Non avevo mai pensato di
diventare madre.
Mai. Nemmeno da bambina.
Non avrei mai creduto
che lo sarei diventata e
avevo accantonato quella
possibilità tra quelle assurde,
vicino al mostro di
Lockness e di fronte all’araba
fenice.
Ora invece la
possibilità impossibile si era verificata e
io
non sapevo cosa fare,
sapevo solo che odiavo quella
creatura.
-Reira
Nella stanza il silenzio era
talmente pesante che si
poteva tagliare con il coltello.
Il medico osservò me, poi Takumi e Naoki e infine di
nuovo me, non gli piacevo e glielo si leggeva negli occhi.
“Immagino avrete molto di cui discutere, vi lascio da
soli.”
L’uomo uscì e potevo quasi sentire i suoi
pensieri: “Lei è un’ottima cantante,
signorina Serizawa, ma un pessimo essere umano.”
Eravamo rimasti noi tre, gli occhi di Takumi si erano
fatti piccoli e ostili, nel suo cervello stava sicuramente analizzando
ogni
possibilità.
Probabilmente si stava domandando se fosse suo, dato che
una volta eravamo stati a letto insieme.
“Naoki, vai.”
Disse a voce bassa.
“Ma perché? Siamo una famiglia, no?”
“Vai via!”
Abbaiò facendo trasalire il batterista.
“Va bene, io vado.”
Uscì dalla stanza lanciando occhiate perplesse, come se non
afferrasse la
situazione.
“Finalmente soli. Dimmi, è d Shin?”
Feci un rapido calcolo.
“Sì, penso di sì.”
“Merda, è escluso che possiamo
dirglielo.”
Sgranai gli occhi, lasciando che la notizia penetrasse dentro di me.
Ero incinta.
Il frutto dell’amore tra me e Shin mi cresceva dentro e
io… Io non lo volevo. Quella nuova vita era estranea e
ostile, mi avrebbe separato
per sempre dalla remota possibilità di rivederlo.
“Non lo voglio.”
Mormorai.
“Cosa?”
“Ho detto che non lo voglio! Non sono pronta a fare la madre
e quel bambino mi
impedirebbe per sempre di provare ad avere una storia con
Shin!”
Perché Shin non doveva sapere della sua esistenza o
altrimenti tutti avrebbero
capito che io e lui avevamo avuto una storia quando lui era ancora
minorenne.
La sua carriera di attore sarebbe finita ancora prima di decollare e io
rischiavo di avere la mia distrutta che riprendessi a cantare o no.
“È troppo tardi, l’hai sentito il
dottore.”
E lo maledissi quell’uomo.
“Cosa possiamo fare?”
“Lo riconoscerò come mio. Questo mi renerebbe uno
stronzo agli occhi
dell’opinione pubblica, ma almeno salverebbe te.”
Io sbattei le palpebre sconcertata.
“E Hachi? Vostro figlio o figlia?”
“Lei accetterà tutto e il bambino avrà
un fratello o una sorella con cui
giocare.”
Lo disse con un tono duro, gli occhi erano freddi, sembrava un lupo e
mi fece
paura, nonostante lo amassi da una vita.
“Ma non è una decisione che puoi prendere
così su due
piedi e per tutti e due. Parlane con lei almeno.”
“Al momento a mia moglie interessa solo Nana, tanto che non
credo si curi molto
nemmeno del bambino o bambina. E poi cosa dovrei dire ad Hachi?
Che riconoscerò il figlio tuo e di Shin?
È troppo amica di Shin per non farselo scappare e lui non
lo deve sapere, su questo siamo d’accordo, vero?”
“Sì.”
Mormorai spossata.
“Reira, mangia.
Se non vuoi farlo per te, fallo per tuo figlio o figlia.”
“Io lo odio!”
Urlai con tutta me stessa.
“Lo odi anche se è di Shin?”
“Lo odio soprattutto perché è di Shin!
A causa sua non potrò mai più rivederlo
o tentare di avere una storia con lui, avrei preferito che fosse
tuo.”
“Ne abbiamo già parlato, tu per me sei troppo
speciale per essere solo
un’amante.”
“E io ti ho già risposto che non mi importa, mi va
bene che mi ami in qualsiasi
forma, fosse anche qualche sporadica scopata.”
Lui batté il pugno su comodino, facendomi sobbalzare.
“Smettila di essere così egoista, Reira.
È ora di
crescere su serio visto che, ti piaccia o no, diventerai madre.
Non credi sia ora di smetterla con le cotte adolescenziali?”
lo guardai negli occhi ferma e decisa.
