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Autore: ONLYKORINE    18/02/2020    1 recensioni
William è un soldato e Kiwidinok una nativa. Ecco la loro storia, raccontata da William una sera intorno al fuoco.
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La canzone di Kiwidinok

 

«William Brown camminò faticosamente fino al fuoco, lo osservò e poi si voltò a guardare il suo pubblico. Quando il vecchio con il copricapo di piume gli fece cenno, si sedette sul tronco e iniziò a rollarsi una sigaretta prima di iniziare a parlare.

“La prima volta che incontrai Kiwidinok era l’alba e io stavo vagabondando nel bosco da tutta la notte. Ero stato rapinato dagli indiani ed ero corso nella boscaglia per nascondermi.”

Un brontolio generale circondò il fuoco. L’uomo li guardò senza abbassare lo sguardo e, quando il capo del villaggio riportò il silenzio, continuò.

“Avevo la punta di una freccia nella coscia sinistra e quella che immagino fosse la più grossa febbre da infiammazione che io abbia mai avuto.

“Sentii la voce di Kiwidinok prima ancora di vederla: cantava mentre faceva il bucato al fiume. Iniziai a sentire questo melodioso canto prima ancora di udire i rumori dell’acqua del torrente e seguii la sua voce come incantato da una magia o da una maledizione.

“Quando arrivai sulla riva del fiume mi bloccai: lei era china sulle pelli e continuava a deliziare le mie orecchie con quel suono ammaliante e magico. Quando mi vide, voltandosi verso di me, si bloccò, spaventata, ma io cercai di non incuterle ulteriore timore, alzando le mani e parlandole lentamente e con tranquillità. Lei dovette capire perché non scappò via, ma mi osservò da capo a piedi e, dalla sua espressione, mi sentii come se indossassi degli indumenti sporchi di feci e urina, ma poi capii che stava osservando la freccia che mi sporgeva dalla coscia.

Si avvicinò a me, indicò la freccia e poi se stessa per chiedermi se volessi aiuto per tirarla via. Io scossi il capo, ma subito rabbrividii dalla febbre e svenni. Non so cosa successe, né come lei ci riuscì, ma quando rinvenni, ero sdraiato nell’insenatura di una roccia, al riparo e riscaldato dal fuoco che scoppiettava appena fuori dall’entrata della grotta. Avevo delle pelli di bisonte a coprirmi e ancora la freccia nella gamba, ma non ero solo. Lei era china su di me, stava cantando a voce bassa e trafficava sulla mia gamba. Cercai di tirarmi su, ma lei mi spinse con la mano e io mi ritrovai di nuovo sdraiato. Subito dopo le sue mani tornarono fra le mie cosce e il dolore che provai mi fece gridare e irrigidire. Lei mi mise un bastone di legno fra i denti e mi obbligò a rimanere giù. Pochi secondi e il male si fece insostenibile: svenni ancora. Sembravo un narcolettico.

Quando mi risvegliai il profumo di cibo sul fuoco riempì le mie narici e non mi sentii così male come quando ero svenuto, ma ero ancora debole. Riuscii ad alzare la testa, mi appoggiai sui gomiti e guardai la mia gamba: la freccia non c’era più, i pantaloni erano tagliati e una fascia premeva sulla ferita. La toccai e notai che era stata curata bene. Il taglio era anche stato cauterizzato in maniera esperta e una poltiglia strana lo ricopriva. La ragazza nativa sapeva il fatto suo.

Sentii il suo canto prima ancora di vedere lei tornare e sorrisi, me lo ricordo bene. Quando lei entrò nella grotta mi appoggiai sui gomiti e lei ricambiò il mio sorriso.

Si sedette accanto a me, io mi indicai la ferita e mi baciai le dita verso di lei, sperando che capisse che volevo ringraziarla. Lei annuì e divenne rossa sulle guance. Aveva una pelle incantevole. Dorata, liscia e perfetta. I suoi occhi scuri, circondati da linee disegnate per farli risaltare, si abbassarono e io capii che era in imbarazzo. Scossi la testa e cercai di richiamare la sua attenzione. Mi battei il palmo sul petto e le dissi il mio nome. Lo dovetti ripetere più volte prima che lei capisse come pronunciarlo, ma quando ci riuscì, mi sentii affascinato dal suono che aveva detto dalle sue labbra.”

William aspirò dalla sigaretta e guardò tutte le persone intorno a lui che ascoltavano rapite il suo racconto. Sarebbe riuscito a spiegare cosa provasse per Kiwidinok?

“Lei, copiandomi, mi disse il suo nome: Kiwidinok. Come ben sapete, Kiwidinok significa ‘nel vento’ e lei non me lo disse subito, ma io imparai inconsapevolmente il suo significato, mentre giacevo ferito nella grotta. Lei andava e veniva da me, non stava mai ferma, cacciava, preparava da mangiare, immagino che tornasse anche a casa qualche volta.”

