Nana, le nostre
convinzioni sono fatte di cristallo,
basta un niente per
sbriciolarle.
Le nostre percezioni
sono invece gli specchi del
luna-park, distorte da
come le idee filtrano i pensieri.
Avrei voluto capirlo
prima.
Quel giorno arrivai a casa
trafelata, il cuore mi batteva
in modo irregolare, nella mia testa c’era la guerra e Sacchan
scalciava come
una matta.
Corsi subito in cucina e misi via le cose, ma le mani mi
tremarono, mi lasciai sfuggire una confezione da sei di uova che
caddero sul
pavimento con un tonfo sordo.
Ora per terra c’era della carta che sanguinava tuorli e
albumi, solo un uovo era rimasto intero, lo raccolsi e me lo rigirai
tra le
dita.
Miu fu la prima ad accorrere, senza dire niente recuperò
il necessario per pulire e sistemò il casino che avevo
combinato, io invece
guardavo quell’uovo e ripensavo ad altre cose cadute.
Per un attimo per terra avevo visto i cocci dei bicchieri
con le fragole che avevamo nell’appartamento 707, era stato
dopo che Takumi mi
aveva costretta a fare sesso con lui e Nana era scappata via.
Era stata la prima crepa nel nostro rapporto, anzi un
ferita che non si era mai sanata, avevamo ripreso a frequentarci, ma
sapevo che
per Nana l’aver scelto mio marito equivaleva ad averla
abbandonata.
Nana viveva nella costante paura di essere abbandonata
dalle persone che amava per colpa della madre, che l’aveva
lasciata dalla nonna
per sparire nella neve e nel buio oscuro di un rapporto troncato senza
pietà.
La stessa donna che ora la voleva rivedere, dopo diciassette anni di
vuoto
assoluto in cui le aveva dato una sorella senza la
possibilità di saperlo.
Miu mi tolse di mano l’uovo e tornai in me, lo mise nel
frigo e mi guardò.
“Nana, cosa è successo?”
“Ho bisogno di parlare con Yasu.”
Dissi decisa, tra i Blast era quello che conosceva meglio Nana e sapeva
sempre
quale fosse la cosa giusta da fare.
“Yasu non c’è, è andato via
con Nana per parlare con la
Shikai Corporation e la Gaia Records.”
“Merda! Sacchan, smettila di scalciare. La mamma ha bisogno
di pensare.”
“Siediti.”
Miu mi prese per un braccio dolcemente, ma con una certa
autorità e mi condusse nella sala comune, ci avvicinammo e
mi guardò.
“È successo qualcosa?”
“Sì, qualcosa di importante. Volevo parlarne a
Yasu per avere un consiglio,
ma…”
“Riguarda Nana?”
“Sì, come fai a saperlo?”
“Le uniche persone per cui ti agiti a quel modo sono Nana e
Nobu.”
Io abbassai gli occhi: era vero, per mio marito non andavo mai fuori di
testa.
“Chiamami Nobu e Shin, magari riusciamo a decidere
qualcosa anche solo noi quattro.”
Lei annuì ed uscì dalla stanza, mi sdraiai e dopo
qualche minuto mia figlia
smise di scalciare.
Tutto questo stress non le faceva bene, ma preferivo
rimanere qui tra le persone a cui volevo bene che sola nella mia casa
di
Shirogane visto che Takumi era da Reira in pianta stabile.
“Hachi, che succede?”
Shin fu il primo ad entrare, si inginocchiò e mi prese per
mano, Nobu rimase in
piedi per qualche secondo, sibilò un
“fanculo!” e si inginocchiò a sua volta.
“Io sto bene, ma vi devo parlare di una cosa che riguarda
Nana.”
Aiutata da Nobu mi misi a sedere, lui si accomodò accanto a
me, tenendomi per
mano, visto che era libero ora non tratteneva i suoi piccoli gesti
d’affetto.
Shin e Miu si sedettero sulle due poltrone davanti a noi.