“Non è mai stata una cotta adolescenziale, ma tu
non hai
mai capito un cazzo. Tu in me vedevi la principessa del canto anche
allora, non
Reira.
Beh, io questo dono di Dio lo odio e adesso vattene, ho
bisogno di riposare.”
“Reira…”
Tentò di insistere Takumi, io alzai per la prima volta la
voce da dopo la morte di Ren.
“Vattene via!”
Lui sospirò, si alzò dalla sedia e
uscì dalla stanza: per
una volta ero felice che se andasse.
Sapevo che aveva manie di controllo e forse sapevo anche
perché: sua madre era morta, suo padre era un ubriacone e
sua sorella era
rimasta incinta troppo presto. Erano cambiamenti difficili da accettare
per un
ragazzino, era ovvio che da adulto volesse avere sempre il controllo
della
situazione ma non poteva decidere per me.
Perché dovevo permettergli di riconoscere il bambino e di
rovinare la sua famiglia?
Non aveva senso, una volta nato lo avrei dato in adozione
e qualcuno si sarebbe occupato di lui e io avrei potuto fare finta che
non
fosse mai esistito.
Dovevo solo dirlo a Takumi ed era la parte più difficile,
finivo per fare sempre quello che decideva lui perché lo
amavo. Avrei dovuto
smetterlo di farlo!
Forse sarei riuscita a costruire una vita che mi piacesse
sul serio e a non essere incastrata nel sogno che lui aveva creato per
me. I
Trapnest erano diventati un incubo che mi aveva fatto odiare la mia
voce, ero
maledetta da una benedizione.
Ero finita di nuovo a pensare a me quando era del bambino
di cui dovevo occuparmi, una vocina mi chiese se davvero volevo essere
così
spietata e consegnarlo nelle mani di una coppia di estranei.
Il fatto è che non riuscivo a sentire nessun legame con
questa vita che stava crescendo dentro di me, era un’erbaccia
da estirpare.
Se avessi continuato a non mangiare forse sarebbe morto e
la faccenda si sarebbe conclusa, soppesai questa ipotesi e mi
sembrò quella
migliore.
Non ci sarebbero stati scontri con Takumi e ai miei sensi
di colpa ci avrei pensato io a costo di farmi suora per espiare i miei
peccati.
Era una decisione egoista, ma io non potevo essere
nessun’altra
tranne me stessa.
Un' egoista.
Nana, la tragedia era vicina al
suo culmine,
perché non lo
notai? Perché mi sembrava che
tutto andasse bene? Ti
eri messa una maschera
o te l’avevo
messa io per non vedere?
Ero così
presa dal vostro concerto imminente che
certe volte mi
dimenticavo di essere incinta.
I giorni tra la proposta della
casa discografica e i tre
prima del concerto passarono come un turbine colorato, tutti erano
concentrati
sulla musica, sorridevano perfino e mi sembravano felici.
Probabilmente finché suonavano erano in una bolla di
felicità data dalla musica e cercavano di starci il
più possibile, anche Nana
sembrava migliorare, solo ogni tanto i suoi occhi andavano fuori fuoco.
Potevano farcela, me lo sentivo, e se Nana avesse
continuato a cantare tutto sarebbe andato bene perché Ren
sarebbe stato felice
di sentirla dall’aldilà.
Continuavo a rimanere nel comprensorio con grande rabbia
di Yuri che non faceva altro che lanciami occhiatacce e venirmi addosso
di
proposito. Tra me e Nobu non c’era stato più
nulla, le prove erano la priorità
di tutti ora e ne ero felice.
Tre giorni prima del concerto mi svegliai di buon ora,
Nana non dormiva più con me, anche questo era un
miglioramento, e mi feci una
lunga doccia. Mi vestii con cura e scesi nella sala comune,
c’era solo Yasu che
mi sorrise.
“Dove vai così presto, Hachi?”
“Devo fare un’ecografia, oggi saprò
finalmente se è un maschio o una femmina.”
“Vuoi che ti accompagni?”
Scossi la testa.
“È tutto a posto, mi accompagna Junko.”
“Bene. Scusa se ti trascuriamo.”
“Non c’è problema.”
Risposi sorridendo.
“Voi dovete pensare al concerto e io sono probabilmente
d’intralcio.”
“Non è vero, senza di te Nana non si sarebbe mai
ripresa, ti sono estremamente
grato per essere venuta.”
“Forse il mio è solo egoismo.”
Dissi, iniziando a preparare la colazione.
“Forse mi piace di più stare qui che in una casa
vuota,
Takumi è ancora da Reira, forse avrebbe dovuto sposare
lei.”
