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Autore: Moonfire2394    13/02/2020    0 recensioni
I genitori di Leona e Gabriel vengono uccisi brutalmente da un trio misterioso di vampiri in cerca delle mitiche "reliquie". Dopo il tragico evento, verranno accolti al campo Betelgeuse, un luogo dove quelli come loro, i protettori, vengono addestrati per diventare cacciatori di creature soprannaturali. In realtà loro non sono dei semplici protettori, in loro alberga l'antico potere dei dominatori degli elementi naturali: imedjai. Un mistero pero' avvolge quell'idilliaco posto e il subdolo sire che lo governa: le strane sparizioni dei giovani protettori. Guidata dalla sete di vendetta per quelli che l'avevano privata dei suoi cari, Leona crescerà con la convinzione che tutti i vampiri siano crudeli e assetati di sangue. Fino a quando l'incontro con uno di loro, il vampiro Edward Cullen, metterà sottosopra tutto quello in cui ha sempre creduto facendo vacillare l'odio che aveva covato da quando era bambina. Questo incontro la porrà di fronte a una scelta. Quale sarà il suo destino?
Una storia di avventura, amicizia e giovani amori che spero catturi la vostra attenzione:)
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Precedente alla saga
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Capitolo 11 – Edna

Osservai quei cerchi concentrici incresparsi fino a perdersi nel nulla, come se non fossero mai esistiti, come se quel sassolino non avesse turbato la  perfezione della superficie del fiume.
Lo invidiai. Avrei voluto poter dire lo stesso di me ma ogni singolo attimo della mia vita lasciava profonde cicatrici e niente tornava più come prima.
Mi arrampicai sul supporto di legno per poi accomodarmi sulla ringhiera del ponte.
I passi leggeri di qualcuno fecero cigolare il pavimento. Fabiano aveva preso posto al mio fianco.
“Hai visto la classifica?”
“Già. Terzo posto: niente male, eh? Non capisco comunque come sia rientrata nella fazione rossa e Gabriel insieme a Caterina no. Non so tu ma direi che, per una che ha perso un braccio e che per la metà del tempo se l’è fatta sotto, è più di quanto potessi aspirare”.
 “Tu hai guidato alla battaglia sei ragazzini di sette anni che non avevano niente in comune fra di loro e li hai spinti a combattere per la salvezza comune e credi di non meritarti il pieno punteggio? Nemmeno il migliore condottiero riuscirebbe in una tale impresa”.
“Non lo so, forse ho solo avuto fortuna a trovare le parole giuste”.
“Quella è tutto fuorché fortuna. Hai toccato i loro cuori, gli hai dimostrato che avresti dato te stessa, che tu saresti stata la prima a mettere in gioco la tua vita per difenderli. Per questo ti hanno seguito”.
Le sue lusinghe mi imbarazzavano un po’. Non ero abbastanza forte da fronteggiare la sua disarmante sincerità.
“E’ stato parecchio umiliante” - confessai.
“Come fai a scherzare su una cosa del genere?”.
“Perché è così che mi sento: umiliata, presa in giro. Forse uno dei termini coloriti di mio fratello sarebbe più adatto, per una volta”.
“Non hai nulla di cui accusarti, ti saresti comportata allo stesso modo se avessi saputo la verità?”.
“Probabilmente no, non penso proprio”.
“E’ stato…incredibile” - Fabiano rimase senza altro da aggiungere.
“Non ho mai visto qualcuno combattere con tanto ardore, qualcuno disposto a sacrificarsi per i suoi compagni”.
“Scommetto che lo avresti fatto anche tu”.
“Perché così mi è stato insegnato. C’era qualcos’altro in te, non saprei come spiegarlo, è come se tutt’ad un tratto ti fossi incendiata. Tuo fratello era la polvere da sparo, tu la miccia”.
“Ma era tutto una finzione, non c’era nulla di vero”.
“Per me lo era, era tutto vero, ogni evento che si è consumato in quella arena era reale. Il generale Amadeus potrà essere uno dei più grandi illusionisti mai esisti, senza dubbio, ma voi gli avete reso le cose difficili. Ormai non si fa vedere da giorni, dicono che sia caduto in un sonno profondo. Succede quando i maghi dissipano una grande quantità di mana”.
Il mana era il nome che si attribuiva alla forza interiore necessaria a dare vita agli incantesimi degli stregoni. Questo potere spirituale poteva essere accumulato anche durante il combattimento e sprigionato contro il nemico.
“ Vedere i corpi dei miei compagni, quei poveri bambini innocenti, immobili, tutto quel sangue…Dio mio. Quando ho scoperto che erano ancora vivi, stavo quasi per impazzire dalla gioia. Mi chiedo come ci sia riuscito, a ingannarci tutti. Immagino che non sia stato facile creare dal nulla dei lupi mannari come se fossero lì, in carne ed ossa”.
“Affatto, nessun’altro illusionista sarebbe in grado di mettere in scena un incantesimo così potente. Pochi conoscono bene le creature sovrannaturali come lui, ci vuole una gran esperienza per poter concretizzare un’immagine che esiste solo nella tua testa”.