Guardò di nuovo tutta la gente seduta come lui intorno al fuoco e vide qualcuno annuire. Aspirò l’ultimo tiro dalla sigaretta e andò avanti nel suo racconto.

“Lei era esattamente come il vento: non era mai ferma nello stesso posto. Ho avuto più volte l’impressione che lei stessa fosse il vento. Giuro che all’alba, quando passo vicino a un fiume, qualsiasi fiume, sento il vento che canta la sua canzone.”

Spense la sigaretta sotto lo stivale e guardò di nuovo il Grande Capo. Sarebbe riuscito a convincerlo? A convincerlo di cosa poi? Che lui fosse una brava persona?

“Quando Kiwidinok cercò di spiegarmi il significato del suo nome, io feci fatica a capirlo, così lei soffiò sulla mano, dove aveva appoggiato dei fili d’erba, e quando esclamai: ‘Vento!’, lei fu così felice che mi abbracciò. Poi si staccò da me e divenne ancora rossa. Io non resistetti e le lasciai un bacio…”

Tutte le donne (le poche donne, possibile che ci fossero così poche donne?) intorno al fuoco brontolarono e lui si apprestò a continuare.

“…sulla fronte, posandole le mani sulle guance. Lei mi guardò con quei suoi occhi dolcissimi e io feci un cenno con il capo. Quando lei mi diede il permesso, annuendo e sporgendosi verso di me, la baciai sulle labbra e i nostri mondi si unirono.

La mattina dopo, dopo aver passato tutta la notte con me, Kiwidinok mi fece sedere vicino al fuoco, si accomodò davanti a me e mi diede quella che mi sembrò una spazzola. Sciolse i suoi lunghissimi capelli, prese la mia mano e mi fece capire che voleva essere pettinata.

Quando le toccai la testa lei cantò. Io le pettinavo i capelli, capelli di seta, morbidi come stoffa pregiata, e lei cantava, serena. Le intrecciai le ciocche scure in due trecce e quando si voltò verso di me, i suoi occhi brillarono. Si alzò e mi aiutò ad alzarmi.

Mi guidò fino al fiume e, prima di tuffarsi, si spogliò. Completamente nuda mi fece cenno di raggiungerla nell’acqua e noi…”

Le donne brontolarono ancora e qualcuna tappò le orecchie a qualche bambino che ridacchiava.

“Nuotammo. Nuotammo insieme e diventammo marito e moglie.”

Il Grande Capo fece un cenno con la testa e una linea si disegnò sul suo viso: stava sorridendo. Un piccolo nativo arrivò correndo e si inchinò prima di parlare all’anziano. William riconobbe parole come ‘pronta’ e ‘possibilità di vederla’ e si spaventò. L’uomo si alzò e allargò le braccia verso il vecchio.

“Ora, Aquila Bianca, Grande Capo, io sono qui, sono qui perché mi avete fatto chiamare, ma sono sei lune che Kiwidinok mi ha abbandonato, e io non so più niente di lei, neanche che fosse qui la sua tribù” disse, guardandosi intorno prima di continuare. “Quindi vi chiedo: perché sono qui? Cosa le è successo? Perché improvvisamente questa fretta? Perché avete voluto sapere la nostra storia? Cosa non mi state dicendo?”

Il brusio generale riprese a riempire l’aria, ma l’anziano si alzò e batté il suo bastone contro il suolo e subito si fece silenzio.

“Io, Aquila Bianca, avrei dovuto dare la benedizione per la tua unione con nostra Kiwidinok, e volevo conoscere le tue intenzioni, ma ormai è troppo tardi…” esordì l’anziano.

William impallidì: cosa era successo alla sua Kiwidinok? Era… morta? Si pentì di non averla cercata prima. Di non averla rintracciata meglio. Le braccia gli caddero lungo i fianchi e sentì il petto stringersi in una morsa. Una lacrima prese a scivolargli dall’angolo dell’occhio verso la guancia. La scacciò con la mano. Cosa avrebbe fatto senza Kiwidinok?»

Il mormorio intorno al fuoco si fece più intenso e tante frasi di disapprovazione si sentirono fino al bosco. Sorrisi. Avevo tutta la loro attenzione. Soprattutto quella di Melanie, che pendeva dalle mie labbra. La guardai e sorrisi ancora, prima di continuare.

«Il Grande Capo scosse ancora il bastone, indicò delle donne native e continuò il discorso.

“Voi uomini pallidi non siete forti come i guerrieri delle nostre terre. Non potevamo fartela vedere prima. Ora puoi andare da Kiwidinok.”

Con un cenno della mano, due donne gli fecero strada attraverso il campo. William, con il terrore nel cuore, le seguì senza porgere altre domande. Era un soldato, aveva visto uomini morire e cavalli straziati, ma sapere che avrebbe potuto vedere il corpo senza vita della sua amata, lo rendeva insicuro e pieno di terrore. Come avrebbe reagito?

Quando si avvicinarono a una delle tende di pelli, le donne si fermarono e gli indicarono l’entrata. William annuì, ma non era pronto. Per niente.

