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Autore: Mary P_Stark    21/02/2020    3 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sgomenta e terrorizzata come mai prima di allora, Eris afferrò le lenzuola dove, fino all’istante precedente, si era trovato Alekos e, in preda al panico, urlò invano il suo nome.

Alekos non era mai stato in grado di trasmutare in modo indipendente, e il fatto stesso che avesse compiuto un gesto simile in un momento di confusione mentale, poteva aver creato disastri inenarrabili.

Stringendosi una mano al petto, si concentrò sul fuoco interiore del giovane e cercò, cercò il suo tocco, la luce della sua anima ma, pur avvertendo il suo soffio della vita, non riuscì a vederlo, non riuscì a raggiungerlo.

Sempre più spaventata, scese di corsa dal letto, chiamò Homados e Proioxis e, stringendosele al petto per un istante, mormorò: «Trovate Alekos. Presto!»

Le aquile arpie si involarono immediatamente, spingendosi verso i due emisferi del pianeta mentre Eris, scivolando a terra ormai priva di forze, mormorava tremante: «Dioniso… vieni qui ora…»

Quella chiamata portò il dio a muoversi immediatamente e, quando comparve negli appartamenti privati della dea, si sorprese non poco nel vederla a terra, in lacrime e con l’aria smarrita di una infante.

Guardandosi intorno, Dioniso notò subito il letto sfatto e la totale mancanza di Alekos così, cominciando a preoccuparsi, le si inginocchiò accanto prima di domandarle ansioso: «Sorella, cosa è successo?»

Stringendo una mano sulla tunica leopardata di Dioniso, lei levò il viso in lacrime per fissare i suoi occhi adamantini in quelli color ambra del dio e, con voce spezzata, esalò: «Alekos è svanito.»

Dioniso impiegò qualche istante per recepire quelle parole – e non certo perché fosse sbronzo, …non del tutto, almeno – e, con un mezzo sorriso teso e nervoso, replicò: «E’… è impossibile, Eris. Non ne è mai stato in grado.»

«LO SO!» esplose Eris, coprendosi il viso per nascondere un pianto ormai irrefrenabile.

Dioniso si astenne dall’abbracciarla, poiché sapeva che con Eris si poteva scherzare solo fino a un certo punto, pur se era molto migliorata, negli ultimi anni.

Preferì quindi poggiarle una mano sulla spalla mentre, con l’altra, le carezzava il capo con gentilezza, turbato dal suo crollo emotivo. Da quando in qua Eris si comportava a quel modo?

Il pianto si chetò un poco e Dioniso, con insospettabile delicatezza, le domandò: «Posso chiederti cos’è successo prima della sua ipotetica scomparsa?»

«Si è svegliato e… beh, ha cercato di baciarmi. E non so che altro avesse in mente, in verità…» ammise lei, tergendosi il viso per sfidarlo con lo sguardo a replicare. Dioniso, però, non disse nulla, limitandosi ad annuire.

Non potendo rimbeccarlo in alcun modo, vista la mancanza di commenti piccanti o idioti da parte sua, Eris allora aggiunse: «Non lo ha fatto, per la cronaca. Si è fermato prima. Non è certo un pervertito come qualcuno di mia conoscenza.»

«Cercherò di non prenderlo come un insulto» ironizzò Dioniso, scrollando una spalla. «Ebbene, ha tentato di baciarti… dove sta il problema?»

«Non era in sé!» sbottò la dea, afferrandolo alla tunica per scuoterlo con veemenza. «Cosa diavolo gli hai dato, alla tua maledetta festa?!»

Afferrate le mani di Eris, Dioniso la costrinse a rimettersi in piedi e, dopo averla accompagnata fino al letto, la fece sedere e le disse: «Niente di strano, Eris. C’erano nettare e ambrosia, birra egiziana, oppio, cose del genere. Niente droghe sintetiche, se è quello che temi. Non mi piace la robaccia che creano gli umani.»

Eris lo spintonò con forza facendolo caracollare all’indietro e, furibonda, esclamò: «Oppio?! Ti pare poco?! Alekos non è come tutti voi! Lui non si lascia andare a simili vizi!»

Accigliandosi leggermente, Dioniso si rassettò la tunica ormai sdrucita e, fissando torvo la sorellastra, replicò: «Chiediti, piuttosto, perché il ragazzo abbia deciso in tutta coscienza di partecipare alla mia festa. Non ho mai insistito, con lui, proprio perché sapevo della sua indole tranquilla, ma ieri sera è venuto con Ares di sua spontanea volontà.»

