è praticamente da un anno che non scrivo qualcosa, ed è passato ancor più tempo da quando ho debuttato nella sezione Transformers. devo questo ritorno di fiamma a _Cthylla_ a cui faccio questo regalo di Natale seppur in ritardo xD. La storia è strettamente legata alla raccolta di _cthylla_ "A Day Off to Repent" di cui consiglio prima la lettura in quanto si tratta di un suo seguito. Buona lettura!
Coprifuoco.
Questo
era ciò che la piccola Ember si stava trovando a violare a
causa della sua
disattenzione – piuttosto tipica
nell’età in cui si trovava a dire il vero
– ma
altrettanto pericolosa in quanto la sua città natale non
regalava sconti per i
trasgressori come lei. No, neppure ai bambini distratti.
La
capitale dei decepticon, l’oscura Kaon, per quanto fosse
stata risparmiata al
momento dalla guerra civile che attanagliava il pianeta Cybertron non
rimaneva
comunque un posto sicuro neppure per i suoi stessi senatori...
Figurarsi quindi
per una cybertroiana la cui età approssimativa –
se si parlava in canoni
biologici – si aggirava attorno agli otto anni di vita.
Era
ancora piccola, sia di statura – il suo endoscheletro non si
era ancora evoluto
al massimo come quello di un adulto – sia di raziocinio.
Aveva da poco
sviluppato la sua modalità veicolare, e in quanto seeker le
permetteva di
librarsi nei cieli fumosi della sua città natale, ma durante
un coprifuoco non
era concesso neppure agli individui come lei di potersi librare in volo
con il
favore delle tenebre.
Se
durante il giorno aveva il compito di andare a scuola – cosi
come per legge, in
quanto lord Megatron pretendeva cittadini istruiti – e
durante il pomeriggio
lavorare senza sosta per conto dell’attività
commerciale delle sue due zie, si
occupavano di un magazzino di energon in periferia e lei si adoperava
spesso di
fare anche da fattorino oltre che le pulizie, per tutte le ore della
sera
bisognava restarsene tappati in casa e sperare che le poche ronde di
polizia
decepticon non avessero pretesto di entrarti nel buco in cui vivevi.
Ora,
il problema principale di Ember era che aveva sforato di molto
l’orario di
rientro a casa – a causa di un suo personale capriccio che
l’aveva vista
dirigersi a casa di una amica dopo l’ultima consegna a
domicilio, in quanto tale
bambina viveva relativamente vicino – e senza neppure
accorgersene i due soli
di Cybertron calarono all’orizzonte rendendo il cielo rosso
sanguigno. Avrebbe
potuto rimanere a casa della sua amica durante la notte… ma
temeva di incombere
nell’ira delle sue due zie se fosse rincasata tardi.
Ed
ora, nascosta dietro pesanti casse metalliche stipate in un vicolo di
servizio,
stava iniziando a rimpiangere della decisione presa. Si era mossa a
fatica per
quelle strade buie e maleodoranti, cercando di evitare gli adulti il
più che
poteva – sia sparuti gruppi di soldati che tossici
impossibilitati ad alzarsi
in piedi e costretti a rannicchiarsi meglio negli anfratti che la
città
proponeva loro – eppure adesso era sull’orlo di
mettersi a piangere.
Davanti
a lei si stagliava un vialone abbastanza largo da permettere il
passaggio di
diversi transformers in modalità veicolare, e attualmente le
carreggiate erano
occupate da un vero e proprio plotone decepticon le cui voci dei
comandanti
riecheggiavano per l’ampia strada e le pareti metalliche dei
grattacieli
vicini. Un passo da casa, sotto un cielo privo di stelle, eppure
così
intoccabile da portarla a piangere silenziosamente dalla frustrazione.
Ember
non si era mai sentita così indifesa e in pericolo come in
quel momento,
arrivando a toccare una sensazione simile alla sconfitta quando lo
sguardo di
uno di quegli ufficiali parve accorgersi di strani movimenti
all’interno del
vicolo in cui si era nascosta. Talmente pietrificata dalla sua stessa
stupidità
da trovare unicamente la forza di appiattire le piccole ali contro
l’ombra
offerta da quelle casse contenenti chissà cosa, con la
fasulla speranza che
nascosta in quel triangolo di oscurità non venisse notata da
quel mech
dall’imponente stazza.
Quelli
erano ricordi antichi, di cui rimembrava solo alcuni attimi e di questi
solo
quelli più importanti. E lo sguardo vermiglio di quel
soldato dal volto
impassibile lo avrebbe ricordato per il resto della sua vita.
Non
ricordava la colorazione della sua armatura, se non il pallore del suo
volto
non dissimile da quello della giovane femme, i cui lineamenti somatici
del
metallo densomorfico lo rendevano piuttosto attraente. Ma i suoi
sensori
ottici, benchè rossi, rimasero freddi nello scrutare una
bimba terrorizzata.
Anche nell’atto di piegare un ginocchio a terra per essere il
più possibile a
contatto visivo con lo sguardo insolitamente aranciato di Ember.
“Non
sei una minicon… qual è la tua
designazione?”
Una
domanda dettata con voce tranquilla, eppure la ragazzina non
trovò modo di
rispondergli a voce limitandosi semplicemente scuotere la testa in
senso di
diniego. La paura principale della piccola era che, se avesse dato al
soldato
decepticon le proprie generalità, allora sia lei che la sua
intera famiglia
avrebbero passato grossi guai a causa della sua tremenda
stupidità. Ember non
sapeva del perché di tutti quei soldati minacciosi
sull’unica strada principale
ancora illuminata della città – il resto dei
palazzi e strade era immerso
nell’oscurità, forse per non dare pretesto agli
autobot di attaccarli – ma
sapeva di non dover dire nulla a quel soldato inspiegabilmente gentile.
In
quanto cittadina neutrale per Ember non valevano le stesse regole per
quelli
che portavano le insegne decepticon, ma per quanto non sapesse cosa
questo
implicasse sperò che nel silenzio il mech desistesse
dall’insistere con le sue
domande. Cosa che, purtroppo, non successe.
“capisco…
vivi qui vicino?”
A
quella seconda domanda però non si sentì di non
accontentare il paziente
ufficiale che ancora non aveva avvertito gli altri della sua presenza,
ritrovandosi per questo a deglutire colta da una strisciante paura che
la portò
a cambiare in parte la propria opinione sul suo ostico silenzio.
“s-si…
dopo la strada”
“la
tua famiglia sa che sei qui fuori?”
