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Autore: Roberto Turati    24/02/2020    1 recensioni
Laura, Sam, Chloe e Jack sono quattro neo-laureati di Sidney che, dopo aver trovato un libro segreto firmato Charles Darwin che parla di ARK, un'isola preistorica abitata da creature ritenute estinte da milioni di anni, da un intrigante popolo, protetta da una barriera che altera lo spazio-tempo e che nasconde un "Tesoro" eccezionalmente importante, decidono di scoprire di più... andando su ARK. Ma le minacce sono tante, siccome l'arcipelago arkiano non è certo il più accogliente dei posti... però, per loro fortuna, non saranno soli nell'impresa. Fra creature preistoriche, mostri surreali, nemici che tenteranno di fermarli o di ucciderli per diversi motivi, rovine antiche, incontri da ogni luogo, da ogni epoca e da altri universi e gli indizi sul misterioso passato dimenticato di ARK, riusciranno a venire a capo di un luogo tanto surreale?
 
ATTENZIONE: oggi, il 30/06/2021, è iniziato un rifacimento radicale della storia usando l'esperienza che ho fatto con gli anni e la nuova mappa di ARK usata per l'isola del mio AU. Il contenuto della storia sta per cambiare in modo notevole.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Phil e Allan speravano che a Vicky bastasse intervistare gli abitanti del villaggio chiedendo le piccolezze più superflue, dalle loro abitudini alimentari all’età a cui cominciavano a lavare i panni da soli, roba imbarazzante che solo il più squallido giornalista di qualche rivista scandalistica di paesino sarebbe mai stato capace di chiedere. Per il cameraman era quasi una vergogna dover registrare le facce confuse e imbarazzate degli Arkiani che interpellavano, specialmente perché Vicky li “forzava” a risponderle o insistendo, o addirittura rispondendosi da sola. Però, tutto sommato, non era che stessero rischiando la vita, come gli fece notare Phil. Fu così fino al momento in cui Vicky origliò una conversazione (malauguratamente nella loro lingua) tra un cacciatore e una naufraga americana riguardante uno spinosauro avvistato in un lago collegato a quello del villaggio dal fiume. La presentatrice, ricordandosi che non avevano ancora fatto un servizio sugli spinosauri, scattò subito sull’attenti e andò a chiedere. L’Americana, alla vista delle telecamere, sembrò avere un mancamento:

«Giornalisti?! Quindi quest’isola è stata scoperta?» chiese, spiritata, confondendo il cacciatore.

«No, veramente siamo solo documentaristi: siamo capitati qui da Machu Picchu… non ci chieda come sia mai possibile, perché non ci abbiamo capito un accidente» rispose Allan.

La sconosciuta, sentendo una storia così paradossale, credé che la stessero prendendo in giro e sospirò, con uno sguardo depresso: aveva sperato per un attimo che la barriera fosse sparita e che la civiltà fosse venuta a conoscenza di tutto, che avesse finalmente la possibilità di tornare a casa, dalla sua famiglia… invece no: erano solo dei dispersi come lei, che credevano di avere un modo per tornare per far vedere a tutti le loro riprese, impazziti al punto da dire scemenze. Era un vero peccato che non avesse creduto al portale nelle rovine… comunque, il cacciatore arkiano rispose a Vicky che, da qualche giorno, uno spinosauro era venuto a vivere nel lago vicino al villaggio, quindi tutti stavano denunciando il fatto al capovillaggio: Yasnet, l’indomani, avrebbe indetto un’assemblea pubblica per chiedere alla tribù se volevano che l’esemplare fosse ucciso, che venisse allontanato o se erano disposti ad aspettare che se ne andasse da solo. Vicky chiese come andarci e il cacciatore, pur sconsigliandole di avvicinarsi, le spiegò che non doveva fare altro che seguire il fiume che usciva dalla palizzata del villaggio, a Sud. Lei, con un ampio sorriso, lo ringraziò e si voltò per fissare i due colleghi, che ora avevano uno sguardo a metà tra l’infuriato e il disperato.

«Che c’è? Lo spinosauro è l’icona di Jurassic Park 3: fare un servizio su un esemplare vero ci frutterebbe come minimo centinaia di migliaia di visualizzazioni!»

