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Autore: edoardo811    21/02/2020    5 recensioni
La pace ha continuato a regnare al Campo Mezzosangue, gli Dei si sono goduti molti anni di tranquillità. Ma la pace non è eterna.
La regina degli dei Amaterasu intende dichiarare guerra agli Olimpi, mentre un antichissimo mostro ritornato in auge si muove nell'ombra, alla ricerca di Ama no Murakumo, la leggendaria Spada del Paradiso.
EDWARD ha trascorso l'intera vita fuggendo, tenuto dalla madre il più lontano possibile dal Campo Mezzosangue, per ragioni che lui non è in grado di spiegarsi, perseguitato da un passato oscuro da cui non può più evadere.
Non è facile essere figli di Ermes. Soprattutto, non è facile esserlo se non si è nemmeno come i propri fratelli. Per questo motivo THOMAS non si è mai sentito davvero accettato dagli altri semidei, ma vuole cambiare le cose.
STEPHANIE non è una semplicissima figlia di Demetra: un enorme potere scorre nelle sue vene, un potere di cui lei per prima ha paura. Purtroppo, sa anche che non potrà sopprimerlo per sempre.
Con la guerra alle porte e forze ignote che tramano alle spalle di tutti, la situazione sembra farsi sempre più tragica.
Riuscirà la nuova generazione di semidei a sventare la minaccia?
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Gli Dèi, Nuova generazione di Semidei, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le insegne imperiali del Giappone'
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32

Nessuno viene abbandonato

 

 

Tommy aveva un brutto presentimento.

Era da quando avevano lasciato l’accampamento delle Cacciatrici che non riusciva a scrollarsi di dosso quell’angusta sensazione. Temeva che non sarebbero arrivati a San Francisco in tempo, che non sarebbero riusciti a raggiungere Edward e poi, la parte più nascosta di lui che cercava di silenziare, temeva che Konnor e Naito avessero ragione, che Edward davvero li avrebbe traditi. Era convinto che non fosse così, che Edward avesse un piano, ma rimaneva sempre quel "e se" a ronzargli nella testa. E se invece si fosse sbagliato? Se invece Edward volesse davvero consegnare la spada ad Orochi? 

La profezia l’aveva detto che Edward avrebbe restituito la spada. Però non aveva specificato a chi.

La tensione lo stava consumando dall’interno. E non aveva fatto altro che peggiorare mentre, durante la strada, aveva parlato a Stephanie e alle cacciatrici di ciò che Ermes aveva detto a lui e Lisa, riguardo i giganti evasi dal Tartaro. Forze oscure al di fuori di Orochi e degli yōkai si stavano muovendo alle loro spalle, ma purtroppo non potevano fare nulla fino a quando la Spada del Paradiso non sarebbe stata restituita. 

Era una situazione abbastanza schifosa, ma non tutto era perduto: avevano ancora un’ultima possibilità per sistemare tutto.

Per fortuna erano usciti dal bosco in poche ore ed avevano raggiunto la strada principale, dove avevano rimediato un passaggio su un pullman. E con rimediato intendeva dire che Talia e le altre cacciatrici in grado di farlo avevano manipolato la Foschia per far scendere tutti i passeggeri e convincere l’autista a portarli direttamente a San Francisco. E pensare che lui si era sentito in colpa solo per aver preso in prestito delle macchine…

Così erano in viaggio già da diverso tempo, non sapeva bene quanto, però Sacramento era molto vicina ormai. Un pesante silenzio era sceso nel mezzo, frammentato solo dal borbottio di alcune cacciatrici che discutevano tra loro. Seduta accanto a lui, Lisa aveva tenuto lo sguardo incollato sul finestrino, mentre Konnor e Stephanie si trovavano un paio di sedili più indietro. Non sapeva bene cosa pensare di loro, di ciò che li aveva visti fare per l’esattezza. 

In quei giorni aveva visto troppe cose che non lo riguardavano, tra Afrodite che sbandierava le faccende di cuore di Steph di fronte a lui, la cotta segreta di Nat, il crollo emotivo di Lisa e poi i suoi amici abbracciati. Forse avevano cercato di confortarsi a vicenda per la tensione, non poteva certo biasimarli per questo, e non si sarebbe sorpreso scoprendo che tutta quella faccenda li aveva aiutati ad avvicinarsi. L’attrazione tra loro c’era sempre stata, magari avevano solo avuto bisogno di una leggera spintarella… certo, sì, la “leggera spintarella” in questione era stato un viaggio quasi mortale, ma se era stato d’aiuto, allora buon per loro. 

E poi era successo lo stesso a lui e Lisa. Se non avessero rischiato di farsi ammazzare da un gigante e da Naito, forse non si sarebbero mai chiariti e non avrebbero mai stretto quella specie di pseudo-amicizia. 

Si voltò verso di lei. Non aveva più parlato molto da quando avevano ripreso il viaggio e non ci voleva molto a capire il perché. Aveva immaginato che Lisa non se la fosse passata bene, ma scoprire che sua madre non fosse più tra loro era stato davvero un duro colpo. E se lo era per lui, non poteva nemmeno immaginare cosa significasse per lei. 

«Tutto ok?» le domandò rompendo il silenzio, un po’ perché davvero aveva bisogno di fare un po’ di conversazione, un po’ perché voleva davvero accertarsi che stesse bene. Anche se, conoscendola, era certo che se avesse avuto qualche problema non lo avrebbe ammesso per apparire forte. 

Lisa annuì, distogliendo lo sguardo dal finestrino. «Sono solo un po’ stanca. Ieri è stata… una giornata lunga. E oggi si preannuncia pure peggio.»

«Andrà tutto bene, vedrai. Questa sera saremo già sul viaggio di ritorno per casa.»

La ragazza lo soppesò in silenzio con lo sguardo, pizzicandosi un labbro, per poi annuire. Vi fu un altro attimo di silenzio, durante il quale la figlia di Bacco abbassò lo sguardo. Tommy pensò che forse avrebbe dovuto lasciarla tranquilla. «Beh, allora…» 

«Ascolta…»

I due compagni si guardarono tra di loro, imbarazzati per aver parlato l’uno sopra l’altra. 

«Sì?»

«Dimmi» dissero di nuovo all’unisono. Questa volta Lisa piegò la testa, osservandolo corrucciata.

A Thomas scappò un sorrisetto, che venne presto imitato da lei. Sollevò le mani per frenarla dal dire qualsiasi altra cosa. «Parla prima tu.» 