“sono
in ritardo, mi aspettano! P-posso andare per favore?”
Al
giovane soldato non ci volle molto per capire che quella incauta
creatura era
solo un’altra vittima involontaria di una guerra civile che
ormai stava
spegnendo lo stesso nucleo del pianeta. Dopotutto il lavoro minorile
era una
necessità per molti individui che faticavano ad andare
avanti, e probabilmente
era lo stesso per quella giovane femme senza insigne. Si
trovò quindi a
spendere i successivi sei secondi nel prendere la decisione che gli
parve più
giusta, decretando che poteva anche graziare una così
piccola creatura.
“Hm…
allora facciamo così, ora darò ordine ai soldati
di avanzare verso nord così da
darti le spalle. Hai dieci secondi per attraversare la strada, prima
che io mi
accorga di te e dia l’allarme”
La
proposta del soldato colse quasi impreparata una piccola femme che gli
annuì
vigorosamente, incredula di fronte a così tanta
generosità da parte di un
ufficiale decepticon, e come da sue indicazioni aspettò che
si allontanasse per
ricongiungersi con i suoi sottoposti e dir loro di seguirlo.
Non
seppe mai del perché quel decepticon decise di disubbidire
alle leggi del
coprifuoco e a graziarla a quel modo, perché solo una volta
che fu messa in
salvo si rese conto che la parte peggiore doveva ancora cominciare. Le
sue zie
non sarebbero state così clementi.
[…]
Le
ci vollero parecchi cicli nella sua lunga vita – per quanto
Ember fosse giovane
i cybertroiani vivevano assai più a lungo rispetto ad una
creatura biologica
comune – per comprendere che all’epoca, con il suo
comportamento disattento,
aveva fatto morire di preoccupazione quelle zie sempre stressate e dai
musi
lunghi. Per quanto le avesse perdonate da tempo, in fin dei conti aveva
capito
il perché della loro severità in un periodo buio
di Cybertron, non era pentita
di aver lasciato la sua città natale una volta che Hallow le
aveva proposto di
andare via con lei.
Quella
seeker dal carattere fin troppo particolare
era entrata a far parte effettiva della vita di Ember in maniera quasi
inaspettata, e per quanto la ragazza sapesse chi fosse – le
descrizioni che ne
ebbe durante l’infanzia dalle zie erano alquanto impietose
– le riusciva ancora
in parte difficile adattarsi allo stile di vita di sua madre e suo
fratello
maggiore Finn.
Che
avesse anche un fratello la sorprese non poco – un giovane
mech che Hallow
aveva avuto con un partner differente – eppure era forse con
lui che aveva una
intesa migliore. Hallow in fin dei conti non era cattiva, anche se
Ember non
l’aveva ancora vista arrabbiarsi per davvero… ma
già su Pettinathia, chiassosa
e tossica metropoli di Cybertron, aveva dimostrato di tenere
particolarmente
alla sua unica figlia femmina. Forse perché fino a poco
tempo fa neanche sapeva
di averne una.
Ad
occuparsi della creazione di nuovi individui per il loro pianeta natale
erano
di solito le femme. Estraendo l’energon dal partner scelto,
ed incubandolo
all’interno del proprio corpo, generavano delle protoforme
che si assemblavano
un pezzo alla volta. Indipendentemente che tale compagno fosse tanto un
mech
quanto una femme, e tale procedimento ultimo era stato alla base della
realizzazione
di Ember da parte di due creatrici. Con una gravidanza tenuta nascosta
ad una
ormai ex compagna, e una fine prematura a causa della guerra dopo
– la madre
che l’aveva effettivamente generata si trovava su un
convoglio di pendolari in
rotta verso una fabbrica d’acciaio quando si trovò
in mezzo ad un conflitto a
fuoco – contribuirono a rendere Ember fin troppo guardinga
nei confronti del
prossimo.
Ma
comunque, a parte queste sue considerazioni sulla propria genitrice i
motivi di
tutti quei pensieri riguardanti la sua attuale famiglia –
oltre che a ripescare
un ricordo antico e spaventoso – erano dovuti principalmente
a quello che le
stava accadendo al momento.
Attualmente
lei e la sua famiglia si trovavano a bordo di una piccola nave
mercantile
diretta chissà dove – a detta di Hallow doveva
essere una sorpresa – e il modo
in cui sua madre era riuscita a scroccare quel viaggio, con tanto di
stanza
personale per i suoi due pargoli, lo si poteva intuire dal tempo che
passava
nella cabina del capitano. Non che fosse questo a dare fastidio ad
Ember – in
fin dei conti la conosceva così poco come madre che non
riusciva proprio a
scandalizzarsi per ogni sua bravata, quanto piuttosto preoccuparsi che
potesse
farsi male sul serio – in quanto ciò che la
infastidiva veramente era il modo
in cui la sua privacy era stata violata in quelle ore.
I
messaggi insistenti presenti sul suo datapad personale, che ora stava
tenendo
in mano con la tentazione di buttarlo contro una parete dello scafo,
lasciavano
pochi dubbi che uno sconosciuto la stava tempestando di messaggi e
complimenti
decisamente non richiesti. Seppur non volgari, quello strano tizio
presente
nell’avatar della chat aveva comunque una fisionomia che la
giovane seeker
cercava di ricordare.
-Ehi
salve! Come va?
-Sai
che sei molto carina nella tua
foto di profilo? Mi piace proprio!
-Se
mi dici la tua attuale rotta
possiamo anche incontrarci, che ne dici?
Le
domande e richieste che le arrivavano erano alle stregua di una raffica
di
fucile automatico, e più cercava di ricordarsi
dell’individuo che la stava
importunando più l’istinto prese il sopravvento
ancor prima della ragione.
-Prima
di tutto due domande: chi sei, e come hai fatto ad hakerare il mio
profilo!
Digitò
quelle parole con una certa stizza, ma dovette aspettare almeno un
minuto e
mezzo prima di vedere una imbarazzata risposta apparire sullo schermo
digitale.
E quello che lesse bastò a farle passare un nervosismo di
tutto rispetto.
-Ah…
scusa! Forse avrei dovuto
presentarmi prima eh, eh! Comunque io sono Kaon…
cioè, non la città decepticon
ma quello della DJD. Ti ricordi di me? Ci siamo visti a Pettinathia
prima che
tua madre decidesse che non era il caso di fare amicizia… e
per la seconda
domanda posso affermare di essere uno dei tecnici migliori in
circolazione,
quindi trovare il tuo contatto non è stato per niente
difficile.