«Peccato che il terzo film sia il peggiore della trilogia» ribatté Allan.

«Perché, non consideri i Jurassic World?» chiese Phil.

«No, mi rifiuto»

«Ti preoccupa più questo che farti divorare?»

«Su, forza! Muovetevi, ragazzi!» esortò Vicky, entusiasta.

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Phil e Allan erano fermamente convinti di star commettendo una stupidaggine. Per questo si mantennero ad almeno dieci passi di distanza da lei, mentre seguivano il fiume: almeno così, se fosse stata mangiata, loro due sarebbero stati abbastanza lontani per scappare. Il fiume li condusse in un boschetto, ad un paio di kilometri dal villaggio delle Frecce Dorate. Nonostante avesse un’aria da foresta incantata, ai due faceva una paura incredibile tornare negli spazi selvaggi, dopo la sicurezza di un centro abitato. Erano ancora in tempo per far cambiare idea a Vicky, ma lei fu irremovibile: sembrava davvero decisa ad andare incontro alla morte. Dopo un’ora, finalmente, arrivarono al lago. Era un posto placidissimo, in apparenza sicuro e ospitale. Ma loro sapevano bene che in quelle acque si aggirava qualcosa di enorme e zannuto. Phil si guardò un attimo attorno, teso come una corda di violino, e fece un maldestro tentativo di andarsene:

«Dunque… il lago c’è, ma lo spinosauro no: tutta una bufala. Torniamo indietro!»

«Eh, no! Ora facciamo il nostro lavoro e… aspettiamo» lo fermò Vicky.

«Come? Dove?»

«Non so, ci sarà un punto nascosto… ecco! Lassù!»

La bionda indicò un crinale di fango sulla sponda a Est dello specchio d’acqua, la cui cima era coperta di fitti cespugli. Dunque, tenendo gli occhi e le orecchie aperte, ne raggiunsero la sommità facendo il giro largo, si nascosero meglio che poterono in mezzo alle foglie e gli steli e prepararono l’attrezzatura. Stare accucciati lì non era il massimo della comodità, ma loro non avevano di che lamentarsi: nel loro lavoro, l’avevano già fatto innumerevoli volte, per filmare da lontano mandrie di gnu, tigri, aquile e quant’altro. Sapevano pazientare. E così trascorsero le due ore successive in silenzio e immobili, in attesa che succedesse qualcosa. Ormai le loro gambe erano tutte un formicolio e Phil aveva un disperato bisogno di andare in bagno. Ad un certo punto, però, accadde finalmente qualcosa… ma non era quello per cui erano venuti. Alla riva del lago giunse, circospetto, un procoptodonte, un grosso canguro preistorico.

«Ehi, guardate quello…» mormorò Allan.

«Oh, che emozione! Una forma primitiva di canguro! State filmando, vero?»

«Sì»

«A quanto pare non ha percepito lo spinosauro… o forse lo farà presto, se avrà fortuna»

Il procoptodonte, appena emerso dal fronte boscoso, si guardò in giro un paio di secondi. Poi raggiunse la riva in tre salti e si mise a quattro zampe, abbassando il muso per bere. Poco dopo, alle sue spalle, apparve un gruppetto di compsognati, che iniziarono a fissare il marsupiale mentre saltellavano e si scambiavano dei versi allegri. Sembrava che stessero aspettando qualcosa.

«Eh, lo sospettavo… ci siamo!» sussurrò Vicky, emozionata.

«Come, scusa?»

«Quei compsognati sono lì perché sanno»

«Sanno cosa?»

«Il pranzo è servito»

La superficie dell’acqua a pochi metri di distanza dal canguro ribollì e, all’improvviso, si levò un enorme schizzo che sommerse il marsupiale. Confuso e disorientato dalla schiuma, il marsupiale si scosse e si guardò intorno invece di saltare via all’istante e fuggire veloce come il vento. Fu un errore: lo spinosauro saltò agilmente fuori dall’acqua e lo ghermì tra le fauci, schiacchiadogli le ossa con una presa d’acciaio. Il canguro preistorico emise un gemito rauco, prima di morire. Allan fece un rapido segno della croce per il procoptodonte. Lo spinosauro cominciò a rigirarsi la preda in bocca per farla a pezzi prima di ingoiare i bocconi. Alcuni lembi di carne caddero per terra e i compsognati ne approfittarono per accorrere e ripulire gli avanzi. Vicky, sforzandosi di sussurrare per non farsi sentire dalle creature, eseguiva il commentario della scena e paragonava i compsognati agli avvoltoi che si gettavano sui resti delle prede di un leone. Ma Phil, mentre regolava la messa a fuoco della telecamera, si sentì come osservato… si girò e impallidì alla vista di un secondo gruppo di compsognati che, silenziosi e furtivi, erano sgattaiolati dietro di loro e li stavano fissando con aria incuriosita e giocosa; erano a pochissimi passi.

