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Autore: Layla    03/03/2020    0 recensioni
Questa fiction inizia alla fine dell'ultimo capitolo pubblicato del manga.
Cosa è successo a Nana? Come mai se ne è andata?
Come ha raggiunto Londra.
E Hachi? Hachi cerca di vivere la sua vita senza di lei, imprigionata nella sua vita di casalinga con due figlie, ma innamorata di un altro uomo. Il suo scopo è trovare Nana.
Quando troverà Nana troverà il coraggio di cambiare la sua vita?
Shin, da parte sua, troverà finalmente l'amore in qualcuno di inaspettato...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nana Komatsui, Nana Osaki, Nobuo Terashima, Reira Serizawa
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo quarto.

 

Non avevo mai pensato di diventare madre.
Mai. Nemmeno da bambina.
Non avrei mai creduto che lo sarei diventata e
avevo accantonato quella possibilità tra quelle assurde,
vicino al mostro di Lockness e di fronte all’araba fenice.
Ora invece la possibilità impossibile si era verificata e io
non sapevo cosa fare, sapevo solo che odiavo quella creatura.
-Reira

 

Nella stanza il silenzio era talmente pesante che si poteva tagliare con il coltello.
Il medico osservò me, poi Takumi e Naoki e infine di nuovo me, non gli piacevo e glielo si leggeva negli occhi.
“Immagino avrete molto di cui discutere, vi lascio da soli.”
L’uomo uscì e potevo quasi sentire i suoi pensieri: “Lei è un’ottima cantante, signorina Serizawa, ma un pessimo essere umano.”
Eravamo rimasti noi tre, gli occhi di Takumi si erano fatti piccoli e ostili, nel suo cervello stava sicuramente analizzando ogni possibilità.
Probabilmente si stava domandando se fosse suo, dato che una volta eravamo stati a letto insieme.
“Naoki, vai.”
Disse a voce bassa.
“Ma perché? Siamo una famiglia, no?”
“Vai via!”
Abbaiò facendo trasalire il batterista.
“Va bene, io vado.”
Uscì dalla stanza lanciando occhiate perplesse, come se non afferrasse la situazione.
“Finalmente soli. Dimmi, è d Shin?”
Feci un rapido calcolo.
“Sì, penso di sì.”
“Merda, è escluso che possiamo dirglielo.”
Sgranai gli occhi, lasciando che la notizia penetrasse dentro di me.
Ero incinta.
Il frutto dell’amore tra me e Shin mi cresceva dentro e io… Io non lo volevo. Quella nuova vita era estranea e ostile, mi avrebbe separato per sempre dalla remota possibilità di rivederlo.
“Non lo voglio.”
Mormorai.
“Cosa?”
“Ho detto che non lo voglio! Non sono pronta a fare la madre e quel bambino mi impedirebbe per sempre di provare ad avere una storia con Shin!”
Perché Shin non doveva sapere della sua esistenza o altrimenti tutti avrebbero capito che io e lui avevamo avuto una storia quando lui era ancora minorenne. La sua carriera di attore sarebbe finita ancora prima di decollare e io rischiavo di avere la mia distrutta che riprendessi a cantare o no.
“È troppo tardi, l’hai sentito il dottore.” 
E lo maledissi quell’uomo.
“Cosa possiamo fare?”
“Lo riconoscerò come mio. Questo mi renerebbe uno stronzo agli occhi dell’opinione pubblica, ma almeno salverebbe te.”
Io sbattei le palpebre sconcertata.
“E Hachi? Vostro figlio o figlia?”
“Lei accetterà tutto e il bambino avrà un fratello o una sorella con cui giocare.”
Lo disse con un tono duro, gli occhi erano freddi, sembrava un lupo e mi fece paura, nonostante lo amassi da una vita.
“Ma non è una decisione che puoi prendere così su due piedi e per tutti e due. Parlane con lei almeno.”
“Al momento a mia moglie interessa solo Nana, tanto che non credo si curi molto nemmeno del bambino o bambina. E poi cosa dovrei dire ad Hachi?
Che riconoscerò il figlio tuo e di Shin?
È troppo amica di Shin per non farselo scappare e lui non lo deve sapere, su questo siamo d’accordo, vero?”
“Sì.”
Mormorai spossata.
“Reira, mangia.
Se non vuoi farlo per te, fallo per tuo figlio o figlia.”
“Io lo odio!”
Urlai con tutta me stessa.
“Lo odi anche se è di Shin?”
“Lo odio soprattutto perché è di Shin! A causa sua non potrò mai più rivederlo o tentare di avere una storia con lui, avrei preferito che fosse tuo.”
“Ne abbiamo già parlato, tu per me sei troppo speciale per essere solo un’amante.”
“E io ti ho già risposto che non mi importa, mi va bene che mi ami in qualsiasi forma, fosse anche qualche sporadica scopata.”
Lui batté il pugno su comodino, facendomi sobbalzare.
“Smettila di essere così egoista, Reira. È ora di crescere su serio visto che, ti piaccia o no, diventerai madre.
Non credi sia ora di smetterla con le cotte adolescenziali?”
lo guardai negli occhi ferma e decisa.
“Non è mai stata una cotta adolescenziale, ma tu non hai mai capito un cazzo. Tu in me vedevi la principessa del canto anche allora, non Reira.
Beh, io questo dono di Dio lo odio e adesso vattene, ho bisogno di riposare.”
“Reira…”
Tentò di insistere Takumi, io alzai per la prima volta la voce da dopo la morte di Ren.
“Vattene via!”
Lui sospirò, si alzò dalla sedia e uscì dalla stanza: per una volta ero felice che se andasse.
Sapevo che aveva manie di controllo e forse sapevo anche perché: sua madre era morta, suo padre era un ubriacone e sua sorella era rimasta incinta troppo presto. Erano cambiamenti difficili da accettare per un ragazzino, era ovvio che da adulto volesse avere sempre il controllo della situazione ma non poteva decidere per me.
Perché dovevo permettergli di riconoscere il bambino e di rovinare la sua famiglia?
Non aveva senso, una volta nato lo avrei dato in adozione e qualcuno si sarebbe occupato di lui e io avrei potuto fare finta che non fosse mai esistito.
Dovevo solo dirlo a Takumi ed era la parte più difficile, finivo per fare sempre quello che decideva lui perché lo amavo. Avrei dovuto smetterlo di farlo!
Forse sarei riuscita a costruire una vita che mi piacesse sul serio e a non essere incastrata nel sogno che lui aveva creato per me. I Trapnest erano diventati un incubo che mi aveva fatto odiare la mia voce, ero maledetta da una benedizione.
Ero finita di nuovo a pensare a me quando era del bambino di cui dovevo occuparmi, una vocina mi chiese se davvero volevo essere così spietata e consegnarlo nelle mani di una coppia di estranei.
Il fatto è che non riuscivo a sentire nessun legame con questa vita che stava crescendo dentro di me, era un’erbaccia da estirpare.
Se avessi continuato a non mangiare forse sarebbe morto e la faccenda si sarebbe conclusa, soppesai questa ipotesi e mi sembrò quella migliore.
Non ci sarebbero stati scontri con Takumi e ai miei sensi di colpa ci avrei pensato io a costo di farmi suora per espiare i miei peccati.
Era una decisione egoista, ma io non potevo essere nessun’altra tranne me stessa.
Un' egoista.

