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Autore: Sheep01    16/02/2020    1 recensioni
[IT, Fix-It fic]
Aveva fatto i conti con la possibilità che avrebbe potuto restare intrappolato in quelle fogne per sempre. Il suo corpo, le sue ossa, a sgretolarsi nel ventre di Derry. Per sempre.
Ma non era stata Beverly a metterli al corrente che chi moriva a Derry era destinato a non morire mai veramente? Doveva essere vero perché, in qualche universo alternativo a quello, nessun Eddie avrebbe mai potuto sopravvivere a una ferita del genere...
Eppure... eppure...
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 7

 

Mal di testa, si trattava solo di mal di testa.

Era questa la scusa con cui Eddie aveva giustificato il suo silenzio, il suo apparente malumore.

E forse non si trattava nemmeno di una bugia.

Il disagio con cui aveva accolto la confessione, nemmeno poi tanto sorprendente di Richie, proprio di fronte alla tomba di Stan, si era ripercossa su di lui con la forza di un tornado, costringendolo a un malessere interiore che lo aveva piegato.

Decise di non rifiutare la tazza di caffè caldo che gli veniva servita per la terza volta, quella mattina, alla tavola calda a cui si erano fermati per colazione.

«Tutta quella caffeina ti farà esplodere la valvola della pressione, Eds», commentò Richie che nonostante tutto, nonostante ostentasse una tranquillità che evidentemente non possedeva, cercava di non metterlo in difficoltà. Anche solo nel modo in cui calibrava le parole, i toni.

Eddie lo trovava insopportabile. Avrebbe preferito il medesimo limpido malessere oppure essere privo di quella sua ignobile empatia e non percepire nulla, accantonare per qualche ora il peso della bomba che gli aveva scagliato addosso.

Eddie, che aveva cercato di andarci coi piedi di piombo, ora si trovava investito di una responsabilità che non era riuscito a prevedere, non in quel modo. Aveva persino scelto un lavoro che gli avrebbe permesso di calcolare i rischi, prevedere azioni e reazioni, si aspettava quantomeno che anche nella vita potesse prevedere un certo tipo di... imprevisti.

Ma Richie non era prevedibile, mai lo era stato. E di conseguenza non potevano esserlo le sue azioni e non potevano esserlo le sue reazioni.

Perciò preferiva continuare con quella bugia, prendendosi del tempo per elaborare una replica intelligente, piuttosto che lasciarsi andare all'istinto e fare un danno peggiore.

«Il caffè è un vasodilatatore, aiuta a diminuire il mal di testa», rispose con aria assente, passandosi una mano sul viso.

E dire che fino a ieri pomeriggio quel viaggio si era sospinto mestamente verso un percorso di rinascita. Aveva affrontato con ammirevole contegno tutta la mestizia nell'aver riscoperto Stan. Nell'avergli finalmente augurato un lungo arrivederci. Aveva ancora così tante cose da rielaborare da quello che aveva imparato in un solo pomeriggio finché non era arrivato Richie con quella sua confessione affatto preventivata e aveva spazzato via tutto il resto. Perché per quanto fosse consapevole del fatto che Richie tenesse a lui, non aveva previsto la reazione a una dichiarazione tanto esplicita. Diretta. Sinceramente spiazzante.

Riaprì un occhio, lasciandosi sorprendere dal fatto che Richie avesse accantonato il piatto di uova e bacon che aveva ordinato, senza averlo quasi toccato. Cosa già di per sé straordinaria, considerato il suo consueto, vorace appetito.

Doveva averlo atterrato più di quanto immaginasse con quella sua non reazione, al cimitero, il giorno prima.

Semplicemente non gli aveva risposto.

Se ne era rimasto lì, fermo a guardarlo come se si trovasse di fronte un animale fantastico, stordito dal rumore del battito del proprio cuore. Aveva distolto lo sguardo poco prima che Richie dicesse qualsiasi altra cosa, si era infilato le mani in tasca e aveva sorriso, senza sapere che quel sorriso sembrava più un ghigno terrorizzato che non una conferma di aver afferrato quelle due spaventosissime parole.

Era stato a un passo così dal rispondergli con un calcolatissimo: grazie.

Si sarebbe seppellito, lì, proprio di fianco a Stan, se fosse successo.

Fortunatamente la sua lingua si era inaridita a tal punto da non riuscire a formulare alcuna lettera.

«Eddie...»

Ci siamo, pensò, sforzandosi di guardarlo in viso, almeno per un breve istante.

«Se è per quello che ho detto ieri...»

«No, Richie...»

«... che stai così, non...»

«Richie...»

«Lasciami finire, per favore», lo guardò dritto negli occhi e Eddie si sentì morire, «se è per quello che ho detto ieri, sappi che non mi aspetto che tu dica... o faccia nulla. Avevo solo bisogno di dirtelo. Di liberarmene. Non devi... non devi pensare che avessi intenzione di ingabbiarti in non so... Non so nemmeno che diavolo ti passi per la testa a dire il vero», farfugliò sul finale, incoerentemente, come se il suo frasario si fosse inceppato. Richie e un frasario inceppato. Una frase che non poteva associarsi a uno come Tozier.

Eddie se ne sentì così responsabile che avvertì lo stomaco stringersi per il senso di colpa.

Si era ripromesso di non farlo soffrire, ma non era esattamente quello che stava facendo?

«Lo so», si sentì almeno in dovere di rispondere, e con un gesto calcolato - stavolta sì, decisamente calcolato - allungò una mano per prendere la sua, che stava nervosamente giocherellando con la forchetta.

Lo sentì irrigidirsi per qualche secondo prima di accogliere quella tregua.

«Non l'ho fatto per metterti a disagio, Eds...» aggiunse, «per quello ci sono altri modi molto più divertenti.»

Eddie sorrise e annuì, cercando di fargli capire che apprezzava quel suo modo di stemperare, ma che non ce ne era alcun bisogno.

«Non lo sapessi. Ma purtroppo lo so», si trovò a ripetere e stringere la presa, senza riuscire a spiegare in alcun modo, a voce, quello che gli passava per la testa. Sebbene, in qualche misura, sapesse esattamente cosa stava succedendo dentro quella sua mente bacata e traumatizzata da anni di amori concepiti e vissuti in modo sbagliato.

«Che schifo. Questi froci sono dappertutto...»

Una frase appena sussurrata che però non gli era sfuggita affatto, durante le sue elucubrazioni.
Fece scivolare via istintivamente la mano da quella di Richie e si voltò per capire chi diavolo si fosse permesso di parlare.

Un trio di ragazzi dall'aria pigra gli stavano passando accanto, diretti all'uscita.