«Quell’idiota di mio fratello non si smentisce mai» sibilò Eris, stringendo le mani sulle lenzuola, che ancora emanavano il profumo muschiato di Alekos.

«Vorrei farti notare che siamo tutti, o quasi, fratelli e sorelle, grazie a quell’inseminatore compulsivo che è il sommo Zeus» ironizzò Dioniso, levando le mani con espressione derisoria. «Specifica con quale fratello te la stai prendendo, ora.»

«Con tutti! Dovreste avere maggiore cura di Alekos!» ringhiò a quel punto la dea.

Ora sinceramente confuso, Dioniso le domandò: «Ma perché sei così protettiva, con lui? Non ti ho davvero mai vista comportarti a questo modo. Da quando quel ragazzo cammina nel mondo, il tuo comportamento è cambiato. Capisco che la situazione sia delicata ma perché tu, proprio tu, ti comporti a questo modo?»

Eris reclinò colpevole il capo, annuendo stancamente e, suo malgrado, mormorò: «So benissimo di non essere coerente. Non c’è bisogno che tu me lo faccia notare.»

Picchiettandosi un dito sul mento, Dioniso le si sedette accanto con aria meditabonda e, con voce insolitamente gentile, asserì: «I tuoi figli sono nati per partenogenesi… desideravi una stirpe tutta tua, ma che non fosse contaminata dal sangue di nessun uomo. A ben vedere, non hai mai avvicinato nessun uomo – mortale o immortale che fosse – per ottenere da lui favori o piacere. Ma, da quando Alekos vive, sei pian piano cambiata, vero?»

«Cosa stai tentando di insinuare?» sibilò Eris, afferrandolo al collo con decisione.

Dioniso non si scostò, lasciando che le dita della dea affondassero nella sua carne e, per quanto il momento non fosse dei più ideali, provò anche un discreto piacere. Non che fosse il caso di far notare a Eris quanto, il suo tocco violento, stesse risvegliando in lui discutibili pulsioni.

Lo avrebbe ammazzato di sicuro, se si fosse resa conto della cosa. Era troppo preoccupata per Alekos per soprassedere. Inoltre, pur se era migliorata un poco, restava pur sempre la dea della discordia, e lei non ci andava per il sottile, con le vendette.

Cercando perciò di rimandare al mittente quei piacevoli brividi di piacere, il dio mormorò roco: «Non insinuo niente. E’ un dato di fatto, e mi sorprende di esserci arrivato solo ora… ma va anche detto che non è il mio mestiere, quello di usare il cervello per comprendere la parte più profonda dell’animo di ognuno di noi.»

Eris accentuò la stretta, digrignando i denti per l’ira, ma Dioniso proseguì dicendo: «Sei legata a lui… in un qualche modo che, a quanto pare, neppure tu o lui comprendete, ma il legame è chiaro, ed è sempre più forte. Resta da capire soltanto la motivazione del gesto, che può essere stato dettato dall’ubriachezza, come da un impulso più profondo, e che va assolutamente chiarito, visto che Alekos è unico nel suo genere.»

La dea scosse il capo, lasciando andare il collo di Dioniso come se si fosse ustionata e, portandosi le mani al volto, affondò le unghie nelle gote pallide, gracchiando sconvolta: «L’ho contaminato, ed è diventato come gli altri… quanto più avevo temuto, è infine successo.»

Afferrando le mani della sorellastra quando vide comparire le prime gocce di sangue tra le sue dita, Dioniso gliele strinse con forza perché non sfuggisse alla sua presa e, lapidario, replicò: «Non dire sciocchezze! Non sei la peste bubbonica, sciocca! Molto più semplicemente, Alekos ha visto in te una bella donna e, spinto da pulsioni di cui non starò qui a parlarti, ha tentato un approccio, ma poi se n’è pentito per motivi tutti suoi ed è sbarellato.»

«Ma lui è… è…» tentennò Eris, non sapendo mettere a parole ciò che pensava.