 

Nana, la tragedia era vicina al suo culmine,
perché non lo notai? Perché mi sembrava che
tutto andasse bene? Ti eri messa una maschera
o te l’avevo messa io per non vedere?
Ero così presa dal vostro concerto imminente che
certe volte mi dimenticavo di essere incinta.

 

I giorni tra la proposta della casa discografica e i tre prima del concerto passarono come un turbine colorato, tutti erano concentrati sulla musica, sorridevano perfino e mi sembravano felici.
Probabilmente finché suonavano erano in una bolla di felicità data dalla musica e cercavano di starci il più possibile, anche Nana sembrava migliorare, solo ogni tanto i suoi occhi andavano fuori fuoco.
Potevano farcela, me lo sentivo, e se Nana avesse continuato a cantare tutto sarebbe andato bene perché Ren sarebbe stato felice di sentirla dall’aldilà.
Continuavo a rimanere nel comprensorio con grande rabbia di Yuri che non faceva altro che lanciami occhiatacce e venirmi addosso di proposito. Tra me e Nobu non c’era stato più nulla, le prove erano la priorità di tutti ora e ne ero felice.
Tre giorni prima del concerto mi svegliai di buon ora, Nana non dormiva più con me, anche questo era un miglioramento, e mi feci una lunga doccia. Mi vestii con cura e scesi nella sala comune, c’era solo Yasu che mi sorrise.
“Dove vai così presto, Hachi?”
“Devo fare un’ecografia, oggi saprò finalmente se è un maschio o una femmina.”
“Vuoi che ti accompagni?”
Scossi la testa.
“È tutto a posto, mi accompagna Junko.”
“Bene. Scusa se ti trascuriamo.”
“Non c’è problema.”
Risposi sorridendo. 
“Voi dovete pensare al concerto e io sono probabilmente d’intralcio.”
“Non è vero, senza di te Nana non si sarebbe mai ripresa, ti sono estremamente grato per essere venuta.”
“Forse il mio è solo egoismo.”
Dissi, iniziando a preparare la colazione.
“Forse mi piace di più stare qui che in una casa vuota, Takumi è ancora da Reira, forse avrebbe dovuto sposare lei.”
Yasu non rispose, la colazione era pronta: riso, zuppa di miso con del tofu e delle cipolle, del bacon e un uovo.
“Reira di sicuro lo preferirebbe, ma Takumi ha sempre detto di considerarla solo come una sorella.”
“Già.”
Finii di mangiare e lavai le stoviglie, poi uscii, il sole non era sorto da molto e c’era un’atmosfera surreale di calma estrema. Non potevo continuare a dipendere da Takumi, Kyusuke o Jun, dovevo fare la patente e comprarmi una macchina, mi dissi, ma sapevo che una volta partorito non ne avrei avuto il tempo.
Una macchina si fermò vicino al comprensorio e il volto sorridente di Junko fece capolino dal finestrino, io sorrisi, contenta che avesse deciso di accompagnarmi.
“Buongiorno, Nana!”
“Ciao, Jun!”
Salii in macchina e mi allacciai la cintura di sicurezza.
“Grazie per essere venuta.”
“Non potevo certo lasciarti prendere i mezzi, ti stai trascurando abbastanza ultimamente.”
“Jun, non mi sto trascurando.”
Lei sbuffò.
“Hai solo altre priorità, il che è come trascurarsi e dove è Takumi in tutto questo?”
“Da Reira, lei non mangia, ha bisogno di lui.”
“E tu no? Non hai bisogno di Takumi, il padre della tu creatura?”
“Io ce la posso fare da sola.”
La mia amica mi guardò dritta negli occhi.
“Perché state insieme?”
Io non risposi perché non c’era niente da dire, non ci amavamo e tenevamo tutti e due di più ad altre persone.