Il
lungo papiro di spiegazioni da parte dell’inquietante
decepticon senza sensori
ottici risvegliarono nella giovane seeker alcuni ricordi rimasti fino a
quel
momento sopiti. Neanche due settimane fa lei e la sua famiglia si
trovavano in
quella città del peccato che ben poco piaceva ad Ember,
nonostante sua madre e
suo fratello si siano divertiti come pazzi, ed ora che aveva letto
quelle
parole ben si ricordava di aver incrociato quei boia decepticon nei
trambusti
che spesso si infiammavano per le fumose strade di Pettinathia.
Pertanto, si
poteva dire che al nervosismo subentrò una certa ansia.
Non
era una decepticon, probabilmente mai lo sarebbe stata così
come mai sarebbe
diventata autobot, eppure come tutti coloro che vivevano
nell’omonima capitale
di lord Megatron era fin troppo a conoscenza della fama poco
lusinghiera della
Decepticon Justice Division. E per quanto avessero dei modi di fare da
macellai
erano pur sempre degli ufficiali militari.
L’unica
idea che ebbe a riguardo non le piacque neppure un po’,
eppure fu l’unica che
le venne in mente di fare per evitare altri spiacevoli equivoci con
quella
gente pericolosa.
“Ehi,
Ember! Guarda cosa ho trovato nella dispensa della cucina! Scommetto
che
neppure il capitano si ricordava di avere questi dolcetti”
L’entrata
in scena di suo fratello Finn nella disordinata cabina che
condividevano – con
sottobraccio un contenitore cilindrico da cui sporgevano cubetti di
energon
color rosa – rese la decisione di Ember decisamente
più semplice.
[…]
Kaon
si ricordava bene il giorno in cui aveva perso i sensori ottici. Il suo
piccolo
vizietto per le sostanze chimiche non propriamente legali lo aveva
fatto spesso
viaggiare sotto l’effetto di chissà quali acidi,
vedendo cose che solo lui
riusciva a vedere, e proprio per tale motivo un giorno venne colto dal
panico
più totale.
“Tarn!
Vos! Il mondo non finirà se
mi strappo i sensori ottici!!”
Aveva
corso come un matto per tutta la Paceful Tyranny – la loro
nave nonché loro
base operativa – preda dei peggiori deliri allucinogeni e,
quando finalmente
aveva trovato il suo comandante e quell’inquietante
scienziato di nome Vos, non
aveva esitato ad usare un cacciavite per strapparsi via i sensori
ottici rossi
preda del dolore più assoluto. Sia fisico –
perché al gesto scaturirono non
poche scintille – sia mentale.
Quando
fece ciò svenne sul colpo, la perdita di energon causata da
quelle ferite
profonde e violente quasi gli costarono la vita, ma dopo che
stramazzò al suolo
non seppe che i due mech tornarono bellamente a parlare dei fatti
propri prima
di decidersi a soccorrerlo.
Un
modo per fargli imparare la lezione? Molto probabilmente.
L’aveva
imparata? In parte… gli occhi non li aveva più, e
i danni che si era auto
inflitto furono così gravi da rendere inutile un altro
trapianto con la
soluzione di un trapianto di sensori ambientali, eppure ciò
che aveva di fronte
gli fece allargare ancor di più le già ampie
orbite vuote.
Non
poteva crederci, ciò che stava leggendo sul suo datapad era
letteralmente più
elettrizzante di qualsiasi droga che si era sparato negli ultimi anni!
Il fatto
che quella pollastra dalle ali nere e dai dettagli rosa e arancione
volesse una
video chiamata proprio in quel preciso momento lo portarono ad emettere
un
grido strozzato assurdo dalla scatola vocale.
Per
sua fortuna aveva avviato quella chiacchierata dentro la propria stanza
privata, altrimenti avrebbe sicuramente attirato le occhiate degli
altri suoi
colleghi inquisitori e sarebbero venuti a conoscenza di questo suo
piccolo
segreto.
Si
dette quindi rapidamente una occhiata alla carrozzeria – una
premura istintiva
per quanto quella ragazza non avrebbe visto altro che il suo volto e al
massimo
le spalle – e nonostante la sua armatura non fosse tirata a
lucido perlomeno
non aveva segni di ammaccature o ruggine.
Si
sistemò per bende alla propria scrivania e, con un sorriso a
trentadue denti,
accettò la chiamata in arrivo da parte della bella seeker.
“Wow…
non mi ricordavo più che dal vivo sei ancor più
bella! Un vero peccato che la
nostra precedente chiacchierata sia durata così
poco”
“Si
ecco… se si tratta del tuo cane mi dispiace per il
fraintendimento. Non era
intenzione mia o della mia famiglia fargli chissà cosa.
Quindi… ecco… mi
dispiace per il piccolo fraintendimento avuto su Pettinathia!”
Sul
volto pallido della femme vi era una genuina preoccupazione mascherata
da una
espressione il più possibile neutra, il tutto condito da un
coraggio senza
eguali nel volersi scusare con uno dei peggiori carnefici al soldo di
lord
Megatron. Durante i disordini che spesso infiammavano la capitale dello
spaccio
per eccellenza era successo che Kaon aveva perso il suo animale
domestico – una
creatura che un tempo era stata un transformer comune, con
l’unico difetto di
aver vissuto come una spia nemica, per poi essere passato per la
punizione
della “domesticazione” per mano della stessa DJD
– ma grazie al cielo quella
volenterosa ragazza aveva salvato la sua amata bestiola
dall’essere mangiato da
un branco di tossici in crisi di astinenza. Attualmente la creatura
stava
dormendo ai piedi del giaciglio di Kaon incurante di quella
conversazione
privata, e molto probabilmente se il tecnico gli avesse chiesto
qualcosa su
Pettinathia avrebbe iniziato a “latrare” spaventato
al ricordo di
quell’esperienza tutt’altro che gradevole.
“Bè
tesoro… se vuoi scusarti per la tua condotta puoi sempre
accettare il mio
invito ad uscire insieme”
Flautò
quelle parole cercando di sedurla, quando in realtà
riuscì solo a renderla più
irrequieta per la scelta fatta. L’intento di Ember non era
tanto quello di
sedurre un ufficiale decepticon per farla franca, quanto piuttosto di
mettere
le mani avanti e scusarsi pubblicamente per qualcosa che lei
– o la sua famiglia
– aveva combinato durante un soggiorno poco piacevole in
quella città
innominabile. Le sue scuse alle autorità decepticon le
avrebbe fatte a prescindere
anche senza nessuna colpa – in quanto sapeva bene di cosa
fossero capaci – ma
avrebbe mentito a se stessa se tale decisione non l’avesse
presa senza
“l’aiuto” di suo fratello Finn in camera
con lei.
