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Autore: ToscaSam    20/02/2020    1 recensioni
Ispirato da "I Fisici" di Dürrenmatt.
Ambientato in piena Guerra Fredda: in una clinica psichiatrica sono ricoverati tre strani pazienti. Tutti e tre erano grandi fisici, un tempo. Fra di loro ce n'è uno, Johan Möbius, che ha lavorato tutta la vita per trovare la "formula universale", quella che risolverà ogni domanda sull'universo e sulla fisica. Tutte sciocchezze deliranti di un malato di nervi.
O forse no.
Nel prestigioso sanatorio cominciano ad accadere fatti disturbanti: due infermiere trovate morte sono solo l'inizio della vicenda.
Una storia grottesca, farcita di dark humor e temi filosofici.
Cosa è giusto/sbagliato? Cosa è il bene/il male? Chi sono i buoni/i cattivi?
Genere: Dark, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Richard Voss
 
Richard Voss sedeva beato su una morbida poltrona. Non poteva essere più a suo agio.
« Vuole un Avana?»
chiese la direttrice con voce spenta.
Lui rispose: « No, grazie»
« Della Sambuca, forse?»
« Più tardi, magari».
Mathilde Von Zhand se ne stava sgraziata su un sofà: per la prima volta, Voss non fu sopraffatto dal suo fascino, che in quel momento pareva dissolto. L'espressione amareggiata, preoccupata, non le donava. La donna si massaggiò le tempie, poi riprese, mesta:
« E allora, l'assassino …»
« Signorina! Ma che dice mai!»
« Oh. Certo, certo. Volevo dire … l'autore del gesto. Vuole vederlo?»
« Non ci penso neppure».
I grandi e cigliati occhi neri della dottoressa si voltarono, pieni di dubbio, verso quelli di Voss: «Ma …?»
« Senta, signorina Von Zhand, io faccio il mio dovere. Stendo il protocollo, prendo in visione il cadavere, lo faccio fotografare e ne faccio fare una perizia dal medico legale, ma a prendere in visione Möbius non ci tengo proprio. Quello lo lascio a lei, insieme a tutti gli altri fisici radioattivi»
« E il procuratore di stato?»
« Non ha neanche più la forza di andare in bestia».
Mathilde sprofondò ancora di più nel divano. Voss notò la sottoveste di pizzo nero, che saltava fuori dal vestito spiegazzato.
« Fa caldo, qui dentro» gemette la donna.
« Ah, non fa caldo per niente» ribatté lui.
« Oh, questo terzo assassinio ...»
« Signorina, ma che parole!»
« Beh ecco … questo incidente. Proprio non mi ci voleva. Martha Boll era la mia migliore infermiera. Lei riusciva a capire i malati. La sua vocazione risiedeva nella loro cura. L'amavo come fosse una sorella» qui la dottoressa si coprì gli occhi con le mani, per poi riemergerne un attimo dopo, come riprendendosi da un butto sogno: « ma il peggio non è poi tanto la sua morte. Voglio dire, il procuratore di stato mi farà senz'altro chiudere, mi prenderete tutti i pazienti, il mio nome non significherà niente. E io ho bisogno della visibilità che mi sono faticosamente guadagnata. La mia fama è irreparabilmente distrutta».
Voss non riuscì a non avere compassione: rise e si avvicinò alla donna. Le posò una mano sulla spalla, che era calda e liscia.
« Ma no! Tanto ormai ha finito le infermiere, qui dentro. Le guardie sono arrivate e tutto procede come deve. Vedrà che la fama non ne risentirà».
In quell'istante si aprì una delle molte porte del salotto.
Ne uscì un bell'imbusto, alto, biondo, con una corporatura allenata dentro una divisa nera. Non poteva avere più di venticinque anni. Possedeva lineamenti dell'est Europa: un naso lungo e dritto, occhi chiarissimi dalle ciglia nere.
Voss non se l'aspettava, ma non poté fare a meno di notare che la dottoressa s'era ricomposta tutta d'un fiato: ora sedeva elegante e dritta, anche se un po' concitata.
Il giovanotto dichiarò:
« La cena dei cari malati è pronta, signorina»
Aveva un forte accento.
« E che gli diamo ai nostri cari malati?» fece Voss, fingendo interesse.
« Agnolotti in brodo, poulet à la broche e bistecca alla Bismark» rispose il giovane, serio.
« Alla faccia» commentò Voss.
« Vitto di prima classe»
« Grazie Ilka» cinguettò la direttrice, sbattendo le ciglia: « vada pure, i pazienti verranno e si serviranno da sé»
« Si, signorina».
