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Autore: Layla    25/02/2020    0 recensioni
Questa fiction inizia alla fine dell'ultimo capitolo pubblicato del manga.
Cosa è successo a Nana? Come mai se ne è andata?
Come ha raggiunto Londra.
E Hachi? Hachi cerca di vivere la sua vita senza di lei, imprigionata nella sua vita di casalinga con due figlie, ma innamorata di un altro uomo. Il suo scopo è trovare Nana.
Quando troverà Nana troverà il coraggio di cambiare la sua vita?
Shin, da parte sua, troverà finalmente l'amore in qualcuno di inaspettato...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nana Komatsui, Nana Osaki, Nobuo Terashima, Reira Serizawa
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo terzo

 
Nana, le nostre convinzioni sono fatte di cristallo,
basta un niente per sbriciolarle.
Le nostre percezioni sono invece gli specchi del
luna-park, distorte da come le idee filtrano i pensieri.
Avrei voluto capirlo prima.

 

Quel giorno arrivai a casa trafelata, il cuore mi batteva in modo irregolare, nella mia testa c’era la guerra e Sacchan scalciava come una matta.
Corsi subito in cucina e misi via le cose, ma le mani mi tremarono, mi lasciai sfuggire una confezione da sei di uova che caddero sul pavimento con un tonfo sordo.
Ora per terra c’era della carta che sanguinava tuorli e albumi, solo un uovo era rimasto intero, lo raccolsi e me lo rigirai tra le dita.
Miu fu la prima ad accorrere, senza dire niente recuperò il necessario per pulire e sistemò il casino che avevo combinato, io invece guardavo quell’uovo e ripensavo ad altre cose cadute.
Per un attimo per terra avevo visto i cocci dei bicchieri con le fragole che avevamo nell’appartamento 707, era stato dopo che Takumi mi aveva costretta a fare sesso con lui e Nana era scappata via.
Era stata la prima crepa nel nostro rapporto, anzi un ferita che non si era mai sanata, avevamo ripreso a frequentarci, ma sapevo che per Nana l’aver scelto mio marito equivaleva ad averla abbandonata.
Nana viveva nella costante paura di essere abbandonata dalle persone che amava per colpa della madre, che l’aveva lasciata dalla nonna per sparire nella neve e nel buio oscuro di un rapporto troncato senza pietà. La stessa donna che ora la voleva rivedere, dopo diciassette anni di vuoto assoluto in cui le aveva dato una sorella senza la possibilità di saperlo.
Miu mi tolse di mano l’uovo e tornai in me, lo mise nel frigo e mi guardò.
“Nana, cosa è successo?”
“Ho bisogno di parlare con Yasu.”
Dissi decisa, tra i Blast era quello che conosceva meglio Nana e sapeva sempre quale fosse la cosa giusta da fare.
“Yasu non c’è, è andato via con Nana per parlare con la Shikai Corporation e la Gaia Records.”
“Merda! Sacchan, smettila di scalciare. La mamma ha bisogno di pensare.”
“Siediti.”
Miu mi prese per un braccio dolcemente, ma con una certa autorità e mi condusse nella sala comune, ci avvicinammo e mi guardò.
“È successo qualcosa?”
“Sì, qualcosa di importante. Volevo parlarne a Yasu per avere un consiglio, ma…”
“Riguarda Nana?”
“Sì, come fai a saperlo?”
“Le uniche persone per cui ti agiti a quel modo sono Nana e Nobu.”
Io abbassai gli occhi: era vero, per mio marito non andavo mai fuori di testa.
“Chiamami Nobu e Shin, magari riusciamo a decidere qualcosa anche solo noi quattro.”
Lei annuì ed uscì dalla stanza, mi sdraiai e dopo qualche minuto mia figlia smise di scalciare.
Tutto questo stress non le faceva bene, ma preferivo rimanere qui tra le persone a cui volevo bene che sola nella mia casa di Shirogane visto che Takumi era da Reira in pianta stabile.
“Hachi, che succede?”
Shin fu il primo ad entrare, si inginocchiò e mi prese per mano, Nobu rimase in piedi per qualche secondo, sibilò un “fanculo!” e si inginocchiò a sua volta.
“Io sto bene, ma vi devo parlare di una cosa che riguarda Nana.”
Aiutata da Nobu mi misi a sedere, lui si accomodò accanto a me, tenendomi per mano, visto che era libero ora non tratteneva i suoi piccoli gesti d’affetto. Shin e Miu si sedettero sulle due poltrone davanti a noi.
Presi fiato.