Lisa si raddrizzò, stringendosi nelle spalle. «Ecco… volevo solo…» Si fermò per esaminarlo di nuovo con il suo sguardo. Sembrava imbarazzata. Doveva avere davvero a cuore qualunque cosa volesse dirgli. «Insomma, volevo solo ringraziarti ancora per… per ieri sera. Grazie per essermi rimasto vicino. Non… non eri tenuto a farlo, però… però l’hai fatto. Te ne sono grata. Non… non sai cosa significhi per me. Davvero.»

Si scostò una ciocca di ricciolini dietro l’orecchio, imbarazzata, però tenne comunque gli occhi saldi sui suoi. Tommy schiuse le labbra, sorpreso dal fatto che anche lei stesse ancora pensando a quella conversazione. E soprattutto, sorpreso dal fatto che davvero lo stesse ringraziando. «Non devi ringraziarmi. Era il minimo che potessi fare. Siamo… una squadra. Dobbiamo supportarci a vicenda.»

«Una squadra…» ripeté lei, con voce un po’ tremolante. 

A Tommy sembrò che l’aria si fosse fatta molto più tesa tutto a un tratto. Lisa annuì un’altra volta e un piccolo sorriso le increspò le labbra, anche se la sua espressione triste e nostalgica non sembrò cambiare. «Sì… hai ragione. In ogni caso, grazie.»

«Figurati» rispose lui, sorridendo a sua volta. 

Vi fu un altro attimo di silenzio, durante il quale Lisa sospirò di nuovo, distogliendo lo sguardo da lui. Sprofondò contro il sedile e abbassò la testa. «Mi… mi manca così tanto…»

Tommy non ci mise molto per capire che stava parlando di sua madre. La cosa però lo sorprese. Lisa non aveva mai mostrato il suo lato più fragile durante quel viaggio, solo dopo essersi aperta con lui aveva iniziato a tirare fuori le sue vere emozioni. Era un segno che lei davvero si fidava di lui e Thomas, nonostante si sentisse onorato di ciò, ne era anche un po’ spaventato. Aveva paura di dire o fare la cosa sbagliata e di allontanarla di nuovo, e non voleva che ciò accadesse.  

«Lei… lei com’era?» chiese, certo che fosse stata davvero una brava donna.

Lisa sorrise di nuovo. «Era fantastica. La madre migliore che potessi chiedere. Mi portava a prendere il gelato tutte le volte che glielo chiedevo, in estate, in inverno, a gennaio o ad agosto, non aveva importanza. Era… buona, divertente, gentile, eravamo… eravamo molto legate. Ha… ha fatto così tanto per me. Ad esempio una volta…»

Cominciò a snocciolare storie su di lei a velocità stratosferica, come se tutti quei ricordi fossero sempre rimasti lì, alla porta della sua mente pronti a uscire da un momento all’altro. Thomas non credeva che Lisa gli avrebbe davvero raccontato tutta quella storia, ma fu davvero felice di vederla così entusiasta per una volta. Gli raccontò una semplicissima storia, di una semplicissima donna mortale di nome Sara Castella, con una vita normale, un lavoro normale, anche lei di umili origini, e la fece sembrare la cosa più incredibile che fosse mai esistita. 

Bacco era solito ad andare in Italia, un po' perché era lì che gli dei un tempo abitavano, un po' perché gli piaceva assaporare anche i vini europei di tanto in tanto. In Italia, poi, in alcune zone bere vino era una vera e propria cultura. Era stato in uno di questi paesi tra le colline che Bacco aveva incontrato Sara, più precisamente a una grossa fiera che veniva organizzata ogni anno, dove buon vino e buon cibo scorrevano a fiumi.

Qui, anche se non con pochi sforzi, il dio era riuscito a far breccia nel cuore della donna. Quando Lisa aveva compiuto dieci anni, Sara le aveva raccontato che era una semidea, cosa che non succedeva sovente. Di solito i semidei scoprivano le loro vere origini solamente poco prima di andare al Campo Mezzosangue o Giove, ma era anche vero che Lisa era un caso particolare, visto che era nata al di fuori del territorio degli dei. E anche se sapevano che era una semidea, la cosa non aveva mai in nessun modo ostacolato le loro vite. Sapevano bene che prima o poi avrebbero dovuto lasciare l’Italia, Lisa doveva andare al Campo Giove, sapevano che presto o tardi avrebbero dovuto abbandonare le loro vite, ma avevano comunque vissuto fingendo che quel giorno non sarebbe mai arrivato. 

E in un certo senso, per Sara quel giorno non era mai davvero arrivato. Quando Lisa arrivò a quella parte della storia si fermò di scatto. Il treno dei ricordi l’aveva portata in un luogo idilliaco dal quale aveva sperato di non fare più ritorno, ma purtroppo non era così che funzionava. La scintilla che si era accesa nei suoi occhi si spense all’improvviso, mentre abbassava di nuovo la testa.  

«È bastato un giorno, un solo giorno per cambiare tutto» bisbigliò, mentre il suo sguardo scivolava di nuovo verso il finestrino, il paesaggio che scorreva accanto a loro, i boschi, le praterie e i campi della Valle Centrale. «Eravamo felici, tutto andava bene. E poi… poi lei si è ammalata. È successo un anno prima che mi trasferissi, quando avevo undici anni. Ha… ha lottato così tanto, per vincere quella battaglia.» 

Le scappò un gemito. «Non ha mai perso la speranza. Aveva paura, ma si mostrava forte, per me. Anche se le cadevano i capelli, anche se la sua pelle si raggrinziva, anche se diventava sempre più debole, lei… lei continuava a sorridermi, a dire che avremmo superato anche quello e che in California avremmo di nuovo rincominciato da capo. Anche quando ormai era in ospedale ed era chiaro che… che non ce l’avrebbe fatta… ha continuato a sorridere. Io piangevo, ma lei sorrideva. Poi… lei ha chiuso gli occhi. Io ho iniziato a chiamarla. Ho iniziato ad urlare. Mi sono arrampicata sul suo letto, l’ho presa per le spalle, e degli infermieri mi hanno portata via. E dopo… dopo…» 

Strinse le palpebre con forza, da cui scivolò una lacrima. «Non… non lo so. Ero triste, ero arrabbiata, ce l’avevo con tutto e tutti. Non… non riuscivo ad accettare che… che lei avesse avuto un destino così crudele. Poi… poi al funerale… ho incontrato Bacco.» Affondò le mani nelle braccia fino far sbiancare le nocche. «Non avevo idea di che aspetto avesse, non l’avevo mai visto, e lui non si era mai fatto vivo, nemmeno durante l’intero anno in cui mia madre è stata malata. Quando si è presentato a me… quando mi ha detto che era lui mio padre e che era lì per portarmi al Campo Giove… sono esplosa. Non ricordo nemmeno che cosa gli ho detto. So solo che non mi pento di niente. Un mese dopo, mi sono trasferita in America. Questo… questo è tutto.»