Attualmente
il ragazzo occupava la parte superiore del letto castello in cui
entrambi i
fratelli potevano riposarsi, e nonostante fosse intento a mangiare i
propri
dolcetti all’energon era solo in apparenza disinteressato
alla conversazione
che stava coinvolgendo sua sorella.
Dove
si trovava lui poteva solo sentire l’inquisitore decepticon
avere quella
chiacchierata poco equivoca con Ember, ed in cuor suo sapeva che la sua
sola
presenza silenziosa accanto alla bella seeker bastava a darle quel
pizzico di
coraggio necessario per affrontare quella bega insolita.
“Uhm…
forse per quel genere di appuntamenti mia madre è
più indicata rispetto la
sottoscritta” replicò Ember, con una risata
imbarazzata
“Ah…
si! Tua madre! Quella femme è troppo forte…
ehehe!” il ricordo di quella seeker
piuttosto energica riecheggiò potente nella memoria di Kaon
“ sono passate due
settimane ma Tesarus ed Helex hanno ancora l’inguine che
cigola ogni tanto…
bwahaha! Che ragazzaccia!”
Hallow
era una transformers alquanto bizzarra, andava detto, in quanto era
spesso più
il tempo in cui era nei guai piuttosto che quello speso a non fare
nulla. Amava
relazionarsi molto con le persone – che fossero mech o femme
non aveva
importanza, purchè consenzienti e adulte – ma in
egual misura non amava che
qualcuno provasse a far del male alla sua famiglia. La sua tempra era
alquanto
notevole, e la DJD se n’era accorta rimanendo a dir poco
allibita.
“ma
no… non è così male”
borbottò Ember, più rivolta a se stessa che al
proprio
interlocutore “cioè, con quella ragazza ospite a
casa sua si era comportata
piuttosto bene… come si chiamava? Spectra,
giusto?”
Senza
rendersene conto la seeker si era momentaneamente scordata di essere in
diretta
video-chat con un macellaio della DJD – persa nei ricordi
della sua prima
settimana a Pettinathia, ospite nella casa che sua madre aveva preso
nella sua
più limpida periferia e ricordando anche chi aveva ospitato
prima dell’arrivo
dei suoi figli – chiedendo conferma del nome di quella
giovane ragazza semi
sconosciuta ad un fratello non in vista. Il ragazzo si
abbassò quel tanto per
mostrarsi alla femme e annuendole con la bocca piena, allungandole
anche un
cubetto di energon che Ember accettò volentieri, non
accorgendosi che in video
la figura di Kaon si era come congelata.
“A…
aspetta un minuto, dolcezza! Hai per caso detto Spectra? Verniciatura
bianca e
blu… piccola di statura e con un fratello figlio di buona
donna?!”
Per
il tecnico decepticon fu come se i ricordi iniziassero a zampillare
fuori come
una fontana dal suo stesso processore, rivangando le memorie di volti e
nomi
che ormai aveva sepolto da molto. C’era stato un tempo in cui
la DJD era stata
pure più larga in fatto di membri acquisiti e tra questi
quello che non se
n’era mai effettivamente andato dalle loro memorie era quello
di Spectra
Specter.
Una
femme relativamente giovane, quando la incontrarono nel mezzo di rovine
contorte era ancora una bambina, e per quanto fosse rimasta con la
squadra di
inquisitori per poco più di un mese aveva comunque saputo
ritagliarsi uno
spazio all’interno della squadra. Per certi versi fu come se
quell’anima
candida avesse ricordato agli spietati decepticons che anche loro
possedevano
ancora una scintilla che continuava a pulsare dentro le loro pesanti
armature,
pur non perdendo di vista il loro stile di vita –
nonché missione – piuttosto
sadico in certi frangenti.
Un
idillio durato poco per l’appunto, il tempo per quello che si
era rivelato
essere il fratello di quella fanciulla rapirla
direttamente dal loro incrociatore – avendo un certo fegato
nel farlo,
bisognava concederglielo – e portarla via con se…
quantomeno stando alle
dichiarazioni di Tarn, in quanto si era studiato bene i video di
sorveglianza
della nave e lo aveva riconosciuto dai dettagli fisici. Non
c’era da
meravigliarsi se ora tale individuo era sul libro nero del loro capo.
“Oh…
la conosci anche tu?” per un momento Ember rimase stupita,
per poi ricordarsi
con chi stava parlando e rispondere di conseguenza
“c-comunque si… una ragazza
piuttosto carina con le cromature blu e bianche. Ed il fratello non
è che l’ho
frequentato molto… ma mentirei se dicessi che mi sembrava
una bella persona”
Non
poteva crederci. Il tecnico decepticon aveva fatto decisamente centro
quel
giorno, in quanto ripescare su extranet il contatto di quella seeker
non era
stato affatto facile – per quanto fosse abile in informatica
– e scoprire inoltre
che quella femme era a conoscenza della loro
bambina era praticamente un caso che poteva avvenire
unicamente una volta
su un milione.
Si
massaggiò dunque il mento con fare pensoso, e se avesse
avuto ancora i sensori
ottici al loro posto probabilmente il suo sguardo sarebbe stato anche
più
preoccupato agli occhi di chi lo stava osservando, prima di decidersi
sul da
farsi. La conferma di aver appena ricevuto un indizio importante
sull’ultima ubicazione
del membro della loro squadra scomparso da tempo gli era stata appena
data in
maniera così inaspettata che quasi non poteva crederci, ma
non per questo
doveva abbandonare i suoi propositi meno nobili.
Faceva
bene a continuare a chiederle di Spectra per quel che la giovane seeker
potesse
saperne, ma non voleva rinunciare nel cercare di abbordarla in qualche
modo. Se
avesse immediatamente avvertito i ragazzi allora avrebbe perso la sua
possibilità di parlare con una cybertroiana piuttosto sexy
– non che la madre
fosse da meno, andava detto, ma Ember gli sembrava piuttosto tranquilla
rispetto alla genitrice – e dunque le sue successive parole
furono dettate
soprattutto da ciò che mediamente stimolava un uomo al di
sotto della cintura.