«Ehi!» esclamò istintivamente, mentre Richie recuperava la sua mano, per trattenerlo dal fare qualsiasi cosa avesse intenzione di fare o dire.

«Lascia perdere», lo sentì mormorare e scuotere la testa per farlo desistere. Si sorprese di ritrovare in Richie una tale pacatezza. Forgiata, forse più spesso di quando potesse immaginare, da episodi del genere?

«Ma li hai sentiti?»

«Purtroppo sì, ma lascia perdere.»

Eddie serrò le labbra, infastidito, imbarazzato, frustrato e un sacco di altre definizioni che non trovavano concretezza nella sua mente, mentre il tintinnio della porta annunciava il loro spavaldo congedo.

Trangugiò quindi rapido quello che restava del suo caffè e posò rumorosamente la tazza.

«Andiamocene, dai. Questo posto ha smesso di piacermi un minuto fa», disse.

Richie annuì, vagamente turbato; non seppe dire se per la sua reazione, per il commento dei ragazzi o per tutta la situazione in generale.

«Vado a pagare...» mormorò, e lo guardò alzarsi per dirigersi alla cassa, vicino al bancone.

Eddie si volse giusto il tempo per scorgere, dalla vetrata, quegli stessi ragazzi che prendevano a calci una lattina, facendo a gara a quale macchina parcheggiata centrassero con più violenza.

E fu allora che sentì montargli dentro qualcosa di sconosciuto e vagamente spaventoso anche. Non si diede il tempo di pensarci su poi molto. Tutta la sua meticolosità nell'analizzare rischi e pericoli evaporata in un istante, soppiantata da un impulso che scaturiva da un luogo ben sepolto nel suo essere.

Si mise in piedi, recuperò la giacca e percorse in lungo il locale, fino a guadagnare l'uscita.

I ragazzi nel parcheggio non facevano che ridere e rivolgersi oscenità l'un l'altro.

Troppo giovani per essere considerati adulti ma decisamente troppo adulti per essere considerati ancora dei ragazzini giustificabili (se mai si potessero giudicare tali atti di vandalismo).

«Ehi, voi!» andò loro incontro, con l'aria minacciosa di qualcuno che è pronto a una discussione tutt'altro che pacifica, «chi diavolo ve l'ha insegnata l'educazione? Non sono vostre quelle macchine!»

Li vide fermarsi: uno di loro trattenere la lattina sotto al piede.

«Ma che vuole questo?»

«Già, che vuoi, nonnetto?», aggiunse l'altro, «ehi, ma non è una di quelle due checche di prima?»
«Sì, è uno di quei due schifosi. Froci esibizionisti del cazzo», sputò a terra il terzo, rivolgendogli uno sguardo d'odio talmente ingiustificato che Eddie faticò a crederci di averlo percepito davvero.

«Che hai detto?» si ritrovò a chiedere, andandogli incontro, senza sapere perché i suoi piedi non si fermassero, le sue labbra non si serrassero in un dignitoso silenzio.

«Ho detto: frocio esibizionista. Sei anche sordo, oltre che succhiacazzi?»

«Ritira quello che hai detto, ragazzino.»

«Sennò che fai? Ti metti a frignare?»

Eddie non fece in tempo a ribattere in altro modo perché, la lattina che prima se ne stava a dondolare pigramente sotto la scarpa di uno dei tre individui, gli era finita dritta dritta in fronte, facendogli perdere per un istante la facoltà di parola per la sorpresa. Sentì un dolore sferzante e poi qualcosa di vischioso scivolargli giù, fra le sopracciglia e poi sul naso, sulle labbra.

Sangue.

La rabbia, se possibile montò più feroce che mai. E non si sarebbe placata con una sfuriata vocale se qualcuno non fosse improvvisamente intervenuto.

«Ma che cazzo state facendo?»

La voce di Richie e poi la sua imponente ombra che gli si parava di fronte. Eddie inciampò e indietreggiò per non cadere, la rabbia che si evaporò in un mesto fastidio e poi in pacata, confusa rassegnazione. Di fronte a lui scorse, in una manciata di secondi, solo un intreccio di corpi e un trionfo di tonfi ovattati; e infine Richie che quasi gli cadeva fra le braccia, travolgendolo.

«Merda!»

«Andiamo andiamo!»

Eddie accompagnò Richie che si era piegato a terra, la mano sul naso, gli occhiali scivolati sull'asfalto.

«Che ti hanno fatto?»

«Mi hanno tirato una testata...»

«Come cazzo hanno fatto? Sei praticamente un gigante», esalò incoerentemente, prima di alzare la testa per localizzare la fuga dei tre teppistelli. Gli sarebbe corso dietro se non fosse ora più preoccupato alle condizioni di Richie.

Si poggiò sulle ginocchia per assisterlo e gli scostò la mano dal viso. Il naso era imbrattato di sangue.

«Guarda come ti hanno conciato...»

«Non è niente.»

«Potrebbe essere rotto», si preoccupò di recuperare un fazzoletto dalla tasca della giacca per tamponarlo. Il sangue che aveva preso a ruscellare sul mento e poi a terra in una pozza incredibilmente densa.

«Come sai tranquillizzare le persone, tu...»

«Non sono qui per tranquillizzarti. Dovrei prenderti io a pugni. Che cazzo ti è venuto in mente di intervenire?»

«Ti avrebbero spaccato la faccia...»

«Sarebbero stati affari miei, Richie.»

«Quel tuo bel faccino, distrutto da un branco di teppisti? Mai nella vita, Eds...»

«Perché farti spaccare la faccia tu invece è meglio.»

«Ah, io posso solo migliorare, non sono carino come te.»

«Vaffanculo, Richie... adesso ti porto al pronto soccorso.»

«Ma non è nulla...»

«Ti ha tirato una testata, hai detto. Potrebbe essere il naso rotto come una commozione cerebrale, potrebbe essere...»

«Un tumore, la peste, la lebbra... Eddie non è niente», cercò di rimettersi in piedi.

«Sta' fermo, sei matto?»

«Ho solo il naso dolorante e non ci vedo niente senza occhiali, ma non sono paralitico.»

Eddie lo aiutò a rimettersi in piedi, nonostante disapprovasse apertamente quella mossa azzardata.

Recuperò i suoi occhiali che fortunatamente erano solo appena scheggiati e glieli tenne al sicuro, assicurandoseli allo scollo della Polo.

La soluzione migliore era portarlo alla macchina e poi verso l'ospedale più vicino.

Scoprì di avere un sacco di sentimenti contrastanti, riguardo ciò che era appena successo. Ma li avrebbe affrontati tutti, uno per uno, più tardi.