Buttò fuori una grossa boccata d’aria. Sembrava a un passo dal crollare. Raccontare quella storia le aveva costato uno sforzo enorme. Tommy non aveva idea di come comportarsi, una volta udito quelle parole. Sapere quello che aveva trascorso, in quel modo, faceva attorcigliare il suo stomaco. La storia di una ragazzina di dodici anni che osservava la propria madre spegnersi in ospedale avrebbe fatto rabbrividire chiunque. Lui almeno a dodici anni era già al Campo Mezzosangue, con la sua nuova famiglia. Lisa, invece, nello stesso periodo aveva perso sua madre, poi si era ritrovata catapultata in un mondo a lei totalmente nuovo, il Campo Giove. E lì era successo tutto il resto. 

La scoperta che aveva fatto il giorno prima, riguardo i figli di Mercurio, ora aveva un sapore molto più amaro di quanto già non lo avesse. Inoltre ora sapeva da dove arrivava il risentimento di Lisa nei confronti del padre. Non si era mai fatto vedere. Secondo lei, lui le aveva abbandonate e basta, ed era impossibile non darle torto. 

«Mi… mi dispiace…» mormorò, incapace di trovare altre parole più intelligenti da dire. 

Lisa scosse la testa. «Non devi. Tu non… non c’entri niente.»

Tommy si mordicchiò un labbro. Incerto, avvicinò un braccio a lei, per stringerla un po’ come aveva fatto la sera prima. Non appena lo vide avvicinarsi a lei, però, Lisa si voltò di scatto verso di lui, scoccandogli un’occhiata sorpresa. Tommy si arrestò, facendo un mugugno di stupore misto ad imbarazzo.  

«Che… che fai?» domandò Lisa con titubanza. 

«E-Ehm…»

I due ora si osservarono con aria imbarazzata. Thomas temette di aver appena commesso uno degli errori fatidici che tanto lo preoccupavano, fino a quando Lisa riuscì a sorridere di nuovo. «Grazie per il pensiero, ma non mi serve un altro abbraccio.»

«S-Sì, certo! Scusami…» borbottò Tommy, certo di essere diventato più rosso dei propri capelli. Lisa ridacchiò, un suono che riuscì ad infondergli un po’ di sollievo. 

«Tranquillo. Grazie… di nuovo… per avermi ascoltata.» Lisa tornò a sedersi in posizione composta. Sembrava provata dal racconto, ma cercò comunque di cambiare argomento: «Sono davvero sorpresa di essere riuscita a parlare così tanto senza incepparmi, a dire il vero. A volte mi capita sul serio di… ahm…» Si interruppe, corrucciando la fronte, concentrandosi all’improvviso. «V-Vabbè, ci siamo capiti…» 

Ora toccò a Tommy sorridere divertito. «Ehi, guarda che parli davvero bene. Anche la tua pronuncia è davvero buona, per essere un’italiana che parla in inglese.»

«E una semidea romana che capisce il latino ma che vive in un luogo dove viene usato solamente il greco antico» aggiunse lei, con una smorfia. «Te lo giuro, certe volte mi sembra di avere il cervello che va in pappa…»

A Tommy scappò una piccola risata, forse un po’ troppo forte a giudicare dalle teste che si voltarono verso di loro, ma lui decise di ignorarle. In effetti Lisa aveva ragione, la sua mente era portata per capire il latino, non il greco. Inoltre aveva imparato una lingua totalmente nuova, nonostante la dislessia e il deficit dell’attenzione presenti in tutti i semidei. Sicuramente gli anni trascorsi in America l’avevano aiutata ad affinare meglio la lingua, ma comunque il fatto che avesse imparato tutto quanto dal nulla nonostante gli ostacoli lasciava intendere quanto davvero intelligente fosse. Erano piccole cose come quelle a renderla davvero speciale.

Però c’era ancora una cosa che voleva sapere. Una domanda che voleva farle, che non aveva smesso di ronzargli nella testa da quando aveva scoperto la storia di sua madre. 

«Perché… perché hai detto ad Edward quella cosa, a La Plata?» 

Lisa si voltò di scatto verso di lui. Un moto di vergogna sembrò assalirla. «Perché… perché sono un’idiota, ecco perché…» mormorò, scuotendo la testa. «Quello era il tipo di cosa che sentivo tutti i giorni al Campo Giove e… e ho finito anch’io con il rigurgitargliela addosso.»

«Non… non è stata colpa tua…» disse Tommy, strappandole una risata nervosa. 

«Invece sì, Tommy. È stata solo colpa mia. Non importa se gli altri si sono comportati così con me, non è una giustificazione. Ho scelto io di dirgli quella… cosa, non loro. Io più di chiunque altro avrei dovuto capire come Edward si sentiva, e mi sono comunque comportata da stronza, così come ho anche fatto con te. Non ho scuse.» Un altro sorriso amaro le decorò il volto. «Sicuramente mi odia, e non lo biasimo. Anch’io mi odierei.»

«Non ti odia, invece» ribatté Thomas, fermo. «L’hai fatto arrabbiare, è vero, ma credimi, è molto più semplice non farlo arrabbiare. Deve solo conoscerti meglio. Secondo me potreste diventare amici.»

«Tu dici?»

«Certo.» Thomas annuì energico. «Sei divertente, non hai paura di dire quello che pensi e con te si può parlare di qualsiasi cosa. È il tipo di personalità che lui apprezza di più. Anzi…» Si girò con verso di lei, posando una mano sopra il sedile. «… quando questa storia sarà finita, gli parlerò e gli dirò di fare pace con te.»

Lisa schiuse le labbra. «Lo faresti davvero? Solo… solo per me?»

«Perché no? Siete entrambi miei amici, dopotutto. È giusto che anche voi due lo diventiate.»

La figlia di Bacco fece un altro tenue sorriso, posando una mano su quella di Tommy. Questa volta, quel piccolo contatto sembrò avere un significato molto diverso da quelli che avevano avuto fino a quel momento. Sembrava molto più personale, più… intimo. I loro sguardi si incrociarono e il ragazzo sentì il petto sussultare. Lisa distese il sorriso. «Un giorno mi sdebiterò per tutto quello che hai fatto per me. Te lo prometto.» 

Thomas riuscì a sorridere a sua volta, girando la mano ed intrecciando le dita con quelle di lei. «Non serve che tu lo faccia, davve...»

Lei lo interruppe, avvicinandosi e stampandogli un bacio sulla guancia. 

«Così va bene?» gli domandò, con un alone color porpora sopra le guance. 

«A-Ahm…» mugugnò Thomas, con la guancia ancora calda, dimentico di come pronunciare qualsiasi parola di senso compiuto. 