“Hmm…
senza dubbio questo è un argomento che va approfondito
meglio! Meglio parlarle
di persona, visto che si tratta di una cosa altamente
importante”
Il
sorriso ambiguo che incorniciò il pallido volto del mech
fece storcere il naso
ad Ember che, praticamente pentita di aver preso l’iniziativa
di avviare una
chiamata video, roteò i sensori ottici color arancio
buttando momentaneamente
il datapad sul ripiano del suo lettino metallico. Si era messa nei
casini da
sola e quel che era peggio l’idea di creare lei una
conversazione dal vivo con
un membro della DJD si stava trasformando in una fossa che la stava
sprofondando sempre di più. Invece di risalire la china
arrivando a scusarsi
pubblicamente con un ufficiale decepticon aveva dato la
possibilità a
quest’ultimo di incastrarla senza possibilità di
rifiutare.
“Io
di questo non me ne libero più, cosa faccio
adesso?!”
Vi
era una vena di sensibile esasperazione nella voce della bella seeker,
e questo
non venne ignorato da un fratello ormai esausto di dolcetti trafugati.
Con un
gesto agile scese dal letto, e vedendo Ember intenta a massaggiarsi le
tempie
doloranti da stress si ritrovò ad inarcare un sopracciglio
nel vedere come la
situazione non si era risolta nonostante il fegato della ragazza.
Fu
allora che gli venne in mente qualcosa che, solo in apparenza, poteva
non
c’entrare nulla con la situazione attuale. Ed era un qualcosa
che riguardava un
membro della Decepticon Justice Division con cui il giovanotto aveva
interagito
a Pettinathia per breve tempo.
“Senti,
perché per cominciare non gli chiedi il contatto privato di
quella loro
minicon… come si chiamava? Nickel mi pare”
“cos…
e questo come potrebbe aiutarmi?!”
La
ragazza lo guardò giustamente allibita – incapace
di capire il perché il
giovane seeker avesse
tanto voglia di
contattare quella piccoletta dalla lingua sciolta – tanto da
osservarlo curiosa
e ignorando le domande di Kaon che, dallo schermo, ora non vedeva altro
che un
giaciglio scuro.
“fidati,
funzionerà” sorrise Finn, non vedendo
l’ora di salutare nuovamente la piccola
decepticon incontrata per puro caso in quella fogna di città
“ho proprio voglia
di sapere se è riuscita a togliersi dalle dita quei
tentacoli di gomma presi al
Tiger!”
[…]
Non
vi erano molti passatempi all’interno della Paceful Tyranny,
e quelli che
c’erano erano offerti dai pochi giochi interattivi che la
sala ricreativa aveva
da offrire. Tesarus, gigantesco decepticon con un inquietante foro
dentellato
nel mezzo del petto – sfruttato per le sue esecuzioni
più spietate – era più il
tipo da passatempi pratici anziché mettersi a fare uno di
quei giochi di
strategia in cui bisognava muovere pedine e ipotizzare le tattiche
dell’avversario. La sua anima da demolitore si faceva sentire
ancora dentro di
lui, era una mente semplice seppur non significasse che fosse
stupido… anzi, quindi
ecco che preferiva cimentarsi nelle costruzioni per poi sfasciarle una
volta
completate.
Attualmente
era impegnato a impilare uno sopra l’altra delle sottili
barrette di metallo
che, una volta sistemate a dovere, stavano prendendo la forma di una
complessa
struttura torreggiante.
“coraggio
piccolina… ancora dieci pezzi e poi potrai dirti
ultimata!”
La
sua voce tradì una lieve emozione nell’atto di
incrociare altre due barrette
tra loro, in quella che era una torre perfetta, ma tutto ciò
fu destinato ad
infrangersi quando un ruggito spaventoso andò ad infrangersi
tra le pareti
metalliche della sala in cui era.
“KAOOOONN!!”
L’idilliaco
momento del colossale esecutore si interruppe quando l’ultimo
tassello stretto
tra le sue dita fu quasi in procinto di posarsi sulla cima della sua
complicata
torre, prima che questa non si sgretolasse alle vibrazioni vocali
partite dal
loro medico di bordo. Quando
Nickel si
incazzava non c’era nulla che potesse contrastare la sua
furia in miniatura –
no, non la spaventava neppure lavorare con gente pericolosa priva di
scrupoli
nonostante il suo essere una minicon – pertanto al povero
Tesarus non rimase
altro che boccheggiare incredulo al suo capolavoro distrutto e a
sospirare poi
dispiaciuto per il tempo sprecato.
Ciononostante
la curiosità di sapere in cosa si era cacciato questa volta
il loro tecnico fu
troppo grande per lui, tanto da dimenticarsi in breve del proprio
passatempo
rilassante e scrutare fuori dalla grande finestra della sala una Nickel
che
letteralmente volava per il grande corridoio. Una furia in miniatura
con in
mano già una sega circolare pronta ad abbattersi sullo
sventurato che l’aveva
fatta incazzare, quindi perché perdersi il probabile
smembramento di
quell’imbecille senza sensori ottici?
“Nickel…
cosa succede?”
Quel
giorno tuttavia il massiccio inquisitore decepticon non si sarebbe
rallegrato
con un po’ di sana violenza, in quanto lo stesso Tarn
– loro capo indiscusso in
quella loro combriccola malata – uscì fuori dalla
propria stanza per frenare
l’avanzata della minicon – che gli arrivava a
stento alle ginocchia – e sotto
il suo sguardo vermiglio la piccola donna si dette apparentemente una
calmata.
“succede
che quel coglione di Kaon ha ceduto il mio contatto privato a quel
pazzo che mi
ha rapito a Pettinathia! Ecco cosa succede! Guarda!” da uno
scomparto del
proprio voluminoso torso estrasse quello che era il proprio datapad
olografico,
con una evidente chat iniziata da un tizio di nome Finn “mi
sta rompendo le
scatole in questo preciso istante!!”
Alzò
lo schermo per mostrare il fattaccio al proprio capo, e questi
– un mech dalle
tonalità cromatiche tendenti al viola e al nero e con il
volto coperto da una
maschera che ricordava il simbolo dei decepticon – notando
che la chat
continuava come se nulla fosse decise di prendere la decisione
più saggia.
Seppur trattenendo un sospiro di pura frustrazione.
“hm,
d’ora in avanti lascia che me ne occupi io… questa
storia necessita di essere
chiarita”
A
Tarn non piaceva particolarmente ricordare il periodo passato in quella
città
tossica abitata da persone fastidiose oltre ogni limite – ma
per questioni
commerciali non del tutto “pulite” era comunque
costretto a frequentare – ma era
ancor peggio che, gente conosciuta e affrontata
li per questioni legate per lo più ad equivoci imbarazzanti,
continuassero a
provocarli con la complicità di uno di loro.
