima e… elegante. Sembrava un luogo mistico, quasi antico, ma moderno allo stesso tempo. Come fosse possibile che riuscisse a dargli quell’impressione, Alec non lo sapeva, ma era così.
La sua attenta analisi della sua prigione – perché di questo si trattava dopotutto, per quanto bella potesse essere – fu interrotta da un movimento che percepì all’altezza delle caviglie. Sussultò, pronto a reagire, ma tutto si sarebbe aspettato fuorché un gatto.
Un gatto. Ad Edom.
Era assurdo. Eppure, le sue fusa riempivano la stanza e rimbombavano tra le pareti, mentre si strusciava ad Alec. Il ragazzo non riuscì a resistere e si chinò all’altezza dell’animale. Aveva gli occhi gialli, uguali a quelli di Magnus, e il pelo grigio, striato di un grigio più scuro sulla testa e sulla schiena.
Allungò una mano verso il musetto dell’animale, che continuava a guardarlo e a fare le fusa.
“Io non lo farei se fossi…”
Alec ignorò Magnus e accarezzò la testa del gatto, che si spinse verso di lui come per fargli capire che quella era una coccola gradita. Emise un miagolio soddisfatto che fece sorridere Alec.
“…In te,” Magnus terminò la frase, ma la sua voce risultò quasi impercettibile. Alec riuscì a sentirlo solo perché erano circondati dal silenzio.
Si voltò verso di lui, dopo aver preso in braccio il gatto ed essersi rimesso in posizione eretta.
“È strano,” Commentò lo Stregone, guardando quella stramba accoppiata. “Presidente non si fa mai toccare da nessuno, tranne me.”
Alec alzò lo sguardo dal gatto per portarlo su Magnus. “Il gatto si chiama Presidente?”
“Presidente Miao.” Specificò.
“È un nome ridicolo. Senza contare che dal sovrano di Edom mi sarei aspettato un nome più minaccioso, tipo Cerbero.”
“Cerbero era un cane a tre teste. Se devi fare l’arrogante, almeno non fare commenti a casaccio.” Disse Magnus, riflettendo nel suo tono la stessa acidità usata da Alec.
Tipo suggerisce un esempio, qualcosa di diverso che richiami ad una situazione simile.” Ribatté Alec. Alzò il gatto e lo indicò con gli occhi. “Qualcosa di diverso,” Enfatizzò, prima di riappoggiarselo al petto, “Situazione simile,” Puntualizzò ancora, guardando prima Magnus e poi la reggia intorno a loro. In pratica quel piccolo insolente stava paragonando Magnus ad Ade. E credeva che l’unica differenza tra di loro fosse la scelta del personale animale domestico. Lui aveva scelto un gatto, mentre Ade un cane. Magnus lo trovò irritante.
“Metti a terra il mio gatto, Nephilim. E vieni di sopra. Avrai una stanza per te.”
Alec appoggiò Presidente a terra e gli lasciò un’ultima carezza sulla testa, prima di osservarlo andare via. Si rivolse di nuovo a Magnus. “La stanza più piccola nella torre più alta e fredda? Come un vero prigioniero?” commentò, pungente.
Magnus lo trovava davvero insopportabile. “Non tentarmi.” Non aggiunse altro. Si limitò semplicemente a salire le scale. E Alec, per la seconda volta in quel giorno, si trovò a seguirlo senza dire una parola.

 