Lisa ridacchiò. «Sì, direi che va bene.» Si allontanò di nuovo da lui, tornando a guardare fuori dal finestrino, tuttavia senza lasciargli la mano. 

Malgrado fosse stato solo un bacio sulla guancia, Tommy si ritrovò a sorridere come un idiota. Un po’ patetico, forse, essere così entusiasti per qualcosa di così semplice, ma se considerava il tipo di persona che gliel’aveva dato e se considerava in che razza di rapporto fossero stati fino ad un giorno prima, allora quel semplicissimo gesto si trasformava in qualcosa di molto, molto più grande per lui. 

Strinse le dita di Lisa tra le sue, con il cuore che batteva con forza nel petto, poi tornò a osservare il nulla di fronte a sé. Non dissero più una parola durante il resto del viaggio. Le loro mani strette furono l’unica cosa che accompagnò i due semidei nel restante tragitto verso San Francisco.

 

***

 

Thomas non era mai stato a San Francisco, ma immaginava di sapere cosa aspettarsi da quella città. Le sue aspettative, tuttavia, furono scaraventate fuori dal finestrino non appena arrivarono. Nessuna fotografia avrebbe mai potuto rendere giustizia alla metropoli vista dal vivo.

Dagli alti palazzi, alle colline, al Golden Gate, al mare azzurro, gli edifici colorati e i monumenti, San Francisco pareva un’opera d’arte fatta a città. In qualche maniera, Tommy trovava ironico pensare quella cosa mentre erano diretti proprio ad un museo d’arte. 

Mentre procedevano nella città, si accorse della postura di Lisa, diventata rigida all’improvviso. Il ritorno a San Francisco per lei aveva tutto un altro significato. Promise a sé stesso che se mai avesse incrociato i semidei che l’avevano maltrattata, allora avrebbe fatto cose. Non sapeva nemmeno bene che cosa di preciso, ma qualcosa lo avrebbe fatto. Possibilmente cercando di evitare vittime.

Si erano lasciati le mani diverso tempo prima, quando Cacciatrice Kowalski – sì, quello era il suo nome, ma Tommy si era riguardato dal fare commenti a proposito – li aveva folgorati con un’occhiataccia. Grazie agli dei non avevano notato quel bacetto, altrimenti Ermes soltanto sapeva cosa avrebbero potuto fare quelle psicopatiche. 

Talia passò nel corridoio proprio in quel momento, radunando le truppe e ordinando a tutti di prepararsi. Scesero alla prima fermata che trovarono e si allontanarono alla svelta, prima che la Foschia terminasse il proprio effetto e l’autista si rendesse conto di essere stato tenuto in ostaggio. 

Un gruppo nutrito come il loro non poté non attirare di tanto in tanto occhiate incuriosite dei passanti, ma per il resto passarono indisturbati. Kensuke, Nagata e Sato li seguirono con la loro grande velocità, accompagnati dalle classiche correnti d’aria. Li aveva persi di vista durante il viaggio in pullman, ma sapeva che i suoi nuovi amici erano ancora assieme a loro. Di nuovo, la loro presenza lo sollevò. Sarebbero stati di grande aiuto nella battaglia che stava per arrivare.

Mentre proseguivano, il figlio di Ermes si guardò attorno. Trovò davvero insolito notare creature come ciclopi ed arpie che girovagavano liberamente per la città, tuttavia, a giudicare da come non badarono a loro, immaginò che fossero dalla parte dei “buoni”. 

O che fossero già sazi. 

Il suo sguardo scivolò sul cielo limpido sopra le loro teste, che però si scuriva man mano che si avvicinava ai monti al di là della città. La prigione di Atlante si trovava lassù, sopra il monte Tam. Pensò ai giganti che erano evasi dal Tartaro, e non poté fare altro che domandarsi se qualcosa del genere sarebbe potuta succedere anche con Atlante. O addirittura con Crono. Rabbrividì al solo pensiero. Avevano già troppo di cui preoccuparsi, l’idea di una seconda ascesa dei Titani non lo entusiasmava per niente. 

Le cacciatrici si fermarono per riorganizzarsi e i quattro dell’impresa fecero lo stesso. La tensione era palpabile sui volti di tutti loro, ma non si sarebbero tirati mai indietro. Non lo avevano fatto quando ancora si trovavano a più di mille miglia di distanza da lì, non lo avrebbero mai fatto proprio a San Francisco. 

Non era stato un viaggio così lungo, il loro, eppure in qualche modo aveva cambiato tutti loro. Sembravano tutti molto più vicini. Ma mancava ancora un pezzo a quel puzzle, e quel pezzo era Edward. Sarebbero tornati al Campo Mezzosangue tutti insieme, fosse stata l’ultima cosa che avrebbero fatto. Nessuno veniva abbandonato.

«Siete pronti?» domandò Konnor, facendo scorrere lo sguardo su tutti loro. Pareva quasi un generale che radunava i suoi soldati. Nonostante ormai avesse capito che poteva fidarsi di loro, il suo lato da figlio del dio della guerra continuava ad avere la meglio su di lui. 

«Sì» affermò Stephanie con sicurezza, mentre Thomas e Lisa annuivano. 

Anche Konnor fece un cenno di assenso. «E allora chiudiamo questa faccenda.»

«Da questa parte» annunciò Talia, mentre stringeva tra le mani una cartina della città prelevata da chissà dove. «Sbrighiamoci!»

Proseguirono il viaggio mentre il sole picchiava con insistenza su di loro. Tommy non aveva idea di che ora fosse, probabilmente le due del pomeriggio. Artemide aveva detto che Edward aveva un vantaggio su di loro, ma anche che avrebbero potuto raggiungerlo se si fossero mossi in fretta. Si augurò che davvero fosse così.

«Thomas» lo chiamò Konnor dopo che percorsero un altro tratto di strada, affiancandolo. 

Non si erano più scambiati una parola a quattr’occhi da quando avevano lasciato l’accampamento delle cacciatrici. Konnor aveva accusato Edward, mentre Thomas lo aveva difeso, ovviamente la cosa non era piaciuta a nessuno dei due. Tuttavia, giusto un attimo prima di quella conversazione, Thomas aveva detto al figlio di Ares che erano tra amici, e ancora lo pensava. Non era molto sicuro di quello che passava nella testa di Konnor, però.    

«Ascolta» cominciò quello, mentre sembrava ponderare su cosa dire. «So che Edward è tuo amico, che ti fidi di lui, e che non gli avresti mai voltato le spalle. Non volevo davvero accusarlo, prima. Se credi che lo abbia fatto a cuor leggero, allora ti sbagli. Spero davvero che tu abbia ragione, su di lui. Devi credermi. È solo che… la posta in gioco è troppo alta. Dobbiamo considerare ogni possibilità, anche quelle che non ci piacciono.»