“Quando sono uscita dal supermercato ho trovato Kurada ad aspettarmi.”
“Quel bastardo!”
Nobu fece per alzarsi, ma io lo trattenni stringendogli la mano.
“Siamo andati in un bar e mi ha detto che Search ha in mano uno scoop su Nana: Misuzu Uehara vuole parlare con lei.”
“Come l’hanno scoperto?”
Shin tendeva a rimanere freddo per poter riflettere meglio.
“Poco prima della morte di Ren Misato è scappata di casa, è venuta a Tokyo. A quanto pare Shion, un’amica di Yasu, l’ha ritrovata e ospitata per un paio di giorni o qualcosa del genere.”
“Sì, è vero. Io c’ero quando Shion ha chiamato per dire che aveva trovato Misato, Yasu ha lasciato tutto nelle sue mani ed è finita bene, no?
La sorella di Nana è tornata a casa.”
Io annuii.
“Sì, ma a quanto pare c’era qualcuno che seguiva Shion o Yasu. Hanno sentito Shion che diceva che Misuzu voleva rivedere Nana.”
Sulla sala calò il silenzio.
“Dopo tutto questo tempo?”
Il tono di Nobu era flebile.
“A quanto pare. Dobbiamo dirlo a Nana, leggerlo sui giornali ora potrebbe compromettere la sua guarigione.”
Miu e Nobu annuirono, Shin guardava lontano.
“Non lo so. Quando hanno pubblicato l’articolo su Misuzu e Misato non ha reagito male come ci aspettavamo, sembrava non gliene fregasse niente.”
“Sembrava, Shin. Magari ha voluto recitare la parte della donna forte, a lei non piace mostrarsi debole e poi era una situazione diversa.”
“Sì, hai ragione. Dobbiamo dirglielo.”
Disse piano il bassista e rimanemmo tutti qualche secondo in silenzio.
Ognuno si lambiccava a cercare le parole giuste e la situazione ideale, ma erano sforzi inutili, alla fine di quei secondi si levò la voce di Nana.
“Dirmi che cosa?”
Sobbalzammo tutti, lei era entrata nella stanza seguita da Yasu.
Qualcosa nell’espressione del batterista mi fece capire che lui aveva intuito che stava per succedere qualcosa di spiacevole. A chi toccava dirglielo?
A me.
Io ero stata quella a cui Kurada aveva affidato il messaggio e che si era detta che con la maternità avrebbe dovuto diventare forte. Non potevo essere la solita ragazza egoista e svagata con una creatura in grembo.
Deglutii.
“Nana, siediti, per favore.”
Lei mi ubbidii guardandomi leggermente perplessa dal mio tono autoritario.
“Cosa succede, Hachi?
È tornato Takumi? Sacchan non sta bene?”
Io scossi la testa.
“Nana, c’è una cosa che devi sapere.
Presto i giornali pubblicheranno un articolo che ti riguarda, quindi cerca di sfruttare questa attenzione mediatica come meglio credi.”
Che bell’inizio di merda!
“Cosa diranno?”
Deglutii di nuovo, non c’era modo di indorare una pillola del genere e se c’era io non lo conoscevo.
“Nana, tua madre… Tua madre vuole vederti.”
I suoi occhi andarono fuori fuoco per un attimo, sembro impallidire e per una frazione di secondo sembro ripiegarsi su sé stessa, come un pugile dopo un attacco andato a segno.
Poi tornò la solita Nana, con la sua maschera di indifferenza.
“Vuole vedermi ora, come mai?”
“Non ne ho la più pallida idea. Forse il fatto che Misato sia scappata di casa l’ha scossa e le ha fatto decidere di provare a ricucire i rapporti con te.”
Lei scoppiò in una risata priva di allegria.
“Dopo diciassette anni?
Non ho più bisogno di lei ora, avevo bisogno di lei da bambina o quando la nonna è morta, ma ora?”
Scosse la testa.
“Ora lei non mi serve più, me la so cavare da sola.
Io devo dirvi una cosa piuttosto.”
Prese fiato e fissò Nobu e Shin negli occhi con un’intensità quasi spaventosa.
“I capi ci hanno dato una sola possibilità per evitare di essere cacciati fuori a calci in culo: un concerto live come agli inizi. Ci comunicheranno nei prossimi giorni la data, quindi dobbiamo provare.
Ve la sentite?”
“Certo, Nana, ma…”
“Ma cosa, Nobu?”
“Sei sicura che vada tutto bene?”
“Certo. Non ho nessuna intenzione di incontrare quella donna.”
Sorrise o almeno ci provò dato che le riuscì solo una mezza smorfia.
“Vado in camera mia a riposare, queste riunioni mi stancano. Ci vediamo a pranzo.”
Lasciò la stanza a passo di marcia.
Ci guardammo tutti negli occhi, Nana stava male e ancora una volta ci aveva tagliati fuori dal suo dolore.

