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Autore: ToscaSam    18/02/2020    1 recensioni
Ispirato da "I Fisici" di Dürrenmatt.
Ambientato in piena Guerra Fredda: in una clinica psichiatrica sono ricoverati tre strani pazienti. Tutti e tre erano grandi fisici, un tempo. Fra di loro ce n'è uno, Johan Möbius, che ha lavorato tutta la vita per trovare la "formula universale", quella che risolverà ogni domanda sull'universo e sulla fisica. Tutte sciocchezze deliranti di un malato di nervi.
O forse no.
Nel prestigioso sanatorio cominciano ad accadere fatti disturbanti: due infermiere trovate morte sono solo l'inizio della vicenda.
Una storia grottesca, farcita di dark humor e temi filosofici.
Cosa è giusto/sbagliato? Cosa è il bene/il male? Chi sono i buoni/i cattivi?
Genere: Dark, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Johan Möbius


La bocca sorridente, anche se priva di espressione. Gli occhi annebbiati, che puntavano verso qualcosa o qualcuno che non c'era. Beato, placido.
Questo vide la signora Rose quando il suo ex marito fu condotto della stanza dalla dottoressa Von Zhand.
« Johan!» esclamò, incapace di trattenere le lacrime di commozione.
Johan fece roteare i bulbosi occhi per tutto il salotto, poi finalmente li indirizzò verso la donna: « Lina?».
Per quell'istante, tutto fu perfetto.
« Möbius, vede che se si sforza tutto le torna in mente? È proprio la sua Lina. Adesso vi lascio, fate i bravi. Se avete bisogno di qualcosa, suonate il campanello e arriverà l'infermiera Martha».
Forse nessuno ascoltò le parole della dottoressa, tanto la commozione era forte. Johan pareva sforzarsi di ricordare un grande sentimento nascosto dentro di lui, Lina Rose era di nuovo scossa da tremiti e singhiozzi. Il missionario Rose se ne stava in contemplazione, pacifico come l'oceano e le Marianne.
« Johan, questi sono i tuoi ragazzi. Guardali, guarda quanto sono cresciuti»
Lina Rose fece scattare la chiusura della borsetta nera di velluto e ne estrasse delle fotografie.
« Ci sediamo?» chiese Möbius con espressione vacua, debole.
Il missionario rimase in disparte e lasciò che sua moglie sedesse con l'uomo che un tempo l'aveva condotta all'altare. Scelsero il sofà che qualche ora prima era stato occupato dal commissario Richard Voss.
Le foto che la signora Rose aveva estratto dalla borsetta erano tre: un giovane uomo con una camicia bianca, un liceale dallo stesso sorriso sbiadito di Möbius, e uno scolaretto che poteva avere undici o dodici anni.
« Sono fantasmi?» commentò Möbius, triste.
« Ma no, Johan. Sono i tuoi figli»
« Tre?»
« Ma certo che sono tre».
Möbius avvicinò al naso le fotografie una per una e le fissò a lungo, come per carpirne un significato profondo.
A disagio, Lina riprese le foto. Aspettò che Möbius le restituisse l'ultima.
« Come si chiama lui?»
« è Lucas, Johan. Il più piccolo. Dei tre è quello che ti assomiglia di più. Sai? Mi ha detto che vuol fare il fisico».
D'un tratto il volto di Johan mutò: un gelo improvviso lo pervase mentre gli occhi si accesero di fuoco:
« Cosa? Il fisico? No. Non te lo permetto!»
« Ma anche tu sei un fisico, Johan!»
« E vedi dove sono finito? Tutto per colpa della fisica! Della fisica e del Re Salomone! Dio, che vita! Perché io? Perché il Re Salomone? Io sono uno scienziato, un pratico! Odio la teoria! Odio la religione! Perché il fisico? Non puoi fargli fare il fisico! Te lo proibisco!».
Lina si allontanò impercettibilmente da Johan, che stava sudando e tremando. Lo vide coprirsi gli occhi con le mani, scuotersi tutto e infine, calmarsi.
Con un gesto eloquente, Lina fece avvicinare il missionario Rose. Möbius parve accorgersi della sua presenza solo allora.
« Ti presento mio marito, Oskar Rose. Fa il missionario».
Möbius rimase pietrificato.
« Tuo marito? Ma sono io tuo marito»
« Non più, Johan. La dottoressa ti ha comunicato del divorzio. E così ho sposato Oskar. Sai? Fa il missionario. Andiamo a vivere nelle isole Marianne»
« Nell'Oceano Pacifico» aggiunse il missionario.
Johan si alzò e guardò dritto negli occhi il signor Rose, con una lucidità impressionante. Lina ebbe un fremito di paura e si strinse al braccio di Oskar. Dal canto suo, il missionario esibiva un'aria completamente a suo agio.
Sorrideva a Möbius come se si conoscessero da sempre.
« Sono lieto di conoscere il nuovo padre dei miei figli» disse Möbius, gelido.
« Ho donato loro il mio cuore. Come dice il Salmista: “Ecco, eredità del Signore sono i figli, è sua ricompensa il frutto del grembo”».
Lina fu la prima ad accorgersi che qualcosa non andava. Oskar si sarebbe preso in pieno la gamba della sedia che Möbius scagliò con forza, se lei non l'avesse tirato da parte.
« Tu citi il Re Salomone? Tu non sai niente di lui, niente! E ora vattene alle Marianne! Prenditi mia moglie, i miei figli! Vattene! E io vi maledico! Salomone vi maledice dall'alto dei cieli! Andate via! Andate via! Alle Marianne!».
I bicchieri di cristallo andarono in frantumi. Il tavolo fu rovesciato.
L'ultima immagine che Lina ebbe di suo marito fu annebbiata dalle urla, dai cocci, dalle tende strappate e dalla mano fredda e gentile dell'infermiera Martha, che conduceva lei e Oskar fuori dal salotto del sanatorio.
 