«Argh!» sobbalzò.

«Cosa... ah!» esclamarono Allan e Vicky.

Colti alla sprovvista da quelle visite inaspettate, scattarono in piedi e indietreggiarono. Purtroppo, quest’impulso costò loro caro: Vicky mise un piede in fallo oltre il bordo del crinale e, con un grido di terrore, rotolò malamente fino in fondo.

«Vicky!»

Pochi secondi dopo, anche loro precipitarono giù dal pendio, costretti a indietreggiare dai compsognati che iniziarono a mordicchiare le loro gambe e a saltargli addosso. Per loro fortuna, non era né troppo alto, né troppo ripido: non si fecero tanto male, a parte lividi e ammaccature, e la loro attrezzatura non andò in pezzi. Allan, imprecando e urlando, iniziò a girare in cerchio e a “danzare” cercando di tenere a freno un compsognato che gli era saltato in faccia. La scena era piuttosto ridicola: sembrava un papà che cercava goffamente di far dormire un bambino (o farlo vomitare) facendo delle giravolte da ballerino, solo che al posto del bambino c’era un piccolo dinosauro che voleva strappargli la faccia a graffi e morsi.

«Buttalo, idiota!» esclamò Phil, sforzandosi di non ridere.

«Ci provo, ma non ci riesco! Merda!»

Il compi gli morse il naso e lui, finalmente, lo lasciò cadere dal dolore. In uno scatto di rabbia, gli tirò una pedata e lo scaraventò lontano, ai piedi dello spinosauro… che li stava fissando perplesso. Per il panico, non si erano accorti di aver gettato la loro copertura alle ortiche e, adesso, stavano fermi come statue e pallidi come stracci a fissare il teropode acquatico. Aveva finito il procoptodonte, ma a quanto pareva non era ancora sazio, visto che cominciò ad avvicinarsi ai tre con uno sguardo spaventosamente interessato. Avrebbero potuto correre via ai lati, ma avevano troppa paura per muovere le gambe, quindi rimasero semplicemente fermi con le spalle al muro.

«Vicky, se ci versiamo della pipì di anchilosauro addosso smettiamo di piacergli?» chiese Phil.

«Non lo so…» balbettò lei, terrorizzata.

Lo spinosauro li aveva quasi raggiunti, quando sentì un odore estraneo e un ruggito alle sue spalle. Lui si voltò, i tre documentaristi si sporsero di lato per guardare oltre la sua enorme sagoma e videro un tirannosauro. Era venuto al laghetto per bere, ma quando aveva visto lo spinosauro non aveva potuto fare a meno di lanciare un verso minaccioso. Lo spinosauro raccolse la sfida e ruggì in risposta, quindi corse a pararglisi di fronte per difendere il territorio.

«Correre!» esclanmò Vicky.

I suoi colleghi non se lo fecero ripetere due volte, recuperarono l’attrezzatura da terra e si precipitarono insieme a lei nella direzione da cui erano venuti. Corsero come lepri inseguite dai segugi, senza rallentare né guardarsi indietro, finché la macchia finì e tornarono nella prateria. A quel punto, paonazzi per la paura e la fatica, si fermarono e cercarono di riprendersi dalla corsa pazza e dalla scarica di emozioni. Guardando il suo orologio digitale per curiosità, Phil scoprì con meraviglia che avevano corso per un quarto d’ora di fila, praticamente un miracolo per la loro media. Gli venne quasi voglia di iscriversi alla maratona di New York, una volta finite le riprese su ARK.

«Fiuuuuu, ci è mancato poco… Vicky, uno di quei due bestioni non ci seguirà, vero?» chiese Allan, asciugandosi il sudore con la manica della camicia.