Tosto
si diresse quindi in direzioni degli appartamenti dello sconsiderato
tecnico,
seguito a breve distanza da un medico di bordo ancora furente e dallo
sguardo
di un Tesarus piuttosto interessato a vedere come si sarebbero evolute
le cose.
“Ehe!
Forse faccio bene a chiamare anche gli altri!”
Se
doveva esserci spettacolo tanto valeva che anche il resto della squadra
osservasse.
[…]
Non
ci fu bisogno di sfondare la porta per una entrata in scena ad effetto
per far
sudare freddo Kaon, in quanto una volta che le porte scorrevoli si
furono
ritirate all’interno dei muri fu la minacciosa ombra di Tarn
ad oscurare un
povero tecnico dal sorriso forzato come quello di qualcuno colto con le
mani
nella marmellata.
“E-ehilà
ragazzi! Come va?!”
Nonostante
fosse rimasto rintanato nelle sue stanze il grido della piccola
dottoressa
l’aveva sentito eccome… così come
l’avevano sentito anche il resto della squadra,
visto l’assembramento di individui alle spalle del suo
comandante.
“A
te andrà male appena ti metto sotto i ferri! Sappilo testa
di cazzo!”
Nickel
aveva dei ricordi poco piacevoli della sua obbligata permanenza in una
città i
cui fumi tossici letteralmente portavano la gente a sballarsi in modo
brutale,
ed essere stata praticamente rapita da un seeker in vena di scherzi per
essere
poi portata in un negozio di cianfrusaglie per fare compere fu una
esperienza
ancor più allucinante.
Una
mano protesa verso di lei comunque la frenò dal prendere in
mano uno qualsiasi
dei suoi bisturi – spesso tenuti alla cintura – e
ben sapendo che Tarn non
avrebbe approvato aggressioni di alcun tipo all’interno della
propria squadra
frenò la propria lingua ma non lo sguardo fiammeggiante.
Al
leader decepticon non servirono molte parole per farsi capire da Kaon
–
quest’ultimo ben poteva intuire dalle sue ottiche rosse
insolitamente accese
che, sotto la maschera, fosse piuttosto adirato – ma
bastò semplicemente
mettergli sotto il naso il datapad di Nickel per pretendere al
più presto
risposte convincenti.
“Spiega,
e alla svelta”
La
cupa voce di Tarn era un paradosso se paragonata alle parole allegre
della chat
da parte di quel seeker di nome Finn, pertanto il tecnico dalle
voluminose
antenne tesla sulle spalle girò la propria sedia girevole
quel tanto da avere
l’attenzione di tutti. E oltre le spalle cingolate del suo
signore gli altri
inquisitori già se la ridevano in silenzio.
“Ehm,
ma certo! T-ti ricordi quella femme carina di nome Ember? Quella che ha
ritrovato
il cane?”
“Ember…
intendi la figlia di quella tizia di nome Hallow?!”
fece
dubbioso Helex massaggiandosi il mento. Domanda a cui il gigantesco
Tesarus
rispose con un sogghigno dando una gomitata al collega con tendenze un
filino
cannibalistiche quando si trattava di lavorarsi gli eretici.
“Se
è quella che ci ha demolito l’inguine allora
è un bene che Kaon sia riuscito in
qualche modo a trovarla”
I
due grossi decepticon smisero di sghignazzare a quel dolce ricordo
quando Vos –
lo scienziato del gruppo – li zittì con un sonoro
“shhh” in quanto pure
l’allampanato decepticon era interessato a quella
discussione. Kaon quindi
riprese con le proprie spiegazioni seppur il nervosismo dettato dalla
tensione
lo stava portando a tamburellare con il piede destro il pavimento in
metallo.
“si… bè ecco, sono
riuscito a rintracciare il
suo contatto privato e indovinate un po’?! la ragazza ha incontrato Spectra durante il suo
soggiorno a Pettinathia!”
Un
silenzio glaciale calò nella stanza, interrotta solo dopo
pochi secondi da un
brusio di sottofondo di chi stava iniziando a mettere in dubbio le
parole del
tecnico e chi, semplicemente, era troppo incredulo per poter dire
qualcosa.
“Cos…
ma stai scherzando?”
La
prima a spezzare quell’innaturale silenzio fu il piccolo
medico di bordo,
decisamente scettica per quella rivelazione improvvisa, tanto da
accompagnare i
borbottii di chi era del suo medesimo parere e chi –
tutt’altro – speranzoso
nei riguardi di un membro della loro “famiglia” che
aveva nuovamente fatto
parlare di se.
Ma
ciò che preoccupò maggiormente Nickel, ed anche
il resto del gruppo dopo, era
l’innaturale silenzio del loro comandante.
Tarn
si era chiuso in un mutismo gelido difficile da decifrare, ed il fatto
che portasse
una maschera perennemente calata sul volto non aiutava i presenti a
capire in
che stato fosse al momento. Solo i suoi sensori ottici potevano
esprimere
qualcosa attraverso una luce che gli astanti avrebbero quasi definito
sinistra.
Fu
difatti lui a prendere l’iniziativa, e con voce tetra chiese
al proprio tecnico
di passargli il datapad infame.
“Fammi
parlare con la ragazza…”
“M-ma
certo! Poi però posso uscirci… vero?”
Le
parole morirono un po’ per volta nella scatola vocale di
Kaon, riducendosi ad
un sussurro quando il suo comandante letteralmente lo ignorò
dopo che gli ebbe
consegnato i propri effetti personali.
[…]
Ember
non aveva mai avuto pensieri violenti riguardo la sua attuale famiglia,
ma in
quel preciso momento avrebbe volentieri mollato un ceffone sulla nuca
di suo
fratello.
Finn
era davvero stato un ingenuo a pensare che, scatenando il caos
all’interno di
quella che era la Paceful Tyranny – l’attuale nave
della DJD – avrebbe in
qualche modo aiutato sua sorella! Attualmente sullo schermo si erano
aggiunte
facce nuove, una poco rassicurante dell’altra, e una delle
poche che
riconosceva dal suo soggiorno a Pettinathia fu quella del mech
mascherato impossibile
da dimenticare e ancor più impossibile da non riconoscere.
Si
sentì quindi congelare l’energon nelle viscere
sintetiche, nel mentre che suo
fratello – seduto al momento accanto a lei – la
guardava con fare interrogativo
intuendo forse solo in parte il disagio della seeker.