 

***

 

La soffitta di casa Tozier odorava di chiuso e polvere, ma non c'era niente di meglio che passare lì i pigri pomeriggi autunnali, mentre fuori pioveva.

Eddie amava sentire il rumore della pioggia che batteva sul tetto e i lucernari, cullando le loro giornate. Persino Richie che di solito non perdeva mai occasione per dimostrare al mondo quanto iperattivo fosse sembrava placarsi, a quella naturale ninna nanna.

Un vecchio divano, una pila di fumetti e dei biscotti che la signora Tozier si preoccupava sempre di far trovare quando si presentava uno dei suoi amici, sembravano ciò che di più vicino ci fosse al paradiso per un ragazzino di dodici anni.

Eddie sapeva di essere uno dei preferiti della madre di Richie, assieme a Stanley. Era forse convinta che fosse un tipetto a posto. Fragile e pieno di premure. Impossibile non calmare quella testa matta di suo figlio. Non sapeva quanto potessero degenerare le cose, in pochi istanti quando erano insieme. Fortunatamente non era mai capitato loro di litigare in modo troppo vivace, quando si ritrovavano per leggere solo fumetti. E sopratutto quando potevano godere della reciproca compagnia senza gli altri. Impossibile dire perché, Eddie sapeva che nessuno dei due aveva la necessità di dimostrare niente quando non c'era nessuno ad assistere.

Richie si stava esercitando con le Voci, mentre leggeva una pagina di Superman particolarmente ricca di dialoghi. Eddie, che pretendeva di leggere altro era fisso sulla stessa illustrazione da minuti, cercando di soffocare le risate ogniqualvolta Richie improvvisava o commentava i testi.

«Stronzate, stronzate, stronzate, bla bla bla... si suppone tu salvi il mondo caro Clark non che discuti per pagine e pagine sul significato dell'esistenza!» disse lanciando il fumetto sulla pila di quelli già letti, trascinandosi pigramente accanto a Eddie.

«Fammi vedere se il tuo è più interessante.»

Eddie si ritrasse sul divano, trattenendo gelosamente il proprio, non proprio indifferente all'improvvisa vicinanza.

«Fammelo almeno finire prima.»

«Quanto sei palloso, possiamo leggerlo insieme.»

«Sono quasi a metà.»

«E chi se ne frega, lo leggo da metà, Eddie Spaghetti.»

Gli si era praticamente spalmato addosso, allungando il collo per poter sbirciare cosa stesse leggendo. Eddie stronfiò qualcosa, scalciandolo per allontanarlo almeno un po', prima di concedergli di leggere la stessa pagina.

«Ma non ci sono dialoghi, Eddie.»

«Guarda le illustrazioni e taci.»

«Ma non è divertente.»

«Io mi stavo divertendo.»

«Perché ti diverti con poco, Eds. Sei noioso quanto Clark Kent.»

Eddie sbuffò infastidito, dandogli una leggera spallata.

«Bè, se pensi che sia noioso allora forse avresti dovuto chiedere a Bill di venire qui.»

«Aw, Eds, non sarai mica geloso?»

«Vaffanculo, Richie. E piantala di chiamarmi Eds.»

«Se avessi voluto divertirmi davvero avrei invitato qui tua madre.»

«Crepa.»

«No, sul serio, dovremmo pensare di allargare il nostro cerchio di amicizie e invitare delle ragazze, prima o poi.»

«Per farci cosa?» Eddie si voltò a guardarlo, vagamente spiazzato, forse un po' offeso dalla proposta.

«Secondo te? Dio santo, non vorrai mica morire vergine!»

Eddie si trovò ad arrossire senza averlo preventivato.

«Non ho bisogno di pensare a questa roba, per adesso.»

«Perché sei ancora un bambino.»

«Non sono un bambino!» esclamò, «solo non me ne frega niente, va bene? Esci e vai a invitare una ragazza, se ti diverte di più che passare un pomeriggio con me.»

Richie gli restituì uno sguardo un po' perplesso e forse vagamente in colpa.

«Sta piovendo», rispose, come se quella fosse la giustificazione molto più che soddisfacente al fatto che non potesse andarsene in giro ad abbordare ragazze.

«Cos'è, le ragazze non escono di casa quando piove?»

Richie si strinse nelle spalle e gli lanciò uno sguardo dubbioso.

«Tu sei uscito.»

«Grazie, ma io non sono una ragazza.»

«No? Pensavo ci fosse una vagina in mezzo a quelle tue gambette secche» lo prese in giro.

«E tu invece sei una testa di cazzo.»

«Assolutamente sì!» esclamò sorridendo come uno scemo, «Ma eviterò di andare a cercare una pollastrella vogliosa per oggi. Anche solo per onorare il fatto che tu abbia affrontato una triste giornata di pioggia, sfidando tua madre che si è sicuramente fatta venire un attacco di panico, per evitarti di affogare in qualche pozzanghera.»

«Mia madre non si è fatta venire nessun attacco di panico», negò, nonostante la descrizione di Richie non fosse poi molto diversa dalla realtà. Non era un mistero che alla signora Kaspbrak non andasse proprio a genio Richie, inoltre non riusciva a capire perché non potesse venire lui a casa del figlio, invece di costringerlo a uscire di casa con condizioni climatiche tanto ostili.

Aveva gridato un po', lo aveva bardato come dovesse andare in guerra: stivali di gomma, impermeabile e ombrello, e si era dovuta assicurare, almeno una decina di volte, che tornasse prima che facesse buio.

Di solito Eddie evitava di arrivare a uno scontro simile, ma se era per passare i pomeriggi in quella soffitta buia con Richie, pensava lo screzio valesse sempre la candela.

Aveva sempre in serbo una dose di coraggio formato marsupio delle emergenze, quando doveva affrontare sua madre, se si trattava dei suoi amici. Gli unici veri atti di ribellione che si concedeva per far fronte a quell'amore troppo opprimente.

«Dai, fammi leggere, Spaghetti. Alla tua verginità ci pensiamo un'altra volta.»

«Coglione.»

Allungò verso di lui il fumetto e si concesse di rilassarsi di nuovo. Spalla contro spalla, le teste così vicine che si sfioravano. Affrontare un po' di pioggia e le ire di una madre apprensiva non erano niente a confronto di quella sensazione assolutamente unica. L'affetto speciale che provava per Richie non era che un embrione nella sua testa ancora, ma aveva già messo radici profonde nel suo cuore.

 

***

 

Eddie aveva una rara dimestichezza in luoghi ostili come ospedale e pronto soccorso.