Presi fiato.
“Quando sono uscita dal supermercato ho trovato Kurada ad
aspettarmi.”
“Quel bastardo!”
Nobu fece per alzarsi, ma io lo trattenni stringendogli la mano.
“Siamo andati in un bar e mi ha detto che Search ha in
mano uno scoop su Nana: Misuzu Uehara vuole parlare con lei.”
“Come l’hanno scoperto?”
Shin tendeva a rimanere freddo per poter riflettere meglio.
“Poco prima della morte di Ren Misato è scappata
di casa,
è venuta a Tokyo. A quanto pare Shion, un’amica di
Yasu, l’ha ritrovata e
ospitata per un paio di giorni o qualcosa del genere.”
“Sì, è vero. Io c’ero quando
Shion ha chiamato per dire che aveva trovato
Misato, Yasu ha lasciato tutto nelle sue mani ed è finita
bene, no?
La sorella di Nana è tornata a casa.”
Io annuii.
“Sì, ma a quanto pare c’era qualcuno che
seguiva Shion o
Yasu. Hanno sentito Shion che diceva che Misuzu voleva rivedere
Nana.”
Sulla sala calò il silenzio.
“Dopo tutto questo tempo?”
Il tono di Nobu era flebile.
“A quanto pare. Dobbiamo dirlo a Nana, leggerlo sui
giornali ora potrebbe compromettere la sua guarigione.”
Miu e Nobu annuirono, Shin guardava lontano.
“Non lo so. Quando hanno pubblicato l’articolo su
Misuzu
e Misato non ha reagito male come ci aspettavamo, sembrava non gliene
fregasse
niente.”
“Sembrava, Shin. Magari ha voluto recitare la parte della
donna forte, a lei
non piace mostrarsi debole e poi era una situazione diversa.”
“Sì, hai ragione. Dobbiamo dirglielo.”
Disse piano il bassista e rimanemmo tutti qualche secondo
in silenzio.
Ognuno si lambiccava a cercare le parole giuste e la
situazione ideale, ma erano sforzi inutili, alla fine di quei secondi
si levò
la voce di Nana.
“Dirmi che cosa?”
Sobbalzammo tutti, lei era entrata nella stanza seguita da Yasu.
Qualcosa nell’espressione del batterista mi fece capire
che lui aveva intuito che stava per succedere qualcosa di spiacevole. A
chi
toccava dirglielo?
A me.
Io ero stata quella a cui Kurada aveva affidato il
messaggio e che si era detta che con la maternità avrebbe
dovuto diventare
forte. Non potevo essere la solita ragazza egoista e svagata con una
creatura
in grembo.
Deglutii.
“Nana, siediti, per favore.”
Lei mi ubbidii guardandomi leggermente perplessa dal mio tono
autoritario.
“Cosa succede, Hachi?
È tornato Takumi? Sacchan non sta bene?”
Io scossi la testa.
“Nana, c’è una cosa che devi sapere.
Presto i giornali pubblicheranno un articolo che ti
riguarda, quindi cerca di sfruttare questa attenzione mediatica come
meglio
credi.”
Che bell’inizio di merda!
“Cosa diranno?”
Deglutii di nuovo, non c’era modo di indorare una pillola del
genere e se c’era
io non lo conoscevo.
“Nana, tua madre… Tua madre vuole
vederti.”
I suoi occhi andarono fuori fuoco per un attimo, sembro impallidire e
per una
frazione di secondo sembro ripiegarsi su sé stessa, come un
pugile dopo un
attacco andato a segno.
Poi tornò la solita Nana, con la sua maschera di
indifferenza.
“Vuole vedermi ora, come mai?”
“Non ne ho la più pallida idea. Forse il fatto che
Misato sia scappata di casa
l’ha scossa e le ha fatto decidere di provare a ricucire i
rapporti con te.”
Lei scoppiò in una risata priva di allegria.
“Dopo diciassette anni?