“Ed
ecco che cominciano i guai…” sussurrò
la giovane, una volta che Tarn prese
posto dove prima era seduto il suo cieco tecnico e, lasciando che il
resto del
gruppo prendesse posizione dietro di lui, si rivolse ad Ember con poche
parole
dirette.
“sarò
chiaro e andrò direttamente al punto: è vero
oppure no che hai visto Spectra,
un membro del nostro gruppo, su Pettinathia?”
C’era
decisamente qualcosa di strano nella cupa voce del mech. Qualcosa che
Ember non
riuscì ad identificare con precisione, simile ad un brivido
sinistro che la
portò a sentirsi le gambe e le braccia informicolarsi, ma
che – stranamente –
la portò anche a mettersi quasi sull’attenti. Non
si poteva sapere se in quel
momento il lord inquisitore stava usando effettivamente i suoi
fantomatici
poteri di controllo – capaci addirittura di uccidere a
distanza semplicemente
abbassando il tono della voce fino ad un sussurro, questo almeno stando
alle
voci che circolavano – o semplicemente la propria figura per
incutere timore e
rispetto, ma riuscì in pieno a farsi rispettare dalla
giovane seeker.
“Si,
signore. È così… ho avuto modo di
vederla poco ma…”
“Ti
è sembrata in salute? Felice? Era in compagnia di qualcuno?
Sai dov’è adesso?”
Le
pressanti domande dell’inquisitore lasciarono momentaneamente
spaesata Ember
che, molto più che incredula, credette tutto
fuorché quello che parve essere un
sincero interessi nei confronti di una persona viva.
La fama della DJD era piuttosto nota per essere quanto di
truce e grottesco le società decepticon potevano creare in
fatto di soldati – e
quando lavorava a Kaon di storie sulle loro favoleggiate missioni,
forse non
tanto fantasiose, ne aveva sentite abbastanza da stare sul chi vive
– ma
arrivare a percepire quella che sembrava essere preoccupazione sincera
la
lasciò sempre più stupita man mano che rifletteva
velocemente sulla cosa.
“per
essere in salute lo era, almeno stando a quello che mi ha detto lei, ma
felice…
non saprei. Era in compagnia di suo fratello, un tale di nome Spectrus,
ma mi è
sembrata comunque molto malinconica… nonostante i suoi
sorrisi. E per
rispondere all’ultima domanda, non ho idea di dove si trovi
ora. Purtroppo il
tempo che abbiamo passato assieme è stato relativamente
breve”
Ci
fu un lungo attimo silenzio dopo le parole della seeker. Un attimo
così lungo
che parve riempirsi di un innaturale gelo quando la ragazza
pronunciò il nome
di quel mech dall’aria tutt’altro che rassicurante,
tanto da portare Ember a
sentirsi ancor più a disagio di fronte
all’autorità decepticon.
In
particolar modo gli occhi del loro leader mascherato parvero accendersi
come
due tizzoni ardenti alla breve relazione di Ember, ben ansioso di
saperne di
più nonostante chissà quale emozione gli stava
attraversando il volto sotto
quell’inquietante maschera.
Vedendo
che il timore di incappare in chissà quale punizione da
parte di quegli
spietati esecutori non aveva ancora lasciato le membra di sua sorella,
nonostante fosse comunque ottimista per come si sarebbe conclusa quella
chiacchierata, Finn decise comunque di darle conforto stringendole la
mano
destra e farle così sentire la propria presenza al suo
fianco. Un gesto
comunque gradito da Ember, che si fece così forza di fronte
a quello che ora le
sembrava un uomo quasi ferito.
“Voglio
sapere nel dettaglio il tuo soggiorno a Pettinathia e quello che tu e
Spectra
vi siete dette. Oltre che una descrizione dettaglia sua e di suo
fratello… per
cortesia”
Avrebbe
indubbiamente obbedito alle volontà di un lord inquisitore,
anche senza una sua
apparente cortesia.
[…]
Tutto
sommato quel colloquio indesiderato era stato relativamente breve,
nonostante
si sentisse la scatola vocale praticamente danneggiata dal suo troppo
chiacchierare.
Ember
aveva detto tutto quello che poteva saperne riguardo a Spectra,
arrivando
persino a ripetersi in certi punti, e solo una volta che quelli della
DJD
capirono che la bella seeker alla fine della corsa non aveva altro da
aggiungere decisero finalmente di lasciarla stare.
Mai
in tutta la sua vita era stata così disponibile a parlare
con qualcuno e
rispondere a tutte le domande che le venivano poste, ma vivendo a Kaon
aveva
imparato fin da bambina a rispettare le autorità decepticon.
Questo non
toglieva tuttavia il timore di aver fatto o detto qualcosa di sbagliato
alla
persona sbagliata, in quanto le storie che si raccontavano sulla DJD
erano così
inquietanti da essere probabilmente vere.
Tuttavia
quando il leader degli inquisitori si era stancato di tempestarla di
domande
aveva deciso di chiudere li la conversazione e, da diverse ore ormai,
nessuno
più l’aveva disturbata o importunata.
Tutti
quei minuti spesi a parlare con quella gente le aveva messo il dubbio
che in
realtà quegli individui fossero più umani
di quel che volevano mostrare alla gente comune. La preoccupazione di
quegli
uomini per quella che il loro leader aveva identificato come un membro
della
loro squadra sembrava essere davvero sincera – soprattutto da
parte di Tarn, i cui
sensori ottici erano l’unica cosa a parlare effettivamente
delle emozioni che
lo stavano attraversando, ricordandole per certi versi lo sguardo
cattivo e
mortalmente preoccupato delle sue zie – ma da qui a
considerarli dei bravi
ragazzi ce ne passava. A pelle, e di natura Ember era piuttosto
intuitiva, era
come se – soprattutto il loro leader – ci fosse del
rammarico per essersi
lasciati indietro Spectra. E nel mentre che lei cresceva e si faceva
donna, il
probabile tarlo dell’abbandono, vero o presunto, si
impossessava di menti
provate da una vita di violenze.
Uno
spiraglio di normalità rappresentato da quella che
all’epoca era una ragazzina
– quantomeno il leader della DJD si era lasciato scappare che
avevano
incontrato Spectra che ancora era una bambina – destinato per
forza di cose a
non durare a lungo data la natura dei soggetti coinvolti. Forse quegli
uomini
stavano semplicemente rincorrendo un sogno ormai finito da tempo, per
quanto
potesse essere un pensiero amaro da parte di Ember, ma alle delusioni
della
vita ci si era abituata.