 
*
 
« Smetta di urlare, Johan. La sua famiglia è lontana, non possono più sentirla».
Möbius era seduto sul divano, la faccia affondata fra le dita, attorniato dal caos che lui stesso aveva creato.
« Questa stanza è come la mia mente, Martha. Sono io che l'ho ridotta così»
« La smetta anche di filosofeggiare. Non le fa bene piangersi addosso. E poi ho capito che fingeva»
« Cosa?»
« Lei fingeva».
Möbius alzò la testa dalle mani e fissò l'infermiera, stralunato.
« Se n'è accorta?»
« Sono quattro anni che l'ho in cura, Johan. Perché ha trattato così sua moglie?»
« Non mi interessa più niente di lei. E nemmeno dei miei figli. Se ne vadano pure lontani. Dopo questa scenata, non avranno più voglia di pensare a me. E io sarò libero dai loro fantasmi».
Martha rise e si accomodò accanto a lui.
Gli passò una mano fra i capelli, accarezzandolo e togliendogli dalla testa qualche frammento di bicchiere. Lui la lasciò fare, rimase come un addormentato in balia delle dolci onde del mare. Martha gli tastò il polso, la fronte e l'incavo fra la mandibola e il collo. Poi sospirò:
« Signor Möbius, devo parlarle»
« Che c'è signorina?»
« Anche noi dobbiamo dirci addio».
Möbius sbatté forte le palpebre: « Cosa? E perché?»
« Mi trasferiscono all'edificio principale. Il procuratore di stato ha imposto che qui nella villa mettano piede solo delle guardie giurate, alle infermiere sarà vietato entrarvi»
« Per colpa di Einstein e Newton?»
« Esatto».
I due rimasero in silenzio per un attimo.
Martha non osava più toccare Möbius né lui riusciva più a muoversi.
Tutto fu immobile: i cristalli sbriciolati a terra, le tende ammucchiate, le sedie rovesciate. L'istantanea della mente di un pazzo: un tempio sacro violato da una tempesta.
Poi l'incantesimo si ruppe.
« Signorina Martha, io sono una persona goffa. Però voglio che sappia che da quando mi ha preso in cura lei, tutto è stato più bello».
Martha riuscì a voltarsi verso Möbius.
Lei era giovane e fresca, abile, seria. Lui un cinquantenne, sciupato, smagrito, eppure vivo.
« Signor Möbius. Io non credo che lei sia pazzo».
  
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