«Cosa? Cos’ha di tanto speciale? Mettiamo i puntini sulle ‘i’ una volta per tutte, perché secondo me hai le idee confuse, su di lui. Alekos è figlio di Athena, per cominciare. Ebbene? Non mi verrai a dire che ti preoccupa la vostra parentela, spero? Sai benissimo che, tra divinità, queste cose non contano nulla» protestò Dioniso.

«Non è questo il punto, infatti!» sbottò Eris.

«Ti preoccupa l’età, forse? Érebos e Athena stanno tranquillamente insieme, eppure lui nacque migliaia e migliaia di anni prima di lei. E sai quante altre coppie sono così? Cosa dovrebbe dire Felipe, scusa? E’ un infante, al confronto di Artemide, e lo era anche Endimione, a suo tempo.»

Eris cercò di sfuggire alla presa del fratello, e così anche alle sue parole, ma lui non demorse e proseguì nel dire: «E’ un uomo, Eris. Non più il dolce ragazzino che tutti noi abbiamo conosciuto in terra di Ade, o che tu seguisti per anni nell’ombra. Ha i desideri e i pensieri di un uomo e, se lo desidera, può bramare l’amore di una donna …o di un uomo, indifferentemente.»

«Non hai visto i suoi occhi, Dioniso» protestò Eris, scuotendo il capo. «C’era un desiderio animalesco, nei suoi occhi… una brama che non aveva nulla a che fare con un uomo che desidera una donna e paradossalmente, in quel momento, il suo potere era muto, come reso cieco da qualcosa…o a qualcuno

A quel punto, Dioniso impallidì leggermente, conscio dell’ansia insita nelle parole della dea, e mormorò: «Se la cosa ti ha spaventato tanto – e ha spaventato lui, a quanto pare – allora non si tratta affatto di concupiscenza, ma di qualcosa di molto più oscuro.»

«Non sono spaventata» sottolineò lei, sbuffando contrariata.

Non voleva sentirsi così debole e sottomessa; lo detestava con tutta se stessa, ma Dioniso aveva ragione. Lei era spaventata perché quello che aveva visto, nell’attimo in cui Alekos aveva tentato di baciarla, non era stato affatto il giovane che aveva imparato a conoscere, o un uomo interessato a una donna.

Se fosse stato un desiderio cosciente e pulito, non avrebbe avuto problemi ad accettare il suo bacio. Ma colui che l’aveva bloccata sotto di sé, non era stato l’Alekos di sempre.

«E’ per questo che ti dico che il mio potere lo ha traviato, facendolo diventare qualcuno che non è» protestò a quel punto Eris, divincolandosi finalmente dalla stretta di Dioniso.

«Eris, conosco bene ciò che ti venne predetto all’atto della nascita» replicò il dio, sorprendendola. «Mi fu specificamente detto quando tentai un approccio con te, tanti secoli addietro.»

«Come?» esalò la dea, scostandosi per guardarlo in volto con espressione confusa.

Lui assentì totalmente serio e, scrollando le spalle, aggiunse: «Sei bellissima, e penso sia uno spreco che tu non abbia mai conosciuto il piacere derivante dall’amare un uomo… o una donna, se preferisci. Avrei anche voluto essere io, a un certo punto, a offrirti questo dono ma mi fu detto che, se fossi entrato a far parte della tua vita, mi avresti distrutto.»

Eris assentì suo malgrado, ma Dioniso sospirò contrito e ammise: «Ne ebbi paura, lo ammetto, e così tornai sui miei passi, lasciandoti sola a sopportare il peso di un destino tra i più complessi e dolorosi che mai siano toccati a una divinità.»

«Era tuo diritto pensarla così» sottolineò la dea.

«Quindi, non è tuo diritto trovare un po’ di felicità? Pensi che, perché ti è stato dato un determinato compito da svolgere nel mondo, automaticamente ti sia preclusa la gioia?» domandò per contro Dioniso, inalberandosi.

Sorridendo mesta, Eris asserì: «Soffrirò e farò soffrire in egual misura. Chi mi vorrebbe come compagna?»

«Forse, colui che toglie la sofferenza? Non hai mai pensato che, chi ha deciso di darti un simile peso da portare, abbia anche pensato che fosse giunto il momento di riequilibrare il tuo destino fin troppo avverso?»

«Hai ragione su una cosa, Dioniso. Pensare non fa per te» ironizzò suo malgrado Eris, risollevandosi. «Andrò a parlare con nostro padre. Forse, con i suoi poteri, riuscirà a trovare Alekos prima di dover mettere in allarme Athena.»

