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Autore: LilithMichaelis    22/02/2020    1 recensioni
Sherlock riportò l'attenzione al messaggio, e poco ci mancò che avesse un mancamento.
O forse lo ha avuto per davvero.
John non ricorda.
Venite in centrale.
Emergenza.
È Lestrade.
Non chiamare tuo fratello.
-Anderson

______________________________
In una giornata come tante altre, Sherlock e John sono chiamati a risolvere il mistero della scomparsa di Lestrade.
Ed è quando la paura di arrivare troppo tardi diventa insopportabile che parte la corsa contro il tempo.
{Mystrade/Johnlock - after season 4 - Spoiler!Allert - Introspettivo - Romantico - Drammatico - Trigger warning: menzione di morte, violenza, descrizione di atti violenti}
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Dopo aver indagato un po' e avuto conferma dalla centrale, Sherlock scoprì che l'uomo nella fotografia - Luke Lynch - era il fratello del poliziotto deceduto, Joey Lynch.

Mycroft aveva insistito affinchè Sherlock gli desse il permesso di contattare i suoi dell'MI6, ma il fratello glielo aveva categoricamente proibito. Sherlock aveva capito che suo fratello, in quel momento, non era in grado di prendere le decisioni migliori per la situazione. Sembrava quasi paradossale, ma lo stesso uomo in grado di governare la Gran Bretagna restando nell'ombra e che era cresciuto con l'idea che i sentimenti fossero un pericoloso svantaggio, proprio della parte perdente, non era capace di governare i suoi stessi istinti quando erano persone a lui care a essere in pericolo.
Ovviamente, Sherlock sapeva che, se avesse presentato tutto questo sermone al fratello, lui non l'abrebbe presa bene, perciò si affrettò a trovare una scusa plausibile, che lo convincesse a desistere.

«Credi di essere l'unico a voler catturare questo bastardo? No, fratello caro, c'è la fila. Lascia che ci lavori Scotland Yard»

Mycroft aveva fissato Sherlock negli occhi, lo sguardo indurito da anni e anni in cui aveva cercato di nascondere le sue emozioni da chiunque. Sherlock aveva sostenuto lo sguardo, consapevole di non poter fare altro per aiutare Mycroft.
Dal momento in cui Greg era diventato un pilastro stabile della vita di Mycroft, Sherlock aveva iniziato a notare delle piccole crepe nella facciata gelida del fratello. Pregò silenziosamente che Greg potesse tornare nelle loro vite il prima possibile, sia perchè Sherlock era consapevole che una persona come Lestrade non meritasse nulla di quel che gli stava succedendo, sia perchè era terrorizzato da cosa sarebbe successo al fratello se quest'assenza si fosse prolungata.
Se perdere Eurus aveva trasformato un ragazzino allegro e affettuoso nei confronti dei fratelli in un umo di pietra, di cui aver terrore... Cosa poteva succedere se Mycroft avesse perso anche Gregory?

Nonostante questi pensieri engativi, da quando Sherlock aveva avuto l'intuizione sui fratelli Lynch, la tensione nella stanza era decisamente diminuita.

John e Sherlock avevano ricominciato a giocare insieme con Rosie, che si godeva finalmente le attenzioni di quella che per lei era una vera e propria figura paterna. Mrs. Hudson era salita nell'appartamento a portare il the e aveva trovato Sherlock intento ad abbaiare ordini al telefono, girovagando per l'appartamento con la bambina in braccio, per scusarsi di quei due giorni di assenza e di freddezza. John le aveva spiegato cosa stava succedendo e la padrona di casa si era avviata verso le scale, non prima di aver lanciato un'occhiata al più grande degli Holmes e di aver sorriso dolcemente a John, come a dire "sapevamo che ce l'avrebbe fatta".
John guardò la padrona di casa mentre scendeva per le scale, pensando a quanto quella donna fosse unica e a quanto tutti e tre fossero fortunati ad averla nella propria vita: era una vera e propria figura materna, pronta a correggerli nei loro errori, a sostenerli e consolarli quando le cose andavano male e a spronarli a dare sempre il meglio di sè, ma che mai avrebbe lasciato che nulla la scoraggiasse dall'aver fiducia in loro. John desiderò avere solo la metà della forza che quella piccola donna era in grado di esercitare.