Quel
giro di pensieri notturni – dovuti ad una insonnia che non le
permetteva di
entrare in ricarica, non dopo aver parlato con degli esecutori
decepticon – si
infranse quando dal suo datapat, appoggiato sul ripiano metallico
accanto alla
cuccetta in cui stava cercando di riposare, si illuminò
emettendo un piccolo
trillo per avvisarla di una chiamata in arrivo.
Sbuffando
seccata lo prese in mano prima che quel suono potesse svegliare Finn
che
dormiva sopra di lei, ma quando vide chi stava cercando di contattarla
i suoi
sensori ottici ambrati si spalancarono del tutto.
Avvertì
brevemente la scintilla affievolirsi in petto, in un moto di paura e
sorpresa
che a momenti non le fece scappare una esclamazione di puro stupore
dalla
bocca. Decise quindi di alzarsi in punta di piedi dal letto per non
svegliare
suo fratello, non volendo dargli altre preoccupazioni, e di rispondere
a quell’insistente
chiamata una volta che fu uscita dalla propria cabina. Lì
fuori, nel buio di un
corridoio rischiarato solo dalle luci di servizio piazzate alla rinfusa
lungo
le pareti metalliche dello scafo, Ember decise di rispondere alla
chiamata di
Tarn dopo aver fatto un lungo sospiro.
“Signore…
non mi aspettavo una sua chiamata. Le… ehm, serve
qualcosa?”
Oltre
lo schermo olografico del suo datapad la giovane poteva osservare
l’imponente
mech seduto in quella che doveva essere la sua scrivania privata
– lo poteva
intuire da quei pochi particolari che la caratterizzavano, tipo la
presenza di
bottiglie di alcoolici piuttosto costosi e un ordine quasi maniacale
che
permeava nell’ambiente – ma ancora una volta le era
impossibile determinare
quale emozione gli stesse attraversando il viso, in quanto
l’onnipresente
maschera decepticon nascondeva ogni cosa.
“a
dire il vero no… sei stata più che esaustiva con
le mie domande oggi, ma ho
scordato di ringraziarti per la tua gentilezza e questo non
è da me. Ti sei ripagata
bene”
“Uh…
signore?”
In
tutta onestà la giovane non comprendeva esattamente cosa il
lord inquisitore
stesse dicendo, magari era intontita di suo a causa dell’ora
tarda, ma il mech
non si scompose ne parve irritato dalla confusione che aveva causato
alla sua
interlocutrice. Rimase silente per qualche secondo, prima di iniziare
ad
armeggiare con le cerniere magnetiche che tenevano ben salda la sua
maschera al
volto.
“voglio
essere sincero, durante il nostro primo incontro a Pettinathia non
abbiamo
avuto modo di comunicare adeguatamente - tua madre ha saputo essere
piuttosto protettiva, nei tuoi
confronti - ma durante
la nostra precedente chiacchierata ho avuto modo di riflettere meglio e
di
ricordarmi del nostro precedente incontro… il primo, ad
essere sinceri”
La
maschera si separò dal volto del capo esecutore con un
sibilo dovuto alla
decompressione, lasciando momentaneamente che il suo vero viso
rimanesse all’ombra
della stanza in cui si trovava, prima di avvicinarsi allo schermo e
mostrarsi
per quel che era realmente. Ed Ember credette di vedere quello che era
un
fantasma.
Il
pallido volto di quello che sembrava essere ancora un giovane uomo era
in parte
rovinato da quella che si poteva definire una cicatrice metallica,
prendente
buona parte del lato sinistro, mentre l’espressione austera
era la stessa che
la seeker aveva incrociato quando era ancora una bambina. Se
l’universo era
sconfinato, ora si stava decisamente riducendo a quei pochi metri
quadri di
astronave dove ora si trovava lei.
“Quando
mi trovavo ancora di pattuglia a Kaon, agli inizi della mia carriera,
ebbi modo
di incontrare il mio primo bivio…” la
guardò intensamente, notando che ella
stava iniziando a capire rapidamente “seguire diligentemente
le regole, oppure
dare la possibilità a qualcuno di potersi redimere? Ebbene,
a distanza di così
tanti anni penso ancora di aver fatto la scelta giusta”
Lo
disse con un sottile sorriso appena accennato sulle labbra, nel mentre
che
Ember si perse in ricordi ancestrali. Ritornando ad essere una bambina
terrorizzata dal futuro che l’attendeva al di fuori di quel
vicolo buio e
umido, di fronte ad un soldato che non avrebbe dovuto mostrare nessun
tipo di magnanimità
nei suoi confronti. Un ricordo questo che la intristì,
così come le accadeva
alle volte a pensare al passato, ritrovandosi a voltare lo sguardo
altrove per
evitare l’occhio vigile di un uomo invecchiato peggio di lei.
“Sei
cresciuta bene, Ember… e hai saputo ripagare bene il favore
che ti feci tempo
fa. Pertanto, ne tu e neppure il resto della tua famiglia
sarà mai sulla nostra
lista”
Un
segno di gratitudine non da poco, considerando che si stava parlando
della DJD,
ma che per qualche strano motivo passava in secondo piano nella mente
di Ember.
Se quel mech non aveva scordato lei dopo tutti quei secoli, come poteva
scordarsi di quella ragazza che stava cercando disperatamente? Spectra
non era
dentro quel vicolo buio, chi le stava tendendo una mano per tirarla
fuori c’era
e, a modo suo, non avrebbe ritratto quella mano fino a che non
l’avrebbe ritrovata.
“mi
auguro davvero che possiate trovarla… signore”
Le
ultime parole di Ember, fievoli e tristi, ora con la schiena appoggiata
alla
parete del corridoio come spossata da ciò che le si era
rivelato, vennero colte
con un timido accenno di assenso da parte di Tarn.
L’esecutore annuì
brevemente, ancora soddisfatto per tutte le informazioni che la ragazza
era
riuscita a dar loro quel pomeriggio, decidendosi di lasciare la propria
ospite
ai suoi pensieri. Anche per lui, ripescare il volto di quella ragazzina
in un processore
ormai compresso di sofferenza e infamia era stata una rivelazione
simile ad una
epifania.
“è
quello che ci auguriamo tutti. Buona notte e addio”
Se
era riuscito a trovare casualmente uno spettro del suo passato allora
c’era speranza
di ritrovarne un altro. Doveva solo continuare ad avere
pazienza… e di quella,
Tarn, ne aveva fin troppa.