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Autore: LilithMichaelis    20/02/2020    1 recensioni
Sherlock riportò l'attenzione al messaggio, e poco ci mancò che avesse un mancamento.
O forse lo ha avuto per davvero.
John non ricorda.
Venite in centrale.
Emergenza.
È Lestrade.
Non chiamare tuo fratello.
-Anderson

______________________________
In una giornata come tante altre, Sherlock e John sono chiamati a risolvere il mistero della scomparsa di Lestrade.
Ed è quando la paura di arrivare troppo tardi diventa insopportabile che parte la corsa contro il tempo.
{Mystrade/Johnlock - after season 4 - Spoiler!Allert - Introspettivo - Romantico - Drammatico - Trigger warning: menzione di morte, violenza, descrizione di atti violenti}
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Il silenzio era opprimente e così poco familiare al 221B di Baker Street.

John era abituato al suono della vita che scorreva imperterrita e proseguiva nelle sue avventure: Mrs. Hudson che preparava il the nella piccola cucina dell'appartamento, il violino di Sherlock, Rosie e i suoi capricci, le voci sommesse dei clienti.

I passi pesanti di Greg Lestrade che caracollava su per le scale, pronto ad affidare loro chissà quale nuovo mistero.

Sherlock era immerso nel suo palazzo mentale da ore, senza riuscire a trovare alcuna soluzione alla scomparsa di Lestrade. Erano passati due giorni e il detective aveva a malapena mangiato, sotto insistenza di John, che conosceva la sua lotta con il cibo. Il medico non era sicuro che avesse dormito.
Negli anni di convivenza, John aveva iniziato a comprendere alcuni degli atteggiamenti di Sherlock. Aveva smesso ormai da lungo tempo di credere alle parole del detective quando si discuteva della sua salute.
John sapeva che Sherlock non era capace di processare psicologicamente le sue emozioni - specialmente per colpa dei traumi dovuti a Eurus e le sue memorie bloccate. Da quando quello spicchio di verità era stato rivelato, John trovava molto più sensati molti degli atteggiamenti di Sherlock - perciò le processava a livelo fisico: quando era allegro, saltellava per l'appartamento, rubando dolci dalla cucina della signora Hudson; quando era arrabbiato o frustrato camminava sui mobili; quando era pensoso suonava il violino; quando era triste, stressato, spaventato... era come se premesse un interruttore e spegnesse tutto. Si chiudeva nel suo palazzo mentale, non parlava con nessuno, non toccava nè cibo nè acqua, dimenticava quasi di avere un corpo, arrivando a soffrire fisicamente tanto quando soffriva psicologicamente.

Eppure, dei due Holmes, Sherlock era quello in condizioni migliori. Mycroft, infatti, era come se avesse messo in pausa l'idea di vivere. Non era rasato, aveva i capelli scompigliati, la cravatta disordinata, il suo abito elegante tutto stropicciato. John non sapeva se provare apprensione o paura nel vedere Mycroft, normalmente così curato e raffinato, totalmente in balia del caos.
John riflettè su quanto i fratelli Holmes fossero simili, nonostante fossero ai capi opposti di uno spettro. Anche Mycroft, come Sherlock, convogliava i suoi sentimenti verso il corpo, per riuscire ad analizzarli ed allontanarli dalla sua mente.
Era quasi come se il suo corpo fosse la sua armatura - mentre per Sherlock era un mezzo di "trasporto" - progettata per allontanarlo quanto possibile dal mondo fisico. In quel momento, però, quell'armatura stava piano piano cadendo a pezzi, e John iniziò a intravedere quello che anni e anni di bullismo, responsabilità e isolamento avevano fatto a Mycroft Holmes: dietro la maschera di ferro che indossava di fronte agli altri, vi era un uomo fragile, disperato, spaventato all'idea di perdere qualcuno che amava.