 

Se non affronti il passato esso tornerà a morderti ogni volta
che abbasserai la guardia.
Imparerò mai questa lezione, Hachi?

 

E così dopo diciassette anni il momento che più avevo desiderato durante la mia infanzia e adolescenza era arrivato: mia madre mi stava dando attenzione.
Mia madre voleva vedermi, parlarmi, magari spiegarmi perché in un gelido giorno d’inverno mi aveva lasciata alla porta della madre che detestava, reiterando un circolo vizioso di rabbia e odio.
Avevo voluto bene alla nonna, ma lo avevo capito solo quando era morta, quando era viva non la sopportavo per il suo essere così severa, la consideravo una vecchia terribile.
Raggiunsi la mia camera e mi buttai sul letto, i ricordi ruotavano nella mia testa insieme alla neve: qualche sbiadito ricordo di me e mia madre, l’abbandono, la nonna, il suo funerale, la neve onnipresente in quella piccola città.
Sembrava che ogni volta che raggiungessi delle certezze un dio maligno decidesse di sradicarle, ma questa volta non avrei ceduto.
No, questa volta non mi sarei fatta toccare dagli eventi.
Mia madre voleva vedermi, io no e non l’avrei fatto, mi sarei concentrata solo sul concerto e poi su quello che ne sarebbe seguito.
Il mio cervello aveva deciso così, ma il mio cuore la pensava diversamente.
La domanda che continuava a urlarmi era: cosa voleva dirmi Misuzu?
Era come un mantra e ogni volta partivano immagini diverse: scusarsi, darmi spiegazioni, dirmi di stare fuori dalla sua vita e da quella di Misato, abbracciarmi, dirmi chi era mio padre, perché non mi aveva ripresa con sé quando si era sposata con Uehara.
Le possibilità erano infinite e mi stava venendo mal di testa, mi accorsi di essermi rannicchiata con le mani sulle orecchie, una bambina che vuole buttare fuori il mondo dalle sue percezioni. Il mondo però era ostinato e lottava per rientrare, un artiglio invisibile mi stava afferrando la gola, impedendomi di respirare.
No!
Urlai con tutte le mie forze.
No!
Non volevo un altro attacco di panico, volevo solo dormire e dimenticare tutto per un po’, ero stanca di affrontare demoni.
Ren rideva in un angolo della stanza, a ricordarmi della promessa che non avevo mantenuto
Alla fine la tensione ebbe la meglio, mi spedì in un luogo buio, spazioso e freddo, molti lo avrebbero definito cupo, ma per me era rilassante.
Quando mi svegliai notai Yasu seduto alla scrivania, fumava una sigaretta con espressione impenetrabile.
“Buongiorno.”
La mia voce era roca.                                                                                                                                                                                                                           “Ciao, Nana.”
Ero quasi sicura che mi stesse scrutando al di là delle lenti, mi chiesi cosa vedesse.