La stanza in cui lo portò Magnus era enorme e un po’ troppo sfarzosa, per i gusti semplici di Alec, ma doveva ammettere che era bellissima.
Una bellissima prigione in cui avrebbe passato il resto della sua vita. Tutto quello spazio lo faceva agitare. Preferiva di gran lunga la sua stanzetta all’Istituto, minimalista e semplicissima.
Quella stanza, che aveva persino un terrazzo che dava esattamente su Edom, trasmetteva lo stile di vita a cui era abituato Magnus: lusso sfrenato e appariscenza. Niente dell’arredamento passava inosservato. Dall’enorme letto al centro della stanza, con le lenzuola di seta viola e un piumino dello stesso colore, ai troppi cuscini situati su di esso, che variavano da una tonalità di viola all’altra; all’enorme poltrona che stava vicino alla finestra. L’armadio, addossato alla parete alla sua destra, era il più grande che Alec avesse visto, con ante scorrevoli a specchio. Il suo sguardo si posò sulla sua figura riflessa in esso per un attimo: indossava ancora gli abiti che Izzy aveva scelto per lui – si era persino dimenticato di averli addosso – e improvvisamente il suo compleanno gli sembrava così lontano da risultare in un’altra vita, qualcosa che non avrebbe mai rivissuto. E improvvisamente, sentì di aver sprecato tutte le occasioni che aveva avuto per essere felice, per godersi momenti che aveva dato per scontato e che, adesso, non gli sembravano più tanto scontati.
Nessuno si sarebbe più preso la briga di fare qualcosa di gentile per lui.
Non avrebbe più sentito la risata di Isabelle, o le battute idiote e inappropriate di Jace. Non avrebbe più ascoltato le curiosità più strane che Max gli comunicava non appena le imparava. Non avrebbe più sentito la voce di sua madre, o di suo padre.
Cose semplici, che avevano sempre fatto parte della sua vita, che erano state così normali per lui da non capire quanto in realtà fossero importanti.
Distolse lo sguardo da sé – e mai come in quel momento aveva odiato guardare il suo riflesso, vedendo nello specchio il ragazzo che aveva avuto una vita che adesso non gli apparteneva più. Ebbe la sensazione di sentire gli occhi bruciare e li abbassò sui suoi piedi, cercando di tenere a bada le lacrime che sentiva crescere insieme al groppo in gola. Non voleva piangere davanti a Magnus. L’aveva fatto pochissime volte, in vita sua, e mai di fronte a qualcuno e di certo se era destinato a farlo anche quella volta non l’avrebbe fatto davanti ad un uomo crudele e meschino come Magnus, che avrebbe usato il suo momento di debolezza per infierire ancora di più su di lui – come se aver distrutto la sua famiglia non fosse già abbastanza.
Provò una rabbia profonda per quell’uomo, un moto d’ira quasi incontrollabile che l’avrebbe spinto a provare persino ad ucciderlo, se solo la ragione non gli avesse ricordato all’ultimo che era debole in quella dimensione dove le rune non funzionavano, e disarmato.
Alec ebbe la sensazione di sentirsi crollare il mondo addosso. Era in trappola. Non aveva una via d’uscita. La stanza era enorme eppure gli dava la sensazione di schiacciarlo sempre di più, fino a soffocare.
Era il principio di un attacco di panico – e di solito, quando riconosceva i sintomi iniziali, prendeva il suo stilo e lo passava sopra alla runa della calma, ma adesso si trovava nello stramaledettissimo Edom, il suo stilo non c’era e il suo attacco di panico non poteva essere fermato. Lo sentì crescere. Sentì la bocca diventare arida, mentre cercava di prendere aria. Non ci riusciva. Ad ogni respiro, aveva l’impressione che qualcuno gli puntasse un asciugacapelli in gola, mentre spara aria calda.
Annaspava, come se improvvisamente fosse stato circondato da acqua.
Aria.
Gli serviva aria.
Corse immediatamente verso la finestra, spalancandola. Si appoggiò alla ringhiera del terrazzo, era fredda, perché ovviamente era fatta di pietra come il resto dell’esterno del castello.
Guardò giù, verso il basso. Era in alto. Così in alto che sarebbe bastato un piccolo salto e avrebbe fatto un volo necessario a porre fine alla sua vita. E alla sua prigionia.