Da che aveva memoria era sicuro di aver frequentato più luoghi simili che ludoteche, da ragazzino. E poi, nella sua vita da adulto, per far fronte a precauzioni sanitarie spesso affatto necessarie. Spinto anche dalle apprensive preoccupazioni, di sua madre prima, e di Myra poi che non faceva altro che spingerlo a fare controlli specifici, perché solo così, il suo Eddie avrebbe potuto vivere una lunga e felice vita al suo fianco.

Una lunga e infelice vita... fatta di asfissianti attenzioni, in realtà. Di un amore che non faceva altro che tentare di proteggerlo da tutti i mali del mondo. Senza lasciargli alcun margine di errore. Di necessario dolore.

Perciò si era occupato di tutto ciò che servisse per far avere a Richie un controllo rapido e immediato. Aveva scomodato infermieri, dottori, e si era assunto la personale responsabilità di tutta la burocrazia del caso. Facendo saltare più di una mosca al naso, in reparto, per via della sua frenetica e nervosa insistenza.

Richie se ne stava ormai tranquillo, da qualche parte, assistito come avesse avuto un incidente fatale, mentre Eddie non faceva che controllare se qualche dottore non venisse a dargli qualche notizia a riguardo.

Si alzò per l'ennesima volta e tornò al bancone dell'accettazione a quel donnone che un po' gli ricordava Ben da ragazzino.

«Novità su Richard Tozier?»

«Signore, le ho già detto che ce ne stiamo occupando.»

«Sì, bè, grazie tante, sto cercando di capire come... ve ne state occupando.»

La donna gli rivolse uno sguardo fra l'esasperato e l'infastidito e Eddie ci lesse tutta la frustrazione che vedeva sempre rivolgere a sua madre, ogni volta che era lui stesso a finire al pronto soccorso. Per un attacco d'asma, per un ginocchio sbucciato, per il suo braccio rotto.

Serrò le labbra, riconoscendosi tragicamente nella signora Kaspbrak. E dire che si era sempre impegnato a non volerle assomigliare mai. Che fosse ormai un processo irreversibile? Che fosse destinato ad assumere il suo ruolo in tutto quello che sarebbe stato da lì agli anni a venire?

Si liberò del pensiero con un sospiro greve ed alzò le mani a mo' di scusa.

«Ha ragione, mi dispiace. Sono solo...»
«Preoccupato, posso capirlo, ma le assicuro che il suo amico è in ottime mani.»

«Non è un mio amico.»

«Oh... credevo che vi conosceste.»

«Sì, sì, ci conosciamo, ma non è... insomma», nemmeno riuscì a spiegarsi perché fosse tanto importante spiegare che razza di relazione avessero lui e Richie, a una perfetta sconosciuta.

«È un parente? Perché in questo caso potremmo fare in modo di farle ricevere informazioni o di entrare direttamente a trovarlo una volta conclusa la visita...»

«Io? Bè...» qualcosa cominciò a prendere forma nel suo cervello, «in realtà sono... suo marito?»

«Oh!»

Già. Oh! Ma che diavolo gli era venuto in mente di dire?

«In questo caso, mi faccia fare un paio di controlli e sono subito da lei.»

La guardò alzarsi, il panico che cominciava a scivolargli giù nello stomaco. Marito. Richie o qualche stupido terminale ricco di informazioni, non ci avrebbero messo due secondi a smentirlo facendogli fare una colossale figura di merda.

Perciò fu più che sorpreso quando la stessa infermiera che gli aveva negato fino a pochi minuti prima qualsiasi informazione, ora lo stesse richiamando con un cenno della mano, per fargli superare le porte proibite del pronto soccorso.

«Lo dimetteranno presto, perciò...» gli sorrise, e Eddie dimenticò per un istante la menzogna per lasciarsi avvolgere da un vago sollievo alla notizia.

«Spaghetti!» Richie se ne stava seduto sul lettino. La maglia ancora sporca di sangue e un gran bel cerotto sul naso. Il dottore aveva sorriso a entrambi, cartellina alla mano, pronto a firmare già le sue dimissioni.

«Cinque minuti e sarà fuori da qui, signor Tozier. Mi lasci compilare un paio di scartoffie e sono subito da lei. E grazie ancora per... sa...»

«Ah, niente di che Dottore, mi saluti tanto sua moglie.»

Eddie osservò lo scambio di battute senza capirci granché, si avvicino al lettino guardando Richie con aria interrogativa, mentre il dottore si allontanava, un'espressione estatica sul viso.

«Un fan. Ha voluto il mio autografo.»

«Wow... persino al pronto soccorso non riesci a restare anonimo.»

«Non sono anonimo nemmeno mentre dormo, questo dovresti saperlo Eddie caro.»

Eddie lo guardò con apprensione per qualche istante, soffermandosi sul livido che andava espandendosi dal viola sotto il cerotto, fino al giallo sulle guance.

«Solo una lieve frattura. Che ti dicevo? Probabilmente avrò una scusa, più avanti, per qualche intervento di chirurgia plastica. Non dovrò nemmeno mentire quando sarò gonfio di botulino anti rughe.»

«Bè sempre meglio essere venuti per niente che per qualcosa di serio, giusto?»

«Giusto», lo guardò per un istante, «tu nemmeno ti sei fatto disinfettare quel taglio sulla fronte.»

Eddie si portò una mano alla parte incriminata. Sentì un lieve indolenzimento, niente di preoccupante. Si era già formata una crosta, ma se ne era completamente dimenticato. Troppo preso a pensare al benessere di Richie per badare al proprio.
«Sono sorpreso di non averti sentito gridare per emergenza tetano.»

«Molto divertente.»

Richie sorrise.

«Divertente come raccontare all'infermiera che sei mio marito per poter entrare?»

Eddie si trovò a spalancare gli occhi. Dunque non lo aveva smentito affatto, nonostante la bestialità della menzogna.

«Non farti strani film mentali, Tozier, non volevano dirmi nulla e ho detto la prima cosa che mi è venuta in mente. Perché sono decisamente troppo bello per fingermi tuo fratello.»

Richie si portò una mano al cuore, come a fargli capire di averlo colpito. E affondato. Probabilmente per la seconda volta, nel giro di un paio di giorni.

Si animò un certo silenzio, tutto ad un tratto e Eddie capì che qualcosa stava arrivando, di nuovo. Cercò disperatamente di trovare altri frivoli argomenti di conversazione ma Richie sembrava averne a portata di mano altri, ben più celeri.

«A volte non riesco proprio a capire che ti passi per la testa, Eddie...» lo sentì dire mentre gli rivolgeva uno sguardo fra il serioso e il comico, bardato come era, senza nemmeno i suoi occhiali.