Non ho più bisogno di lei ora, avevo bisogno di lei da
bambina o quando la nonna è morta, ma ora?”
Scosse la testa.
“Ora lei non mi serve più, me la so cavare da sola.
Io devo dirvi una cosa piuttosto.”
Prese fiato e fissò Nobu e Shin negli occhi con
un’intensità quasi spaventosa.
“I capi ci hanno dato una sola possibilità per
evitare di
essere cacciati fuori a calci in culo: un concerto live come agli
inizi. Ci
comunicheranno nei prossimi giorni la data, quindi dobbiamo provare.
Ve la sentite?”
“Certo, Nana, ma…”
“Ma cosa, Nobu?”
“Sei sicura che vada tutto bene?”
“Certo. Non ho nessuna intenzione di incontrare quella
donna.”
Sorrise o almeno ci provò dato che le riuscì solo
una
mezza smorfia.
“Vado in camera mia a riposare, queste riunioni mi
stancano. Ci vediamo a pranzo.”
Lasciò la stanza a passo di marcia.
Ci guardammo tutti negli occhi, Nana stava male e ancora
una volta ci aveva tagliati fuori dal suo dolore.
Se non affronti il passato esso
tornerà a morderti ogni
volta
che abbasserai la
guardia.
Imparerò mai
questa lezione, Hachi?
E così dopo diciassette
anni il momento che più avevo
desiderato durante la mia infanzia e adolescenza era arrivato: mia
madre mi
stava dando attenzione.
Mia madre voleva vedermi, parlarmi, magari spiegarmi
perché in un gelido giorno d’inverno mi aveva
lasciata alla porta della madre
che detestava, reiterando un circolo vizioso di rabbia e odio.
Avevo voluto bene alla nonna, ma lo avevo capito solo
quando era morta, quando era viva non la sopportavo per il suo essere
così
severa, la consideravo una vecchia terribile.
Raggiunsi la mia camera e mi buttai sul letto, i ricordi
ruotavano nella mia testa insieme alla neve: qualche sbiadito ricordo
di me e
mia madre, l’abbandono, la nonna, il suo funerale, la neve
onnipresente in
quella piccola città.
Sembrava che ogni volta che raggiungessi delle certezze
un dio maligno decidesse di sradicarle, ma questa volta non avrei
ceduto.
No, questa volta non mi sarei fatta toccare dagli eventi.
Mia madre voleva vedermi, io no e non l’avrei fatto, mi
sarei concentrata solo sul concerto e poi su quello che ne sarebbe
seguito.
Il mio cervello aveva deciso così, ma il mio cuore la
pensava diversamente.
La domanda che continuava a urlarmi era: cosa voleva
dirmi Misuzu?
Era come un mantra e ogni volta partivano immagini
diverse: scusarsi, darmi spiegazioni, dirmi di stare fuori dalla sua
vita e da
quella di Misato, abbracciarmi, dirmi chi era mio padre,
perché non mi aveva
ripresa con sé quando si era sposata con Uehara.
Le possibilità erano infinite e mi stava venendo mal di
testa, mi accorsi di essermi rannicchiata con le mani sulle orecchie,
una
bambina che vuole buttare fuori il mondo dalle sue percezioni. Il mondo
però
era ostinato e lottava per rientrare, un artiglio invisibile mi stava
afferrando la gola, impedendomi di respirare.
No!
Urlai con tutte le mie forze.
No!
Non volevo un altro attacco di panico, volevo solo
dormire e dimenticare tutto per un po’, ero stanca di
affrontare demoni.
Ren rideva in un angolo della stanza, a ricordarmi della
promessa che non avevo mantenuto
Alla fine la tensione ebbe la meglio, mi spedì in un
luogo buio, spazioso e freddo, molti lo avrebbero definito cupo, ma per
me era
rilassante.
Quando mi svegliai notai Yasu seduto alla scrivania,
fumava una sigaretta con espressione impenetrabile.
“Buongiorno.”
La mia voce era roca.