Più ci riflettevo su, più montava la rabbia. Avevo dato tutta me stessa, avevo sofferto per la morte dei miei compagni ed non era altro che una messa in scena. Amadeus, il generale degli stregoni, specializzato in illusioni, aveva studiato in ogni minimo dettaglio cosa sarebbe successo quel giorno. Con la sua magia aveva plagiato le nostre menti affinché vedessero ciò che lui voleva: degli enormi e disgustosi mostri affamati e senza pietà. Era chiaro, anche un cinico come il Sire non avrebbe pubblicamente giustiziato degli innocenti, non avrebbe rinunciato alla sua popolarità ed ai suoi sostenitori. Voleva dare spettacolo però e lo aveva fatto in grande stile. Aveva regalato al pubblico i suoi gladiatori dandoli in pasto ai leoni. Anche i bambini non erano altro che uno dei suoi miraggi ben riusciti, non c’era mai stato nessun umano da proteggere, nessuno era rimasto ferito o aveva perso la vita. In quell’arena c’eravamo solo noi. Avevamo combattuto creature astratte, frutto della mente di un pazzo.
“Che esibizionista! Avrei scommesso la mano che quei dannati cani randagi orripilanti ci stessero attaccando sul serio. Oh, aspetta, ma l’ho già fatto” - dissi pensandoci su.
Fabiano rise spensierato.
“Ho perso l’occasione di andarmene in giro con un uncino e una benda sull’occhio spolmonandomi come un vecchio corsaro: corpo di mille balene!”.
 “Sono felice che tu ce l’abbia ancora” - disse appoggiando la sua mano sul dorso della mia. Arrossì come al solito. Come faceva a rendere semplice e innocente un gesto che mi provocava il batticuore istantaneo?
“Mi ha fatto molto male” .
“Lo so. Ho avuto tanta paura” - bisbigliò pianissimo.
Si schiarì la voce: “ Ho avuto paura di perderti. Ho già perso mia sorella, se fossi morta anche tu o Gab, io…”.
Fu come se fossi stata investita da un treno e tremai, riflettendo sul significato di quella frase. Non voglio che tu vada via, resta con me. Cominciai a credere di occupare un posto speciale nel cuore di Fabiano. Avrei voluto dirgli anch’io che mi terrorizzava il pensiero di stargli lontano ma temevo che avrebbe frainteso. O che avrebbe capito davvero cosa lui stava diventando per me. Non ero ancora pronta ad espormi e a mettere in gioco i miei sentimenti.
“Non sei venuto a trovarmi in infermeria” - lo accusai.
“Sapevo che non saresti rimasta sola. Morgana si è presa cura di te e di tuo fratello con grande affetto. Fabrizio e i ragazzi non hanno perso nemmeno un occasione per farvi visita. E poi c’era quel ragazzino del campo romano, non ha mai lasciato la tua tenda, è rimasto lì tutto il tempo della tua convalescenza”.
“Chi? Norman? Credo che fosse logorato dai sensi di colpa…”.
“…O riconoscente, tu gli hai salvato la vita. Molti tengono a te, Leona. Sei una persona speciale, non puoi nasconderlo. Non dopo quello che è accaduto il giorno dell’esame” - disse sorridendo.
“Non è una giustificazione. Pensavo che avessi chiuso con gli ordini assurdi di tuo padre”.
“A volte i compromessi sono necessari”.
“Perché gli disubbidisci se poi  non vuoi andare fino in fondo?”.
“Ti prego non parliamo di lui, ok?” - mi supplicò garbatamente.
“Vieni facciamo una passeggiata, voglio mostrarti un posto”.
Saltammo giù, attraversammo il ponte e raggiungemmo l’altra sponda del fiume Coda di boa.
“Hai sentito?” - mi chiese sottovoce.
“Non girarti, fai finta di nulla. Mi stanno seguendo”.
“Andiamo nel bosco, lì sarà più sicuro”.
Prendemmo una scorciatoia per la poscondola al di là della collina e, nascondendoci fra un cespuglio e l’altro, gli inseguitori persero le nostre tracce.
Sbucammo fuori dal sentiero tracciato, ai piedi di una montagna che si affacciava su un piccolo laghetto. Era un posto incredibile, una radura protetta dalla caratteristica flora del luogo.
“Fabiano, è bellissimo”.
“Ancora non siamo arrivati”
“Come scusa?”
“Dobbiamo scalare la montagna”.
“Non ci penso neanche”
“Non avere paura, ci sono io ad aiutarti. E poi mi sembra un ottima occasione per allenarti come si deve. Hans finirà finalmente di torturati”.
“Ma è altissimo”
“Ti fidi di me? Ne vale la pena”.
Non ricordo nemmeno io come riuscì a persuadermi ma grazie a lui sconfissi una volta per sempre la paura dell’altezza. Non avevo più le vertigini, mi bastavano soltanto i suoi occhi e la sua presenza rassicurante per dimenticarmi del pericolo a cui sarei potuta andare incontro.
La vista da lassù era letteralmente mozzafiato, aveva ragione, ne valeva assolutamente la pena.
Riuscivamo a scorgere l’intera vallata del campo del protettori mentre il cielo si tingeva di un rosso appena accennato. L’aria era incredibilmente fresca e delle martagoni, un fiore tipico dei faggeti, di un colore roseo vinoso, mi titillavano le caviglie. La verzura di quella piattaforma volante era davvero strana, niente era al suo posto, e questo mi conquistava ancor di più.
“Bel panorama, eh?”.
“Sono senza parole, non riesco a descrivere come mi sento in questo momento”.
“Questo è il mio posto. Dove posso essere completamente me stesso, dove ritrovo la serenità. Passo molto tempo qui a riflettere. E’ il mio rifugio: il cielo è il mio tetto, l’aria le mie pareti, l’erba il mio pavimento…” - aprì le braccia e inspirò profondamente.