CODARDO! Gli strillò una voce nelle orecchie e suonò così cattiva, così pungente, ma allo stesso tempo così vera, che d’istinto si tappò le orecchie.
CODARDO! UN VERO GUERRIERO NON SI ARRENDE!
Era vero. Porre fine alla sua vita avrebbe significato arrendersi. E lui non avrebbe dovuto avere pensieri simili.
DEBOLE! SEI UNA VERGOGNA!
La voce aumentava, gridava sempre di più e Alec premeva sempre di più le mani contro le orecchie per non sentirla più. Ma la voce continuava. Gridava forte, fino a fargli vibrare i timpani.
Si accasciò a terra, chiuse gli occhi e premette maggiormente le mani contro le orecchie.
“BASTA! BASTA!” gridò, in preda alla disperazione.
Due mani si posizionarono salde e ferme su di lui. Una presa all’altezza dei suoi polsi lo fece sussultare. D’istinto, aprì gli occhi.
Magnus si era chinato alla sua altezza e lo stava guardando con i suoi occhi felini. In altre circostanze, Alec ne avrebbe notato la particolare luminosità, la loro peculiare bellezza. Ma adesso… era solo preoccupato di quello che avrebbe fatto lo Stregone vedendolo così fragile.
Due lampi di luce blu lo costrinsero a distogliere lo sguardo dalle iridi di Magnus. Osservò la magia partire dalle sue mani, ancora strette intorno ai suoi polsi. Provò a liberarsi da quella presa, ma Magnus non glielo permise. Lo strinse fino a quando la magia non raggiunse Alec. La percepì chiaramente scorrergli nelle vene e… calmarlo.
La magia di Magnus lo stava calmando.
All’improvviso il suo respiro stava tornando piano piano regolare, il suo cuore aveva smesso di martellare nel petto ad una velocità così disumana da rischiare di esplodere.
E la voce… la voce era sparita.
Magnus si accorse del suo attuale stato d’animo, quindi lasciò i suoi polsi e Alec tolse le mani dalle orecchie.
Era confuso, spaesato e imbarazzato. Si era fatto vedere debole da Magnus, ma questi sembrava non voler usare la cosa contro di lui. Se ne stava in piedi, a fissarlo in silenzio.
Alec si alzò. “Perché l’hai fatto?” la sua voce era un sussurro. Non c’era accusa in essa, solo…curiosità. L’aveva aiutato, dopo averlo strappato alla sua famiglia, perché?
“Edom riesce ad avvelenare il cuore. La magia di cui è fatto amplifica le nostre paure, le nostre insicurezze. Se non ci sei abituato, ti entra dentro facilmente e ti riduce a pezzi.” Magnus lo guardò. Alec provò una strana sensazione, sotto quello sguardo, quasi come se lo Stregone lo stesse studiando, come se si stesse assicurando che non avrebbe fatto niente di stupido.
“Era così reale…” Sussurrò di nuovo Alec, più a se stesso, in realtà, ma Magnus annuì comunque.
“Edom è l’Inferno, e l’Inferno è ingannevole.” L’uomo afferrò i polsi di Alec per una seconda volta e quando il ragazzo fece per sottrarsi di nuovo a quel contatto, Magnus lo strinse come la prima volta per non farlo sgusciare via. “Devo controllare le bruciature.”
Alec non capiva. Perché si stava comportando in quel modo, con lui? Perché sembrava si preoccupasse? Non aveva alcun senso.
“Perché?” Decise di domandargli, dunque, mentre Magnus esaminava i suoi polsi. La pelle diafana era bruciata dove le mani di Magnus l’avevano toccato. La magia così ravvicinata aveva fatto sì che i lampi di luce blu abbrustolissero la pelle – e adesso Alec aveva cinque dita stampate in ogni polso.
Magnus non gli rispose. Fece un incantesimo per curare le bruciature e poi, dopo aver esaminato il suo operato, alzò gli occhi sul Cacciatore.
“Vai a dormire, Nephilim. È stata una giornata lunga.” Si allontanò da lui, rientrò dentro e con un ultimo, fluido, movimento di polso fece comparire dei vestiti nell’armadio e alcuni piegati sul letto. Non si voltò indietro a controllare Alec, si limitò semplicemente ad uscire da quella stanza e a chiudersi la porta alle spalle.
Alec, rimasto solo, decise di rientrare. Sul letto, Magnus gli aveva lasciato un pigiama grigio scuro. Non lo indossò. Si limitò semplicemente ad appoggiare la schiena al muro che stava vicino alla finestra e a scivolare fino a che non raggiunse il pavimento, sedendosi.
In quella posizione, rimasto finalmente solo, Alec si concesse quel pianto silenzioso che aveva trattenuto per tutta la giornata.