«Lo so.» Thomas abbassò lo sguardo. «Spero anch’io di avere ragione.»

Sentì Konnor battere il pugno contro la sua spalla, facendolo raddrizzare. Gli rivolse un cenno del capo. «I miei fratelli si sbagliavano sul tuo conto, Thomas. Hai fatto cose durante questo viaggio che sono sicuro nessuno di loro avrebbe mai fatto. Comunque andrà a finire questa storia, sarà un onore per me combattere al tuo fianco in quest’ultima battaglia.»

Tommy schiuse le labbra, per poi abbozzare un sorriso. Malgrado trovasse buffo il modo di parlare di Konnor, come se fosse un soldato veterano di mille guerre, apprezzò ugualmente le sue parole. «L’onore è tutto mio, Konnor.» 

I ragazzi batterono di nuovo il pugno. Sapere che erano ancora sulla stessa pagina rincuorò Tommy. Non credeva che una volta tornati al Campo Mezzosangue sarebbero stati grandi amiconi, ma rispettava Konnor. Forse loro due sarebbero riusciti a far riappacificare le loro case. Sarebbe stato bello.

Infine, una volta girato l’ennesimo angolo, si ritrovarono di fronte un enorme parco, oltre il quale un edificio di marmo bianco si ergeva. Aveva sentito la descrizione che Steph aveva dato di quel posto, dopo che l’aveva sognato, ma anche senza quelle informazioni avrebbe capito che quello aveva decisamente l’aria di essere un edificio importante. E a giudicare dalle bandiere giapponesi che sventolavano sul tetto, era piuttosto palese che fosse la loro destinazione. 

Di Edward, però, non c’era nessuna traccia. Poteva essere una cosa tanto buona quanto cattiva.

Si avvicinarono al parco, ma non appena iniziarono ad attraversarlo Tommy notò tre figure accovacciate dietro dei cespugli. E anche i suoi compagni sembrarono notarle.

Erano tre ragazzi, uno di loro stringeva in mano in binocolo e osservava il museo mentre scambiava spinte e schiaffi con gli altri due. Sembrava stessero discutendo piuttosto animatamente. La cosa principale di loro, però, era l’abbigliamento: avevano tutti indosso delle magliette viola. 

«Romani!» esclamò una delle cacciatrici, Thomas non sapeva quale.

«Oh, grandioso…» borbottò Lisa.

I tre si voltarono verso di loro, quasi gridando per la sorpresa. Quando li vide meglio, Tommy realizzò che uno di loro non era nemmeno un ragazzo, ma un fauno. 

«Cacciatrici!» esclamò proprio quello, balzando sugli zoccoli. «E greci!» aggiunse, notando Thomas e i suoi compagni. 

Thomas li osservò incuriosito, anche se forse deluso era un termine più appropriato. Quei tre non avevano esattamente l’aspetto del gruppo di coraggiosi eroi romani che si sarebbe aspettato di incontrare. Certo, lui era l’ultimo che poteva giudicare un libro dalla copertina, nemmeno lui aveva l’aspetto di chissà che grande eroe, però quei tre lo facevano sembrare esattamente quello.

Quello che stringeva il binocolo era un ragazzino gracile con i capelli castani e corti, un piercing all’orecchio, il naso piccolo e le ciglia folte. Quello che stava litigando con lui per il possesso dell’oggetto era un altro ragazzino con una matassa di capelli neri spettinati, il fauno invece aveva dei dread che spuntavano dal berretto da baseball calato sulla testa e degli spessi occhiali da vista. 

«Siete… siete qui per il museo, giusto?» disse quello con l’orecchino. «Io sono David, molto… ehm… piacere.»

«Io sono Travis!» esclamò quello con i capelli neri, con voce molto più entusiasta del suo compare, per poi strappargli il binocolo dalle mani. «Questo lo prendo io, grazie!» Si voltò di nuovo verso il museo, portandosi l’oggetto agli occhi. «Il super spionaggio continua!»

«Sta giù, o ti vedranno!» protestò David, rimettendosi a litigare con il compare.

«I-Io sono Gus…» concluse il fauno, mordicchiandosi un’unghia agitato, forse mangiandosela perfino. «E-Ehm… ora che siete arrivati noi possiamo andarcene, giusto…?»

Cacciatrici e greci si scambiarono diversi sguardi tra loro, perplessi. Un unico pensiero sembrò attraversare le menti di tutti loro. 

«Ci… ci siete solo voi tre?» domandò Talia, avvicinandosi a loro assieme a Reyna e Konnor.

«Ehm… sì, ecco…» cominciò David stringendosi nelle spalle e distogliendo lo sguardo da tutti loro. Osservandolo, a giudicare da come cercasse di non guardare nessuno in faccia e da come si stesse tormentando le mani, Thomas riconobbe all’istante i sintomi di una brutta malattia chiamata “timidezza”. Capitava spesso anche lui di venirne contagiato. 

«So che… non siamo esattamente ciò che vi aspettavate, ma… ci sono stati un po’ di problemi. Molti membri del Senato non volevano che anche i romani venissero coinvolti in questa faccenda e quando l'augure è riuscito a convincerli nessuno si è offerto volontario, quindi…»

«Quindi hanno scaricato tutto a voi tre» concluse Lisa, incrociando le braccia. «Siete della Quinta Coorte, giusto?»

David trasalì, osservandola sorpreso. Non sembrava conoscerla, così come lei non sembrava conoscere loro. Magari erano stati assieme nella Quinta Coorte senza nemmeno notarsi. «S-Sì, hai indovinato... a parte Gus, lui è un fauno…»

«Credo che se ne siano già accorti, amico» lo rimbeccò Travis, senza staccare gli occhi dal binocolo. Sembrava essere l’unico a sentirsi proprio agio in quella bizzarra situazione.

«Ovviamente» borbottò ancora Lisa. «Il Senato pensa alla Quinta Coorte solo quando ha bisogno di capri espiatori.»

Thomas sapeva bene da dove provenisse tutto il veleno che Lisa stava rigettando in quel momento, ma ancora una volta sentire certe parole lo riempì di tristezza. Osservò Reyna, consapevole del fatto che la questione toccasse anche lei, forse più di Lisa, e non si sorprese nel scorgere la tristezza anche nel suo volto scuro. Tuttavia la sua voce rimase ferma ed autoritaria. «Non parliamo ora di queste cose. Abbiamo compiti più importanti. David, per caso avete visto passare da queste parti un altro greco?»

Il romano sembrò realizzare solo in quel momento di con chi stava parlando. «B-Beh… non sappiamo se fosse un greco o no, però sì, un po’ di tempo fa un ragazzo è entrato nel museo.»