“E’ il tuo luogo segreto?” - gli chiesi celatamente compiaciuta che mi avesse mostrato qualcosa di così intimo, come se stesse mettendo a nudo una parte di se stesso.
“Tutti abbiamo dei segreti, non credi?”.
“Alcuni però è meglio che rimangano tali”.
“E quello?” - domandai per sviare il discorso.
“In realtà siamo qui proprio per questo. Avviciniamoci”.
Sull’orlo del precipizio, cullato incautamente da un ramo radicato nella roccia, c’era un nido fatto fili d’erba, stoffa, ramoscelli, piume e foglie secche.
“Mi aiuteresti a spostarlo di lì?” - mi chiese con dolcezza.
A giudicare dalla dimensioni e dall’altezza a cui era collocato, si trattava quasi certamente di un nido d’aquila.
“Non credo che mamma aquila sarà così entusiasta della nostra idea”.
“Purtroppo lei non c’è più. Dei ragazzi l’hanno infilzata con delle frecce per puro divertimento…”.
“Ma è riprovevole. Sono dei mostri! Non meritano nemmeno di fregiarsi del titolo di protettori”.
“Lo so, ma non esiste nessuna legge che ci vieti di cacciare gli animali”.
“Cacciare, uhm” - sospirai sconvolta - “questa è una carneficina”.
“Non sono riuscita a proteggerla” - disse Fabiano con la voce rotta. Un velo di tristezza scese su di lui avvolgendolo nell’oscurità della sua mente. Ebbi la netta sensazione che non si riferisse soltanto a mamma aquila.
“Tienimi per la maglietta”.
“Ne sei sicura?”
“Assolutamente”.
Poggiai un piede sul tronco per saggiarne la stabilità e proseguì pianissimo, un passo dietro l’altro,  con le braccia alzate per non perdere l’equilibrio.
Ed eccomi di nuovo sospesa su una voragine, in attesa di un errore fatale che mi avrebbe inghiottita per sempre nel suo freddo abbraccio. Non era come il primo giorno, sentivo che ce l’avrei fatta. Fabiano se ne restava zitto alle mie spalle, misurando ogni respiro pur di non alimentare il minimo rumore. Dentro il suo saldo pugno stringeva un lembo della mia casacca nera, di cotone leggero. Il vento s’insinuava fra i miei riccioli d’ossidiana. Con lui accanto a me avrei anche potuto camminare sulle nuvole, se solo me lo avesse chiesto.
Va tutto bene, va tutto bene, ripetevo come una cantilena.
Mi accovacciai, afferrai il nido e lo sollevai delicatamente per paura di rompere qualche uova. Non potevo fare movimenti bruschi, non mi rimaneva che indietreggiare alla cieca con estrema prudenza lasciandomi guidare da Fabiano.
Poggiandolo a terra, scoprì che quasi tutte le uova erano andate distrutte.
“Non è colpa tua, Leona. Ci sono molti avvoltoi qui intorno”
“E questo cos’è?” - dissi sollevando il guscio di un uovo di medie dimensioni, nero, come se fosse caduto in una pozza di petrolio.
“Non ne ho idea, speravo me lo dicessi tu. So che ti piacciono molto gli animali perciò ho pensato che avresti potuto svelarmi di cosa si trattasse”.
“Vedi? Sono i resti di uova di aquila reale ma questo…” - provai a strofinarlo per rimuovere inutilmente lo sporco. Lo adagiai al centro del nido e continuai a fissarlo incuriosita.
“Dovremmo tenerlo sotto osservazione, secondo me non manca molto alla schiusa”.
Ci sdraiammo a pancia in giù con le mani sotto il mento in attesa che accadesse qualcosa.
“Come sapevi che mi piacciono gli animali?”.
“Me lo ha detto tuo fratello, parla spesso di te”.
“Deve essere una noia mortale, mi scuso da parte sua”.
“A me non dispiace affatto. E’ l’unico modo per scoprire qualcosa su di te” - lui mi sorrise.
“Anche Ascanio non fa che elogiarti dalla mattina alla sera, devi andargli proprio a genio”.
Quel dannato impiccione, perché aveva deciso di rovinarmi la vita? Feci finta di nulla.
“Non c’è molto da sapere: mi piacciono i libri, le storie di avventura, sono totalmente affascinata dalle piante. Nel mio taccuino avevo creato una sorta di enciclopedia ma è andata distrutto nell’incendio di casa mia. Mi prenderai per svitata ma a volte gli parlo sai, spesso sanno ascoltare meglio delle persone”.
“E loro ti rispondono?”
“Sì, con i loro colori accesi, i profumi intensi, le loro forme fantasiose”.
Diventai rossa. Perché gli stavo confidando una cosa del genere?
Lui rise.
“Pensi che sia fuori di testa, lo so”
“No, non è per quello. Quando sei imbarazzata, le tue guance si infiammano come se avessi la febbre. La tua timidezza è così genuina”.
Fui tentata dal confessargli ogni cosa quando mi accorsi che la sua maglietta si era sollevata leggermente e senza volerlo il suo fianco era rimasto scoperto. Avrei dovuto distogliere lo sguardo ma ero troppo attratta dal quella cicatrice lattea, disegnata sulla sua pelle delicatamente abbronzata.
Istintivamente mi sollevai facendo leva sui gomiti e sedendomi sulle gambe gli scoprì la schiena.
Lui non disse nulla, non era arrabbiato, offeso o imbarazzato. Mi arrivò un pugno dritto nello stomaco, qualcuno stringeva le mie interiora in una morsa brutale mentre gli accarezzavo le migliaia di cicatrici gemelle incise sulla sua pelle.