Ero quasi sicura che mi stesse scrutando al di là delle
lenti, mi chiesi cosa
vedesse.
“Sei sicura di voler tentare di fare un concerto?”
“Certo che sì. Che ti prende?”
“La notizia di tua madre ti ha sconvolta più di
quanto vorresti dare a vedere,
quanto vicina sei stata ad avere un attacco di panico?”
“Ha davvero importanza, Yasu?
Abbiamo solo una possibilità e non sarò io a
mandarla a
fanculo per via … Lo sai.”
“Posso provare a parlare con la casa discografica e
vedere se riesco ad avere un altro po’ di tempo.”
Scossi la testa, entrambi sapevamo che era impossibile.
“Nana, non ce la puoi fare in questa cosa da sola.”
“Cosa vuoi dire?”
“Non riesci a tenerla sotto controllo ed è
comprensibile, dato tutto quello che
ha passato, hai bisogno di qualcuno che ti aiuti. In modo professionale.
Dovresti andare almeno da uno psicologo.”
“Cosa? Sei impazzito?
Raccontare i cazzi miei a un estraneo? Non ci penso
nemmeno!”
“Nana!”
Fulminai Yasu, si era acceso un fuoco dentro di me:
rabbia mista a dolore, frustrazione e altri sentimenti a cui non
riuscivo a
dare un nome da tanto bruciavano.
“È così, dunque?
La povera Nana è impazzita, è diventata matta e
io non
voglio averci a che fare.
Nessuno vuole, diamola a uno strizzacervelli, magari ci
fa il piacere di ficcarla in manicomio e noi non dovremo
più…”
Non finii la frase perché il mio amico mi diede uno
schiaffo, non forte, ma sufficiente a spegnere il fuoco e a farmi
tornare in
me.
Mi sedetti sul letto e mi presi la testa tra le mani, non
mi ero nemmeno accorta di essermi alzata.
“Grazie.”
Mormorai a bassa voce.
“Non c’è problema. Nana, promettimi che
ci penserai.
Chiedere aiuto non significa essere deboli o pazzi,
significa ammettere con sé stessi che si è in una
situazione che non riusciamo
più a fronteggiare. Nessuno vuole abbandonarti o sbatterti
in un manicomio,
solo non sappiamo più come aiutarti in modo
efficace.”
Respirai profondamente e mi accesi una sigaretta.
“Non ho tempo adesso, Yasu. Ora tutto quello che conta
è
il concerto, poi potrò andare dallo strizzacervelli e anche
dal cavadenti e dal
segaossa, persino da un bonzo se questo pensi che mi aiuterà.
Adesso ho un solo obbiettivo e devo concentrarmi su
quello.”
Diedi una boccata alla sigaretta.
“Vedo Ren negli angoli delle stanze, è arrabbiato
con me
perché non ho mantenuto la promessa: non sono morta con lui.
Come faccio a …”
La mia voce si perse in un brusio indistinto, Ren era davanti a me con
una mano
tesa, prenderla avrebbe significato seguirlo nel regno dei morti e io
non ero
ancora pronta.
Volevo vivere ancora un po’, sebbene sapessi che la mia
esistenza non era giusta, era quella di un’egoista che non
rispettava patti e
promesse.
In quei momenti avrei voluto essere morta, solo il
pensiero di Hachi mi impediva di salire sul tetto e volare da Ren.
Lei aveva salvato la vita a una randagia come me che,
della vita, non sapeva cosa farsene.
Ero sempre stata egoista.
Me lo avevano detto
tutti, da Shin a Takumi,
eppure non riuscivo a
cambiare, nemmeno dopo la morte di
Ren.
Ero persino peggiorata,
credendo che fosse stata tutta colpa
mia.
Io volevo distruggere
tutto quello che aveva Takumi e
avevo
finito per trascinare
Ren con me.
Non meritavo di vivere.
-Reira
Da
dopo la morte
di Ren la mia vita mi sembrava priva di valore, peggio ancora sembrava
che
finissi per distruggere ogni persona che incontrassi.