Vicky sollevò la mano e gli fece segno di stare tranquillo:

«No, lo escludo: questi predatori all’apice della catena alimentare sono molto territoriali e testardi quando si affrontano. In pratica, niente li distrarrà l’uno dall’altro»

Tuttavia, dopo due minuti di pausa per riprendersi, sentirono dei passi pesanti che scossero la terra e le cime degli alberi tremarono. Dalla boscaglia, guidato dal suo olfatto, riapparve il tirannosauro. Appena li vide, schiuse la bocca e li guardò negli occhi sbavando.

«Oh-oh…» mormorò Vicky.

«Prima il secchio di piscio, ora i bestioni testardi… stai facendo un po’ troppe falle, ultimamente!» protestò Phil.

«Non posso farci niente! Sono creature estinte, posso fare solo proiezioni e…» iniziò a replicare lei.

«Correte, non parlate!» gridò Allan, che era già ripartito a razzo.

I tre si rimisero a correre e il tirannosauro partì all’inseguimento. In pochi secondi, fu così vicino che iniziarono a sentire il suo fiato sulle spalle. Quando ruggiva, spruzzava saliva caldissima sulle loro schiene e le loro gambe si mettevano a muoversi ancora più veloce.

«Sparpagliatevi, lo confonderà! È incapace di concentrarsi su tre prede distinte!» esortò Vicky.

«Ah, quindi uno di noi è il capretto sacrificale?» si indignò Allan.

«Una sorta!»

«Ti odio, Vicky!»

All’improvviso, il ruggito del tirannosauro si fece mostruosamente vicino e Vicky sentì una stretta sul suo zaino. Il sangue le si gelò nelle vene, quando si ritrovò a sei metri da terra di punto in bianco. Vide i suoi colleghi, rimasti a terra, che si fermarono giusto un attimo per guardarla a occhi sbarrati, per poi riprendere a correre. Il tirannosauro l’aveva afferrata per lo zaino e cominciò a scuoterla freneticamente, credendo di star strappando i pezzi di carne. Cercando di resistere alla nausea e di concentrarsi, Vicky riuscì a sfilare le braccia dalle bretelle e si schiantò al suolo, pestando la faccia. Ci vide doppio per dei secondi che le sembrarono ore, poi si girò sulla schiena e vide il dinosauro buttare via lo zaino, accortosi dell’errore. La fissò con la bocca spalancata e gocciolante per un po’, quindi fece per abbattere le fauci su di lei e divorarla. Ma ecco che, d’un tratto, qualcosa di velocissimo gli volò in bocca e gli infilzò la lingua: una freccia. Il tirannosauro si irrigidì, sbarrò gli occhi… e stramazzò a terra. Morto.

“Cosa?” pensò Vicky.

«Cosa?» sobbalzarono Phil e Allan, da lontano.

Poco dopo, quando la raggiunsero, videro un’ombra che planava verso di loro dal cielo, offuscata dal bagliore del Sole, e sentirono una voce familiare che li chiamava:

«Non temete, la vostra prode guida è venuta a soccorrervi!»

«Ma quello è Mike?» chiese Phil, riconoscendolo.

«Che diamine sta cavalcando?» domandò Allan.

«Non capisco… sembra un ungulato, ma provvisto di ali membranose e… oddio!» sobbalzò Vicky.

Subito dopo, davanti a loro atterrò un mostro che non avrebbero mai immaginato… era un essere simile ad un centauro, ricoperto da scaglie color smeraldo. La schiena era irta di punte e sulla coda, sottile e rigida, c’erano due aculei, così come sulle articolazioni degli arti. Aveva due ali da pipistrello sulle scapole, le cora da stambecco e una poderosa mandibola d’osso. Le dita delle zampe posteriori sembravano quelle di un dinosauro, quelle delle mani sembravano i polpastrelli di una rana. Indossava una rudimentale armatura fatta di ossa e usava arco e frecce. Sul suo dorso, adagiato tra gli spuntoni, c’era Mike, che li fissava con sguardo fiero, mentre la creatura si guardava in giro un po’ confusa. Doris era in stand by sulla testa di Mike.