“La tua mano, scotta” - disse imprigionandola dentro il suo palmo.
L’immagine di lui non era più nitida, ormai offuscata dai miei occhi ricolmi di lacrime, anche esse bollenti. Non volevo perdere il controllo ma mi era sempre più difficile, non potevo sopportare la vista dei segni che gli aveva lasciato la frusta.
“Scusa, non volevo che lo scoprissi così”
“Ti stai scusando?” - gli domandai senza riuscire a trattenere la rabbia.
“Gab lo sapeva?”
Rimase a bocca aperta, nell'assordante ma melodioso silenzio del creato.
“Certo che lo sapeva” - dedussi e feci per andare via.
Fabiano mi rincorse e mi cinse nel suo abbraccio.  Nascose il viso nell’incavo del mio collo e le nostre guance si sfiorarono a vicenda. La sua era fredda come la neve, la mia rovente come la lava. I suoi capelli mi solleticavano le orecchie.
Mi aveva circondata incrociando le braccia sul mio petto e aggrappandosi alle spalle, non riuscivo a scappare e forse non volevo.
“Che tepore. Sei così calda”.
“Dovresti starmi lontano, non voglio farti del male. Non ho il pieno controllo di me stessa”.
“Non mi farai del male, Leona”
“Come fai ad esserne così sicuro?”
“Perché la tua anima è gentile e pura. Non può concepire nemmeno l’idea di ferire qualcuno”
“Eppure l’ho fatto. A causa mia molte persone hanno sofferto, compreso tu”.
Lui allentò la presa su di me, mi mossi dentro il suo abbraccio e voltandomi riuscì a guardarlo negli occhi.
“Che razza di padre frusta il figlio per punirlo? È inscusabile!”
“Un genitore dovrebbe baciare la fronte e carezzare la guancia del proprio figlio, fargli sentire tutto il suo amore” - dissi ricordando i volti angelici di mamma e papà prima di metterci a letto.
“Ti ho mentito. Ho tentato di fare visita alla tua tenda. Volevo vedere con i miei occhi che tu e Gab non eravate feriti, che stavate bene dopo che siete svenuti al termine dell’esame. Le spie di mio padre mi hanno trovato e non ho potuto nulla contro di loro, se mi fossi ribellato non so cosa sarebbe potuto accadere”.
“Non merita un figlio come te” - affermai ancora fra le lacrime.
“Non ho rispettato il suo volere ed è per questo che forse mi sono meritato la sua ira. Ma sapevo soltanto che volevo delle risposte a tutti i costi, dovevo dare una spiegazione a quello che avevo visto. Iniziano a girare delle strane voci su di voi, la gente di questo luogo non si fida degli estranei, tanto meno dei figli di due ex protettori banditi dal campo. Molti anni fa, uno dei più brillanti strateghi del campo di Firenze, un certo Igor, ha cominciato a fare degli esperimenti umani per incrementare le capacità fisiche dei protettori, ossessionato dal renderci sempre più simili alle creature sovrannaturali. Ma oltrepassò ogni limite. Tramite la tortura e il dolore riusciva a stimolare il corpo a sopportare sempre di più a discapito della degenerazione mentale. Non hanno mai trovato le prove dei suoi misfatti perciò si pensava che fosse solo una leggenda. Fino al vostro arrivo. In quell’arena avete dato prova di avere qualcosa di straordinario, qualcosa che non può essere semplicemente insegnato. Siete qui soltanto da poco più di un mese e avete appreso più velocemente di chiunque altro. Eravate sicuri, inarrestabili, come se niente e nessuno sarebbe riuscito a fermarvi. In molti pensano che voi due siate frutto dei test scellerati di quel folle, lasciato in eredità ai suoi discepoli. Hanno cominciato a dire che la vostra famiglia facesse parte di quella setta e che vi avesse dato in sacrificio per perpetuare la causa dei discendenti di Igor”.
“Tu gli credi?”
“Non puoi essere una cavia di laboratorio” - disse sorridendo.
“Piangi e soffri per ciò che ingiusto” - cominciò a dire asciugandomi le lacrime con i polpastrelli.
“Hai un cuore che batte e che lotta per le persone a cui vuole bene. Non c’è niente di più umano di questo. Ma…credo che ci sia molto di più, non quello di cui blatera la gente. In voi arde la forza, la tenacia, la fierezza dei veri guerrieri, ciò a cui aspiro da quando ho cominciato l’addestramento”.
“Io non so spiegarlo ma se tu soffri, sto male anche io e mi cruccio nel trovare una risposta a tutta questa assurdità”.
Rimase in silenzio.
Forse avevo esagerato ma le parole uscivano sole come un fiume in piena ed era l’unico sollievo al dolore sordo al petto.
“Non sei stanco di far soffrire chi ti sta intorno?”.
“Gab…” - balbettò Fabiano.
Gab, con il sudore che gli imperlava la fronte, ci osservava con malcelato disprezzo.
“Allora eri tu a seguirci…”
Indugiò un istante sul mio volto angustiato e piangente.
“Fatti da parte” - mi disse altero e deciso.
“Gab, non è come pensi. Mantieni la calma…”.
Non considerò nemmeno il mio monito, mi afferrò il polso e mi allontanò da Fabiano senza troppi sforzi. Gli agguantò la maglietta sollevandolo da terra e gli tirò un gancio destro.
“E’ solo un traditore! Una spia di suo padre e i suoi scagnozzi, vuole solo farti parlare”.