Tommy spalancò gli occhi, voltandosi di scatto verso il museo. Sentì Konnor domandare, anche lui allarmato: «Quanto tempo fa?!»

«N-Non lo so, un po’ di tempo fa!»

«Ra… ragazzi…» mormorò il figlio di Ermes, mentre osservava incredulo i gradini che conducevano al grosso edificio. «Ma… ma non doveva esserci un esercito, là fuori?»

Di fronte al museo, tutto taceva. Non c’era alcuna traccia delle creature mostruose che Stephanie aveva visto nel suo sogno. 

«Non… non capisco…» mormorò proprio la figlia di Demetra, mettendosi accanto a lui. «Li avevo visti con i miei occhi! Erano lì davanti!»

«I-Infatti c’erano!» protestò Gus. «Ma sono spariti quando quel ragazzo è entrato! È apparso quella specie di tristo mietitore con un occhio solo che lo ha fatto entrare e poi tutti gli altri si sono ritirati nel pavimento!»

L’orribile presentimento tornò a farsi sentire dentro di Thomas. Edward era arrivato prima di loro e tutti i mostri erano svaniti. Sentiva odore di trappola da lontano un miglio. Steph lanciò uno sguardo al figlio di Ermes, ma se si aspettava che lui sapesse cosa dire, allora si sbagliava. L’unica cosa di cui era certo era che, a giudicare dalla descrizione che Gus aveva fornito, Naito era ancora vivo e vegeto. Ed era assieme ad Edward. 

«Andiamo» ordinò Talia, vene di tensione anche nella sua voce. E se perfino lei era tesa, allora la situazione era davvero critica. «Dobbiamo entrare là dentro.»

«C-Che cosa?! Ma vi si è capovolto il cerebrum?!» uggiolò Gus. «Dobbiamo restare più alla larga possibile da là!»

La cacciatrice lo ignorò e cominciò a impartire ordini alle sue compagne, mentre Lisa, Stephanie, Konnor e Thomas si scambiavano altre occhiate angosciate. Le kamaitachi piombarono proprio in quel momento sulle spalle dei semidei, facendo gridare terrorizzato il fauno, un verso che sicuramente venne udito in tutta San Francisco. 

«Gus! Vuoi darci un taglio?!» lo rimproverò David, strattonandolo mentre quello osservava le donnole farfugliando frasi sconnesse. I tre yōkai sfoderarono i denti affilati in dei ghigni divertiti, mentre il fauno li indicava. «E quelli che cosa sono?!»

Tommy non seppe nemmeno perché cercò di rispondergli. «S-Sono…»

«Uhm, ragazzi? Sta arrivando qualcosa» lo interruppe Travis, il binocolo ancora puntato verso il museo. «Proprio verso di noi.»

L’intero gruppo si animò e Gus gridò ancora una volta di terrore. Le cacciatrici sguainarono le armi, così come i greci. Perfino David estrasse uno strano cilindro dalla tasca che si trasformò in un gladio. 

Vi fu un fruscio e poi qualcosa scavalcò i cespugli con un salto, sollevando diverse grida di sorpresa. Travis finì a gambe all’aria, perdendo il binocolo dalle mani. I ragazzi indietreggiarono, mentre in mezzo a tutti loro atterrava una grossa creatura, che grazie agli dei riuscirono a riconoscere immediatamente. 

«Siete qui!» esclamò Fujinami, sembrando piuttosto sorpreso. Per la prima volta da quando aveva messo piede dentro quel parco, Tommy riuscì a tirare un sospiro di sollievo. 

«Fujinami!» dissero praticamente tutti all’unisono, mentre i tre romani l’osservavano allibiti.

«Woah!» esclamò Travis ancora seduto a terra. David sollevò il gladio, mentre Gus, dopo aver farfugliato altre parole senza senso, decise di fare un favore a tutti quanti e svenire, cadendo addosso ai suoi amici.

Mentre il qilin esaminava i tre, Thomas si accorse che stava trasportando qualcosa sul dorso. E quando vide che cosa, spalancò gli occhi. Fu Talia, però, a parlare per prima: «Ma quella è Rosa!»

Fujinami si sdraiò a terra e inclinò il dorso, facendo scivolare la figlia di Apollo sopra l’erba. Per un istante, Thomas riuscì a vedere di nuovo il suo volto, lo stesso volto che aveva creduto non avrebbe visto mai più, ma fu solo un istante, dopodiché le cacciatrici si piazzarono di fronte a lui, circondandola in un turbinio di bisbigli e mormorii. 

«Lasciatele un po’ di spazio!» esclamò Talia, districandosi in mezzo al gruppo. 

Quello fu il momento in cui lui riuscì a riscuotersi. 

«Fatemi passare!» gridò, facendosi largo tra le ragazze e attirandosi addosso diversi appellativi non molto gentili. 

Riuscì a raggiungere Rosa e gli sembrò che tutto quello fosse solo un’illusione. S’inginocchiò accanto a lei e Talia, accovacciata per controllare le sue condizioni, drizzò la testa verso di lui. Tommy però non fece caso a lei, rimanendo unicamente concentrato sulla figlia di Apollo, mentre tutte quelle emozioni rimaste represse dentro di lui riemergevano dal nulla. 

Il fatto che Rosa fosse lì significava così tante cose che nemmeno aveva idea di dove iniziare. 

«Fujinami, cos’è successo?» domandò Talia, mentre il qilin riportava la sua attenzione su di loro. 

«Avevi ragione, sul figlio di Apollo» disse lui, rivolto a Thomas. «Ha affrontato Orochi per salvare la vergine.»

Il figlio di Ermes schiuse le labbra. Stephanie emise un verso sorpreso, così come molti altri. 

«Ehm… ma che succede?» si intromise David, abbassando il gladio mentre Travis si levava di dosso il corpo del fauno. «Quello è vostro amico?»

Reyna gli spiegò la situazione e più parlava e più i due romani sgranavano gli occhi sbalorditi. Erano molte informazioni da digerire, ma a Thomas non importava un accidente di cosa quei due stessero pensando.

«Edward ha ucciso Orochi e i suoi soldati» disse ancora Fujinami, scatenando un’altra marea di versi sorpresi. «Mi ha chiesto di portare la ragazza al sicuro, ed è quello che ho fatto.»

Stephanie ripeté a fatica quelle parole a Lisa e Konnor, ma Thomas non riuscì a vedere le loro reazioni, così concentrato com’era su Rosa e sul qilin. Afferrò la mano della figlia di Apollo senza rendersene conto. Era gelata. Non sembrava nemmeno ancora viva. Non fosse stato per il suo petto che si alzava e abbassava molto faticosamente, avrebbe pensato che fosse addirittura morta. Fu scosso da un’altra scarica di brividi. 