Il ritmo regolare del mio cuore monitorato mi aiutava a
pensare, non ero più tornata a Tokyo da quella giornata
fatale, ero rimasta nel
mio paese natale a casa di mia madre. Lei pensava fosse una cosa
temporanea,
come sempre aveva poco tempo da dedicarmi, ma si sbagliava.
Lo capì quando lentamente smisi di mangiare, preoccupata
aveva chiamato Takumi e insieme avevano discusso di un mio ricovero. E
così ero
finita qui a contare i miei peccati.
Shin.
Avevo fatto innamorare quel ragazzino, ingannandolo e
ingannando me stessa credendo di amarlo a mia volta. Lui era stato solo
uno
riempitivo, qualcuno da cui avere sesso, affetto e a cui succhiare la
vita fino
a lasciarlo a un guscio vuoto.
Mi aveva chiamata donna egoista e aveva ragione, aveva
anche detto che sarebbe tornato da me quando sarebbe maturato, lui ci
credeva,
ma io sapevo che non sarebbe successo.
Una volta che il manto luminoso del primo amore mi
sarebbe caduto dalle spalle si sarebbe reso conto dei miei giochi da
bambina mai
cresciuta, che sta con un altro per infastidire l‘oggetto del
suo interesse.
Ren.
Avevo sfruttato la sua gentilezza per avere un confidente
che mi compatisse, gli avevo raccontato tutto, ma non lo avevo lasciato
parlare
troppo di sé stesso. E poi sapevo della droga, ero stata una
delle prime a
saperlo e cosa avevo fatto?
Invece di mettere da parte il mio orgoglio e la mia
rivalità e correre da Nana avevo creduto alle promesse che
ogni drogato fa: che
ne sarebbe uscito da solo.
La compassione e la paura di affrontare le conseguenze mi
avevano paralizzato e quando Takumi lo aveva saputo era stato troppo
tardi. Ero
doppiamente colpevole, oltre ad avere taciuto convenientemente ero
scappata per
permettere a Ren di curarsi. Nella mia testa le intenzioni erano buone
–
scappare, dare una notizia ai giornalisti che li distraesse da lui e
dargli il
tempo di disintossicarsi – nella realtà avevano
causato il peggiore dei
disastri. Ren era venuto a cercarmi sotto l’effetto della
droga ed era morto,
era diventato come Takumi – ossessionato dal proteggere il
castello, i Trapnest
– e non capivo perché. Forse le cose con Nana non
andavano bene, forse si
sentiva in colpa per avere causato guai alla band, forse cercava di
ripagare un
inesistente debito sacrificando tutto quello che aveva.
Perché lo aveva fatto?
Se io fossi rimasta a Tokyo come ogni persona matura lui
sarebbe ancora vivo?
Una lacrima solitaria mi attraversò la guancia e cadde
sulle mie mani pallide e troppo magre.
C’era qualcosa che potessi fare ora?
Potevo riprendere a mangiare e togliere almeno una
preoccupazione a Takumi, lui continuava a venire da me quando avrebbe
dovuto
stare con sua moglie. Hachi era incinta e aveva più bisogno
di Takumi di me, ma
saperlo al mio capezzale mi dava un piacere perverso, come sempre
l’avevo avuto
tutto per me.
Non mi avrebbe mai baciata o considerata come una donna
da desiderare, ma mi bastava averlo lì, se fosse rimasto
abbastanza forse
avrebbe cambiato idea. Fantasticavo su di lui che mollava Hachi e
finalmente
diventava il mio uomo, non mi importava nulla di quella nuova vita, che
se
prendesse cura Nobu.
Non era Nobu quello che amava Hachi?
Ero egoista.
Terribilmente egoista.
Non mi ero trattenuta nemmeno quando avevo incontrato
Nana e le avevo detto che era tutta colpa mia se Ren era morto, sebbene
fosse
solo un misero tentativo di lavarsi la coscienza, per fortuna Shin mi
aveva
trascinata via, impedendomi di fare altri danni.