“Ma di cosa stai parlando? Non lo farei mai! Io voglio solo pro…”.
“Non raccontarmi cazzate. So benissimo cosa avete in mente, non ti permetterò di fare del male a mia sorella, non me la porterete via come me avete fatto con gli altri”
“Continuo a non capire a cosa tu riferisca”
“Gab, cosa ti prende? Non ho alcuna intenzione di andare via! Fabiano sta dalla nostra parte”
“Parli così soltanto perché ti piace!”
Ebbi le farfalle allo stomaco. Come aveva osato quel brutto mostriciattolo a dire una cosa del genere davanti a Fabiano?
“ Ti ho visto spiarci fuori dalla tenda, hai fatto un sacco di domande a Teodora e poi sei corso da paparino a raccontargli tutto non è così?”
“Cosa c’entra Teodora con questa storia” - gli chiesi preoccupata.
 “Tu e la tua famiglia ci perseguitate soltanto perché avete paura di noi e del nostro potere! O forse perché lo volete tutto per voi!”
L’aria diventò elettrica intorno a lui. I suoi occhi erano dardi fiammeggianti e le sue braccia ricoperte da vene pulsanti. Le articolò con movimenti sinuosi per poi colpire il vuoto, sporgendole in avanti come se stesse spingendo un muro invisibile. Seguì uno schianto pauroso. Levammo gli occhi al cielo e restammo a bocca aperta. Un enorme frammento di roccia si staccò dalla montagna e fluttuò in aria contrastando la forza di gravità.
“Ecco di cosa siamo capaci. Credo che adesso tu abbia capito” - gli disse mentre la sua voce si affievoliva.
Era troppo anche per un duro come lui, non aveva mai esercitato il potere elementale su così larga scala prima d’ora. Si prostrò  in ginocchio per sostenere il peso di quel blocco di roccia gigantesco. Cominciò a respirare a fatica e gli sanguinò il naso. Lo stava schiacciando, non era ancora pronto per un tale sforzo, dovevo fermarlo ad ogni costo.
“Gabriel, fermo!”
Ripetendo le stesse movenze di mio fratello ridussi il masso in piccoli frammenti di pietra e lasciai che l’energia sgorgasse dal mio corpo. Piovvero pietre dal cielo e ricoprirono l’intera radura, altre finirono sul fondo del laghetto. Corsi a sostenere Gabriel ma lui  rifiutò il mio aiuto e disse - “Questo è quello che brama tuo padre: il potere dei medjai”.
Fabiano rimase sbigottito dall’accaduto, la sua espressione era indecifrabile.
“Voi siete, voi…” - balbettò.
Poi si ricompose e sospirò.
“Era questo che mi stavi nascondendo” - disse lui.
“Non sai quante volte ho pensato di dirtelo, ma temevo che ti avrei esposto a un pericolo troppo grande, non volevo che condividessi con noi un tale fardello che ti avrebbe costretto a mentire a tuo padre”.
Fabiano si coprì il volto con le mani e cominciò a gironzolare in torno.
“Ma certo!” - esclamò improvvisamente - “Quindi non è tutta una menzogna. Siete davvero voi, in carne ed ossa. Avrei dovuto saperlo, non potevate essere che voi. Adesso tutti i tasselli vanno al loro posto, questo spiega perché mio padre sia così ossessionato da voi. Studia da quando era bambino gli scritti hijiriani per scoprire di più sul vostro conto”.
Ci scrutò avidamente come se avesse davanti a lui la risposta ad ogni sua domanda.
“Come siete riusciti a sfuggire alla maledizione?”.
“Per volere di mamma, un incantesimo ci ha protetti per tutti questi anni, annullando la manifestazione dei nostri poteri e della nostra aura. Credo che i cavalieri della notte fossero interessati esclusivamente alle reliquie, non erano lì per noi”.
“Hai incontrato i cavalieri della notte?”.
Annuì.
“Che razza di incantesimo avranno utilizzato su di voi? Come è possibile che non vi abbiano riconosciuti? Non esistono magie così efficaci che io sappia, nessuno sarebbe in grado di contenere il potere dei medjai. Anche se…”.
“Anche se?” - lo aiutai.
“Non riuscite ad utilizzare a pieno il potere elementale, o sbaglio?”.
“Forse perché non abbiamo le reliquie con noi”.
“Senz’altro ma non è solo questo. Gli antichi elementali del fuoco, dell’acqua, della terra e dell’aria, sono rimasti dormienti per lunghi anni. La vostra energia dovrebbe provenire da loro, i Primordiali. Ma il loro spirito è stato corrotto dai cavalieri della notte, per scongiurare la nascita dei nuovi medjai. Senza di essi prima o poi i vostri poteri scompariranno”.
“Cosa?”.
“Già in questo momento è come se viveste di luce riflessa, piccole briciole residue scaturite dall’effetto osmosi immagino” - rifletté da solo. Sembrava letteralmente su di giri. Non lo avevo mai visto così infervorato per qualcosa.
“Conosci l’effetto osmosi?” - era praticamente un nostro fan.
“Certamente, so tutto sui medjai. Ho letto ogni libro sui vostri antenati. Mio padre teneva nascosti gelosamente i suoi scritti ma io conoscevo il suo nascondiglio. Ecco perché quel giorno…l’intreccio delle anime…” - disse infine.
“Cos’è?”