“Sei sicura di voler tentare di fare un concerto?”
“Certo che sì. Che ti prende?”
“La notizia di tua madre ti ha sconvolta più di quanto vorresti dare a vedere, quanto vicina sei stata ad avere un attacco di panico?”
“Ha davvero importanza, Yasu?
Abbiamo solo una possibilità e non sarò io a mandarla a fanculo per via … Lo sai.”
“Posso provare a parlare con la casa discografica e vedere se riesco ad avere un altro po’ di tempo.”
Scossi la testa, entrambi sapevamo che era impossibile.
“Nana, non ce la puoi fare in questa cosa da sola.”
“Cosa vuoi dire?”
“Non riesci a tenerla sotto controllo ed è comprensibile, dato tutto quello che ha passato, hai bisogno di qualcuno che ti aiuti. In modo professionale.
Dovresti andare almeno da uno psicologo.”
“Cosa? Sei impazzito?
Raccontare i cazzi miei a un estraneo? Non ci penso nemmeno!”
“Nana!”
Fulminai Yasu, si era acceso un fuoco dentro di me: rabbia mista a dolore, frustrazione e altri sentimenti a cui non riuscivo a dare un nome da tanto bruciavano.
“È così, dunque?
La povera Nana è impazzita, è diventata matta e io non voglio averci a che fare.
Nessuno vuole, diamola a uno strizzacervelli, magari ci fa il piacere di ficcarla in manicomio e noi non dovremo più…”
Non finii la frase perché il mio amico mi diede uno schiaffo, non forte, ma sufficiente a spegnere il fuoco e a farmi tornare in me.
Mi sedetti sul letto e mi presi la testa tra le mani, non mi ero nemmeno accorta di essermi alzata.
“Grazie.”
Mormorai a bassa voce.
“Non c’è problema. Nana, promettimi che ci penserai.
Chiedere aiuto non significa essere deboli o pazzi, significa ammettere con sé stessi che si è in una situazione che non riusciamo più a fronteggiare. Nessuno vuole abbandonarti o sbatterti in un manicomio, solo non sappiamo più come aiutarti in modo efficace.”
Respirai profondamente e mi accesi una sigaretta.
“Non ho tempo adesso, Yasu. Ora tutto quello che conta è il concerto, poi potrò andare dallo strizzacervelli e anche dal cavadenti e dal segaossa, persino da un bonzo se questo pensi che mi aiuterà.
Adesso ho un solo obbiettivo e devo concentrarmi su quello.”
Diedi una boccata alla sigaretta.
“Vedo Ren negli angoli delle stanze, è arrabbiato con me perché non ho mantenuto la promessa: non sono morta con lui.
Come faccio a …”
La mia voce si perse in un brusio indistinto, Ren era davanti a me con una mano tesa, prenderla avrebbe significato seguirlo nel regno dei morti e io non ero ancora pronta.
Volevo vivere ancora un po’, sebbene sapessi che la mia esistenza non era giusta, era quella di un’egoista che non rispettava patti e promesse.
In quei momenti avrei voluto essere morta, solo il pensiero di Hachi mi impediva di salire sul tetto e volare da Ren.
Lei aveva salvato la vita a una randagia come me che, della vita, non sapeva cosa farsene.

