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Autore: ___Page    21/02/2020    3 recensioni
"Koala stava male. Mai avrebbe immaginato che una domanda potesse ferirla tanto.
L’unica cosa che poteva farla stare meglio era un paio di braccia da cui non sperava neppure di farsi stringere, non visto lo stato d’animo del loro proprietario"
...
"Lo dici per lei o per te?"
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One-shot collegata alla raccolta natalizia "Peppermint".
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*Questa fanfiction partecipa al Crack&Sfiga's Day 2020, indetto dal forum FairyPiece - Fanfiction&Images*
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Koala, Trafalgar Law
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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FORSE
 


Koala non piangeva facilmente, ma le capitava di piangere spesso. Era la sua valvola di sfogo quando le emozioni si affastellavano al punto da non poterle più tenere dentro, nonostante non si commuovesse poi molto facilmente a meno di non avere troppi ormoni in circolo.
Piangeva per frustrazione, rabbia, dolore, piangeva quando superava la soglia di tolleranza, quando raggiungeva il punto di rottura. Era molto difficile che piangesse per un singolo episodio, una singola parola, una singola frase.
Non piangeva se era felice, raramente piangeva di sollievo.
Ma Koala piangeva. Quando ne aveva bisogno o quando proprio non riusciva a impedirselo, Koala piangeva e, per bene che le facesse, non le piaceva.
Le venivano gli occhi da rana, le chiazze sulle guance e quella brutta sensazione alle narici, come se avesse fatto gli sciacqui nasali con l’acqua termale. E sebbene di solito i benefici di un bel pianto ne superavano gli svantaggi, in quel momento proprio non si applicava.
C’erano le chiazze sulle guance, la brutta sensazione alle narici, le labbra gonfie e pungenti, sarebbero arrivati anche gli occhi da rana e non aveva ancora finito. Ci era arrivata da zero a mille, per colpa di una singola frase, non riusciva a smettere e non le stava facendo bene perché, d’altronde, non era un pianto di sfogo.
Koala stava male. Mai avrebbe immaginato che una domanda potesse ferirla tanto.
 
“Lo dici per lei o per te?”
 
Forse non era stata neanche la domanda, ma la risposta che aveva pensato di dare. Forse era che avevano litigato e poco importava il perché, forse non sarebbe dovuta scappare ma vederlo così risentito, scocciato, infastidito era stato così mortificante. Forse non sarebbero dovuti arrivare a quel punto ma se era bastata una frase a ridurla così forse, e solo forse, Koala doveva ammettere che forse era inutile cercare il bandolo della matassa e risalire alla causa scatenante a ammettere che semplicemente faceva male sentire e vedere nella voce e negli occhi di Law tutto quell’astio rivolto a lei e non perché fosse ingiusto, non perché lei avesse parlato per aiutare e avesse ricevuto quella reazione in risposta.
Anche se fosse stata in torto, forse proprio perché aveva il dubbio di essere in torto, avrebbe fatto male uguale, forse faceva male anche di più, perché Koala mai avrebbe voluto essere motivo di fastidio, scocciatura, risentimento per lui.
Koala voleva fargli bene, voleva solo fargli bene, anche se sapeva che era un desiderio irreale, che dei bisogni li aveva anche lei, che litigare era normale, e per la prima volta in vita propria le pesava avere limiti umani. Forse il solo altro ambito in cui le fosse mai capitato erano le arti marziali ma per risolvere quel problema non bastava allenarsi. Ammesso che fosse un problema. Forse lo era, anche se lo aveva visto arrivare, anche se ne aveva dichiarato le prime avvisaglie la notte della Vigilia, senza neanche stare a pensarci, senza remore.
Forse lo era, perché non aveva mai ricevuto una vera risposta, non l’aveva mai chiesta, aveva lasciato che tutte andasse secondo il flusso e cercato di ritardare il momento, di prendere tempo ma forse non c’era riuscita tanto bene.
E forse doveva togliere il forse, perché era abbastanza introspettiva e consapevole da sapere che non era semplice mortificazione, che non era perché si sentiva di essere stata trattata ingiustamente, che, in parole povere, si era innamorata.
Si era innamorata del “chirurgo dai mille complessi”, come lo aveva definito Sabo quando gliene aveva parlato le prime volte, che odiava il Natale e aveva una figlia. E Koala avrebbe fatto qualsiasi cosa per quella bambina, come avrebbe fatto qualsiasi cosa per suo padre ma, alla fine, ciò che aveva fatto era stato peggiorargli la giornata, cercando di dargli un consiglio che lui non aveva richiesto e che forse non le spettava così tanto dargli e quel che era peggio era che Law non si era neanche sbagliato, non del tutto.
 