«Non mi parli per l'intera mattinata solo perché ieri ho detto una cosa che forse avrei dovuto tenere per me ancora per un po'... e poi te ne esci con questa stronzata del marito.»

«Infatti era... era una stronzata, Richie... era solo un...» cercò di intervenire affatto sicuro che gli piacesse la direzione che stava prendendo quella conversazione.

«Lo sai che mi stai mandando una vagonata di segnali alquanto confusi, Eddie?»

Eddie rialzò rapidamente lo sguardo, fissandolo, per una volta tanto, dall'alto della sua posizione, sentendosi piccolo, minuscolo nonostante Richie fosse ancora seduto.

«È perché sono... confuso, Richie.»

Sostenne il suo sguardo finché riuscì, pur consapevole che per Richie, senza i suoi occhiali, non doveva essere che una sagoma informe e senza espressione quella che gli stava di fronte.

«Ma tu non c'entri niente. Quello che mi hai detto ieri... non c'entra niente. Sono io che non... non...»

«Non sei tu, sono io...» gli rispose con una voce piccina, da donna «per piacere questa frase fatta a cliché non la voglio sentire da uno come te.» Aveva allungato una mano e finto di cercare a tentoni la sua, arrivando a palparlo malamente sulla pancia e poi sulle braccia come un povero cieco. Finendo per prendergli la mano.

«Qualsiasi cosa tu voglia dirmi puoi farlo, Eddie», tornò vagamente serio, «anzi devi farlo. Perché francamente, arrivati a questo punto, le stronzate dovremmo averle messe da parte da un pezzo, non credi? Non abbiamo più tredici anni.»

«Sei sicuro? Perché a volte mi pare che tu...»

«Ah! Le battute sono una mia prerogativa, bello! Dimmi che cosa c'è che non va, per favore...»

Eddie inspirò a fondo, sapendo esattamente ciò che voleva dire. Le parola che si affastellavano nella sua mente, una sull'altra, per l'urgenza di spiegargli anche solo confusamente, quello che le sue parole avevano scatenato in lui.

Che non c'entravano niente con l'emozione di avergliele sentite pronunciare, ma con la conseguenza e le aspettative che avevano sempre inseguito... quelle parole, nella sua vita.

Fece per iniziare un discorso che probabilmente sarebbe stato più difficile e patetico che mai, quando il dottore ammiratore tornò con i documenti per il congedo di Richie.

«Eccoci qui... un altro autografo per l'ospedale e può andarsene signor Tozier.»

Eddie fece scivolare via la mano da quella di Richie e si ritrasse come avesse appena ricevuto una doccia fredda.

Riuscì a leggere la frustrazione sul viso di Richie, ma da gran commediante che era, lo vide mettere in piedi il suo miglior sorriso.

«Sicuro non siano tutte scuse per rivenderli su Ebay?», disse, prima di rimettersi in piedi.

Il dottore rise e Eddie sentì di aver perso di nuovo l'occasione e il coraggio per spiegarsi.

 

***

 

«Non è salutare che tu te ne vada fuori con un tempo simile, pisellino.»

La signora Kaspbrak aveva sottratto a Eddie gli stivali da neve che, paradossalmente lei stessa gli aveva regalato solo l'inverno prima.

«Ma i miei amici mi stanno aspettando.»

«Ai tuoi amici non importa della tua salute come importa a me. Che si ammalino loro, tu resti in casa.»

Quell'inverno era stato particolarmente rigido. E da una settimana buona non aveva fatto altro che nevicare a Derry. I viali erano imbiancati di continuo nonostante gli interventi cittadini per mantenere le strade pulite. L'eccezionale ondata di maltempo aveva fatto sì che le scuole restassero chiuse i primi giorni della settimana, in previsione di un miglioramento più agevole.

I ragazzi di Derry avevano preso l'evento come un pretesto per festeggiare all'aria aperta. Ma Sonia non ne condivideva l'entusiasmo.

«Potresti scivolare e romperti una gamba. Non posso permetterlo.»

«Non mi succederà niente mamma, sono capace di camminare senza...»

«Non dire stupidaggini. Persone molto meno delicate di te sono scivolate sul ghiaccio questa settimana, riportando fratture piuttosto importanti. Sono sicura che potrai impegnare il tuo tempo con qualcosa di più utile, tipo finire i tuoi compiti per quando tornerai a scuola. Più tardi ci prendiamo una tazza di cioccolata calda mentre guardiamo uno di quei programmi sui cowboys che ti piacciono tanto, tesoro mio.»

Eddie non ebbe cuore di ribattere, né tantomeno puntualizzare che il suo interesse non andava più ai cowboys da un bel pezzo. Era il momento delle scoperte scientifiche, della fantascienza, di telefilm come Star Trek e dei cartoni animati pieni di Robot trasformisti.

In più aveva già sfidato a sufficienza sua madre per quell'anno. Da quando si era fatto dei veri amici. E spesso si trovava a doverle disobbedire più di quanto gli piacesse fare.

Sapeva che sua madre cercava solo di fare il suo bene. Cercava solo di farlo sentire bene. Di mantenerlo lontano dalle brutture di quel mondo ricco di pericoli. Ma se fino a pochi anni prima aveva accettato di buon grado tutte le sue attenzioni, adesso cominciavano ad andargli un po' strette. Solo il senso del dovere e la sicurezza che gli dava essere amato a quel modo, senza doversi preoccupare in prima persona dei pericoli a cui avrebbe potuto andare incontro, lo persuadevano dal ribellarsi costantemente.

Si trovò ad annuire mestamente e lanciare un ultimo sguardo fuori dalla finestra: ragazzini che si inseguivano con palle di neve e sembravano divertirsi un sacco, nonostante la concreta eventualità di potersi spezzare una gamba.

Salì le scale, diretto alla sua cameretta. I libri sistemati sulla scrivania che aspettavano di essere sfogliati, nonostante i suoi doveri di studente fossero già stati ampiamente soddisfatti.

Si buttò sul letto, lo sguardo al soffitto e le orecchie che continuavano a percepire le grida stridule e selvagge dei ragazzi là fuori.

Si chiese che cosa si provasse a non avere una madre che prevedeva i rischi per te. Cosa si potesse provare a correre sul ghiaccio, cadere e farsi male. Rompersi una gamba, un braccio. Si chiese che sapore avesse il dolore. Che colore avesse... il dolore. Non che non ne avesse mai provato. Non che non ci avesse già dovuto fare i conti. I suoi attacchi d'asma, gli spasmi muscolari del suo sterno, quella sensazione di soffocamento che arrivava a scolorire la realtà tutt'intorno. Ma era a un altro tipo di dolore che stava pensando. Qualcosa che non derivava dalle condizioni croniche della sua cagionevole salute, ma da fattori esterni.