«Beh, non andrai da sola. Ti ho abbandonata una volta, per paura, ma non lo farò una seconda» sbottò Dioniso, levandosi in piedi e avvolgendole la vita con un braccio.

Eris discese con lo sguardo a scrutare la mano poggiata sul suo fianco e, sardonica, mormorò: «Fratello… dove pensi di andare, con quelle dita?»

Dioniso seguì a sua volta lo sguardo della dea e, ridacchiando nervosamente, sollevò subito la propria mano prima di dire: «Ehm… è più forte di me. Sei così bella che mi viene spontaneo provarci.»

«Sei un caso senza speranza» sospirò Eris, trasmutandosi alle porte del palazzo del padre.

Dioniso la seguì, ben deciso a non abbandonarla. Se lei era portatrice di sofferenza, lui lo era di allegria e spensieratezza, e non avrebbe permesso che la serata si chiudesse al peggio. Anche se c'era di mezzo il pessimismo di Eris.
 
***

Balzando sui gradini del tempio come se avesse avuto il fuoco alle spalle, Eris fu lesta a entrare nel luogo sacro a suo padre, subito seguita a ruota da Dioniso, che non poté evitare uno sguardo lascivo al fondoschiena della dea.

Dea che, una volta raggiunto il pronao, si bloccò di colpo, torse il braccio e gli scaricò un tal pugno allo stomaco da mandarlo riverso sul pavimento di marmo.

Lagnandosi per il gran dolore e portandosi in posizione fetale per difendere altre – e più preziose – zone del suo corpo, Dioniso la fissò con i dolenti occhi dorati e borbottò: «Ma perché devi sempre reagire così?!»

«Non amo essere radiografata, e i tuoi occhi hanno il potere di trapassare la gente» sbuffò lei, allungandogli poi una mano perché si rialzasse.

Dioniso la accettò cautamente e, nel rimettersi in piedi, dichiarò: «Su una cosa sono più che sicuro, adesso… l’abito non fa il monaco.»

«Ma va?» ironizzò caustica Eris, riprendendo la sua corsa all’interno del tempio.

Dioniso la superò in velocità – soprattutto per difendersi da ulteriori, e giuste, accuse di voyeurismo – e, nel lanciarsi in una corsa sfrenata entro il perimetro interno del tempio, esclamò: «Preghiamo che non sia a letto con qualcuna… non ho nessuna voglia di evitare i suoi strali!»

«Ti proteggerò io, fifone che non sei altro» gli promise Eris, sbuffando contrariata.

«Non è fifa… è più… autoconservazione» sottolineò per contro Dioniso.

Sogghignando suo malgrado, Eris replicò: «Papà deve solo provarci, a lanciarmi contro uno strale. Posso essere perfida in maniera molto terrificante, se lo voglio, e con lui ho materiale da sfruttare per vendette lunghe un millennio.»

«Me le farai vedere?» gli domandò lui, sorridendole beffardo da sopra una spalla.

Eris storse il naso e borbottò: «Non riesco a capire se sei sadico o se, semplicemente, sei matto da legare.»

Dioniso scoppiò in una grassa risata, risata che però morì di colpo in gola quando penetrò nell’area più interna del tempio, ove si trovavano le stanze di private di Zeus.

Coprendosi istintivamente gli occhi quando inquadrò ciò che più di tutto non avrebbe mai voluto vedere, Dioniso afferrò in tutta fretta Eris perché ella non fosse costretta a visionare un simile spettacolo.

Nel farlo, però, complice il suo stato di ubriachezza in fase di remissione, i suoi piedi incespicarono tra loro. La gravità traditrice fece il resto, e il pavimento divenne la loro ultima destinazione.

Eris strillò un’imprecazione prima di crollare a terra, urtando così i gomiti sul pavimento marmoreo mentre Dioniso, non potendo evitarlo, finì con il cadere addosso alla dea.

«Ma… che RAZZA DI IDIOTA!» urlò sempre più forte Eris, togliendoselo di dosso con una grande spinta di mani e piedi.

Dioniso si scusò più e più volte per la sua goffaggine – ma non per averle tastato il sedere – mentre, nella stanza adiacente, strilli femminili si univano a un brontolio maschile piuttosto inequivocabile.