“Lo dici per lei o per te?”
 
Non era niente che non fosse vero e sì che lo aveva detto per Laine, Laine che faceva carte false per stare sveglia per aspettarlo quando Law tornava tardi, Laine per cui Law faceva da sempre i salti mortali pur di passarci più tempo possibile e di qualità e non aveva certo bisogno che lei andasse a spiegargli come fare il padre, a fargli le pulci per gli impegni che aveva, a pretendere di fare la madre di una bambina che neanche ne aveva bisogno.
Aveva parlato con le migliori intenzioni, Koala, ma di fatto…
 
“Lo dici per lei o per te?”
 
Era un periodo complicato anche per lei, al lavoro, e non che prendersi cura di Laine le rubasse tempo, sapeva come incastrare perfettamente le due cose e stare con la piccola era troppo bello per anche solo pensare di rinunciarci. Ma era appunto un periodo complicato anche per lei e Law le mancava ma mai si sarebbe creduta capace di usare Laine per ottenere qualcosa. Eppure lo aveva fatto, sapeva di averlo fatto.
Lo sapeva, era così, era l’onesta risposta alla domanda di Law.
Lo aveva detto per sé. “Anche per te” le fece notare una voce nella testa ma era poco rilevante perché lei non aveva alcun diritto di decidere cosa fosse il meglio per Laine e quindi, alla fin fine sì, l’aveva usata come scusa.
Finì di sciacquare il piatto che aveva già lavato tre volte e che, a ben guardare, non si era neanche sporcato visto che non era riuscita a mangiare niente, chiuse l’acqua, si asciugò di nuovo gli occhi.
Era inutile, assurdo, irrazionale stare così da schifo ma non poteva farci niente. L’unica cosa che poteva farla stare meglio era un paio di braccia da cui non sperava neppure di farsi stringere, non visto lo stato d’animo del loro proprietario quando, il magone imminente e nessuna risposta accettabile da dare, aveva preso e se n’era tornata al 21 di via Acacia, con la scusa del lavoro.
Gran bella trovata, tanto non avrebbe combinato niente, non in quello stato ma almeno poteva dare libero sfogo al pianto, solo non avrebbe mai immaginato che sarebbe durato così a lungo, che l’autocontrollo le sarebbe venuto meno a stare da sola.
Aveva seriamente valutato di chiamare Jean-Bart a un certo punto, ma non voleva che Law venisse additato a colpevole e ammettere le proprie reali intenzioni non le avrebbe fatto meglio che restare sola.
Forse era meglio restare sola, dopotutto, non le veniva in mente proprio nessuno da cui si sarebbe fatta vedere così, non senza farsi menate. Di sicuro non avrebbe voluto farsi vedere così da lui.
Lui che la guardava dalla porta aperta, con gli occhi grigi che sembravano enormi e un’espressione che Koala avrebbe osato definire preoccupata mista a sorpresa sofferenza.
Okay ma, fermi tutti, quando esattamente aveva aperto la porta?!
Law non aveva suonato, ne era sicura e ci mise qualche secondo ad abbassare gli occhi per verificare di essersi ricordata giusto. Il sacchetto della spazzatura era lì, stretto nella sua mano e contro la sua gamba. Sì, aveva aperto per andare a buttarlo e Law non aveva fatto in tempo a suonare né a bussare.
Law era lì.
Law era lì e Koala non sarebbe potuta essere più felice e più destabilizzata al tempo stesso, così tanto che la felicità non la sentiva neppure in sottofondo. Non c’era niente da essere felici, non sapeva perché fosse lì né cosa pensasse in quel momento.
«Non stai lavorando»
Non era una domanda.
Non era nemmeno una constatazione.
Era più una presa di coscienza e la cosa sembrava turbarlo ben più di quanto avrebbe dovuto. No, non stava lavorando, non si riusciva a concentrare su niente, neppure sui piatti e sulla spazzatura, e poteva incolpare solo se stessa.
Fece un passo indietro, che capisse che poteva accomodarsi, prima di dargli le spalle ed entrare in salotto, appoggiare la spazzatura su una sedia, rendersi conto, sospirare, riprendere la spazzatura, portarla in cucina. Tutto senza guardarlo, tutto a occhi bassi, tutto con una lentezza che non le apparteneva.
«Kay»