 

Ero sempre stata egoista.
Me lo avevano detto tutti, da Shin a Takumi,
eppure non riuscivo a cambiare, nemmeno dopo la morte di Ren.
Ero persino peggiorata, credendo che fosse stata tutta colpa mia.
Io volevo distruggere tutto quello che aveva Takumi e avevo
finito per trascinare Ren con me.
Non meritavo di vivere.
-Reira

 

Da dopo la morte di Ren la mia vita mi sembrava priva di valore, peggio ancora sembrava che finissi per distruggere ogni persona che incontrassi.
Il ritmo regolare del mio cuore monitorato mi aiutava a pensare, non ero più tornata a Tokyo da quella giornata fatale, ero rimasta nel mio paese natale a casa di mia madre. Lei pensava fosse una cosa temporanea, come sempre aveva poco tempo da dedicarmi, ma si sbagliava.
Lo capì quando lentamente smisi di mangiare, preoccupata aveva chiamato Takumi e insieme avevano discusso di un mio ricovero. E così ero finita qui a contare i miei peccati.
Shin.
Avevo fatto innamorare quel ragazzino, ingannandolo e ingannando me stessa credendo di amarlo a mia volta. Lui era stato solo uno riempitivo, qualcuno da cui avere sesso, affetto e a cui succhiare la vita fino a lasciarlo a un guscio vuoto.
Mi aveva chiamata donna egoista e aveva ragione, aveva anche detto che sarebbe tornato da me quando sarebbe maturato, lui ci credeva, ma io sapevo che non sarebbe successo.
Una volta che il manto luminoso del primo amore mi sarebbe caduto dalle spalle si sarebbe reso conto dei miei giochi da bambina mai cresciuta, che sta con un altro per infastidire l‘oggetto del suo interesse.
Ren.
Avevo sfruttato la sua gentilezza per avere un confidente che mi compatisse, gli avevo raccontato tutto, ma non lo avevo lasciato parlare troppo di sé stesso. E poi sapevo della droga, ero stata una delle prime a saperlo e cosa avevo fatto?
Invece di mettere da parte il mio orgoglio e la mia rivalità e correre da Nana avevo creduto alle promesse che ogni drogato fa: che ne sarebbe uscito da solo.
La compassione e la paura di affrontare le conseguenze mi avevano paralizzato e quando Takumi lo aveva saputo era stato troppo tardi. Ero doppiamente colpevole, oltre ad avere taciuto convenientemente ero scappata per permettere a Ren di curarsi. Nella mia testa le intenzioni erano buone – scappare, dare una notizia ai giornalisti che li distraesse da lui e dargli il tempo di disintossicarsi – nella realtà avevano causato il peggiore dei disastri. Ren era venuto a cercarmi sotto l’effetto della droga ed era morto, era diventato come Takumi – ossessionato dal proteggere il castello, i Trapnest – e non capivo perché. Forse le cose con Nana non andavano bene, forse si sentiva in colpa per avere causato guai alla band, forse cercava di ripagare un inesistente debito sacrificando tutto quello che aveva.
Perché lo aveva fatto?
Se io fossi rimasta a Tokyo come ogni persona matura lui sarebbe ancora vivo?
Una lacrima solitaria mi attraversò la guancia e cadde sulle mie mani pallide e troppo magre.
C’era qualcosa che potessi fare ora?
Potevo riprendere a mangiare e togliere almeno una preoccupazione a Takumi, lui continuava a venire da me quando avrebbe dovuto stare con sua moglie. Hachi era incinta e aveva più bisogno di Takumi di me, ma saperlo al mio capezzale mi dava un piacere perverso, come sempre l’avevo avuto tutto per me.
Non mi avrebbe mai baciata o considerata come una donna da desiderare, ma mi bastava averlo lì, se fosse rimasto abbastanza forse avrebbe cambiato idea. Fantasticavo su di lui che mollava Hachi e finalmente diventava il mio uomo, non mi importava nulla di quella nuova vita, che se prendesse cura Nobu.