«Dov’è Edward adesso?» domandò Konnor, facendosi largo tra le cacciatrici assieme a Steph e Lisa. La figlia di Bacco s’inginocchiò accanto a Thomas, posandogli una mano sulla spalla e facendolo trasalire. Incrociò il suo sguardo, che pareva angosciato tanto quanto il suo. Poi lei abbassò la testa verso di Rosa e si accorse di lui che la teneva per mano. Assottigliò le labbra. 

«Ha detto che avrebbe restituito la spada» stava proseguendo Fujinami. «Ma non può riuscirci da solo. Dobbiamo…»

La terra tremolò proprio in quel momento, interrompendolo. Fu come una leggera scossa di terremoto. Dopodiché un forte rumore provenne proprio dal museo, da cui era appena emerso un grosso bagliore di luce bianca. Una forte brezza d’aria si sollevò, costringendo Thomas a ripararsi il volto. Non durò molto, giusto una manciata di secondi. Quando la luce bianca svanì, la terra si calmò e anche l’aria smise di soffiargli addosso.

La voce di Fujinami tornò a risuonare nella sua testa, questa volta perfino lui sembrava incredulo: «Ce… ce l’ha fatta. L’ha davvero restituita.» 

Quelli che potevano sentirlo gemettero per la sorpresa. E quando riuscirono a ripetere quelle parole anche agli altri, l’emozione raddoppiò.

Ancora una volta, Thomas rimase immobile, incapace di pensare. Allora aveva avuto ragione su Edward. Aveva sempre avuto ragione. Non li aveva mai voluti tradire. L’esatto opposto. Aveva affrontato Orochi, lo aveva sconfitto, aveva sconfitto tutti i suoi mostri, aveva salvato Rosa, consegnato la spada, tutto da solo. Erano tutti quanti stati dubbiosi su di lui, Thomas stesso, nonostante lo avesse difeso, lo era stato. Si erano sbagliati. Anche se era impulsivo, anche se amava mettersi nei guai, ed era un testone, aveva comunque salvato la situazione. Aveva agito da eroe. Non ci sarebbe più stata una guerra tra dei, Orochi era morto, il mondo era salvo, ed era tutto merito suo.

E lo stesso sembravano pensare tutti gli altri. Le cacciatrici in particolare sembravano incredule. In particolare Kowalski, la cui espressione tradiva qualsiasi emozione.  

«E… e quindi adesso?» domandò proprio lei, con voce molto più flebile di quanto li avesse abituati. 

Fujinami scosse la testa, sbuffando rumorosamente. «Adesso… è tutto finito. Possiamo andarcene.»

«Un momento, ed Edward?» protestò Thomas, alzandosi in piedi. 

Il qilin spostò lo sguardo su di lui e, incredibilmente, per una volta sembrò perfino triste. «Il figlio di Apollo… era ferito gravemente. Era vivo solo grazie all’energia di Ama no Murakumo. Ma ora che l’ha restituita… non c’è più niente da fare.»

«C-Che cosa?» domandò Stephanie, avvicinandosi le mani al petto. «Stai scherzando, vero?!»

Nessuna risposta. Fujinami abbassò il muso verso il suolo. 

A quel punto, Thomas sentì il sangue ribollirgli nelle vene. «Davvero?!» sbottò. «Non ti bastava dubitare di lui? Ora vuoi anche lasciarlo morire?!»

«Certo che no.» Fujinami incrociò lo sguardo del figlio di Ermes, sbattendo lo zoccolo a terra. «Ma entrambi sapevamo che lui non ce l’avrebbe fatta. Mi ha chiesto di salvare la ragazza come sua ultima volontà, ed è quello che ho fatto. Il mio lavoro è finito.» 

«Bene, allora vattene!» urlò Thomas, sguainando il falcetto ed indicando il museo. «Ci penso io ad Edward!»

Si incamminò con il fuoco nelle vene. Non gli sembrava vero che Fujinami volesse davvero abbandonare Edward, proprio come gli altri prima volevano abbandonare Rosa. Era assurdo! Era quello il ringraziamento che volevano dare al figlio di Apollo per essersi messo sulle spalle tutto quanto, per averli salvati e aver rischiato di morire?! 

Qualcuno lo afferrò per un braccio. «Thomas.»

Si voltò, trovandosi di fronte il volto di Stephanie, che annuì determinata. «Vengo anch’io.»

Thomas sorrise. Era certo che lei non lo avrebbe abbandonato. Così come era certo che nemmeno Konnor e Lisa lo avrebbero fatto. Il figlio di Ares fu subito al seguito della semidea e Tommy si aspettò anche di vedere la figlia di Bacco, invece non la trovò. La cercò dov’era poco prima e la vide ancora lì, accovacciata accanto a Rosa. Le stava esaminando la mano insistentemente. «Lisa, ma cosa…»

«Cos’è questo segno sulla mano?» domandò proprio lei, anticipandolo, e sollevando la mano di Rosa. La girò e sopra il palmo Tommy vide un grosso sfregio rosso. 

«Non ha nessuna ferita sul volto e sulle braccia, solo questo» proseguì Lisa, rivolgendosi a Fujinami. «Sembra una ferita fresca. Tu ne sai qualcosa?» 

La reazione del qilin fu del tutto imprevista. Si raddrizzò di colpo, le sue pupille si dilatarono mentre osservava quel taglio, come se fosse in procinto di prendere fuoco. 

«Oh, no!» Si voltò verso il museo e cominciò a correre come se avesse Tartaro alle calcagna senza dare ulteriori spiegazioni. Un lieve attimo di smarrimento si sollevò nell'aria, mentre tutti rimanevano immobili per lo stupore.

«Ma… ma che ho detto?» interrogò nervosamente Lisa.  

«Sbrighiamoci» fu la conclusione decisa di Talia. Si rivolse a un gruppo di cacciatrici. «Stabilite un perimetro attorno al museo, niente entra od esce a meno che non lo vogliamo noi. Kowalski, lascio a te il comando qua fuori. Te la senti?»

La cacciatrice caricò un dardo nella balestra, annuendo. «Contaci.»

«Ottimo.» Talia mandò un cenno del capo ad una cacciatrice con i capelli rossi e alcune sue compagne. «Voialtre rimanete con Rosa. E tenete anche lontani i mortali» aggiunse, indicando i vari turisti che girovagavano con il naso per aria e la testa dietro le loro costosissime fotocamere. «Non fateli avvicinare troppo.»

«Sì!»