“Il giorno dell’esame Teodora mi ha raccontato, prima che i suoi genitori la portassero via dal campo, di aver avuto l’impressione di essersi connessa a te, come se tu fossi stata la sua fonte inesauribile di mana, il faro di luce che la guidava lungo la via. Suscitavi in lei coraggio, forza, determinazione. Non riusciva a spiegarsi bene il perché ma sapeva che quell’energia, quella sensazione di completezza proveniva da te. La sua anima era agganciata alla tua e i vostri cuori battevano all’unisono. Questo è lo straordinario potere dell’intreccio delle anime manifestato dagli antichi medjai. Era così che scendevano in battaglia i medjai e il loro popolo, come se fossero un’unica cosa. Di norma, però, l’intreccio delle anime applicato a un intero battaglione richiedeva grossi sforzi, impossibili da sostenere da un corpo umano. Era possibile utilizzare la condivisione del potere elementale al massimo con una decina di individui, se non di meno. Per questo i medjai indossavano le reliquie degli elementali. I primordiali, ridotti alle dimensioni di pietre preziose, venivano incastonati nelle reliquie e non solo amplificavano il potere del fuoco, dell’aria, della terra e dell’acqua nei medjai stessi, ma anche la condivisione di quest’ultimo di migliaia di volte. Ogni protettore che era legato alle loro anime, diventava esso stesso un baluardo del potere elementale. Era un esercito invincibile”.
Le parole di Fabiano aprirono le porte della mia mente, infransero ogni parete che mi divideva dalla realtà. L’effetto osmosi si mise in circolo e seppi che quello che mi aveva detto era davvero la verità. Non temevo più che Fabiano sapesse, forse avevo sottovalutato il forte legame che ci univa. Lui doveva sapere.
“Avete finito di sparare tutte queste boiate assurde?” - ci interruppe Gab.
Guardai per un attimo mio fratello.
“Che c'è?” - si lagnò.
 “Come mai non mi hai dato ancora dell’idiota, ho spifferato il nostro segreto”.
“Di lui mi fido”.
“Ma è il figlio del sire. Quel bastardo ti ha rinchiuso per giorni in quel tugurio senza cibo e ha sguinzagliato le sue spie per scoprire quanto più possibile su di noi e sfruttarci per il suo tornaconto”.
“Fabiano non è come suo padre, Gab. Nessuno lo deve costringere ad essere ciò che non è”.
“Perché ce l’hai tanto con lui?” - gli chiesi senza tanti giri di parole.
“Io volevo solo mettergli paura” - disse Gabriel addolorato come mai prima d’ora.
“Volevo allontanarlo da te. Io non voglio che ti porti via, lui non ti conosce, non sa quanto sei fragile, non saprebbe proteggerti come farei io. Non voglio che prenda il mio posto, perché so che tu mi abbandonerai e non so che farei se…”
Fabiano corse da lui e lo abbracciò.
“Gabriel mi dispiace se ti ho fatto soffrire” - gli disse. Lui rimase pietrificato, sorpreso dal quel suo inaspettato gesto affettuoso.
“Mi dispiace per ogni cosa che ti ho fatto, soprattutto quel giorno che ti ho umiliato davanti a tutti, non potrò mai perdonarmelo” - disse allontanandosi da lui.
“Sono stato meschino e crudele, poco importa se la mia intenzione era quella di distogliere l’attenzione di mio padre su di voi, per mettervi in salvo, non avrei dovuto scendere così in basso. Avrei dovuto lottare fin da subito e me ne pento, mi detesto per non avere avuto la forza di farlo”.
Fabiano mi guardò ricolmo di vergona.
“Gabriel non ti ha detto nulla, vero?” - disse con un sorriso amaro.
“Ricordi cosa ti dissi quella volta?”
“Va via, non ti conosco. Non voglio che la gente mi veda insieme a te. Non so cosa te lo abbia fatto pensare, ma non siamo mai stati amici, non potrei mai fare comunella con il figlio di chi ha infangato il nome stesso dei protettori. Tornatene da dove sei venuto e non infastidirmi più” - recitò Gab col tono di una tragedia shakespeariana.
Non potevo credere che quelle crudeltà fossero uscite dalla bocca di Fabiano.
“Non sono quello che tutti pensano che io sia, il “ragazzo delle meraviglie”, il degno erede dell’ammazza vampiri. Sono tutte un mucchio di sciocchezze. La mia anima è sporca. Io odio il mio nome, odio tutto di me, sono un debole, incapace di decidere con la propria testa, pilotato da un padre che non si potrebbe definire nemmeno tale. Quel giorno ebbi davvero paura…di diventare come lui. Meritavo ogni singola frustata per ciò che ho fatto”
“Ma che stai…” - esclamai sconcertata ma mio fratello frenò il mio impeto col suo braccio.
“Fallo finire”.
“Tutto ciò che volevo era una sguardo gentile che non pretendesse da me la perfezione, che non avesse costantemente incommensurabili aspettative, che ogni singolo dannato giorno non mi ricordasse quanto fossi lontano dall’essere come Sara. Qualcuno che mi vedesse semplicemente per quello che sono. Lo cercavo disperatamente negli occhi della gente, senza mai riuscirci. Nessuno mi ha mai chiesto come mi sentissi. “E’ un protettore, se la caverà”, “E’ abbastanza forte da sopportare il dolore” mi dicevano. Col tempo mi convinsi che fosse giusto così, dovevo soffocare il mio vero io o non avrei mai trovato approvazione in lui, pensavo che era tutto ciò che rimanesse. Lo avrei reso fiero, proprio come faceva lei. 
