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Autore: ToscaSam    16/02/2020    1 recensioni
Ispirato da "I Fisici" di Dürrenmatt.
Ambientato in piena Guerra Fredda: in una clinica psichiatrica sono ricoverati tre strani pazienti. Tutti e tre erano grandi fisici, un tempo. Fra di loro ce n'è uno, Johan Möbius, che ha lavorato tutta la vita per trovare la "formula universale", quella che risolverà ogni domanda sull'universo e sulla fisica. Tutte sciocchezze deliranti di un malato di nervi.
O forse no.
Nel prestigioso sanatorio cominciano ad accadere fatti disturbanti: due infermiere trovate morte sono solo l'inizio della vicenda.
Una storia grottesca, farcita di dark humor e temi filosofici.
Cosa è giusto/sbagliato? Cosa è il bene/il male? Chi sono i buoni/i cattivi?
Genere: Dark, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Mathilde Von Zhand


Richard Voss si domandò cos'altro avrebbe dovuto sopportare.
Rimase disteso sul sofà e si tamponò gli occhi chiusi, sentendosi terribilmente stanco.
La luce rossastra che filtrava dalle palpebre lo faceva sentire prigioniero di un inferno. C'era un'aria soffocante.
Si alzò. Rischiava di impazzire lui stesso e non aveva voglia di chiedere il ricovero presso Il Lago, trastullarsi in quel salotto con la Sambuca e finire per uccidere un'infermiera.
Decise di ammirare un imponente quadro appeso alla parete più in vista: la cornice splendida riquadrava il ritratto di un uomo in uniforme. Voss si accese una sigaretta, mandando al diavolo i regolamenti e le prediche. Gustò a fondo il sapore del fumo dentro la bocca, lo sentì arrotolarsi sulla lingua, picchiare contro i denti e risalire su fino alle narici.
Espirò, accompagnato da una nuvoletta grigia.
L'individuo arcigno ritratto nel quadro aveva ridicoli baffi a manubrio. Voss fece una risata sommessa, poi passò ad esaminare tutte le mostrine ritratte sulla divisa.
 
 
« Mio padre»
annunciò una voce alle sue spalle.
Voss sobbalzò. Dovevano tutti comparire all'improvviso, lì dentro.
Nascose goffamente la sigaretta dietro le spalle ed emanò una boccata di fumo.
« il cavaliere August Von Zhand. Abitava qui nella villa, prima che io la trasformassi in un sanatorio. Era un grand'uomo. Non ha avuto altri figli all'infuori di me e per me nutriva … un odio feroce, come del resto odiava tutta l'umanità in genere. Io che cerco di guarire i pazzi, evidentemente, sono una filantropa inguaribilmente romantica».
Chi aveva parlato era una donna di media statura, bruna, con i capelli tirati su da una crocchia a conchiglia. Emanava un'aura di eleganza e solidità: i suoi occhi neri rivelavano una non celata intelligenza e vibravano di interesse verso l'ispettore Voss. Era la direttrice.
« Signorina Von Zhand!» balbettò Voss. Arrossì, ricordandosi della sigaretta accesa e aggiunse: « Mi scusi se stavo fumando. Lo so che è proibito, però … »
« Fumi, fumi pure signor commissario. Non si preoccupi!» rise lei con gusto. Aveva le labbra dipinte di rosso scuro. Forse la sua faccia non era bellissima, ma tutta la persona trasmetteva un qualcosa di interessante e di attraente. Poteva avere una quarantina d'anni, assolutamente ben portati.
« Sa che le dico? Ho urgente bisogno di una sigaretta anch'io. Al diavolo la caposala e le sue restrizioni».
La magnetica donna frugò in una tasca del camice e ne estrasse un pacchetto di sigarette. Ne sfilò una con le labbra rosse, poi disse: « Mi fa accendere, per favore?»
« Oh, certo» fece Voss, raggiungendola e offrendole l'accendino.
Era come ipnotizzato dalle movenze della dottoressa: sicura, ammaliante, severa.
Ella si beò un poco della sigaretta poi fissò la brutta sagoma contornata di gesso e trasse un breve sospiro:
« è veramente una cosa atroce. Povera Irene Strauss. Era così giovane, così carina».
Seguì un filo di pensieri sconosciuti, poi posò lo sguardo sui due bicchieri di cristallo usati.
« Ah. C'è stato Newton?»
« Si, ho avuto il piacere di fare la sua conoscenza».
La signorina Von Zhand curvò le rosse labbra in un sorriso ironico: « E così, ha avuto una conversazione interessante con Newton?»