«Piacere di rivedervi! Sono contento di aver fatto giusto in tempo, col mio fedele lacchè! Lui e Girodue saranno un’ottima scorta…» disse l’uomo con la bombetta, altezzoso.

«Ma cosa… che diamine è quella cosa?» chiesero i documentaristi, increduli.

«Lui? Vi presento la mia nuova guardia del corpo Crar, nobile guerriero e arciere infallibile della tribù dei Medentìn! In seguito agli enormi progressi che io e Doris abbiamo garantito alla loro specie con le nostre conoscenze, sono usciti dalla barbarie e hanno iniziato un processo di conquista e industrializzazione della loro patria! Hanno infatti scoperto, grazie a DOR-15, di avere la saliva velenosa e sono passati da vittime a conquistatori!» raccontò Mike.

«Gruar-gruar!» salutò Crar.

«E dove… dove l’hai trovato? Su quest’isola ci sono anche specie mai conosciute nel resto del mondo?!» Vicky era meravigliata.

«Uh…»

Mike stava per raccontare della sfera e della scoperta del viaggio interdimensionale, ma poi si ricredé: in un lampo di paranoia e sfiducia, ebbe paura che gli rubassero il segreto e lo facessero loro. No, meglio tenere per lui quel prezioso dettaglio: il documentario sarebbe andato avanti con una piccola bugia, poi al momento adatto avrebbe rivelato di Crar a tutto il mondo e sarebbe diventato ancora più popolare.

«Esatto! Lui è di qui, e ora la sua gente non sarà più vittima dei dinosauri, visto che sanno di essere letali armi velenose viventi!»

«Ma non conquisteranno anche noi, vero?» chiese Phil.

«No! Sono pacifici… o lo erano… comunque, ora siete ancora più al sicuro: io, Doris, Girodue e Crar vi terremo perfettamente al sicuro mentre filmate tutto per il mondo!»

Quindi, dopo aver concesso loro una mezz’ora abbondante per superare lo stupore, Mike suggerì di tornare al villaggio per un riposo e per prendere Girodue, dopodiché si sarebbero rimessi in viaggio. La "terrificante" minaccia di Mike Yagoobian stava per incombere di nuovo.

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Gnul-Iat si sforzò di resistere, di non soffocare e aggrapparsi a qualcosa mentre rotolava nella neve. A dargli la carica per continuare a provarci era l’ira funesta che quei quattro stranieri gli avevano fatto ribollire dentro per averlo fatto fallire nell’impresa… di nuovo. Lui voleva solo tagliare una volta per tutte col dolore del passato uccidendone il simbolo, Acceber… ma no, loro avevano voluto intervenire. Li avrebbe puniti, a tempo debito. La sua lotta per la sopravvivenza durò poco: ad un certo punto, sbatté la testa contro qualcosa e svenne. Da quel momento, per un’infinità, il mondo intorno a lui fu composto da buio e rabbia che riempiva l’oscurità. Ogni tanto, però, gli pareva di sentire una voce. Dapprima, credé che fosse sua madre e fu arso dal desiderio di correre ad abbracciarla, dovunque fosse. Riflettendoci bene, però, capì che non poteva essere lei: aveva un tono diverso. La sentì un paio di volte; alla terza, finalmente, riuscì ad aprire gli occhi.

«Oh, grazie agli spiriti sei vivo!» disse la voce.

Le immagini rimasero sfocate per alcuni secondi. Poi, quando si rese conto di essere in una casa, si prese un colpo e scattò sull’attenti. Era sdraiato su un letto dalle coperte in pelliccia di mammut. Si mise seduto e guardò bene la stanza: era una piccola baita monolocale in pietra e legno, con il camino acceso. Accorgendosi che era accanto alla finestra, si sporse e vide di essere ancora sul Dente Ghiacciato, però era notte fonda. Era rimasto addormentato per parecchie ore, prima che lo soccorressero, il che poteva dire solo che la preda aveva avuto tutto il tempo di fuggire e farsi più guardinga per la seconda volta.

“Maledizione…” pensò.