Quando si girò per osservare la situazione che si stava svolgendo in salotto, John si trovò a fissare lo sguardo su Mycroft. L'uomo sembrava aver perso una parte di quel peso che portava sulle spalle, come fosse ringiovanito di vent'anni. Sedeva a schiena dritta, mentre seguiva ogni azione del fratello. Aveva provato a rassettare un po' gli abiti, ma erano ancora pieni di pieghe.
Eppure, il suo portamento ricordava un po' di più quell'uomo così ligio e potente che John aveva conosciuto.

Per una frazione di secondo, John provò un impeto di gelosia nei confronti di Lestrade e Mycroft. Perchè Mycroft aveva ancora la speranza di poter riabbracciare Greg, mentre John doveva vivere con la consapevolezza di non poter più rivedere Mary? Perchè Sherlock si stava impegnando così tanto per suo fratello, quando Mary era morta lo stesso?

Ma fu solo un attimo: guardando il viso di Sherlock, John si ricordò di tutto ciò che il detective aveva fatto per guadagnarsi la sua fiducia, di come avesse rischiato di morire ben più di una volta solo per far sì che il soldato lo perdonasse. E John ricordò com'era Mary, come lo conosceva e come comprendeva il rapporto tra lui e Sherlock. Ogni volta che aveva creduto Sherlock morto, anche lui si era sentito morire. Perdere Mary era stato terribile e ne portava ancora i segni, ma il dolore non era neanche paragonabile all'aver visto Sherlock spegnersi. E Mary lo sapeva, per questo si era lanciata nella linea di fuoco.
Non era una lotta a chi amava di più, a chi avrebbe fatto di più per l'altro, quella che si svolgeva nelle loro vite. Era, piuttosto, una battaglia con il mondo esterno - "noi due contro il resto del mondo" aveva detto Sherlock - che i due avrebbero dovuto essere consapevoli di star combattendo.
Mary non era un danno collaterale dell'eccentricità di Sherlock. Piuttosto era la fine annunciata delle scelte che lei stessa aveva compiuto molto prima di conoscere entrambi.
John non avrebbe mai smesso di colpevolizzarsi, e neanche Sherlock, ma lavorando insieme potevano evitare che ciò accadesse a qualcun'altro che amavano.

John distolse lo sguardo dai due fratelli e guardò fuori dalla finestra, accorgendosi che fuori era ormai buio.  Rosie si era addormentata sul divano e John decise che era giunto il momento di portarla in camera.
Guardò sua figlia, rendendosi conto di quanto fosse cresciuta e di quanto, allo stesso tempo, fosse ancora una bambina. Vivere a stretto contatto con Sherlock portava chiunque a maturare in fretta, e Rosie aveva dimostrato la sua precocità in varie occasioni, ma era ancora piccola abbastanza da voler dormire accoccolata ai suoi genitori, da vedere il violino di Sherlock come un giocattolo e la musica che ne fuoriusciva come una magia. Faceva i capricci come tutti i bambini, ma allo stesso tempo reagiva al mondo che la circondava meglio della maggior parte degli adulti.
Era una bambina perfettamente normale, con una famiglia straordinaria alle spalle. Erano quelli i momenti in cui desiderava vederla crescere, per scoprire quale sarebbe stato il suo futuro.

Prese Rosie in braccio, attentoa non svegliarla, e si avvicinò a Sherlock, con una camminata ondeggiante, per cullarla. Il moro abbracciò entrambi delicatamente, posando un bacio delicato come il battito delle ali di una farfalla sulla fronte della bimba.
Dopo aver goduto di quel momento, Sherlock si rivolse al fratello, ancora seduto sulla poltrona di John, posandogli una mano sulla spalla.

«Dovresti andare a casa. Non avremo aggiornamenti fino a domani mattina...»

«Come posso dormire quando...»

«Mycroft, la mia famiglia merita una notte tranquilla e tu hai seriamente bisogno di una doccia. È il momento che tu vada a casa»

«... molto bene»

«Ti chiamo se ho qualunue tipo di notizia»

«Grazie, Sherlock. E Dr. Watson, grazie anche a te. Perdonatemi l'intrusione»

Jonh non sapeva come rispondere, perciò si limitò a fare un cenno col capo, prima di dirigersi nella cameretta di Rosie. Mycroft capì. Dopo aver recuperato l'ombrello del fratello, Sherlock accompagnò Mycroft al piano di sotto, dove i due parlottarono ancora per pochi minuti. John approfittò per sistemare un po' l'appartamento, togliendo i piatti sporchi lasciati in giro, i fogli pieni di appunti sparpagliati sul pavimento, le foto e gli articoli ammucchiati sulla scrivania.
John aveva iniziato a capire che lo stato dell'appartamento fisico replicava quello del palazzo mentale di Sherlock, perciò, ogni qualvolta si rendeva conto che il detective era sotto forte stress, lui si occupava di rimettere in ordine, silenziosamente.