*


“Perché l’hai fatto?”
Quella domanda continuava a tormentarlo.
Il modo in cui la sua voce si era incrinata, il modo in cui i suoi grandi occhi l’avevano guardato.
Magnus era tormentato da quel singolo attimo, dalla semplicità con cui la domanda era rotolata fuori dalla lingua del Nephilim.
Perché l’aveva fatto?
Non lo sapeva nemmeno lui. Sarebbe stato decisamente più facile lasciare che Edom lo facesse impazzire, che lo portasse a distruggere i suoi limiti e lo spezzasse fino a fargli compiere gesti estremi.
Ma c’era stato qualcosa, nella sua voce, nel modo disperato in cui si era tappato le orecchie che l’aveva fatto muovere d’istinto.
Per un singolo attimo, non aveva più visto un Nephilim, ma soltanto un ragazzo.
Un essere umano, pieno di insicurezze e… fragile. La fragilità è una cosa che rende gli esseri umani… umani. È come se fossero fatti di vetro. Basta una leggera ferita e si scheggiano, o vanno in pezzi quando un dolore più forte colpisce le loro vite. Hanno insicurezze, hanno timori, paure, che riescono a radicarsi così a fondo nei loro cuori e nelle loro menti, da arrivare persino a spezzarli.
Gli esseri umani si frantumano. Spesso è la vita a farlo, spesso arrivano a farlo da soli. La loro mente è la loro peggior nemica, in alcuni casi.
Sua madre era umana. E aveva così tanti demoni, in testa, che erano riusciti a vincere. Si era tolta la vita perché non sopportava la verità. Perché non era riuscita ad amare Magnus abbastanza, perché non riusciva ad accettare la sua natura.
Un dolore rabbioso si formò all’altezza del suo cuore, come sempre quando pensava a lei.
Una parte di lui la detestava per averlo abbandonato, per non averlo amato abbastanza, ma un’altra parte di lui, tendeva a colpevolizzarsi per non essere riuscito a salvarla, per non aver capito prima i segnali ed essere intervenuto. Se solo ne avessero parlato, forse, avrebbe potuto aiutarla – avrebbe potuto farle capire che le voleva bene, e che la sua natura demoniaca non avrebbe mai cambiato ciò.
E forse era anche per questo che aveva aiutato il Nephilim.
Per quel breve attimo in cui era riuscito a cogliere la sua fragilità, anche quella di Magnus era riemersa, e con essa anche la parte umana di sé che lo Stregone si impegnava a soffocare ogni giorno.
Erano stati entrambi solamente umani per una frazione di secondo – e quel minuscolo lasso di tempo era servito a calmare il ragazzo, a farlo tornare in sé, a zittire i suoi demoni, qualsiasi essi siano.
E Magnus non riusciva davvero a trovare una spiegazione a questa sua reazione. Erano secoli che il suo lato umano non emergeva e poi bastava guardare un Nephilim per trenta secondi mentre ha un attacco di panico e quello si faceva prepotentemente strada in lui, zittendo testardamente la sua parte demoniaca.
Perché l’hai fatto?
Un momento di debolezza, suppose Magnus. Avrebbe fatto in modo che non succedesse più.
Sospirò, sentendosi improvvisamente stanco. Osservò la sua stanza, il suo letto vuoto. Con uno schiocco di dita indossò il suo pigiama di seta verde e scostò le coperte.
Una volta coricatosi, fissò il soffitto. Era stato un momento di debolezza, continuava a ripetersi. Non sarebbe accaduto mai più. Ne era certo.