Rimettendosi in piedi nonostante il dolore alle membra, causato dalla caduta improvvisa, Eris fu sul punto di aggredite Dioniso quando, nel bel mezzo del corridoio, spuntò Zeus in tutto il suo adamitico splendore.

Eris avvampò come un cerino, di fronte a tanta reale possanza e Dioniso, nel mettersi seduto, borbottò: «Era questo che volevo evitarti…»

«Che diavolo ci fate, voi due, qua dentro?! Avete preso casa mia per un luna park?!» sbraitò Zeus, piantando i pugni sui fianchi nudi.

Dioniso si coprì il viso al pari di Eris che, per ogni precauzione, si volse dalla parte opposta. Non contento, il figlio di Zeus disse: «Un accappatoio, paparino, sarebbe gradito… sai com’è… non è che vedere i tuoi batacchi mi piaccia molto, ed Eris è così virginea che proprio non è il caso di dare ulteriore spettacolo.»

Zeus si squadrò per un attimo, imprecò vistosamente e, nel tornare nelle sue stanze con passo pesante, sbraitò: «Anche quanto, cos’hanno che non vanno?»

«Non vanno perché sono i tuoi, paparino! Ecco, cosa c’è che non va!» esclamò Dioniso, levandosi in piedi e scrutando dolente la sua tunica ormai rovinata. «Niente… è da buttare.»

«Vuoi essere serio per almeno un minuto dietro fila?!» gli sibilò contro Eris, sbirciando poi sopra la spalla per essere sicura che il padre fosse sparito.

«La serietà la lascio agli altri, mia cara… e vorrei farti notare che ti si è rovinato l’abito» le fece notare Dioniso, indicando la gonna lesionata della dea.

Eris perse del tutto il controllo, di fronte all’espressione contrariata di Dioniso e, pestando un piede a terra con violenza, urlò: «MA CHI SE NE FREGA!»

Di fronte a quella reazione, Dioniso si appoggiò lesto al muro dietro di lui, così da non crollare nuovamente a terra a causa del piccolo terremoto causato da quel colpo.

Nell’uscire dalle sue stanze proprio mentre le ultime scosse erano in procinto di cessare, Zeus ci tenne a dire: «Vorrei conservarlo integro, il tempio, per la cronaca.»

Eris non si scusò affatto per quel colpo di testa e, nel guardare in volto suo padre con il massimo della serietà, disse: «Abbiamo bisogno di te. Alekos è scomparso.»

Finendo di allacciarsi l’accappatoio in vita, Zeus bloccò immediatamente il movimento delle sue mani non appena recepì il significato di quelle parole e, scrutando dubbioso la figlia, borbottò cauto: «In che senso… scomparso?»

«Si è trasmutato. Da solo» aggiunse lei, stringendosi una mano al petto per l’ansia.

Non riusciva a sentirlo da nessuna parte, e lei era sempre riuscita ad avvertirne la presenza fin da quando era nell’Oltretomba, ancora piccolo e indifeso!

Sembrava scomparso dalla faccia della Terra, e sperava davvero fosse materialmente impossibile, anche per un dio, altrimenti non avrebbe saputo dove cercarlo.

«Lui non è in grado di farlo» replicò cocciuto Zeus, ottenendo soltanto di far infuriare nuovamente Eris.

Accigliandosi, la dea ribatté caustica: «Perché voi uomini dovete sempre rispondere con una negazione alle nostre affermazioni?!»

Zeus levò un sopracciglio con evidente sarcasmo, asserendo: «Questa risposta l’hai imparata da tua madre.»

«Ah, …paparino, forse non è il caso di farla infuriare ancora di più. Homados e Proioxis sono in giro alla ricerca di Alekos ma, se tornassero su suo ordine, ci mangerebbero vivi» tentennò Dioniso, mettendo in guardia il Padre degli dèi.

Impallidendo leggermente, Zeus allora disse: «Spiegatemi dall’inizio questo guazzabuglio e, per le prossime volte, suonate il campanello.»

Eris e Dioniso lo fissarono esasperati, borbottando: «Non hai un campanello.»

«Ah. Giusto» gracchiò Zeus, indicando quindi loro di seguirlo. Era del tutto assurdo parlare di cose del genere nel bel mezzo di un corridoio, e quella sembrava una situazione dannatamente seria.

I due figli seguirono lesti il padre fino a raggiungere lo studio di Zeus dove, con uno schiocco di dita, le candele si accesero per conferire maggiore luminosità alla stanza.