« Sicuro. Ho scoperto qualcosa»
« Ah davvero? I miei complimenti»
« Vede, in realtà anche Newton crede di essere Einstein»
« Ah, si. È quello che va raccontando a tutti quanti, ultimamente». La donna inspirò e la punta della sigaretta si accese. Dopo qualche secondo, aggiunse: « In realtà si crede veramente Newton».
Voss esclamò, non nascondendo la delusione: «Davvero? Ne è sicura?»
« Signor commissario. Sappia che io li conosco molto meglio di quanto essi conoscano sé stessi. Non nascondono segreti per me e se sospetto qualcosa, ho i miei mezzi per arrivare alla verità. Qui dentro niente sfugge al mio controllo»
« Beh signorina, a dire il vero le autorità protestano».
La dottoressa Von Zhand si sedette su una poltrona foderata di velluto. Accavallò le gambe e guardò Voss con aria di insofferente fermezza:
« E il procuratore di stato?»
« è su tutte le furie!» ribatté Voss, ricordandosi di quanto fosse scocciato. Quella situazione assurda, i personaggi impossibili che si susseguivano sulla sua retta via. Ora aveva dinnanzi qualcuno di competente per risolvere gli innumerevoli problemi che gli erano capitati sotto il naso.
La dottoressa osservò l'ira di Voss che si espandeva sul suo viso, poi si distese in un sorriso irritante quanto splendido:
« Come se io non avessi altre preoccupazioni che le sue furie!»
« Signorina, però lei deve ammettere che, insomma, due omicidi … »
« Signor commissario! Moderi i toni!»
« … Ebbene, che due incidenti del genere, in tre mesi, non sono proprio una bella faccenda. Le misure di sicurezza di questo istituto lasciano a desiderare»
« Mi scusi, lei come se le immagina queste misure di sicurezza?» Mathilde Von Zhand si alzò rapidamente e raggiunse il suo interlocutore. Nonostante i movimenti repentini emanava sempre una gran classe: « io dirigo una clinica, non un carcere. Nemmeno lei può arrestare dei presunti assassini prima che abbiano ucciso. Non posso rinchiudere i miei pazienti solo perché lei pensa che siano pericolosi»
« Ma qui non si tratta di presunti assassini. Si tratta di due assassini accertati e di altri non so quanti pazzi che potrebbero uccidere da un momento all'altro!»
« Ah davvero? Anche i sani uccidono e molto più spesso. E poi in che epoca viviamo? Non abbiamo a disposizione medicamenti e droghe per annichilire anche il più furioso dei pazzi? Cosa dovrei fare, secondo lei? Rinchiudere i pazienti in celle individuali? Come se non fossi in grado di distinguere un malato pericoloso da un malato innocuo!»
« Sarà. Allora questa capacità di distinzione ha fallito clamorosamente nei casi di Beutler ed Ernesti»
« Già. Ed è proprio questo che mi preoccupa. Non le furie del suo procuratore di stato».
Mathilde tornò a sedersi e aspirò grandi boccate dalla sigaretta. Voss si scoprì sudato e di nuovo a gesticolare. Si allontanò di qualche passo da quella donna letale che proprio non voleva dargli ascolto. Non c'era nessuno di ragionevole là dentro. Nemmeno la direttrice. Pazienza, pensò Voss. Avrebbero dovuto venire a patti con la legge e lui rappresentava proprio la legge, in quel momento.
D'un tratto una porta alle loro spalle si aprì emettendo un fragore inaspettato. Voss sobbalzò, Mathilde non si scompose; si limitò ad allargare i grandi occhi neri, sorpresa.
Un ometto basso e tondello si catapultò nella stanza: Voss riuscì a scorgere capelli neri ricciuti e imponenti baffi a spazzola.
L'omino si diresse dalla direttrice e l'abbracciò senza garbo:
« Mi sono svegliato!»
la donna si liberò dalla presa scivolando come un'elegante anguilla. Sfiorò la guancia dell'uomo con una carezza:
« Ma come, professore?»
« Come ho suonato? Bene? Eh? Bene?»
« Magnificamente, professore»
« Ma quell'infermiera … Irene. Irene Strauss»
« Non ci pensi più, professore»
« Allora torno a dormire»
« Ottima idea, professore».
L'uomo abbracciò di nuovo la dottoressa, che sorrise comprensiva, poi filò via così com'era entrato.
Voss stralunò gli occhi: « Era lui!»
« Lui chi, commissario?»
« L'assassino!»
« Signor commissario!»