Il giovane fece un leggero inchino alla dottoressa, poi un cenno di saluto al commissario.
Uscì con passo fermo e richiuse la porta alle sue spalle.
« Perbacco, signorina. Sono un po' invidioso. L'avessimo noi in polizia, uno così! Dove l'ha trovato?»
Mathilde avvampò, ma cercò di contenersi: « In una scuola di addestramento russa. È il capo della squadra di polizia privata che lei e il suo procuratore di stato mi avete obbligato ad assumere»
« Mi dispiace per lei»
« Ha ricevuto un addestramento rigido e la sua priorità è obbedire agli ordini. Qui nella clinica, quindi, ai miei ordini»
« Immagino»
« Lo pago per questo»
« Non ne dubito».
Voss dette alla dottoressa il tempo di ricomporsi, mentre dava un'occhiata in giro: i bicchieri di cristallo erano spariti. I cordoni della tenda non c'erano più. La lampada era già stata sostituita dal candelabro, sempre al suo posto.
A un certo punto, una musica lontana e malinconica riempì il salotto.
« Ehi! Ecco Einstein con il suo violino!» esclamò Voss, divertito.
« È Bach, il suo preferito» commentò la dottoressa.
Proprio allora si udì una maniglia scattare e Möbius fece il suo ingresso: esibiva di nuovo l'espressione vacua e annebbiata ma gli si potevano scorgere occhiaie ancora più profonde di sempre.
Mathilde Von Zhand si alzò di colpo e lo raggiunse con notevoli falcate:
« Möbius! Lei ha ucciso Martha Boll! Come diavolo le è saltato in mente?!»
« Sono spiacente, signorina» mormorò lui.
« Ah, spiacente? Credevo ci tenesse a lei!»
« Me l'ha ordinato il Re Salomone»
« Il Re Salomone?!» stridette la dottoressa con voce isterica.
Ci fu un istante in cui Voss credette che la direttrice stesse per assestare un pugno sul naso a Möbius. Parve pensarlo anche lei, che sbatté le palpebre e si riscosse.
Tornò pesantemente verso il sofà e vi si sistemò.
« Mi scusi, Voss. Sa, i nervi»
« Ma le pare, signorina»
« Una clinica come questa è una cosa sfibrante»
« Ah, le credo»
« Credo di aver bisogno di riposarmi nel mio appartamento»
« Ci scommetto»
« Vogliate scusarmi. Voss, proceda all'interrogatorio o insomma, faccia tutto ciò che diavolo vuole. Arrivederci, signori».
La sinuosa dottoressa si alzò e si dileguò.
Voss rise e si accomodò sul posto lasciato vuoto da lei. Invitò anche Möbius a sedersi.
« Caro Möbius, che piacere. Venga, venga»
« Commissario, la prego. Lei deve arrestarmi»
« Arrestarla? E perché mai?»
« Ma … perché ho ucciso Martha. L'ho davvero uccisa. Con le mie mani» gli occhi gli si velarono di lacrime. Se li coprì con le nocche ruvide.
Voss era del tutto insofferente:
« Amico mio, lei stesso ha dichiarato che ha agito su ordine del Re Salomone. Fintanto che non posso arrestare lui, lei resta in libertà»
« Però ...»
« Ma che “però” e “però”. Non ci sono però. Sa cosa? Lì sotto il tavolo c'è nascosta la Sambuca di Sir Isaac Newton. Me ne versa un bicchierino?»
Möbius era vagamente allibito: « D'accordo, signor commissario».
Si alzò, trovò la Sambuca, la versò in un flûte e la portò al commissario.
« Via, me ne versi un altro. E se ne faccia uno anche per sé».
Möbius obbedì.
Voss bevve i due bicchieri d'un fiato e poi fece scoccare la lingua.
« Caro Möbius, sa, ogni anno arresto alcuni assassini. Mica tanti. Saranno sì e no una mezza dozzina. Alcuni li arresto con piacere, altri mi fanno compassione, ma devo arrestarli lo stesso. La legge è la legge. Ed ecco che mi capita lei coi suoi due colleghi. All'inizio, devo ammetterlo, mi sono seccato di non poter intervenire, ma adesso, vuol saperlo? Adesso tutt'a un tratto ci godo. Ho trovato tre assassini che posso fare a meno di arrestare, senza dover provare dei rimorsi. È una sensazione grandiosa. Avevo proprio bisogno di ferie, per questo la ringrazio» si alzò. Raggiunse il soprabito appeso a un attaccapanni e se lo infilò:
« Addio e mi stia bene. Mi saluti tanto Albert Einstein e Sir Isaac Newton. E presenti i miei omaggi al Re Salomone».
Voss salutò con calore l'uomo sul divano. Si accese una sigaretta, dette un ultimo sguardo al salotto e uscì per sempre.

 

  
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