*




Alec non chiuse occhio. Nonostante la stanchezza, non ci riuscì. La sua mente era un vulcano di pensieri che non riusciva a zittire.
Voleva andarsene di lì, ma sapeva che non era possibile, che Magnus non gliel’avrebbe mai permesso. E non voleva rischiare che se la prendesse con la sua famiglia.
La sua famiglia… sentiva la loro mancanza in modo viscerale. Non si sarebbe mai abituato all’assenza che avevano lasciato nel suo cuore, come se qualcuno gli avesse scavato un buco profondo, incapace di rimarginarsi.
Non incolpava sua madre per la sua scelta. Se lei non l’avesse fatta, Alec e i suoi fratelli non sarebbero al mondo – e magari Jace non sarebbe stato accolto da nessuno, dopo la guerra.
Magari l’Angelo, o chi per lui, aveva deciso che Maryse non doveva avere bambini, ma lei aveva fatto come Lucifero, si era ribellata per riprendersi il suo libero arbitrio, il suo diritto di scegliere ed era diventata ciò che Raziel le aveva impedito di essere. Una madre.
E magari, proprio per questo, esattamente come Dio aveva punito Lucifero cacciandolo dal Paradiso, Raziel aveva punito Maryse, attraverso Magnus, mandando Alec all’Inferno.
Non si pentiva della sua scelta. Se il suo destino era stato scritto per far sì che lui finisse i suoi giorni ad Edom, a lui stava bene, purché servisse a tenere al sicuro la sua famiglia. L’avrebbe fatto altre cento, duecento volte. Aveva solo paura di non essere forte abbastanza per sostenere l’intera situazione. E la voce che gli aveva gridato nelle orecchie solo qualche ora prima ne era la conferma.
Alec era sempre stato pieno di dubbi, in vita sua. Aveva sempre avuto il timore di non essere all’altezza delle aspettative. Aveva sempre avuto paura di non essere abbastanza bravo in battaglia, o non abbastanza intelligente, abbastanza scaltro, abbastanza buono… di non essere abbastanza, in tutto.
Si rannicchiò su se stesso, circondando le gambe con le braccia e appoggiando la fronte alle ginocchia. Doveva reagire, piangersi addosso non l’avrebbe portato via da quel luogo infernale. Doveva avere un piano e prima di tutto avrebbe fatto in modo di studiare quell’ambiente a lui sconosciuto.
Sicuramente doveva esserci una biblioteca in quell’enorme palazzo. Alec si alzò in piedi, barcollando, visto che gli si erano addormentate le gambe. Osservò per un secondo il pigiama intatto e piegato sul letto, diede un’occhiata ai vestiti nell’armadio. Costatò con suo grande sollievo che erano tutti neri. Avrebbe potuto cambiarsi, togliersi di dosso gli abiti del giorno prima, che ormai erano sgualciti e sporchi, ma non lo fece. Gli sembrava una cosa superflua da fare, quando ne aveva una molto più importante in programma: trovare un modo per salvarsi. Essere coraggioso e affrontare ogni situazione senza paura, come gli era sempre stato insegnato.
Era uno Shadowhunter, dopotutto, ed era determinato a comportarsi come tale.






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Ciao a tutti!
Ecco il secondo capitolo, che non è quello conclusivo. Scrivendo mi sono resa conto che potrebbe venir fuori una mini-long, se esiste questo termine, di non so ancora quanti capitoli. Potrebbero essere tre, come di più, non lo so. Il fatto è che, per come voglio far finire la storia, mi sembra che ci sia bisogno di qualche capitolo in più che serva a sviluppare la crescita e l’evoluzione dei personaggi e che due capitoli non erano sufficienti per questo. Ora, con ciò non voglio assolutamente darmi delle arie o insinuare che verrà un capolavoro, anzi tutto il contrario. Questa storia nasce da un’idea che mi è balenata dopo aver visto un video e, onestamente, è in fase di progresso mentre scrivo, quindi molte delle cose che leggete sono improvvisate sul momento xD
Non so se c’è qualcuno tra voi lettori che sta seguendo anche l’AU che sto scrivendo, ma se così fosse il caso, vorrei dirvi che il fatto che stia scrivendo questa non significa assolutamente che abbandonerò l’altra – magari ci saranno solo dei ritardi, di cui mi scuso già.
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate di questo capitolo, o della storia in generale per adesso – cosa pensate dei personaggi, se li trovate OOC o meno, cose così! Qualsiasi commento è ben accetto!
Vi saluto e vi ringrazio per aver letto la storia, averla messa nelle preferite/seguite/ricordate e ringrazio chi ha trovato il tempo per commentarla, mi fa molto piacere!
Alla prossima, un abbraccio! <3

 
   
 
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