Fece un passo avanti quando l’ululato di un lupo in lontananza lo fece bloccare. Era un segno? Sicuramente era un segno! Guardò l’entrata della tenda appena scostata e un altro suono riempì le sue orecchie: il pianto di un bambino. Stranito, fece un passo avanti e quando sentì il canto di Kiwidinok riempire l’aria e diventare vento niente riuscì a tenerlo fuori dalla piccola costruzione.

Entrò e ciò che vide lo lasciò senza fiato: Kiwidinok, la sua amata Kiwidinok era sdraiata su un piccolo pagliericcio ricoperto di pelli e fra le braccia stringeva un bambino. Un bambino!»

Stetti zitto giusto il tempo per creare un po’ di attesa e poi ripresi a raccontare.

«Un bambino dalla pelle più chiara della madre e delle donne che le stavano intorno, un bambino con tantissimi capelli biondi e gli occhi azzurri.

William si chinò sulla moglie, baciandole le guance e la fronte. Prese in braccio il bambino e, dopo aver scambiato un’occhiata con Kiwidinok, che acconsentì, lo portò fuori, tornò vicino al fuoco e lo alzò perché tutti potessero vederlo e gridò: “Mio figlio! Oggi, quattordici febbraio, è nato mio figlio!”

Dopo aver riportato il bambino dalla madre e aver parlato con lei fino a quando non si addormentò, William tornò fuori, si risedette intorno al fuoco e quella notte ballò al suono dei tamburi, fumò con i guerrieri più valorosi e si fece dipingere il petto con colori sgargianti. Quella notte divenne un padre e festeggiò con la sua nuova famiglia.

All’alba, con Kiwidinok, tornò nel bosco in riva al fiume, dove l’aveva incontrata la prima volta. Lei cantò per lui e William si inginocchiò, tenendole la mano, diventando suo marito.

Secondo la leggenda, se due persone sentono il canto di Kiwidinok all’alba nel bosco in riva al fiume saranno destinate a una vita lunga e felice, insieme, come quella di William e della sua amata.»

Mi fermai e guardai il mio pubblico. Avevano tutti gli occhi e la bocca spalancati. Sorrisi perché sapevo di farlo bene. Tutte le volte che c’era il falò al campeggio, facevano raccontare a me la storia della buonanotte.

«Ma no! È rimasto con gli indiani? Che sfigato!» ridacchiò Melanie.

Ci rimasi malissimo. Perché aveva detto una stupidaggine del genere? Uno degli animatori del campeggio estivo si alzò e ci disse di tornare verso i nostri bungalow. Mi alzai subito e quasi corsi verso i dormitori. Melanie, la ragazza più carina del campeggio, pensava che i nativi americani fossero degli sfigati? No… Mi sembrava di aver sprecato la serata: avevo raccontato quella storia per far colpo su di lei.

Sempre più depresso, mi misi il pigiama e raggiunsi i lavandini per lavarmi i denti prima di andare a letto.

«Gran bella storia, Jake.»

Mi girai. Tessa mi sorrideva da dentro un pigiama rosa con un orsetto sulla parte superiore: era carino. Carino e coccoloso, avrebbe detto mia sorella minore.

«Non starò a farti notare tutte le imprecisazioni che hai detto perché l’hai raccontata così bene che non te lo meriti.»

Quando sorrise ancora mi resi conto che anche lei era carina: aveva dei gran occhi neri e dei capelli raccolti in una treccia che le cadeva sulla spalla. Pensai a Kiwidinok.

«Tipo ‘narcolettico’?» la presi in giro.

«Anche. Ma anche ‘quattordici febbraio’. È stato ingegnoso metterci in mezzo San Valentino, ma mi sa che Melanie non ha apprezzato lo stesso» disse, facendomi l’occhiolino e, impugnando lo spazzolino da denti, si avviò verso i lavandini.

Come? Come? Le corsi dietro e nel farlo finii addosso a una bambina che stringeva una bambola di Sailor Moon. «Scusami» gridai, quando mi ero già rialzato e stavo correndo dietro a Tessa.

«Tessa!» la chiamai e lei si girò ma non rallentò. «Non mi sono inventato niente! Il mio trisavolo è nato il quattordici di febbraio nel campo Cheyenne» spiegai.

«Oh! Una storia vera! Scusami, non lo avevo capito. Sei così bravo a raccontare storie… Ma questa allora è anche più bella, perché di famiglia… Io ho sangue Sioux…» Abbassò la voce quando passò Melanie con alcune amiche, ma non abbassò gli occhi. Le guardai andare via e presi la mano di Tessa.

«E se ti chiedessi di venire con me nel bosco, domani all’alba, in riva al fiume, a sentire il vento che canta la canzone di Kiwidinok?»

«Ti direi che sarebbe un piacere, Jake.»

 

 

 

*** eccomi con un altro concorso!!!

 

 

 

   
 
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