Anche Thomas avrebbe voluto rimanere lì, per vegliare su Rosa, ma Edward aveva la priorità. Tuttavia sapeva cosa fare. «Kensuke» disse alla donnola, ancora accovacciata sulla sua spalla. «Rimanete anche voi. Proteggete Rosa ad ogni costo. Va bene?»

La kamaitachi sfoggiò di nuovo i suoi dentini e annuì, saltando giù dalla spalla e venendo raggiunta dai suoi fratelli, o compagni, o quello che erano. Sfoderarono le lame ed iniziarono a ronzare attorno alla figlia di Apollo. Osservando i tre piccoli killer così vicini alla ragazza svenuta, Thomas cominciò ad avere dubbi su quella decisione. 

«Rimaniamo indietro anche noi» mormorò David, rinfoderando il gladio, mentre Travis dava degli schiaffetti sul volto di Gus. «Immagino lo abbiate capito, noi non… siamo proprio dei combattenti.»

«Non preoccupatevi.» Konnor gli rivolse un cenno. «Avete già fatto molto di più di quanto sperassimo.»

David incrociò il suo sguardo e sussultò. Abbassò la testa imbarazzato e Tommy giurò che fosse perfino arrossito. «E-Ehm… grazie…» 

«Sbrighiamoci!» Talia cominciò a correre assieme a Reyna e ad altre tre cacciatrici verso il museo, seguite da Tommy e compagni.

 

***

 

«Da che parte?»

La voce di Talia riecheggiò contro le pareti di marmo del grosso salone di ingresso. C’era una grossa scala che saliva e diversi corridoi che si districavano in varie direzioni. Da dentro quel posto sembrava ancora più grande. Fujinami non c’era, doveva essere andato avanti da solo. Qualunque fosse il motivo di quella sua reazione quasi spaventata non piaceva affatto a Thomas. 

«Probabilmente sopra c’è qualcosa di importante» suggerì Lisa, avvicinandosi alle scale. 

«Oppure dalla mostra di Ama no Murakumo» ribatté Konnor, indicando un cartellone appeso che invitava i turisti ad andare a visitare la replica della spada. 

«Oppure negli altri mille corridoi» concluse Talia, con un sospiro pesante. «Dividiamoci. Stephanie e Konnor, venite alla mostra insieme a me, Reyna tu vai di sopra con Lisa e Thomas, voi tre invece controllate quei corridoi. Occhi aperti. Se trovate qualcosa, mandate un segnale.» 

Le cacciatrici annuirono. Thomas non credeva che dividersi fosse davvero una buona idea, ma purtroppo non avevano molta scelta. Se davvero Edward era ferito, dovevano coprire più terreno possibile pur di ritrovarlo prima che fosse troppo tardi. 

«Buona fortuna» affermò Konnor, sguainando la spada opaca. 

I gruppi si sparpagliarono e Lisa, Tommy e Reyna cominciarono a correre lungo le scale. Il fatto che una guerriera esperta come Reyna fosse assieme a loro lo rincuorò, anche se ormai sapeva molto bene che poteva contare anche su di Lisa. E comunque, con Rosa salva, non si sarebbe fermato di fronte a niente e nessuno pur di riportare anche Edward indietro. 

Arrivarono in cima e si trovarono in un salone che pareva grande quanto un campo da football – non che Thomas sapesse davvero quale fosse la dimensione esatta di uno di quei campi. Lo spettacolo che trovarono fu qualcosa che non si sarebbe mai aspettato. C’erano enormi finestre distrutte, crepe e chiazze di sangue sul pavimento. Una parete era totalmente distrutta e un corpo svenuto, forse addirittura morto, di una strana creatura umanoide, sicuramente uno yōkai, giaceva ai piedi di una colonna mezza demolita. 

«Ma cos’è successo qui?» mormorò Lisa, le sue parole che si smarrivano nella vastità di quel posto.

«Edward e la Spada del Paradiso» rispose Thomas, riconoscendo il salone come il luogo di chissà che razza di battaglia furibonda. «Credo proprio che siano passati di qui.»

Osservare tutta quella devastazione lasciò un senso di inquietudine dentro di Thomas. Ripensò alla sera in cui il figlio di Apollo aveva affrontato quegli scorpioni, quando era stato come se uno spirito maligno lo avesse posseduto e lo avesse spinto a quasi torturare quelle creature. Poteva solo immaginare cosa fosse successo davvero lì dentro. 

Tuttavia, di Edward non c’era nessuna traccia. Al suo posto, però, c’era Fujinami, immobile come una statua al centro della sala. 

«Fujinami» lo chiamò, correndo verso di lui. Il qilin non si voltò. Fissava il pavimento come in trance. «Fujinami, che stai facendo?»

La creatura sembrò accorgersi di loro solo in quel momento. Si voltò e i suoi zoccoli strascicarono sopra una strana sostanza bluastra. Un’intera scia di quella roba si disperdeva nel salone.

«Non… non è possibile…» cominciò Fujinami, ignorando la domanda. «Il suo corpo era qui! Ne ero sicuro!»

Prima che Thomas potesse interrogarlo su cosa stesse blaterando, un rumore attirò la loro attenzione. Si voltarono verso la parete distrutta, dove alcuni detriti avevano cominciato a cadere e rotolare verso terra. Una mano spuntò fuori da essi, facendolo sussultare. Rimase pietrificato, ad osservare quella scena che sembrava essere uscita da un film dell’orrore. Una figura spuntò fuori dalle macerie con un gesto secco, gridando a perdifiato. Barcollò fuori dalla sua prigione di detriti, scrollando la testa, sbuffando infastidita. Borbottò qualcosa di incomprendibile, Tommy riuscì solamente a capire che era giapponese, visto che aveva sentito Edward e Naito parlarlo diverse volte.

Scese dalla pila di detriti, massaggiandosi la fronte, e da dietro la sua schiena sbucò qualcosa, una grossa matassa bianca. Thomas spalancò gli occhi. Non vide la faccia di quel tizio. Il suo sguardo rimase unicamente incastonato sul quel groviglio di code che spuntava dal suo fondoschiena. 

«Ma quella…» cominciò Lisa, con un sussurro. 

«Dannazione…» sbottò Fujinami, raschiando il suolo con gli zoccoli. 

Reyna sguainò il suo gladio, rimanendo in silenzio. 

La kitsune si voltò verso di loro di scatto, fissandoli sorpresa per diversi istanti prima che un lento sorriso inquietante si estendesse sul suo volto animalesco. 

«Oh…» iniziò, spolverandosi e ricomponendosi. 

Si passò una mano sulla testa, lisciandosi il pelo in mezzo alle orecchie, piegò la testa per sgranchirsi l’osso del collo e si passò la lingua rosa tra i canini affilati. «… ora sì che le cose si fanno interessanti.» 

   
 
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