«Accomodati pure» a malapena un mormorio roco e Koala avrebbe anche provato a schiarirsi la gola se non avesse saputo che sarebbe stato perfettamente inutile. «Vuoi dell’acqua?»
«Voglio parlare»
Koala espirò a labbra schiuse, torturandosi per un momento le mani. «Ti ascolto» ribatté una specie di invito o non sapeva neppure lei cosa fosse, uscendo dalla cucina per tornare in salotto, stavolta ben più svelta mentre passava davanti a Law, che non si era ancora schiodato dall’ingresso.
«Koala»  un brivido l’attraversò quando Law, con la delicatezza di quando operava, le prese un polso per fermarla e Koala non riuscì più a resistere all’impulso di guardarlo ma se ne pentì immediatamente, perché l’espressione che aveva Law in quel momento era peggio dell’astio che le aveva riservato qualche ora prima. Law non sarebbe dovuto stare così, men che meno per causa sua. «Voglio parlare con te»
Koala trattenne il fiato e ricacciò giù le lacrime. Forse avrebbe dovuto accontentarlo, dargli la risposta che aveva lasciato in sospeso, tanto prima o poi sarebbe venuta fuori no? Lo avrebbe deluso definitivamente ma aveva l’impressione che Law se lo aspettasse, forse era anche preparato psicologicamente.
Ma lei no, non lo era.
«Mi sembra di aver già detto abbastanza prima» asserì invece a mento alto, ostentando un caparbio orgoglio, che non provava ma quanto era utile per dissimulare. «E mi dispiace se hai fatto tutta questa strada per niente, davvero. Ti posso almeno preparare un caffè?» si liberò dalla sua presa per sgusciare in salotto, aprendo tutti i cassetti, che per fortuna erano pochi, prima di azzeccare quello dove riponeva il vassoio.
«Non ho detto nulla io»
Koala chiuse un momento gli occhi. Non avrebbe demorso e non stava neppure mettendo in chiaro che la colpa non era sua. Semplicemente quella situazione, la sua stessa reazione, agli occhi di Law era illogica e le cose illogiche lo ossessionavano finché non ci trovava un senso o scopriva che un senso non c’era e allora, solo allora, le lasciava perdere.
«No, infatti, come detto, sono io ad aver parlato troppo, per cui…» cercò di troncare di nuovo il discorso e di controllare come poteva la voce, mentre appoggiava il vassoio sul tavolo.
«Te ne sei andata senza neanche rispondere, a dire il vero»
«Perché, hai davvero bisogno che ti risponda?» lo sfidò in un sibilo, conscia di non potersela prendere ma faceva già abbastanza male senza che lui la obbligasse anche ad ammettere le proprie colpe. «Non era una domanda retorica? Okay, allora visto che ci tieni tanto a sentirlo da me, ti accontento. Sì, l’ho detto anche per me ma Laine era un leva più sicura per convincerti e me ne sono approfittata. E ora immagino che tu non abbia voglia di continuare a respirare la mia stessa aria, quindi suppongo di poter rimettere a posto il vassoio» si girò verso il mobile della sala, il vassoio abbandonato sul tavolo, il petto che urlava di singhiozzi imprigionati, e sapeva che appena il tonfo della porta avesse risuonato sordo nell’ingresso sarebbe crollata.
Aveva rovinato tutto, con quella stupida lite. Tutto.
«Approfittata? Cosa vuol dire che te ne sei approfittata?»
Koala riaprì gli occhi. Non era possibile, non aveva senso.
Dov’era il tonfo della porta, cos’erano quei passi? Perché, anziché andarsene, camminava verso di lei? Perché insisteva? Perché non la lasciava in pace?       
«Kay, non era un’accusa. Era una domanda seria»
«Come?» si voltò incredula a guardarlo.
«Volevo sapere se ti sto dedicando troppo poco tempo e assicurarmi che tu non stessi mettendo in secondo piano i tuoi bisogni per Laine. So che è la tua priorità, come lo è per me, ma è legittimo che tu possa volere attenzione anche per te stessa. È normale, in una relazione, non c’è niente di male»
Koala sbatté le palpebre, interdetta da tutto quello che le stava montando dentro. Non riusciva a respirare, figuriamoci parlare, ma in fondo non le importava parlare, volevo solo starlo a sentire. Ancora e di più.