Takumi teneva a Reira, io a Nana e Nobu, l’unico motivo per cui stavamo ancora insieme era il bambino che cresceva nella mia pancia e lo sapevamo entrambi.
Non era un buon marito, ma sperai che sarebbe stato un buon padre per Satsuki, la mia felicità poteva finire in secondo piano come sempre.
“Nana, perché non lo lasci e non vai dai tuoi o dai a Nobu una possibilità?”
“Takumi è in grado di mantenerci e se tornassi dai miei gli spezzerei solo il cuore, una figlia separata e incinta darebbe adito a troppe chiacchiere.”
“Ma tu non sei felice.”
Io scossi le spalle, io avevo preso una decisione scegliendo Takumi e io dovevo portarla fino in fondo, dovevo essere adulta e responsabile per una volta. Questa volta non c’era Nana a sostenermi, dovevo contare solo sulle mie forze.
“Sei sicura di quello che fai?”
“Sono sicura che sarà un buon padre e questo basta.”
Junko tacque, probabilmente pensava che stessi sbagliando, attaccandomi ancora una volta a un uomo che non era quello giusto per me.
“L’unico con cui ti ho vista davvero felice è stato Nobu.”
“E io lo amo, ma Takumi è quello più adatto per crescere il bambino.”
“E come? È sempre da Reira.”
“Le cose cambieranno.”
Pensavano sarebbero cambiate in meglio, ancora non sapevo quanto mi sbagliassi.
Arrivammo all’ospedale, Junko parcheggiò e mi accompagnò in reparto, c’erano altre coppie in attesa per  un’ecografia, il padre era presente in tutti i casi.
Qualche minuto dopo un’infermiera si affacciò da una porta.
“Ichinose Nana?”
Chiamò e io mi alzai insieme alla mia amica.
Entrammo e una dottoressa sui trent’anni mi sorrise amichevole.
“Il signor Ichinose?”
“Non c’è, è via per impegni di lavoro.”
“Capisco, ma è un vero peccato. Oggi potremmo scoprire se si tratta di un bambino o di una bambina, si stenda sul lettino, prego.”
Feci quello che mi fu detto dopo aver dato il mio cappotto e la borsa a Jun, alzai la camicia fino a che la mia pancia non fu bella in vista. La dottoressa spalmò del gel e cominciò a muovere l’oggetto per radiografare su e giù lungo la mia pancia. Il battito del cuore del bambino mi lasciò senza fiato come tutte le volte, amavo quella creatura in modo viscerale.
La donna rimase in silenzio per un po’, poi cominciò a indicarmi le varie parti con voce dolce.
“Il bambino sta bene, i parametri sono nella norma, forse è leggermente stressato, ma non è nulla di preoccupante.”
“È un maschio?”
“In verità non lo so, la posizione in cui è messo non permette di determinare il sesso.
Sembra che sia timido o forse ama le sorprese, in ogni caso è in buona salute.”
La donna rimosse il congegno e il cuore cessò di battere, ma sapere che stesse bene mi rese felice, almeno una cosa stava andando bene.
Mi pulii e mi riallacciai la camicia, poi mi rimisi il cappotto, la dottoressa mi diede i risultati dell’ecografia.
“Si riguardi, signora Ichinose.”
“Certamente.”
Uscimmo e mi stiracchiai, mi era tornato il buon umore.
“Jun, ti va se andiamo a bere qualcosa in un bar?”
“Certo, ma non dovresti chiamare Takumi?”
“Lo farò dopo, non c’è fretta.”
Lei scosse la testa.
Sapevo che chiamare mio marito era la cosa giusta da fare, ma volevo tenermi quella gioia ancora un po’ solo per me.