Non era Nobu quello che amava Hachi?
Ero egoista.
Terribilmente egoista.
Non mi ero trattenuta nemmeno quando avevo incontrato Nana e le avevo detto che era tutta colpa mia se Ren era morto, sebbene fosse solo un misero tentativo di lavarsi la coscienza, per fortuna Shin mi aveva trascinata via, impedendomi di fare altri danni.
La porta si aprì, Naoki entrò per primo sorridendo come suo solito e dietro di lui c’era Takumi con aria tormentata: sembrava un uomo sulla graticola.
“Ciao, Reira! Come stai?”
Sorrisi debolmente all’entusiasmo del batterista biondo, guardai il mio amore.
Lui mi rivolse uno sguardo indagatore, stava controllando l’eccessiva magrezza del mio corpo e il mio stato mentale.
“Sto bene.”
“Hai mangiato?”
Non risposi alla domanda del chitarrista ed entrambi capirono che anche per oggi la flebo era l’unico modo in cui ero stata nutrita. Ogni giorno mi dicevo che avrei mangiato qualcosa, in modo da dare prova di stare meglio e di essere sulla via della guarigione.
Ogni giorno quando l’infermiera arrivava con il vassoio dei pasti il mio stomaco si chiudeva e venivo presa da una violenta nausea, così finivo per scuotere la testa e il vassoio rimaneva intatto.
Era tutta una questione psicologica ovviamente, ma i medici non mi dicevano nulla.
“Perché, Reira?”
La voce di Takumi uscì stanca, un soffio di vita sconfitta.
“Mi viene la nausea quando lo vedo, mi si chiude lo stomaco.”
“Non è colpa tua se Ren è morto, sono stato io a non aver notato prima come stava.”
Mi rispose meccanicamente, io abbassai gli occhi.
Trattenevo nel mio cuore il segreto che mi tormentava, non gli avrei mai detto che ero stata io la prima a sapere della tossicodipendenza di Ren e che avevo taciuto.
“Non avrei dovuto andarmene.”
“Non potevi sapere che ti avrebbe seguito e che anche lui era ossessionato dai Trapnest almeno quanto me.”
Questi discorsi erano stati fatti e rifatti almeno un milione di volte, erano sempre gli stessi, giusto con qualche leggera variazione di parole.
Erano inutili e lo sapevamo entrambi, ma rimanere in silenzio era peggio, venivamo tutti schiacciati dal peso dei nostri errori, solo Naoki ne era immune. Un po’ lo invidiavo, lui aveva vissuto solo il lato positivo della fama ed era riuscito in qualche modo a tenersi fuori da tutti gli oscuri segreti e le trame di potere.
Qualcuno bussò deciso alla porta della mia camera, chi poteva essere?
Non Yasu, lui non bussava mai e comunque era a Tokyo per cercare di salvare i Black Stone.
“Avanti.”
Un uomo alto e segaligno in camice bianco entrò, era il primo medico che voleva parare direttamente con me senza passare prima per Takumi.
“La signorina Reira Serizawa?”
“Sono io.”
“Devo parlarle di una cosa.”
Takumi si alzò di scatto.
“L’accordo era che prima di dire qualsiasi cosa alla signorina Serizawa dovevate parlarne con me.”
L’uomo gli rivolse uno sguardo freddo, come Takumi non amava che qualcuno mettesse in discussione cosa fare o la sua autorità.
“Questa cosa riguarda solo la signorina Serizawa.”
Guardò me e mi sentii trapassare da quegli occhi scuri, disapprovava apertamente che mi trattassero come una principessa.
“Signorina Serizawa, dalle ultime analisi è emerso qualcosa di sorprendente, mi chiedo come non sia stato notato prima.”
“È un tumore?”
Chiesi con la voce incrinata.
“No, lei è incinta, signorina.”
Mi sentii venire meno.
“Cosa?”
“Lei aspetta un bambino, un maschio così sembra, ed è al quarto mese. Ciò significa che non può più abortire.”
Mi sentii come se qualcuno avesse risucchiato tutta l’aria dalla stanza, cosa avrei fatto adesso?

   
 
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