Guardò la persona che l’aveva salvato, chiaramente ignorando di chi si trattasse: era una donna dei Lupi Bianchi vicina alla mezza età, con un abito in pelle di metaorso. Stava seduta ad uno sgabello accanto al focolare per tenere d’occhio qualcosa che bolliva in una pentola di pietra. Quando alzò lo sguardo e lo vide seduto, gli rivolse un caldo sorriso. Gnul-Iat si guardò il polso e tirò un sospiro di sollievo: portandolo lì, non l’aveva spogliato, quindi non si era accorta che non aveva l’Innesto della Maturità e non l’aveva riconosciuto. Raccogliendo un attimo i pensieri, si andò a tastare la testa in preda al panico e si sentì morire dentro: aveva perso la bandana.

«Cerchi questa?» chiese la sua salvatrice, mostrandogliela.

«Ridammela subito! Era di mia madre!» esclamò lui, terrorizzato.

«Certo, certo, non ti scaldare! Ma ti capisco: sarei agitata anch’io, se fossi appena scampata ad una valanga»

Gliela lanciò e Gnul la afferrò al volo. Mentre se la legava alla testa, cominciò a guardare in giro per vedere se c’erano oggetti con cui avrebbe potuto ucciderla senza darle la possibilità di ribellarsi.

«Come ti chiami, ragazzo?» domandò la signora.

«Ehm…»

Rimase in silenzio per parecchio, in cerca di un nome da inventarsi. Siccome ci metteva così tanto, la donna si convinse che se lo fosse dimenticato e lo rassicurò raccontandogli che era successo anche a lei una volta, battendo la testa. Gnul colse la palla al balzo:

«Già, non ricordo niente, mi dispiace»

«Be’, passerà, non ti preoccupare. Vuoi lo stufato? È importante stare caldi!»

«No, non serve: me ne vado subito»

«Su, su! Non dai certo fastidio! Oh, ci vorrebbe altra legna…»

Si alzò e andò ad un angolo dove c’era una pila di tronchi, voltandogli le spalle. A quel punto, si accorse di un coltello per tagliare la verdura riposto sul tavolo al centro della stanza: era la sua occasione. Silenzioso come un troodonte, si alzò dal letto e prese la lama. Se la nascose dietro la schiena, camminò lentamente verso la sua soccorritrice e attese che si voltasse. Ritrovandoselo davanti, lei sobbalzò:

«Oh! Mi hai spaventata! Ti serve qualcosa?»

Fu un attimo. Veloce come un fulmine, Gnul-Iat scattò in avanti e le affondò il coltello nella gola. La donna gorgogliò e sbarrò gli occhi, un getto di sangue schizzò fuori dalla sua bocca e il respiro le si smorzò. Cadde in ginocchio e Gnul sfilò la lama, inzuppandosi la pelliccia di sangue.

«No» rispose lui, con tono fermo e secco.

Lei si accasciò sul pavimento, dove esalò il suo ultimo respiro. Quando fu certo che fosse andata, Gnul procedé a strapparle l’innesto e se lo mise in tasca. Fatto questo, osservò la stanza ancora una volta, zitto e immobile come una statua… e cominciò a rovesciare e rompere tutto, urlando. Sfogò tutta la rabbia cocente che covava per il fallimento. Ci era così vicino... e aveva fallito lo stesso. Non riusciva a perdonarselo. Aveva pure perso Sotark… di quello gli importava molto meno, ma gli faceva comunque rabbia. Buttava giù i mobili a calci, prendeva oggetti in ceramica e li frantumava contro i muri, prese un legno bruciato dal camino e lo usò per incendiare tutto. Quando il fumo rese l’aria irrespirabile, uscì e guardò ipnotizzato la casa che andava a fuoco, ignorando il contrasto tra le vampate bollenti e il freddo gelido del nevaio intorno a lui. Finalmente, riuscì a calmarsi. A quel punto, prendendo un bastone e accendendolo per fare una torcia, cominciò a scendere lungo il pendio per raggiungere la costa, dove lo attendeva l’argentavis di emergenza che l’avrebbe riportato sull’isola principale dell’arcipelago. Doveva essere rapido a pianificare il prossimo passo, ormai quella storia si stava dilungando fin troppo. Acceber sarebbe morta. Doveva morire, o il tormento non l’avrebbe mai abbandonato.

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ANGOLO AUTORE

Un sincero ringraziamento a Rickypedia04, che ha disegnato la fanart dello scontro tra il tirannosauro e lo spinosauro che avete visto in questa parte. 

   
 
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