Si chiese se il mondo sarebbe crollato, se per una volta, si fosse lasciato travolgere da qualcosa che sua madre non aveva potuto prevedere. Se per una volta si fosse spinto oltre quella cupola di amore incondizionato e opprimente e si fosse spinto fuori da lì per capire se esistevano anche altri modi, per essere amato.

Nessuno avrebbe potuto raccontargli che, da lì a un anno, lui ed i suoi amici avrebbero dovuto affrontare qualcosa che nessun adulto avrebbe mai potuto prevedere. Un dolore che nessuno avrebbe potuto preventivare. Una paura e un'oscurità che li avrebbe travolti e quasi fagocitati se non avessero trovato il coraggio di affrontarla tutti insieme. Se non lo avessero affrontato stretti l'un l'altro, sospinti da un amore ben diverso da quello che gli aveva riservato fino a quel momento, sua madre. Un amore che spingeva a tentare, osare, a spingersi ben oltre i limiti personali di ognuno di loro, accogliendo anche il dolore, come una condizione umana, necessaria per crescere.

Si portò le mani alle orecchie per non sentire, serrò gli occhi per non vedere, finché non fu il rumore insistente di qualcosa fuori dalla finestra, a cogliere la sua attenzione.

Si mise seduto e quasi non balzò giù dal letto quando il faccione di Richie non comparve nel suo campo visivo, in bilico, fuori da quella sua finestra del primo piano.

Lo raggiunse rapidamente, preoccupatissimo che potesse precipitare di sotto.

«Che cavolo stai facendo? Vuoi ammazzarti?» aveva aperto la finestra e afferrato per un braccio, invitandolo ad entrare.

«Tranquillo, Spaghetti, tranquillo, non sono mica un principiante. Lo scalatore Tozier raggiunge la vetta, sfidando i suoi limiti, arrivando dove nessuno mai era riuscito fino ad ora!»

«Richie, per favore...»

«Okay, okay, entro... entro...»

Solo quando lo vide posare a terra anche il secondo piede sul pavimento di camera sua, tirò un sospiro di sollievo.

«Ma che ti è venuto in mente? Non potevi suonare il campanello come le persone normali?» lo rimproverò senza nemmeno degnarsi di dimostrargli quanto in realtà gli facesse piacere averlo lì.

«Nah, lo sai che odio le persone normali. Per questo frequento te e quella massa di perdenti là fuori, Kaspbrak.»

«Certo, certo. Il più fico di Derry ci concede la sua magnanima amicizia.»

«Mi hai proprio rubato le parole di bocca», rispose impressionato, prima di sistemarsi gli occhiali sul naso e guardarlo con quei suoi occhi giganti, dietro le lenti. «Perché non esci a giocare con noi? Bill e Stan stanno costruendo delle bombe di neve fenomenali, ma non possiamo creare le squadre se siamo solo in tre.»

Eddie sospirò qualcosa, guardando verso la porta socchiusa.

«Mia madre non vuole che esca. Dice che potrei rompermi una gamba.»

«O potrebbe caderti il tetto in testa», concluse Richie con aria perplessa, «amico, devi smetterla di farti mettere sotto da queste cretinate. Vuoi che ci parli io? Sono sicuro che da me si farebbe convincere. Tua madre mi ama.»

«Mia madre ti odia, Richie.»

«Non era quello che diceva l'altra notte quando le infilavo...»

«Richie!» fece un verso disgustato, guardandolo come fosse un viscido maniaco sessuale.

«Se non vuoi chiederle il permesso, sgusci fuori dalla finestra con me. Nemmeno se ne accorgerà. Ti riporterò a casa prima che possa dire: pisellino è pronta la cioccolata calda.»

Come diavolo faceva a sapere della cioccolata calda?

«Non posso Richie. Potrei comunque rompermi una gamba cadendo dalla finestra...» gli rivolse uno sguardo di sfida. Ma a giudicare dal suo sguardo a Richie non importava poi granché della sua salute. A Richie sembrava non importasse poi molto di niente, a dire il vero.

«Potresti, ma secondo me varrebbe il rischio pur di passare un po' di tempo con i tuoi più cari amici. A me non importerebbe della tua gamba se fossimo in squadra insieme.»

Eddie lo guardò con tanto d'occhi mentre una risata gli sfuggiva dalle labbra.

«Bè, guarda un po', a me sì.»

«Solo stupidi dettagli. Potresti correre con una gamba sola e ancora non mi importerebbe, avrei Spaghetti nella mia squadra e poi potrei fargli questo per impedirgli di sentire bua alla gamba», gli aveva passato un braccio attorno al collo e strizzato le guance come non faceva... da un po' a dire il vero.

«Piantala Richie, eddai!»

«No, ancora un po' Spaghetti. Se non hai davvero intenzione di scendere, almeno fammi godere un po' delle tue guanciotte fresche e morbide.»

Eddie cercò di divincolarsi un po' come poteva ma non dovette sforzarsi più di tanto dacché sua madre, aveva preso a chiamarlo insistentemente dal piano di sotto.

«Pisellino tutto bene? Che stai facendo? Non farmi venire fin su!»

Eddie spintonò via Richie che aveva mollato un po' la presa, lanciandogli uno sguardo di morte.

«Tutto bene mamma, stavo solo cercando di scacciare un moscone fastidioso!»

Richie spalancò le labbra, fingendosi offeso dal paragone. Eddie si limitò a spingerlo di nuovo verso la finestra.

«E se dovessi rompermi io una gamba?» gli chiese, mentre scavalcava il davanzale.

«Penso potrei sopportarlo, fintanto che spazzerai via Bill e Stanley a suon di bombe di neve anche per me.»

Richie sorrise dall'altra parte.

«Diabolico Kaspbrak, diabolico. Mi mancherai, pisellino

Eddie gli diede un'ultima spinta e rise quando lo vide raggiungere il suolo, sano e salvo.

Se ne restò per un po' a subire il freddo dell'inverno, finché Richie non fu fuori dal suo campo visivo. Per un raffreddore ne sarebbe comunque valsa la pena.

 

***

 

Il motel in cui avevano scelto di soggiornare per quella notte era un buco orribile. Non molto distante dall'ospedale in cui avevano tirato tardi. La tabella di marcia per il rientro rovinata da un incidente con tre stronzi, omofobi attaccabrighe.

Certo, se Eddie non avesse reagito alla provocazione, lasciando che Richie si mettesse in mezzo, ora non sarebbe stato sdraiato su un materasso duro come il marmo che scricchiolava in modo sinistro ad ogni movimento.