Mentre rassettava, John si rese conto, per l'ennesima volta che Sherlock non aveva mangiato nè bevuto nulla per ore. Sapeva benissimo che il suo coinquilino si sarebbe rifiutato di ingerire qualsiasi cosa - "la digestione mi rallenta" affermava spesso, ma John era convinto che ci fosse qualcosa di più - ma sapeva anche di non poterlo lasciare a stomaco vuoto, così mise la teiera sul fornello, sperando che il the potesse ridurre gli effetti di un digiuno prolungato e disordinato.

Sherlock tornò nell'appartamento proprio mentre il bollitore dava il segnale che annunciava che il the era pronto.

«Ti ho preparato un the»

«Grazie John, ma non ho sete»

«Per favore?»

Sherlock tirò un sospiro, ma si sedette alla sua poltrona. John tornò in fretta con due tazze e prese posto di fronte a Sherlock.
Il dottore fece passare lunghi minuti di silenzio, prima di prendere la parola, per assicurarsi che il detective avesse il tempo di sciogliere i muscoli della schiena, di rilassare il collo e di buttare giù qualche sorso di the.
Quando parlò, John non era ancora sicuro che Sherlock fosse tranquillo, ma, sin dalla scomparsa di Greg, aveva iniziato a non sopportare troppo silenzio prolungato.

«Come stai?»

«Bene. Perchè non dovrei stare bene?»

In passato, John avrebbe provato a forzare Sherlock a parlare dei suoi sentimenti, ma questa volta era convinto che non sarebbe servito inquisire. Poteva vedere nei suoi occhi azzurri tutte le volte in cui aveva sentito di non aver fatto abbastanza, tutte le volte in cui qulcuno era morto perchè Sherlock aveva ignorato un dettaglio. Inoltre, stava lentamente diventando bravo a prendere coscienza di sè, specie dopo aver compreso che la sua memoria era stata corrotta.

«Avevo un'intuizione, John... Lo avevo capito e l'ho ignorato... Se non lo avessi fatto non avremmo perso tutto questo tempo...»

«Sherlock, hai fatto tutto il possibile. Diamine, hai fatto molto più di quanto chiunque di noi sarebbe riuscito a fare. Se siamo un passo più vicini a salvarlo è grazie a te. Smettila di autoflaggellarti, devi essere lucido per andare avanti, lo sai. Ora sei stanco. Vieni a dormire». John gli si avvicinò e gli tese una mano. Sherlock vi si aggrappò come ad un salvagente.

John condusse Sherlock nella sua camera da letto e chiuse la porta alle sue spalle. Sherlock lo guardò con fare interrogativo, quando gli si stese accanto, ma non protestò. Sapeva che gli incubi non lo avrebbero lasciato riposare, ma avere John accanto lo rilassava un po'.
Era da quando aveva scoperto di Eurus che non riposava bene. Il suo cervello cercava ancora di rigettare i ricordi che piano piano riaffioravano, in un ultimo tentativo di protezione, ma quando una diga del genere si rompe è impossibile ricostruirla. Inoltre, Sherlock era stanco di vivere di informazioni parziali, per cui aspettava il momento in cui avrebbe assimilato i ricordi e sarebbe potuto tornare alla sua vita di prima.
John sapeva dei suoi incubi e aveva capito quali fossero i suoi trigger, perciò gli proibiva di dormire da solo quando era sicuro che si sarebbero ripresentati, stendendoglisi accanto e abbracciandolo delicatamente. Sherlock aveva meno paura di dormire, ora.

I due si addormentarono senza una parola.

Ma la notte, per Sherlock Holmes, non era ancora conclusa.

***
Note dell'Autrice:
Questo è molto un capitolo di passaggio, perciò non credo sia necessario dilungarsi molto con i miei commenti. Lascio a voi tutto lo spazio.
Al prossimo capitolo!
Lilith
   
 
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