Yasu non rispose, la colazione era pronta: riso, zuppa di miso con del
tofu e
delle cipolle, del bacon e un uovo.
“Reira di sicuro lo preferirebbe, ma Takumi ha sempre
detto di considerarla solo come una sorella.”
“Già.”
Finii di mangiare e lavai le stoviglie, poi uscii, il sole non era
sorto da
molto e c’era un’atmosfera surreale di calma
estrema. Non potevo continuare a
dipendere da Takumi, Kyusuke o Jun, dovevo fare la patente e comprarmi
una
macchina, mi dissi, ma sapevo che una volta partorito non ne avrei
avuto il
tempo.
Una macchina si fermò vicino al comprensorio e il volto
sorridente di Junko fece capolino dal finestrino, io sorrisi, contenta
che
avesse deciso di accompagnarmi.
“Buongiorno, Nana!”
“Ciao, Jun!”
Salii in macchina e mi allacciai la cintura di sicurezza.
“Grazie per essere venuta.”
“Non potevo certo lasciarti prendere i mezzi, ti stai
trascurando abbastanza
ultimamente.”
“Jun, non mi sto trascurando.”
Lei sbuffò.
“Hai solo altre priorità, il che è come
trascurarsi e
dove è Takumi in tutto questo?”
“Da Reira, lei non mangia, ha bisogno di lui.”
“E tu no? Non hai bisogno di Takumi, il padre della tu
creatura?”
“Io ce la posso fare da sola.”
La mia amica mi guardò dritta negli occhi.
“Perché state insieme?”
Io non risposi perché non c’era niente da dire,
non ci amavamo e tenevamo tutti
e due di più ad altre persone.
Takumi teneva a Reira, io a Nana e Nobu, l’unico motivo
per cui stavamo ancora insieme era il bambino che cresceva nella mia
pancia e
lo sapevamo entrambi.
Non era un buon marito, ma sperai che sarebbe stato un
buon padre per Satsuki, la mia felicità poteva finire in
secondo piano come
sempre.
“Nana, perché non lo lasci e non vai dai tuoi o
dai a
Nobu una possibilità?”
“Takumi è in grado di mantenerci e se tornassi dai
miei
gli spezzerei solo il cuore, una figlia separata e incinta darebbe
adito a
troppe chiacchiere.”
“Ma tu non sei felice.”
Io scossi le spalle, io avevo preso una decisione scegliendo Takumi e
io dovevo
portarla fino in fondo, dovevo essere adulta e responsabile per una
volta. Questa
volta non c’era Nana a sostenermi, dovevo contare solo sulle
mie forze.
“Sei sicura di quello che fai?”
“Sono sicura che sarà un buon padre e questo
basta.”
Junko tacque, probabilmente pensava che stessi sbagliando, attaccandomi
ancora
una volta a un uomo che non era quello giusto per me.
“L’unico con cui ti ho vista davvero felice
è stato
Nobu.”
“E io lo amo, ma Takumi è quello più
adatto per crescere il bambino.”
“E come? È sempre da Reira.”
“Le cose cambieranno.”
Pensavano sarebbero cambiate in meglio, ancora non sapevo quanto mi
sbagliassi.
Arrivammo all’ospedale, Junko parcheggiò e mi
accompagnò
in reparto, c’erano altre coppie in attesa per
un’ecografia, il padre era presente in tutti i
casi.
Qualche minuto dopo un’infermiera si affacciò da
una
porta.
“Ichinose Nana?”
Chiamò e io mi alzai insieme alla mia amica.
Entrammo e una dottoressa sui trent’anni mi sorrise
amichevole.
“Il signor Ichinose?”
“Non c’è, è via per impegni
di lavoro.”
“Capisco, ma è un vero peccato. Oggi potremmo
scoprire se si tratta di un bambino
o di una bambina, si stenda sul lettino, prego.”
Feci quello che mi fu detto dopo aver dato il mio cappotto e la borsa a
Jun,
alzai la camicia fino a che la mia pancia non fu bella in vista. La
dottoressa
spalmò del gel e cominciò a muovere
l’oggetto per radiografare su e giù lungo
la mia pancia. Il battito del cuore del bambino mi lasciò
senza fiato come
tutte le volte, amavo quella creatura in modo viscerale.
La donna rimase in silenzio per un po’, poi
cominciò a
indicarmi le varie parti con voce dolce.
“Il bambino sta bene, i parametri sono nella norma, forse
è leggermente stressato, ma non è nulla di
preoccupante.”
“È un maschio?”
“In verità non lo so, la posizione in cui
è messo non permette di determinare
il sesso.