« Si, insomma … l'autore del gesto. Quello che crede di essere Einstein»
« Precisamente. Ernst Ernesti».
Voss era stupefatto. Si riscosse quando non seppe rispondersi sul perché la visione dell'assassino lo avesse così sconvolto. Afferrò il taccuino dalla propria tasca e sfoderò un tono professionale:
« Da quanto tempo è ricoverato qui?»
« Da due anni, ormai»
« E Newton?»
« Newton? Da un anno circa»
« E in che stato?»
« Ambedue incurabili. Stia a sentire, Voss. Sono un'ottima psichiatra, so fare il mio mestiere. Questo è noto a lei e è noto anche al procuratore di stato, che ha sempre avuto stima del mio lavoro. Se posso dirle la mia, qui c'è sotto qualcos'altro. Non ha notato un fatto?»
Voss restò a bocca aperta come un'imbecille: « Un fatto?»
« A proposito di questi due malati, ci pensi un po'»
« Non la seguo»
« Proprio lei non è capace si sospetti, commissario?»
« Guardi, non capisco»
« Erano tutti e due studiosi di fisica nucleare»
« Quindi …?»
« Hanno lavorato entrambi con materiale radioattivo!»
« E lei suppone che questo c'entri qualcosa con il loro gesto?»
Mathilde si alzò, con un sorriso febbrile: « Ci pensi! Tutti e due si sono ammalati. In tutti e due la malattia si è aggravata e tutti e due hanno strangolato un'infermiera».
Voss replicò, confuso: « Cioè lei pensa a una specie di malattia del cervello dovuta alla radioattività?»
La dottoressa alzò le spalle: « Purtroppo è una possibilità che devo prendere in considerazione. Non posso scartare nessuna ipotesi».
Era la cosa più assurda che Voss avesse sentito fino a quel momento. Più assurda dell'assassino che deve suonare il violino accompagnato dalla direttrice. Più assurda del non poter pronunciare le parole “assassino” e “omicidio”.
Si guardò di nuovo intorno: ancora una volta il salotto gli dette i brividi. Quel suo splendore era così fasullo da dare il voltastomaco.
« Dove conducono tutte queste porte?» chiese Voss giusto per distrarsi dai terribili pensieri.
La dottoressa lo guardò appena:
« Una porta conduce all'atrio, una alle scale per il piano di sopra e le altre alle camere dei pazienti»
« E quanti pazienti ci sono, qui, di preciso?»
« Tre».
Voss inarcò le sopracciglia. Era stanco di essere preso in giro: « Come? Solo tre?»
« Oh, si. Tutti gli altri sono stati trasferiti all'edificio principale subito dopo il primo incidente. Non era il caso di tenere troppe persone nella villa»
« E chi è questo terzo paziente? Perché lui è stato lasciato qui?»
« Si chiama Johan Möbius. È un fisico, anche lui»
Voss rise: « Un fisico? Che coincidenza!»
Mathilde lo guardò, seria: « No, non è una coincidenza. La mia struttura ospita i pazienti a seconda dei loro interessi. Ho un'ala riservata agli scrittori, una agli industriali e, quindi, una anche per i fisici».
Voss iniziò a divertirsi. Sentì scivolare l'ultima goccia di sudore lungo le tempie e si distese in una tranquilla beatitudine:
« Ottimo, ottimo. E anche questo Möbius ha avuto a che fare con la radioattività?»
« No, mai»
« E fra qualche mese mi chiamerà perché anche lui ha strangolato un'infermiera?»
« Oh, no, commissario. È qui da dieci anni. Le sue condizioni sono sempre state stazionarie».
Voss trasse il fazzoletto a quadri dalla tasca, si asciugò finalmente la fronte e sorrise all'austera e fascinosa dottoressa: « Come vuole. In ogni caso il procuratore di stato esige delle guardie giurate che sorveglino questi pazienti. Si rivolga a chi vuole, credo che abbia mezzi a sufficienza per mantenere un esercito»
Mathilde Von Zhand affilò lo sguardo, le lunghe ciglia nere nascosero per un attimo le iridi che dopo un po' riemersero, decise:
« E va bene. Assumerò delle guardie»
« Oh! Sono contento che riesca a capire la gravità della situazione. Mi aspetto un suo riscontro in cui mi conferma che le guardie si sono stanziate qui e che non c'è più nemmeno l'ombra di un'infermiera. Spero di non dover più tornare e spero di non doverla più incontrare. Arrivederci, cara signora».
Dopo una veloce stretta di mano, Voss se ne uscì canticchiando.
  
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