 

Quando Shion mi disse che dovevo impegnarmi per
far felice Takahiro accettai, certa nel mio cuore che fosse
la cosa giusta, eppure un istinto più forte di qualsiasi decisione
razionale mi spingeva ad andarmene via.
Quello non era il mio posto, dovevo cercarlo altrove.
-Misato Uehara

 

Il mio ritorno a casa fu accolto da grandi abbracci e dimostrazioni d’affetto, erano tutti felici che io fossi tornata con mamma. Io invece mi sentivo inquieta, guardavo mio fratello e la solita marea di sensazioni bizzarre mi tirò a fondo. Non sapevo definirle, avevo detto a Shion che era amore, ma era davvero amore?
Sentivo un grande affetto, un desiderio di piacergli, volevo che mollasse la sua ragazza per stare con me, eppure non riuscivo a immaginarmi di baciarlo. Era come avere i sintomi di una strana e inclassificabile malattia. Amore era una definizione che gli andava molto vicina, ma anche ossessione.
In ogni caso mi impegnai con tutta me stessa per dare gli esami di terza media, mio padre voleva che frequentassi un liceo ad Okayama, dove ci eravamo trasferito, io bramavo Tokyo.
Lui riempiva i moduli e io guardavo su internet i siti dei licei e delle scuole professionali della capitale, una falena che cerca la sua lampada per bruciare.
Stare vicino a mio fratello e cercare di fare la brava bambina non era facile, forse essere un adolescente responsabile mi sarebbe venuto meglio in un altro posto.
Alla fine trovai una scuola a metà tra un liceo e una scuola professionale. Formava giovani che volevano lavorare nel mondo dello spettacolo da dietro le quinte, come roadies o assistenti manager e sembrava fatta a posta per me. Shion mi aveva detto di sostenere Nana facendo del mio meglio e cosa c’era di meglio se non aiutarla nel suo mondo?
Era una fuga legalizzata, un accettabile compromesso tra le mie due parti, ora dovevo solo parlarne ai miei genitori.
Decisi di farlo a cena, stavamo tutti mangiando pollo al curry quando mi decisi a parlare.
“Papà, vorrei andare a scuola a Tokyo.”
Lui mi guardò senza capire.
“Ho trovato un liceo che forma persone che lavorano dietro alle quinte del mondo dello spettacolo e vorrei frequentarlo, la retta non è nemmeno altissima.”
“Sei ancora scossa per quello che è successo a questa famiglia?”
Mi chiese brusco, una volta che ebbe recuperato la voce.
“No, solo penso che questa scuola sia meglio per me che frequentare il liceo qui o a Osaka.”
Lui inarcò un sopracciglio.
“E come sarebbe meglio?”
 “Mi formerebbe su un lavoro e potrei trovare subito o quasi un posto dopo il diploma e poi…
Potrei aiutare mia sorella, ecco.”
Mio padre sospirò, doveva avere un sacco di problemi nell’accettare che c’era questa nuova e sconosciuta appendice della famiglia.
“Come sospettavo non hai ancora superato quello che è successo in questi mesi e non posso biasimarti.”
“Ma papà! Non è così, io …”
Lui alzò una mano per farmi tacere.
“Che ne dici di un compromesso, Misato?
Tu frequenti per un mese il liceo qui ad Okayama e se dopo sarai ancora convinta che non fa per te, penseremo a Tokyo.”
“Se non dovesse andare bene qui pagherò la tua retta con l’eredità della nonna e tu dovrai lavorare per pagarti l’appartamento e altre spese.”
Mio padre fulminò mia madre per una frazione di secondo poi si rivolse di nuovo verso di me.
“Cosa ne pensi, Misato?”
“Per me è okay, io sono convinta della mia decisione, ma se per voi è meglio aspettare, aspetterò.”
Mio padre annuii, considerava ancora la mia scelta come il capriccio di una bambina, io gli avrei dimostrato il contrario.
Finito di mangiare lavai i piatti e pulii la cucina come mio solito, Takahiro uscì e mi lanciò una strana occhiata, come se in me non riconoscesse più sua sorella e il punto era quello. Potevo ignorare gli eventi degli scorsi mesi, ma non le loro conseguenze su di me: non sarei più stata la ragazzina spensierata che conosceva, adesso avevo un’ombra che mi cresceva dentro.
Andai in camera mia e mi sedetti alla mia scrivania con un foglio banco davanti a me, volevo scrivere una lettera a Nana, ma prima dovevo essere sicura che le arrivasse così presi il mio cellulare e scrissi a Shion.                                                                                                                                                                                                              
“Ciao, Shion.
Sono Misato, come stai? Io sono inquieta, ma te ne parlerò meglio un’altra volta.
Vorrei scrivere una lettera a Nana, se te la mandassi gliela consegneresti?
Ciao e grazie.”