Richie si era addormentato da un pezzo. Nonostante non volesse ammetterlo, l'episodio del pomeriggio e gli antidolorifici che lo avevano costretto a prendere lo avevano spossato più del previsto. Impossibile continuare il viaggio. Riposare, per Eddie, restava comunque la priorità.

Di sicuro però avrebbe preferito poterlo fare lui stesso, invece di restarsene così, occhi spalancati nella notte, a fissare quella macchia sul soffitto che avrebbe facilmente potuto essere umidità o sangue schizzato da qualche morto ammazzato i giorni precedenti.

Più che altro sperava di poter spegnere quel suo cervello in movimento. Che non aveva smesso un solo istante di pensare a come rispondere alla domanda che Richie gli aveva fatto al pronto soccorso. Spiegargli, quantomeno, perché aveva reagito a quella stupida, insensata maniera alle sue parole. Al fatto che Richie non avesse fatto altro che aprirgli il suo cuore, come mai si era concesso di fare. A spiegargli anche perché avesse reagito tanto male alle parole dei tre teppisti. Al perché li avesse sfidati apertamente, per una volta, tanto, senza paura delle dannate conseguenze.

Sapeva che era tutto collegato. Sapeva che c'era un filo conduttore che necessitava solo di essere districato come i fili delle cuffie di un ipod.

Fu solo dopo l'ennesima elucubrazione che sentì un lamento sommesso provenire dall'angolo della stanza in cui Richie stava riposando. Un lamento che non faticò a riconoscere poiché già più di una volta gli era capitato di sentirlo, nel bel mezzo della notte, già nella sua casa a Los Angeles.

Non un lamento di dolore, come si sarebbe potuto facilmente credere, date le condizioni del suo setto nasale, ma qualcosa che scavava molto più a fondo di così.

Eddie non gli aveva mai chiesto della natura dei suoi incubi, per vigliaccheria o semplice pudore, ma si era sempre preoccupato, in una qualche misura di fargli trovare del caffè caldo ogni volta che la mattina sembrava più sbattuto del solito. Di sollevarlo con zuccheri sani, con le ricche colazioni che gli preparava e con cui cercava di alleggerirgli la giornata.

Si mise seduto sul materasso e poi in piedi, avanzando lentamente verso il suo letto. Di solito gli bastava il suo tocco per placarlo, una distratta carezza per quietarlo. Per questo, quando si sedette sul materasso che scricchiolava quanto e più del proprio e gli passò una mano fra i capelli, si sorprese del lamento prolungato che gli sentì scaturire dalla gola. E del sobbalzo che gli vide fare, dopo che il suo respiro si era fatto accelerato.

Lo vide scattare seduto sul letto, un grido strozzato in gola.

«Eddie, Eddie per favore...»

«Sono qui. Richie... sono qui.»

Lo guardò voltarsi nella sua direzione, gli occhi spalancati, atterriti, umidi di lacrime che presto o tardi avrebbero trovato la loro strada.

«Eddie!» si sentì afferrare per la maglietta e attirare stretto nel suo abbraccio.

«Richie, va tutto bene...»

«Eri morto, eri morto, ti ho visto morire!»

«Non sono morto, sono qui...» cercò di passargli un braccio attorno alla schiena per fargli capire quanto fosse concreto e vivo fra le sue braccia.

«Lo avevo visto, nelle luci... ti avevo visto morire. A-avrei dovuto proteggerti, e non ci sono riuscito, avrei dovuto aiutarti e non ci sono riuscito. E IT ti ha preso e ti ha quasi ucciso e io non sono riuscito a fare niente... solo a guardare, solo a guardare. Non sono riuscito a proteggerti.»

«Richie, Richie basta, per favore.»

«Non ci sono riuscito...» lo sentì soffocare un singhiozzo e nonostante la gola avesse preso a fare male anche a lui, trovò la forza di scostarlo e trattenerlo per le spalle, per poterlo guardare direttamente in viso.

«Richie ascoltami bene: non è mai stato compito tuo, quello di proteggermi.»

Richie gli rimandò uno sguardo confuso, come se ancora dovesse convincersi di non essere nelle fogne di Derry, ma in un motel che forse gli faceva quasi concorrenza.

«Ma sono vivo. Guardami per bene, sono vivo. Nonostante tutto, sono vivo.»

«M-ma se solo non fossi rimasto lì a guardare, allora forse...»

«Allora forse, cosa? Avrei dovuto ringraziarti a vita per avermi fatto da cavalier servente? Richie...» sospirò, sentendo finalmente le parole prendere forma nella sua testa, più chiaramente di quanto non lo fossero mai state, «Richie...» ripetè, accarezzandogli il viso per permettergli di tranquillizzarsi, di spazzare via l'incubo che lo opprimeva tutte le notti. Era dunque questa la sua paura irrisolta? Quella di vederlo morire. Notte, dopo notte, dopo notte. Come la sua era quella di restare sepolto per sempre a Derry, senza i suoi amici, senza Richie.

Sentì sciogliersi la tensione che avvertiva sulle sue spalle e dagli occhi scivolargli via il terrore cieco dell'incubo che lentamente evaporava per quello che era. Solo un'illusione.

«Non era compito tuo salvarmi. Non era compito tuo proteggermi», mormorò una volta sicuro che Richie fosse cosciente di essere al sicuro. Sveglio e seduto su un materasso duro come pietra.

«Non ho mai chiesto a nessuno di farlo, eppure sembra che le persone abbiano sempre fatto a gara per proteggermi da qualcosa. Di tenermi al sicuro da qualcosa.»

Fece scivolare via le mani dalle sue spalle solo per poterlo guardare meglio, nel chiaroscuro della stanza.

«Non è il tipo di amore di cui ho bisogno. Anche se per tanto tempo è stato l'unico che fossi certo di meritarmi.»

«Eddie...»

Scosse la testa, facendogli cenno di lasciarlo continuare, senza interruzioni.

«Prima mia madre, poi Myra. È stato così facile lasciarmi travolgere da qualcosa che non chiedeva davvero niente in cambio se non devozione e pigrizia. Che mi risparmiava un sacco di inutili rischi. Non dovevo far altro che lasciarmi trascinare, lasciarmi proteggere, lasciarmi manipolare. Non dovevo pensare. Non dovevo azzardare».

«Non mi sarei mai accontentato di Myra se non avessi dimenticato, per ventisette anni cosa si provava a sentirsi amati e rischiare tutto per le persone che ami, come mi è successo l'estate in cui abbiamo affrontato uno stupido clown... assassino.»