La porta si aprì, Naoki entrò per primo
sorridendo come
suo solito e dietro di lui c’era Takumi con aria tormentata:
sembrava un uomo
sulla graticola.
“Ciao, Reira! Come stai?”
Sorrisi debolmente all’entusiasmo del batterista biondo,
guardai il mio amore.
Lui mi rivolse uno sguardo indagatore, stava controllando
l’eccessiva magrezza del mio corpo e il mio stato mentale.
“Sto bene.”
“Hai mangiato?”
Non risposi alla domanda del chitarrista ed entrambi
capirono che anche per oggi la flebo era l’unico modo in cui
ero stata nutrita.
Ogni giorno mi dicevo che avrei mangiato qualcosa, in modo da dare
prova di
stare meglio e di essere sulla via della guarigione.
Ogni giorno quando l’infermiera arrivava con il vassoio
dei pasti il mio stomaco si chiudeva e venivo presa da una violenta
nausea,
così finivo per scuotere la testa e il vassoio rimaneva
intatto.
Era tutta una questione psicologica ovviamente, ma i
medici non mi dicevano nulla.
“Perché, Reira?”
La voce di Takumi uscì stanca, un soffio di vita
sconfitta.
“Mi viene la nausea quando lo vedo, mi si chiude lo
stomaco.”
“Non è colpa tua se Ren è morto, sono
stato io a non aver notato prima come
stava.”
Mi rispose meccanicamente, io abbassai gli occhi.
Trattenevo nel mio cuore il segreto che mi tormentava,
non gli avrei mai detto che ero stata io la prima a sapere della
tossicodipendenza di Ren e che avevo taciuto.
“Non avrei dovuto andarmene.”
“Non potevi sapere che ti avrebbe seguito e che anche lui era
ossessionato dai
Trapnest almeno quanto me.”
Questi discorsi erano stati fatti e rifatti almeno un
milione di volte, erano sempre gli stessi, giusto con qualche leggera
variazione di parole.
Erano inutili e lo sapevamo entrambi, ma rimanere in
silenzio era peggio, venivamo tutti schiacciati dal peso dei nostri
errori,
solo Naoki ne era immune. Un po’ lo invidiavo, lui aveva
vissuto solo il lato
positivo della fama ed era riuscito in qualche modo a tenersi fuori da
tutti gli
oscuri segreti e le trame di potere.
Qualcuno bussò deciso alla porta della mia camera, chi
poteva essere?
Non Yasu, lui non bussava mai e comunque era a Tokyo per
cercare di salvare i Black Stone.
“Avanti.”
Un uomo alto e segaligno in camice bianco entrò, era il
primo medico che voleva
parare direttamente con me senza passare prima per Takumi.
“La signorina Reira Serizawa?”
“Sono io.”
“Devo parlarle di una cosa.”
Takumi si alzò di scatto.
“L’accordo era che prima di dire qualsiasi cosa
alla
signorina Serizawa dovevate parlarne con me.”
L’uomo gli rivolse uno sguardo freddo, come Takumi non
amava che qualcuno mettesse in discussione cosa fare o la sua
autorità.
“Questa cosa riguarda solo la signorina Serizawa.”
Guardò me e mi sentii trapassare da quegli occhi scuri,
disapprovava apertamente che mi trattassero come una principessa.
“Signorina Serizawa, dalle ultime analisi è emerso
qualcosa di sorprendente, mi chiedo come non sia stato notato
prima.”
“È un tumore?”
Chiesi con la voce incrinata.
“No, lei è incinta, signorina.”
Mi sentii venire meno.
“Cosa?”
“Lei aspetta un bambino, un maschio così sembra,
ed è al
quarto mese. Ciò significa che non può
più abortire.”
Mi sentii come se qualcuno avesse risucchiato tutta l’aria
dalla stanza, cosa
avrei fatto adesso?