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Autore: Storytime_Love    15/02/2020    2 recensioni
Alec si trasferisce in un nuovo liceo, uguale a tenti altri tranne che per la presenza di un gruppo di ragazzi speciali, la corte dei dorati, guidati da un Re e una Regina. Bellissmo, carismatico, forte e inavvicinabile per Alec Magnus Bane non è un re ma un drago, il suo drago.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Fight 1.1


Da un giorno con l'altro, Magnus era sparito. Senza un motivo, un messaggio, niente. Semplicemente non si era presentato al loro appuntamento e da lì, silenzio.
Alec aveva provato a contattarlo, voleva almeno una spiegazione ma l'uomo non rispondeva né al telefono né ai messaggi. La mattina si era recato al suo hotel. Il signore della 356 non c'era, non rientrava da un paio di giorni.

Per un po' Alec provò ad aspettare, poi subentrò la rabbia, la paura di essere stato preso in giro. Ma già anni prima aveva pensato male di Magnus e aveva avuto torto, ora doveva dargli la possibilità di dire la sua, e per farlo doveva prima trovarlo. Chiamò l'atelier solo per scoprire che neanche loro lo avevano più visto. Da una parte questo voleva dire che forse non lo stava evitando, dall'altra apriva la strada a una serie di congetture allarmanti.
I giorni passavano, Alec era tornato a casa, negli States - non poteva prendere mesi di ferie - ma continuava a chiamare sia Magnus che l'atelier e a cercare notizie su Google: lo stilista era famoso, se gli fosse successo qualcosa i giornali ne avrebbero parlato.

Era passato un mese, un mese di silenzio e angoscia. Alec aveva deciso di chiedere consiglio a Jace, Isabelle e Clary anche se sapeva che sarebbe stato imbarazzante: nessuno di loro sapeva dei suoi sentimenti per il ragazzo del liceo, la storia degli abiti sembrava una favola inventata, e il finale degno del sogno di un pazzo. Ma Alec aveva bisogno di ogni aiuto possibile, di ogni idea. Fu Clary a pensare di contattare i genitori di Magnus, se era partito sicuramente loro lo sapevano.
Rintracciarli non fu facile, su internet c'erano parecchi articoli sullo stilista, trovò anche un paio di foto di loro due insieme al cocktail dopo la sfilata, ma nulla riguardo la sua famiglia. L'unica possibilità era chiedere al Thornvalley, sicuramente avevano un archivio con i nomi dei genitori degli alunni e, con un po' di fortuna, conservavano anche quelli degli ex-studenti. Alec chiamò la segreteria che confermò l'esistenza dei dati ma, per motivi di privacy, non poteva divulgarli. Tramite un complesso giro di conoscenze Alec riuscì a parlare con un mecenate della scuola, gli spiegò il problema e alla fine ebbe le informazioni che gli servivano: Magnus Bane era l'unico figlio di una madre single, Indah Bane. Riuscì a farsi dare anche il numero di telefono.