Lì, Zeus sfiorò il mappamondo che teneva sulla scrivania e domandò: «Le tue arpie dove sono?»

Eris puntò il dito indice destro sull’Australia, mentre l’indice sinistro finì in Groenlandia. Torva, poi, disse: «Hanno scandagliato nord Europa, Sud Africa e tutta l’Asia senza trovare alcunché, neppure una traccia seppur lieve di lui, e posso dirti che neppure le tue aquile hanno la vista acuta come la loro.»

Zeus annuì senza problemi, ben sapendo che era la pura verità. Le arpie di Eris sarebbero riuscite a scovare un batterio specifico in tutto il globo, se a lei fosse servito proprio quello.
Il punto era un altro; se Alekos non si trovava da nessuna parte, sulla Terra, dov’era finito?

«Tu non riesci a sentirlo da nessuna parte, padre?» domandò a quel punto Eris, apparendo così spaventata da turbare lo stesso Zeus.

In tanti secoli, non aveva mai visto Eris preoccuparsi tanto per qualcuno; forse, solo quando lui aveva scacciato Ate dall’Olimpo. Di sicuro, però, non aveva raggiunto simili vette di ansia.

Ben deciso a rendersi utile, quindi, si concentrò sull’aura del nipote, la cercò con tutta l’attenzione possibile e, nel farlo, chiese persino ad Ade e Poseidone il loro aiuto, ma nulla valse allo scopo. Alekos sembrava davvero scomparso nel nulla.

Sospirando nel riaprire gli occhi, Zeus scosse dolente il capo ed Eris, lasciandosi andare su una delle sedie di fronte alla scrivania del padre, esalò sconvolta: «Ma dove può essere?»

Il Padre degli dèi lanciò uno sguardo dubbioso alla figlia, prima di rivolgersi a Dioniso per domandare: «Tu cosa c’entri in tutta questa faccenda?»

«Alekos si trovava da me, fino a circa un’ora fa…» ammise il dio, vedendo il padre aggrottare la fronte per diretta conseguenza. «…ma, prima che tu ti infuri con me, ci tengo a precisare che è venuto di sua spontanea volontà, non su mia coercizione.»

«Mi stupisce soltanto che abbia voluto partecipare a una delle tue feste, tutto qui» sottolineò Zeus. «Sai se ha fatto uso di droghe di qualche genere?»

«Non gli ho fatto da balia, ma credo abbia solo bevuto qualcosa» asserì il dio. «Mi sembrava troppo impegnato a schivare ninfe vogliose, per essere riuscito a raggiungere l’angolo del mio tempio dove si fumava oppio.»

Un nervo palpitò sulla guancia di Zeus e Dioniso, ghignante, aggiunse: «Te le sei già fatte tutte, quelle ninfe, paparino… non essere geloso.»

Zeus fece per replicare, ma il pugno di Eris calò come una scure sulla scrivania del padre, spezzandola in due e facendo tremare di paura i due dèi impegnati in quella dubbia discussione.

«Vogliamo tornare a noi?!» sbraitò poi Eris.

Tossicchiando imbarazzato, Zeus ammise: «Se neppure le tue arpie riescono a trovarlo, io non ne avverto la presenza in alcun luogo terreno, e i tuoi zii non lo percepiscono nei loro regni, esiste un solo altro luogo in può trovarsi, e davvero non ho idea di come vi sia potuto giungere.»

«Cos’è questo luogo?» domandò ansiosa Eris.

«Non è esattamente un luogo. E’ un’entità» precisò torvo Zeus. «Si tratta di Chaos.»

Dioniso ed Eris sbatterono confusi le palpebre, non comprendendo appieno le parole del padre e quest’ultima, turbata, gli chiese: «Che intendi, per Chaos?»

«E’ l’essere primordiale per eccellenza, da cui tutto e tutti siamo nati… è l’unico altro luogo, a parte la Terra, raggiungibile da una divinità, se togli il piano astrale – ma lì non c’è, ho già controllato – e solo tre persone, finora, ne avevano avuto libero accesso.»

«Tre… persone?» esalò Dioniso, fissando una altrettanto confusa Eris.

Zeus assentì, asserendo torvo: «Si tratta di Cloto, Lachesi e Atropo.»