Mycroft Holmes era lì, e John non riusciva a descrivere meglio la sua condizione. L'uomo conosciuto come il Governo Britannico stava. Stava lì, sulla poltrona di John, fermo, a fissare il vuoto mentre rimuginva su Dio solo sa cosa.

John non faticava a immaginare cosa stesse passando in quella mente così fuori dall'ordinario. Paura, disperazione, senso di colpa. John aveva già provato tutte queste sensazioni, più di una volta. Dopo il "suicidio" di Sherlock, dopo la morte di Mary. Ma, nonostante potesse capire cosa provasse Mycroft, non riusciva a trovare la forza di avvicinarsi all'uomo. Di chiedergli se avesse fame, se volesse un the. Di dirgli che lui capiva, lui capiva meglio di tutti.
Più di una volta si era ritrovato a vagare per l'appartamento - trasportando un cesto di biancheria, spolverando mobili che erano stati già spolverati, facendo finta di rendersi utile in una battaglia mentale in cui, francamente, sentiva di essere disarmato - e ad avvicinarsi a Mycroft, sentendo improvvisamente il desiderio di posargli una mano sulla spalla, come faceva per tranquillizzare Sherlock, di invitarlo a discutere dei suoi sentimenti, quasi come fosse una macabra riunione di un fan club. Ma, nonostante sapesse che le sue volontà erano più che nobili, aveva paura che Mycroft potesse fraintendere o, peggio ancora, rifiutare il suo aiuto, proprio come John aveva fatto con Sherlock.

Così, non lo faceva. Si limitava a badare a Rosie che, sebbene fosse ancora piccola, sembrava quasi comprendere la situazione: era particolarmente silenziosa quando Mycroft entrava nell'appartamento. Mentre sgambettava in giro alla ricerca dei suoi giochi, evitava di proposito la poltrona di Mycroft. Sebbene inizialmente avesse provato ad attirare l'attenzione di Sherlock, dopo alcuni tentativi smise di farlo. Si limitava ad osservare ciò che accadeva nell'appartamento, con il suo sguardo curioso così simile a Mary. La piccola rendeva tutto contemporaneamente più pesante e più sopportabile.
Da un lato, John era grato di avere qualcosa da fare, qualcuno di cui occuparsi, che gli avrebbe occupato le giornate e i pensieri, fintanto che lo stalo del 221B si fosse prolungato.
Dall'altro, a John piangeva il cuore nel vedere la figlia allungare le manine verso Sherlock, facendogli segno di prenderla in braccio e mormorando «dada» per attirarne l'attenzione - entrambi gli uomini avevano smesso di correggere Rosie, lasciando che li chiamasse dada e daddy. Sherlock comprendeva che il suo nome fosse complicato perchè una bambina così piccola potesse pronunciarlo correttamente, mentre John... gioiva segretamente all'idea che Rosie potesse amare quell'uomo tanto quanto lo amava lui. John aveva paura che la bambina non comprendesse il motivo di tanto rifiuto, che ne restasse ferita, ma nonostante tutto, Rosie rimaneva tranquilla e allegra. Dopotutto, quell'esserino aveva la testa di Mary, il cuore di John e tutti gli insegnamenti e la comprensione di Sherlock.
John si rimproverò più di una volta, nel constatare di aver sottovalutato sua figlia.

L'impasse sembrava non finire mai.

Fino a che non finì.

John non aveva capito se fosse stata colpa di Rosie, se l'intuizione fosse già pronta a esplodere, se fosse stato un mix tra le cose.

La bambina era in salotto, sul divano, a giocare con i suoi peluche. John era andato in cucina a preparare un po' di frutta per lei e a sbucciarne un po' per Sherlock, pur consapevole che sarebbe rimasta sul tavolo, ad annerire con il passare delle ore. Tutto era tranquillo, stabile, per questo John non era nella stanza con Rosie.
Finite le preparazioni, John tornò in soggiorno e la scena sembrò quasi andare al rallentatore.