«Un'estate piena di rivelazioni... quella.» lo interruppe Richie.

Eddie sorrise ed annuì senza rimproverarlo stavolta, per non aver taciuto. Sapeva esattamente a cosa si stava riferendo Richie e in parte era ciò a cui si stava riferendo lui stesso.

«Quando mi hai detto... quella cosa... davanti alla tomba di Stan...»

«Quella cosa non era una parolaccia, per una volta tanto.»

«Stà zitto Boccaccia, fammi finire, cazzo», gli aveva tappato la bocca per assicurarsi che non avrebbe detto altro. Gli passavi un dito si prendeva tutto il braccio, quel disgraziato.

«Quando mi hai detto quella cosa l'altro giorno, ho avuto paura. No, prima ne sono stato lusingato e poi ho avuto paura. Ho avuto paura di non meritare, ancora una volta quel tipo di amore che volevi offrirmi tu. Sei sempre stato al mio fianco, pronto a rassicurarmi ma anche a spronarmi, a spingermi a fare tutte quelle cose che mia madre invece mi impediva di fare. Un po' perché sei sempre stato una gran testa di cazzo impulsiva che non faceva altro che provocare e irritarmi e un po' perché invece... mi facevi sentire vivo e pronto a fare qualsiasi cosa. Anche a rompermi un braccio e gioire nel sentire dolore, per una volta tanto.»

Lo guardò.

«Ho avuto paura di non meritarmelo.»

«Hai avuto paura... dici», gli rispose a mezza voce Richie, una volta liberato della mano che gli teneva ingabbiate le labbra. «Avuto paura. Passato. E ora invece? Hai ancora paura?»

«No», rispose Eddie e fu improvvisamente, assolutamente sincero in questo, «non se l'alternativa sei tu che ti svegli gridando nella notte, pensando di non aver fatto abbastanza per proteggermi. O che intervieni prendendoti una testata al posto mio perché pensi che non mi meriti anche io una testata, di tanto in tanto. Mi merito quella. E mi merito Richie Tozier che dice di amarmi, senza impedirmi di cadere e farmi male. Che è pronto a rialzarmi, ma che mi permette di fare le mie scelte. E di beccarmi tutte le conseguenze del caso. S-se è questo che Richie vuoi offrirmi allora... sì, allora adesso lo accetto.»

Concluse, sentendosi improvvisamente liberato di un peso enorme.

Aver fatto chiarezza, in quella sua mente ingarbugliata di qualcosa che gli aveva sempre impedito di essere davvero se stesso.

Le sue paure, le sue ipocondrie, le (poche) vuote relazioni in cui si era impegnato per anni che non lo avevano mai sollevato da terra, ma solo mutilato, che gli avevano spezzato le ali ancora prima che tentasse anche solo, di prendere il volo.

Richie che gli aveva strappato uno stupido respiratore di mano, costringendolo a capire che non era ciò di cui aveva bisogno per farsi coraggio. Richie che inconsciamente lo aveva spinto a scappare da New York per raggiungerlo. Richie che gli aveva fatto scattare, di nuovo, qualcosa dentro. Che aveva sbloccato la tensione e la frustrazione che si portava appresso da anni, senza che riuscisse a dargli mai un nome. Richie che lo aveva baciato come nessuno aveva fatto mai, che lo aveva fatto e lo faceva sentire vivo, come nessuno aveva fatto mai. Che assecondava le sue decisioni, le sue idee, che lo stuzzicava, lo provocava, affinché si spingesse sempre oltre.

Richie.

Sentì il cuore esplodergli nel petto, mentre si chinava su di lui per impossessarsi bruscamente delle sue labbra, come a sancire quel sentimento che se ne era rimasto represso, soffocato per troppo tempo in fondo allo stomaco. Che aveva preso a sbocciare lentamente, ma che ormai era impossibile da arginare.

Ci aveva messo un po' troppo entusiasmo perché sentì Richie emettere un lamento soffocato e si ritrovò a ritrarsi più rapidamente di quanto gli si fosse sospinto addosso.
«Scusa...»

Il naso. Ci aveva cozzato contro senza quasi ricordare che ancora se ne stava imbellettato da un cerotto tutt'altro che estetico.

«No, non è niente», lo vide sorridere, «posso sopportare un po' di dolore se questo è l'entusiasmo del mio dolce, dolce Eddie.»

«Dolce un paio di coglioni...» stronfiò alzando gli occhi al cielo, «sono stanco di andarci piano.»

Richie gli rivolse uno sguardo interrogativo, forse un po' sorpreso.

Per questo Eddie gli si avvicinò di nuovo, la fronte contro la sua, così vicino, tanto vicino così da non essere costretto a guardarlo in viso, per non doversi confrontare con la sua confusione. Non era uno sguardo confuso ciò di cui aveva bisogno per spazzare via l'improvviso subbuglio che si era scatenato nel suo stomaco.

«Se puoi sopportare un po' di dolore per un bacio, allora anche io sono pronto per tutto il resto.»

disse, come se improvvisamente si fosse trasformato tutto in una stupida sfida. In un modo come un altro per lanciarsi in quell'ignoto che si era sempre impedito di affrontare.

«Eddie... ?»

Catturò di nuovo le sue labbra per impedirgli di parlare, una mano che si aggrappava all'elastico dei pantaloni per fargli capire fin dove si spingesse il suo obiettivo. Lo sentì sciogliersi sotto le sue attenzioni e rispondere altrettanto entusiasticamente dopo solo qualche istante di esitazione.

Si aggrappò a lui con tutta la forza di cui era capace, e si lasciò trascinare sul materasso, senza fare resistenza. Le mani di Richie che si erano già insinuate sotto la t-shirt sformata che usava per pigiama, le proprie che si erano aggrappate ai ricci ora un po' troppo lunghi dei suoi capelli.

«Sei sicuro?» si scostò Richie, la voce un sussurro, il respiro in affanno. «Forse dovremmo arrivarci per gradi, tu...»

Eddie gli accarezzò la nuca, guardandolo in quegli occhi già liquidi di desiderio, sentendosi improvvisamente più potente e coraggioso di quanto non lo fosse mai stato.

«Fai quello che vuoi. Mi fido di te, Richie», disse solo, lasciandosi trascinare di nuovo nell'accogliente oblio delle sue attenzioni.

Eddie non gli disse che lo amava, nemmeno una sola volta, quella notte.

Ma si preoccupò di fargli capire che qualsiasi cosa sarebbe successa da quel momento in poi, dai dolori o dalle gioie che se ne sarebbero seguiti, ne sarebbe solo valsa la pena.

 

Continua...

  
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