Chiamò subito.
“Pronto? Signora Bane?”
“Sì, chi parla?” La voce che rispose al telefono era stanca e sospettosa.
“Sono un amico di suo figlio, volevo chiederle se aveva notizia di Magnus”.
“Mi spiace, non posso dirle nulla. Arrivederla”. La donna stava per riagganciare ma Alec non poteva permetterlo.
“La supplico, aspetti, mi dica solo se sta bene...”
Qualcosa nella voce del ragazzo la fece esitare: “Chi è lei? Se è davvero amico di mio figlio dovrei conoscere il suo nome...”
E adesso? Aveva rivisto Magnus per pochi giorni dopo sei anni, era impossibile che sua madre avesse sentito parlare di lui. A meno che... “Mi chiamo Alexander Lightwood, sono... Blue Light”. Il solo pronunciare una frase così assurda lo fece arrossire ma ottenne l'effetto desiderato.
Dopo una breve pausa la donna inspirò: “Magnus ha avuto un incidente, ormai più di un mese fa. Era sul marciapiedi, l'hanno investito, gli hanno fratturato una gamba e poi...” Un singhiozzo. “Sia lui che l'auto sono finiti contro la vetrina di un vecchio negozio, il vetro si è spaccato... E' rimasto in ospedale per oltre tre settimane, il medico dice che è stato miracolato, le schegge non hanno colpito nessun punto vitale, però...”
“Però? La prego signora”.
La donna si fece forza. “Una scheggia l'ha ferito in faccia, ha una cicatrice che va dalla mascella destra all'occhio... non sono riusciti a salvarglielo” disse scoppiando in lacrime.
L'occhio. Magnus aveva perso un occhio. La tensione che gli attanagliava le viscere esplose, non riusciva a respirare. Quegli occhi magnetici, profondi, bellissimi. Magnus...
“Dov'è ora. Io... devo saperlo”.
“Non... Lui... Non l'ha presa bene. Ha cercato di...”
Di cosa? Cos'hai fatto Magnus?
“Una lametta...”
La madre lo aveva riportato in America e ora Magnus era ricoverato in una casa di cura fuori città. In qualche modo Alec riuscì ad estorcerle l'indirizzo e saltò in macchina. Arrivò al centro vicino a Belleview prima di mezzogiorno e corse dentro. Quel posto non era una clinica, era un dannato manicomio! Magnus... non riusciva a far altro che ripetere il suo nome ancora e ancora. Chiese il numero della stanza, ancora di corsa salì le scale. Terzo piano. Una coincidenza?
La madre di Magnus era una bella donna, con la stessa pelle ambrata e occhi allungati del figlio ma il suo sguardo era spento e occhiaie scure le segnavano il viso. Rivolse ad Alec un sorriso tremulo: “Mi spiace che lei sia venuto fino a qui, ci deve essere stato un fraintendimento. Magnus non vuole incontrare nessuno”.
“No, io... devo vederlo. Non posso...”
“Mi spiace, davvero”.
In quel momento arrivò un'infermiera che portava un vassoio con alcune pillole. Entrò nella stanza e Alec ebbe una fugace visione del letto di metallo, del suo amore con una benda bianca che gli copriva l'occhio destro. Dall'uscio socchiuso sentì la ragazza dire qualcosa a bassa voce: “Buongiorno Signor Bane, come si sente oggi? La prego, provi a...” Il tono era dolce, accondiscendente, era... assurdo. Anche la signora Indah parlava in modo simile, come se Magnus fosse oltre ogni speranza. Non puoi trattare un drago come un uccellino con l'ala spezzata.
“Sono certa che mio figlio le voleva bene, Signor Lightwood...”
“Mi voleva bene?” No, qui le cose andavano peggio che male, Magnus non era morto ma tutti si comportavano come se lo fosse.
Vide l'infermiera uscire, aspettò che avesse girato l'angolo e senza chiedere il permesso aprì la porta. Magnus era sdraiato con gli occhi chiusi, i capelli sporchi e spettinati, la cicatrice rossa che gli solcava il viso, un anonimo pigiama azzurrino. Si avvicinò piano, anche in questo stato era la cosa più bella che avesse mai visto. Magnus aveva sentito i passi avvicinarsi al letto ma era troppo apatico per muoversi, aprire gli occhi - l'occhio.
Ogni fibra del suo corpo voleva abbracciarlo, consolarlo, stargli vicino. Ma lo avevano già fatto in troppi. Alec lasciò che la rabbia, la tristezza e il dolore gli montassero dentro, lo riempissero. Si avvicinò ancora e gli diede uno schiaffo sul lato sano del viso, con tutta la forza che aveva.
“Sei uno stronzo Magnus Bane” gli urlò contro. “Un narciso e un egoista”.
Magnus lo guardò e incredulo mormorò il suo nome: “Alexander...”
“Alexander un corno. Ti ho cercato dappertutto per più di un mese. Ho pensato che mi avessi scaricato, di nuovo, aggiungerei. Poi che fossi morto, ho richiesto il tuo cazzo di certificato di morte in comune! E tu? Stavi qui a compiangerti. Perché non mi hai chiamato? Cosa diamine vuoi che me ne freghi del tuo dannato occhio?”
Mentre gli urlava contro Magnus si era tirato su, l'apatia rimpiazzata da una luce dura, ma pur sempre una luce.
Alec non aveva finito, lo aveva preso per un avambraccio, portandogli il polso bendato davanti al viso: “E questo? Chi è l'uomo che si fa una cosa del genere? Un codardo, ecco chi! E per che cosa poi? Per paura di non essere nella top ten dei più fighi? Mi fai pena!”
Indah aveva sentito il rumore, poi le urla ed era entrata come una furia a salvare Magnus dal visitatore pazzo ma era rimasta bloccata sulla porta vedendo il bel ragazzo alto chinarsi su suo figlio, sul suo bambino rotto, e baciarlo come se ne andasse della sua vita, come se fosse l'aria di cui aveva bisogno.
Alec si era staccato col fiato corto: “Tre giorni. Ti do tre giorni per rimetterti in sesto. Uno per odiarmi, per pensare che sono un bastardo senza cuore. Uno per capire che ho ragione e che è ora di darsi una mossa. E il terzo per farti portare le cose di cui hai bisogno, non so, il gel, la matita per gli occhi, una di quelle assurde camicie che mi fanno impazzire...” Gli si ruppe la voce, doveva resistere, ancora qualche secondo. Una volta fuori avrebbe potuto piangere quanto voleva. “Martedì sarò di nuovo qui e voglio trovare il mio drago. L'orario lo sai, prepara i fogli per le dimissioni perché ti porto a casa”.
Senza lasciargli il tempo di rispondere Alec fece un cenno alla madre, prese la porta e uscì senza voltarsi. La donna lo seguì in corridoio, urlandogli di non farsi più vedere, di non osare tornare, avrebbe chiamato la sicurezza. Alec non la stava ascoltando, sentiva il cuore a pezzi, lacrime gli rigavano il viso. Aveva esagerato? Sarebbe dovuto restare, aiutarlo? No, un drago non ha bisogno di compassione. Deve rialzarsi e combattere. Eppure la sua anima gridava di dolore.

   
 
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