Ma la notte il suo solo ricordo mi toglieva il respiro, era tutto per me. Lui non mi capisce, non l’ha mai fatto. VORREI SOLO URLARE A MIO PADRE CHE NON SONO PERFETTO!”.
“Tu non sei affatto perfetto” - gli disse Gabriel con voce aspra, pungente.
Fabiano era sul punto di scoppiare ma per un attimo i suoi occhi si velarono di gratitudine.
“Lo so” - gli rispose sollevato come se Gab gli avesse tolto un peso dalle spalle.
“Sei solo un arrogante che finge un’umiltà che non ha. Sei perfettamente consapevole delle tue capacità, della tua forza ed è un vanto per te. Ti piace essere adulato dalla gente, ami essere il numero uno, è inutile che ti nascondi, riesco a vedere ogni singolo desiderio che ti passa per quella stupida testa bacata. Ti nascondi dietro a quel faccino da bravo figlioletto e menti costantemente alle persone che ti circondano. Ti sei beccato le frustate dal paparino per difenderci? Forse non è abbastanza, forse te le meriti per quanto sei codardo, non riesci nemmeno a dire la verità a te stesso, come puoi pretendere comprensione dagli altri? Potrai imbrogliare tutti, potrai anche ingannare lei “ - disse Gab indicandomi - “ ma non puoi mentirmi. Io ti vedo”.
“Ti prego, colpiscimi se ti fa sentire meglio…”
Gab non ci pensò due volte, scattò come una molla e colpì Fabiano ancora. Cadde a terra tamponandosi il naso sanguinante. Non volevo più guardare, mi faceva male il petto.
“Adesso basta. Siete due idioti, così va bene?” - gli gridai.
Restammo tutti e tre zitti. Gabriel era chino su Fabiano pronto a dargli il resto ma si fermò. Dissetava la terra con le sue lacrime.
“Nessuno di noi è perfetto, hai capito?” - disse Gabriel infrangendo il silenzio.
“Non ho mai voluto un amico perfetto, volevo solo un amico che per una volta non mi guardasse come se non fossi un mostro. Che fosse sincero, che mi accettasse per la testa calda che sono, con tutti i miei difetti. Qualcuno che non mi conficcasse un pugnale nelle spalle come un lurido traditore”.
A causa della sua indole irascibile e impetuosa, non era mai riuscito a farsi degli amici. Ero l’unica in grado di comprenderlo e accettarlo per com’era, in fondo lui era una parte di me. Era nell’ordine naturale che ci sarei stata sempre per lui, ero la sua famiglia, nel bene o nel male, il mio amore era più grande di qualsiasi cosa lui potesse dire o fare.  Sapevo, però, che ciò non bastava. In me avrebbe trovato la colonna che lo avrebbe sorretto anche nelle situazioni più difficili ma era in cerca di qualcos’altro, era come se gli mancasse qualcosa. L’ambizione di sentirsi accettato da qualcuno che non facesse parte del suo mondo lo tormentava da sempre.
“Perdonami, scusa se ti ho ferito”
Gabriel sollevò la testa da terra.
 “Lo so che non è molto ma è tutto ciò che ho. Non voglio rinunciare a te e nemmeno a Leona. Siete gli unici che mi fanno sentire vivo, che la mia vita non è stata costruita su una grossa bugia. Gli unici in grado di comprendere il mio dolore, quello che ho dentro. Perché il mio dolore è uguale al vostro. Siete voi ciò che cercavo e l’ho capito dal primo istante che vi ho incontrato.
Non ho mai detto a nessuno queste cose. Con voi non provo vergogna, posso finalmente smettere di fingere che vada tutto bene, perché nulla è al suo posto. Ma se lo condividerete con me, crederò che forse un giorno la tempesta passerà, non può piovere per sempre”.
Come avevano potuto essere così ciechi? Entrambi erano in cerca di qualcosa apparentemente diversa ma non riuscivano a vedere, invece, che i loro desideri erano simili, si completavano a vicenda. La meta era la stessa ed era ciò che li aveva fatti incontrare. 
“Adesso che conosci il nostro segreto, fai parte della nostra famiglia” - gli dissi.
Fabiano mi offrì il sorriso più bello che avessi mai visto, rimasi incantata.
“Gabriel, sono onorato che tu me lo abbia svelato. Forse una parte di te, inconscia, lo desiderava. Ti dimostrerò che non ti sei sbagliato” - gli disse Fabiano a testa china.
Gabriel lo aiutò a rialzarsi.
“Spero davvero che tu stia dicendo la verità”
“E’ una promessa” - gli confermò stringendogli la mano.
“Non voglio portarti via Leona, Gab. Ma devi sapere che le voglio bene”.
Il mio cuore mancò un battito.
“Lo so, è difficile non volere bene a quella scimmia insopportabile”
Gli risposi con una linguaccia.
“Non voglio che ci siano altri segreti” - cominciò Gab.
“Tuo padre è coinvolto con le sparizioni dei protettori e la morte di Felice” - gli confessò.
“Gab, non abbiamo ancora le prove!” - lo rimproverai.
“Ma lo hai sentito tu stesso quel giorno dire quelle cose” - disse avventato come sempre.
“Leona, sta tranquilla. So che mio padre sta tramando qualcosa, non sono uno sciocco”.
“Non deve essere stato facile convivere con questa verità…”
“Scopriremo insieme cosa sta dietro alle sparizioni, possiamo riuscirci”.
Feci segno a Fabiano di avvicinarsi e li tenni entrambi per mano.