Sembra che sia timido o forse ama le sorprese, in ogni
caso è in buona salute.”
La donna rimosse il congegno e il cuore cessò di battere, ma
sapere che stesse
bene mi rese felice, almeno una cosa stava andando bene.
Mi pulii e mi riallacciai la camicia, poi mi rimisi il
cappotto, la dottoressa mi diede i risultati dell’ecografia.
“Si riguardi, signora Ichinose.”
“Certamente.”
Uscimmo e mi stiracchiai, mi era tornato il buon umore.
“Jun, ti va se andiamo a bere qualcosa in un bar?”
“Certo, ma non dovresti chiamare Takumi?”
“Lo farò dopo, non c’è
fretta.”
Lei scosse la testa.
Sapevo che chiamare mio marito era la cosa giusta da
fare, ma volevo tenermi quella gioia ancora un po’ solo per
me.
Quando Shion mi disse che dovevo
impegnarmi per
far felice Takahiro
accettai, certa nel mio cuore che
fosse
la cosa giusta, eppure
un istinto più forte di qualsiasi
decisione
razionale mi spingeva ad
andarmene via.
Quello non era il mio
posto, dovevo cercarlo altrove.
-Misato Uehara
Il mio ritorno a casa fu accolto
da grandi abbracci e
dimostrazioni d’affetto, erano tutti felici che io fossi
tornata con mamma. Io
invece mi sentivo inquieta, guardavo mio fratello e la solita marea di
sensazioni bizzarre mi tirò a fondo. Non sapevo definirle,
avevo detto a Shion
che era amore, ma era davvero amore?
Sentivo un grande affetto, un desiderio di piacergli,
volevo che mollasse la sua ragazza per stare con me, eppure non
riuscivo a
immaginarmi di baciarlo. Era come avere i sintomi di una strana e
inclassificabile malattia. Amore era una definizione che gli andava
molto
vicina, ma anche ossessione.
In ogni caso mi impegnai con tutta me stessa per dare gli
esami di terza media, mio padre voleva che frequentassi un liceo ad
Okayama,
dove ci eravamo trasferito, io bramavo Tokyo.
Lui riempiva i moduli e io guardavo su internet i siti
dei licei e delle scuole professionali della capitale, una falena che
cerca la
sua lampada per bruciare.
Stare vicino a mio fratello e cercare di fare la brava
bambina non era facile, forse essere un adolescente responsabile mi
sarebbe
venuto meglio in un altro posto.
Alla fine trovai una scuola a metà tra un liceo e una
scuola professionale. Formava giovani che volevano lavorare nel mondo
dello
spettacolo da dietro le quinte, come roadies o assistenti manager e
sembrava
fatta a posta per me. Shion mi aveva detto di sostenere Nana facendo
del mio
meglio e cosa c’era di meglio se non aiutarla nel suo mondo?
Era una fuga legalizzata, un accettabile compromesso tra
le mie due parti, ora dovevo solo parlarne ai miei genitori.
Decisi di farlo a cena, stavamo tutti mangiando pollo al
curry quando mi decisi a parlare.
“Papà, vorrei andare a scuola a Tokyo.”
Lui mi guardò senza capire.
“Ho trovato un liceo che forma persone che lavorano
dietro alle quinte del mondo dello spettacolo e vorrei frequentarlo, la
retta
non è nemmeno altissima.”
“Sei ancora scossa per quello che è successo a
questa famiglia?”
Mi chiese brusco, una volta che ebbe recuperato la voce.
“No, solo penso che questa scuola sia meglio per me che
frequentare il liceo qui o a Osaka.”
Lui inarcò un sopracciglio.
“E come sarebbe meglio?”
“Mi
formerebbe su un lavoro e potrei
trovare subito o quasi un posto dopo il diploma e poi…
Potrei aiutare mia sorella, ecco.”
Mio padre sospirò, doveva avere un sacco di problemi
nell’accettare che c’era
questa nuova e sconosciuta appendice della famiglia.
“Come sospettavo non hai ancora superato quello che
è
successo in questi mesi e non posso biasimarti.”
“Ma papà! Non è così, io
…”
Lui alzò una mano per farmi tacere.
“Che ne dici di un compromesso, Misato?
Tu frequenti per un mese il liceo qui ad Okayama e se
dopo sarai ancora convinta che non fa per te, penseremo a
Tokyo.”
“Se non dovesse andare bene qui pagherò la tua
retta con l’eredità della nonna
e tu dovrai lavorare per pagarti l’appartamento e altre
spese.”
Mio padre fulminò mia madre per una frazione di secondo poi
si rivolse di nuovo
verso di me.
“Cosa ne pensi, Misato?”