Vide Rosie avvicinarsi alla poltrona di Sherlock, con un foglio in mano, mentre chiamava il suo dada. John era convinto che Sherlock sarebbe rimasto impassibile come al solito ed era pronto a distrarre sua figlia dalla delusione. Invece, il più giovane degli Holmes rivolse lo sguardo alla bambina.

«Hei Rosie. Cosa c'è?»

La bambina allungò il foglio che aveva in mano e John si rese conto che era una delle decine di fotografie attaccate alla parete delle deduzioni. Sherlock prese la fotografia e, dopo averla osservata per un secondo, si alzò in piedi, prendendo Rosie in braccio.

«Piccola Watson, sei un genio» disse cullando la bambina e facendola ridere. John non aveva bene afferrato cosa fosse successo, ma vedere il suo migliore amico mostrare un cenno di vitalità per la prima volta da due giorni gli diede speranza, riempiendogli il cuore di gioia. Inoltre, la scena di Sherlock e Rosie che si guardavano con occhi adoranti avrebbe intenerito anche un cuore di pietra. Sherlock si accorse di John ancora fermo sulla soglia e gli si avvicinò con Rosie.

«Sherlock? Che succede?» la consapevolezza della realtà che lo circondava gli si infranse contro per l'ennesima volta.

«Non lo so, ma se ho ragione, Rosie mi ha appena dato una pista» rispose Sherlock sussurrando, per non farsi sentire da Mycroft. John lanciò uno sguardo fulmineo verso il maggiore, che non mostrava di essersi reso conto di nulla, per riportare l'attenzione verso Sherlock. John avrebbe voluto baciarlo delicatamente, ma sapeva che Sherlock non avrebbe apprezzato. Non in quel momento, con mille pensieri per la testa, non con suo fratello agonizzante sulla poltrona.
Gli prese però la mano e gliela strinse, mentre, guardandolo negli occhi, gli faceva un sorriso a mezza bocca, per incoraggiarlo.

I due riportarono la bambina sul divano e, mentre John la aiutava a mangiare, Sherlock si diresse verso il computer e digitò furiosamente per qualche secondo.

Persino Mycroft si era accorto di quella rinfrescante aria di vittoria che traspariva dal viso del fratello, perchè si riscosse dal suo stato di torpore e si avvicinò al computer.

«Lo hai trovato?»

«No, ma ho un'idea. Guarda la fotografia sul tavolo»

«è uno dei novellini che era con Gregory. Cosa c'entra con tutto questo?»

«Se ho ragione, tutto.»

«Sherlock, ti prego, non ho pazienza per i tuoi giochetti ora»

«Ho appeso questa foto perchè quell'uomo mi sembrava familiare, eppure sono sicuro di non averlo mai incontrato. Credevo non fosse un dettaglio importante, visto che abbiamo interrogato tutti i novellini e tendo a dimenticare il viso della gente che non mi interessa, ma...>>

«Ma cosa, Sherlock?»

«Ma Rosie mi ha appena ricordato che quest'uomo non era tra quelli che abbiamo interrogato. E soprattutto, che io non l'ho mai visto. Devi stare messo peggio di me per non essertene accorto»

John era sicuro che in una situazione normale, Mycroft avrebbe fulminato il fratello con lo sguardo, ma in quel momento era troppa la disperazione nei suoi occhi.

Sherlock cessò di digitare al computer e alzò lo sguardo per incrociare quello di John.

Girò il computer, mostrando il titolo di un articolo di pochi mesi prima:

"Poliziotto morto in una caccia all'uomo" - Greg Lestrade: siamo arrivati troppo tardi.

***
Note dell'Autrice:
nuovo giorno, nuovo capitolo. Questo era, originariamente, uno dei più lunghi, con le sue, circa, 700 parole, ma un'attenta revisione l'ha portato al corposo numero di 1573.
Spero che risulti interessante e che la storia vi stia appassionando.
Al prossimo capitolo!
Lilith
   
 
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