“Ascoltate: abbiamo commesso tutti degli errori, siamo stati precipitosi, egoisti, orgogliosi ma ciò non conta più. Dobbiamo avere fiducia l’uno nell’altro ed avere la forza di perdonarci a vicenda”.
“Fabiano è andato contro suo padre pur di rimanerci accanto, ha lottato contro il suo connaturato istinto di compiacerlo e non immagino quale sforzo gli sia costato. Tu, Gab, sei stato fin da subito un buon amico, non posso credere che tu abbia dimenticato le motivazioni che ti hanno avvicinato a lui. Siamo legati da un profondo affetto e non dobbiamo permettere mai a nessuno di distruggere la nostra amicizia, è qualcosa di prezioso da preservare con cura”.
“Leona ha ragione. Voglio che sappiate entrambi…” - disse Fabiano - “Che non vi tradirei per nulla al mondo, il vostro segreto è al sicuro con me. Lo custodirò a costo della vita, finché un giorno non vi sentirete pronti a rivelarlo alla nostra gente. Non sono interessato a voi per il vostro potere ma per ciò che siete, devi credermi, Gab. Io vi proteggerò da mio padre e da chiunque voglia mettere le mani su di voi”.
Poi Fabiano fu interrotto da uno strano scricchiolio.
Allora io e lui esclamammo: “ L’uovo!”
Ci accovacciammo tutti e tre vicino al nido per assistere alla nascita del piccolo aquilotto orfano.
L’uovo continuò a muoversi a singhiozzi ed a linearsi sempre di più, finché una zampetta non bucò il guscio.
“Ma che diamine…”.
Il piccolo ruppe completamente il fragile involucro che lo aveva accolto fin dal suo concepimento. Si guardò intorno fino a quando non posò lo sguardo sui suoi osservatori curiosi.
Produsse uno strano verso a metà tra un cinguettio e un ruggito.
“Credo di aver visto molte stranezze in vita mia ma questo le batte sicuramente tutte” - esclamò mio fratello ancora sconvolto.
Restai ad osservarlo per alcuni minuti ma non riuscì comunque a trovare una valida spiegazione a ciò che mi si presentava davanti.
“E’ una…Chimera?” - suppose timidamente Fabiano.
 Ricordavo di essermi imbattuta in questo termine durante una delle mie tante letture pomeridiane sulla mitologia greco-romana ed ero quasi certa che fosse un mostro leggendario composto da parti del corpo di animali diversi.
Il nostro piccolo amico era piuttosto bizzarro ad essere sinceri. Era decisamente più grande dell’uovo che lo aveva ospitato, mi chiesi come avesse potuto starci comodo: aveva il corpo di un leoncino, la coda variopinta di un pavone, il becco affilato di un aquila e le orecchie paffutelle da coniglio. Ci fissammo a vicenda e non potei non trovare tremendamente adorabili quei suoi occhietti bicromatici: uno blu come il mare, l’altro splendente come l’oro.
Lo prelevai dal suo nido e lo sollevai per controllarne il sesso.
“E’ una femmina”.
L’avvicinai al petto e lei si accoccolò grata di quelle attenzioni.
“Qualunque cosa sia, è davvero brutta”
La piccola, dapprima beata fra le mie braccia, irrigidì le piume della coda e con uno scatto felino balzò sulla testa di mio fratello, beccandolo ripetutamente.
“Levatemela di dosso!” - gridò disperato Gab.
“Non avresti dovuto insultarla, ben ti sta!”
“Ti prego aiutami” - piagnucolò.
Sbuffai dalle narici e la richiamai: “Adesso smettila, basta! Torna qui!”.
Lei drizzò le sue buffe orecchie da coniglio e lasciò in pace mio fratello, trovando nuovamente posto in braccio a me.
“Si è affezionata subito, dovresti darle un nome” - mi suggerì Fabiano.
“Perché abbiamo intenzione di tenere quella cosa?” - domandò allarmato Gabriel.
L’animale cominciò a soffiare, ostile come un gatto. Faceva strano sentire quel suono dal becco di un uccello, era così innaturale.
Poi il suo sguardo tornò tenero come quello di un cucciolo e strofinò la sua testolina sul mio collo, cinguettando dolcemente.
“Dice di chiamarsi…” - iniziò mio fratello.
“…Edna” - conclusi io.
“L’hai sentita anche tu?”
“Riuscite a capirla?” - chiese curioso Fabiano.
“Già, per me è la prima volta ma per quella svitata di mia sorella non dovrebbe essere una novità”.
“Edna?” - mi preparai a scagliargliela contro.
“Ok, va bene. Scusa, scusa”.
Dal torace di Edna spuntarono due candide ali piumate e si gettò ancora su Gab per torturarlo.
“Bene, sa volare! Buono a sapersi” - e ridemmo insieme a Fabiano.
“Guarda, il crepuscolo”.
Contemplammo taciturni lo spettacolo che la natura ci offriva. Non rimaneva ormai che uno spicchio incandescente, lì, al confine fra cielo e terra, che proiettava la sua luce, intensa e calda. Il cielo tinto di diverse sfumature di rosso, era in netto contrasto con i contorni  cerulei delle nuvole, disegnati dagli ultimi raggi morenti del sole. Esso lasciava il posto alla sua pallida sorella, la luna, pronta a dissolvere, ancora una volta, le tenebre della notte.
“Senti, per quella cosa che ha detto prima mio fratello...”
“Un giorno voglio provarla anch’io quella sensazione”
“Quale?”
“Un giorno, vorrei sentire anch’io il calore della tua anima”.
   
 
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