«E poi non mi starebbe bene se mi facessi prendere la mano e scaricassi tutto sulle tue spalle ma so che non me lo diresti per non darmi altri pensieri»
«Laine non è un peso» protestò con veemenza, ritrovando l’uso della parola pur di controbattere quell’insinuazione.
«Lo so, è mia figlia, nessuno lo sa meglio di me. Ma ciò non toglie che la stiamo crescendo insieme e così deve continuare ad essere»   
Forse aveva sentito male, forse aveva preso un colpo in testa perché le sembrava proprio strano, conoscendolo, che Law dicesse con così tanta tranquillità qualcosa di simile portata, capace di ribaltare e accendere il suo mondo.  Eppure era piuttosto certa di aver sentito bene, Law aveva proprio detto…
«Insieme?»
Law rimase immobile e impassibile alcuni infiniti istanti, fingendo totale controllo della situazione mentre dentro di lui era in atto una lotta intestina. Forse era anche ora di mettere le cose in chiaro, non poteva continuare a vivere di rendita solo perché lei riusciva sempre a capirlo, non senza darle una certezza. «Kay, io ti amo. E ti voglio nella nostra vita»
Koala piangeva raramente di sollievo. E in effetti definirlo pianto sarebbe stato un po’ improprio. Era più come l’eruzione di un vulcano, il cumulo di emozione, ben lontano da del semplice sollievo, che si concentrò nel suo petto prima di esplodere in mille lapilli che la riscaldarono dentro e rotolarono sulle sue guance e schioccarono tra le sue labbra.
Faceva così male.
Faceva così bene.
«Io non volevo… me n-ne sono andata perché ero dispiaciuta, n-non per rabbia o che so io… i-io…»
Farsi vedere così da lui era l’ultima cosa voleva eppure era così bello potergli mostrare tutto, anche il suo lato peggiore, le sue lacrime, la sua vulnerabilità. Era così bello potersi affidare completamente all’uomo che amava. 
«Mi dispiace tanto»
«Vieni qui»
Il vassoio si schiantò con fragore al suolo ma, anche fosse andato in mille pezzi, a Koala non sarebbe importato, non quando poteva finalmente tornare dove si sentiva veramente a casa.
Le mani di Law sembravano avere una memoria tutta loro, sapevano dove appoggiarsi e dove stringere per farla sentire avvolta e al sicuro mentre lei singhiozzava ancora un po’, solo un altro po’, per liberarsi per bene di tutta la paura e l’angoscia inutile di quelle ore, nascosta contro di lui. Si lasciò portare sul divano e Law continuò a cullarla anche dopo che si fu calmata, il respiro di nuovo regolare, qualche residuo di singhiozzo in gola, il corpo rilassato contro di lui. La baciò piano tra i capelli, anche lui ben più sollevato di quanto avrebbe mai ammesso. Era stato tutto così surreale che neanche aveva capito cosa fosse successo. Di certo vederla così, comunque, era stato un colpo al cuore e non credeva proprio di voler replicare mai più.
«Dov’è Laine?»
Nessuno dei due sapeva quanto tempo fosse passato quando Koala ruppe il silenzio, la voce sempre flebile ma non più per il malessere ed era già una buona cosa.
«A casa con Pen. E Bepo, ovviamente» rispose parlando contro la sua tempia.
Koala fece un pallido tentativo di mettersi più dritta, consapevole che tanto di sgusciare via da quella presa tentacolare non aveva mezza possibilità, comunque. «Dobbiamo andare da l…» provò ad argomentare, solo per venire frenata da un bacio tra i più passionali e coinvolti che avesse mai ricevuto.
Un fremito la scosse da capo a piedi quando vide l’urgenza negli occhi di Law, la stessa che in fin dei conti provava anche lei.
«Tra poco» mormorò senza allontanarsi poi molto, prima di ricominciare a baciarla.
Forse aveva le guance a chiazze e sapeva di sale, forse gli occhi le si erano già gonfiati e forse i suoi capelli erano un disastro e forse aveva combinato un po’ un casino per niente e forse avrebbe dovuto dirgli che anche lei lo amava.
Ma c’era tempo, “tra poco” ci sarebbe stato tempo per tutto.
Prima però aveva bisogno di Law e Law aveva bisogno di lei.
E non c’erano forse o ma, andava bene così.
Andava tutto bene.
 
  
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