«Le… le Moire?» ansimò sconvolta Eris. «Ma perché loro…»

Zeus le sorrise mesto, replicando: «Da dove pensi arrivino i destini di tutti noi?»

Sia Dioniso che Eris rimasero ammutoliti, di fronte a quell’inaspettata realtà e Zeus, afferrato che ebbe uno dei libri della sua libreria, lo aprì sopra all’ormai distrutta scrivania, puntando a una pagina ben precisa.

Lì, indicò il disegno di una nuvola oscura e aggiunse: «Nessuno, a eccezione delle Moire, sa quale sia l’aspetto di Chaos, né se abbia realmente un aspetto, per questo ho parlato di ‘entità’. Loro, ovviamente, mantengono un religioso silenzio tanto su Chaos quanto sui fili che intessono, e quindi non si sa neppure quale sia il luogo in cui realmente egli – o ella – si trovi.»

Frustrata, Eris sbottò dicendo: «E’ chiaro che non si trova sulla Terra, a questo punto, visto che non riusciamo a sentire Alekos da nessuna parte, e tu sei certo che si trovi lì.»

«O questo, figlia, oppure è svaporato come l’aria, e non credo proprio sia successo questo» sottolineò Zeus, vedendola impallidire al solo pensiero. «Avete già avvisato Athena?»

«Non dovrà essere affatto avvisata» precisò Eris, lapidaria. «Non prima di aver trovato il modo di raggiungere Chaos per liberare Alekos.»

«Dubito che potrà accadere» sottolineò per contro Zeus. «Non appena Athena si desterà dal sonno notturno, si renderà subito conto della sparizione di Alekos, e impazzirà di dolore e paura.»

«Allora, tu dovrai aiutarla a non impazzire o, giuro su tutti gli dèi di tutti i pantheon che io troverò il modo di fartela pagare» sibilò Eris, assottigliando pericolosamente le palpebre.

Pur non apprezzando il tono di Eris, Zeus preferì non replicare quando percepì qualcosa di più profondo e davvero insolito, dietro quella minaccia terribile.

Eris stava soffrendo in maniera indicibile e avrebbe sacrificato ogni cosa, forse anche la sua stessa vita, pur di riportare indietro Alekos dal luogo in cui si trovava.

Non ne conosceva i motivi, ma era forse il gesto più determinato e altruistico che lui le avesse mai visto fare, e gli diede la misura di quanto la figlia fosse coinvolta.

Annuendo suo malgrado, quindi, Zeus disse: «Baderò io a lei… ma presta attenzione, figlia. Non è detto che le Moire vogliano parlare con te. Sei pronta ad accettare un rifiuto?»

Eris, allora, si aprì in un sorriso ferale, replicando: «Nessuno dice di no a Eris.»

«Io verrò con te» intervenne a quel punto Dioniso, sorprendendo sia Eris che Zeus.

«Tu non c’entri nulla, con questa storia» sottolineò Eris, già pronta ad andarsene.

Dioniso, però, la afferrò a un braccio e replicò: «Te l’ho già detto. Ti lasciai sola una volta, per paura, ma non lo rifarò una seconda. Dove vai tu, vado io.»

Eris assentì dopo alcuni istanti di tacita battaglia di sguardi con il fratello e Zeus, nell’annuire, dichiarò: «Io raggiungerò Athena, ma voi sbrigatevi. Non è detto che io arrivi in tempo per bloccarla e, quasi sicuramente, Érebos non tarderà a giungere alla mia stessa conclusione.»

I due figli assentirono, trasmutandosi in un breve battito di ciglia e Zeus, con un sospiro, schioccò le dita per cambiarsi d’abito, borbottando preoccupato: «Questo sì che è un guaio davvero grosso. Ma come diavolo ha fatto, Alekos, a trasmutare?»





N.d.A.: a quanto pare, le cose si sono pericolosamente aggravate e, quel che è peggio, Alekos pare essere finito nell'unico posto in cui nessuno si sarebbe aspettato potesse finire. 
Sarà possibile raggiungere Chaos, in ogni caso, o i nostri eroi verranno fermati dal "padrone di casa"? Inoltre, l'improbabile coppia Eris/Dioniso, riuscirà a combinare qualcosa di buono per salvare Alekos, o servirà anche l'intervento di qualcun altro? Un'ultima cosa... vi ricordo che nulla è come sembra...

 
  
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