Il mio cellulare vibrò qualche minuto dopo.

“Ciao, Misato. Io sto bene, chiamami se vuoi per la cosa che ti rende inquieta. Scrivi pure la lettera a Nana, gliela farò avere. Stammi bene.”

“Grazie mille, Shion.
Ti chiamerò appena posso e ancora grazie.”

Presi in mano la penna e cominciai a pensare alle parole che le avrei voluto dire, una lettera gliela avevo già scritta dopo la morte di Ren, questa doveva essere diversa.

“Ciao, Nana.”

Iniziai e lasciai che i miei pensieri fluissero liberamente.

“Sono Misato Uehara, spero tu abbia letto la mia lettera e che tu stia meglio almeno un po’.
Questa volta però non voglio scriverti da fan, ma da sorella, perché noi siamo sorelle e non voglio più ignorare questa cosa, il che non significa che la forzerò su di te.
Tu sei libera di continuare a considerarmi una fan qualsiasi, ti capirei, ma io ho bisogno di parlarti della nostra “famiglia”.
Per prima cosa: scusami.
Scusa se mamma ti ha abbandonato quando avevi quattro anni e non è mai tornata a riprenderti, nemmeno quando si è sposata con mio padre. Mi dispiace dal più profondo del mio cuore, se fossi davanti a te mi inginocchierei con la fronte a terra.
Scusa se io sono la figlia che lei ha scelto di crescere, non meritavi questa discriminazione e scusa se sono io a scusarmi e non mamma, ma non so se la ascolteresti come non so se ascolterai me.
Non ci sono comunque scuse per il suo comportamento e le mie forse sono troppo poco rispetto al dolore che hai provato per tutta la vita.
Vorrei che fosse andata diversamente, mamma ha privato entrambe di qualcosa di molto prezioso: il legame tra sorelle.
Eppure io ti sento lo stesso come una sorella e con il tempo spero che anche a te accada lo stesso, perché forse così ti potrei aiutare sul serio. La morte di Ren mi ha straziato e nemmeno lo conoscevo, immagino che per sia cento volte peggio. Vorrei abbracciarti e dirti che andrà tutto bene, anche se sapremmo entrambe che sarebbe falso. Vorrei trovare le parole giuste, ma penso non ce ne siano.
Quando una persona che amiamo così tanto ci lascia in modo così improvviso e parole perdono il loro potere e quelle che contano davvero sono quelle che non abbiamo detto.
Io però vorrei provare a esserci, sempre che tu lo voglia.
Casa mia è sempre aperta per te, vieni pure e piangeremo insieme, in fondo alla lettera ci sono l’indirizzo di casa mia, quello del ristorante dei mie genitori e il mio cellulare.
Non so quando riceverai questa lettera, ma può darsi che quando accada io non sia più qui: voglio venire a Tokyo.
Ti voglio un mare di bene e ti porgo ancora le mie condoglianze.
Sei sempre nei miei pensieri.

 
Tua sorella Misato

 

Chiusi la lettera e sorrisi, domani l’avrei imbucata.
Credere di aver fatto la cosa giusta mi faceva stare meglio, mi scaldava il cuore.
Erano solo sensazioni effimere e passeggere, la tragedia doveva ancora raggiungere il suo culmine, niente avrebbe potuto fermarla.

   
 
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