“Per me è okay, io sono convinta della mia
decisione, ma
se per voi è meglio aspettare,
aspetterò.”
Mio padre annuii, considerava ancora la mia scelta come il capriccio di
una
bambina, io gli avrei dimostrato il contrario.
Finito di mangiare lavai i piatti e pulii la cucina come
mio solito, Takahiro uscì e mi lanciò una strana
occhiata, come se in me non
riconoscesse più sua sorella e il punto era quello. Potevo
ignorare gli eventi
degli scorsi mesi, ma non le loro conseguenze su di me: non sarei
più stata la
ragazzina spensierata che conosceva, adesso avevo un’ombra
che mi cresceva
dentro.
Andai in camera mia e mi sedetti alla mia scrivania con
un foglio banco davanti a me, volevo scrivere una lettera a Nana, ma
prima
dovevo essere sicura che le arrivasse così presi il mio
cellulare e scrissi a
Shion.
“Ciao, Shion.
Sono Misato, come stai?
Io sono inquieta, ma te ne
parlerò meglio un’altra volta.
Vorrei scrivere una
lettera a Nana, se te la mandassi
gliela consegneresti?
Ciao e grazie.”
Il mio cellulare vibrò
qualche minuto dopo.
“Ciao, Misato. Io sto bene, chiamami se vuoi per la cosa che ti rende inquieta. Scrivi pure la lettera a Nana, gliela farò avere. Stammi bene.”
“Grazie
mille, Shion.
Ti chiamerò appena posso e ancora grazie.”
Presi in mano la penna e cominciai
a pensare alle parole che le avrei voluto
dire, una lettera gliela avevo già scritta dopo la morte di
Ren, questa doveva
essere diversa.
“Ciao, Nana.”
Iniziai e lasciai che i miei pensieri fluissero liberamente.
“Sono Misato
Uehara, spero tu abbia letto la mia lettera
e che tu stia meglio almeno un po’.
Questa volta
però non voglio scriverti da fan, ma da
sorella, perché noi siamo sorelle e non voglio
più ignorare questa cosa, il che
non significa che la forzerò su di te.
Tu sei libera di
continuare a considerarmi una fan
qualsiasi, ti capirei, ma io ho bisogno di parlarti della nostra
“famiglia”.
Per prima cosa: scusami.
Scusa se mamma ti ha
abbandonato quando avevi quattro
anni e non è mai tornata a riprenderti, nemmeno quando si
è sposata con mio
padre. Mi dispiace dal più profondo del mio cuore, se fossi
davanti a te mi
inginocchierei con la fronte a terra.
Scusa se io sono la
figlia che lei ha scelto di crescere,
non meritavi questa discriminazione e scusa se sono io a scusarmi e non
mamma,
ma non so se la ascolteresti come non so se ascolterai me.
Non ci sono comunque
scuse per il suo comportamento e le
mie forse sono troppo poco rispetto al dolore che hai provato per tutta
la
vita.
Vorrei che fosse andata
diversamente, mamma ha privato
entrambe di qualcosa di molto prezioso: il legame tra sorelle.
Eppure io ti sento lo
stesso come una sorella e con il
tempo spero che anche a te accada lo stesso, perché forse
così ti potrei
aiutare sul serio. La morte di Ren mi ha straziato e nemmeno lo
conoscevo,
immagino che per sia cento volte peggio. Vorrei abbracciarti e dirti
che andrà
tutto bene, anche se sapremmo entrambe che sarebbe falso. Vorrei
trovare le
parole giuste, ma penso non ce ne siano.
Quando una persona che
amiamo così tanto ci lascia in
modo così improvviso e parole perdono il loro potere e
quelle che contano
davvero sono quelle che non abbiamo detto.
Io però
vorrei provare a esserci, sempre che tu lo
voglia.
Casa mia è
sempre aperta per te, vieni pure e piangeremo
insieme, in fondo alla lettera ci sono l’indirizzo di casa
mia, quello del
ristorante dei mie genitori e il mio cellulare.
Non so quando riceverai
questa lettera, ma può darsi che
quando accada io non sia più qui: voglio venire a Tokyo.
Ti voglio un mare di
bene e ti porgo ancora le mie
condoglianze.
Sei sempre nei miei
pensieri.
Tua sorella Misato
Chiusi la lettera e sorrisi,
domani l’avrei imbucata.
Credere di aver fatto la cosa giusta mi faceva stare
meglio, mi scaldava il cuore.
Erano solo sensazioni effimere e passeggere, la tragedia
doveva ancora raggiungere il suo culmine, niente avrebbe potuto
fermarla.