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Autore: Doux_Ange    26/02/2020    1 recensioni
Ancora una volta, con una citazione dalla fiction - stavolta del PM - i nostri Anna e Marco, con un finale diverso per la loro storia, nelle varie puntate. Il titolo potrebbe variare. Grazie sempre a Martina per il brainstorming!
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Olivieri, Marco Nardi
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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NON UCCIDERE
 
Marco’s pov
 
Sono sul divano di Casa Cecchini.
 
Ho già comunicato che domani non riuscirò ad andare al lavoro, perché non sto bene.
Proprio adesso sono intento a leggere i bugiardini di una serie di medicine, alla ricerca di quella più adatta ai sintomi che mi sento addosso.
Apparentemente è come se li avessi tutti, anche se so che non ho più di una leggera influenza.
Il problema in verità è un altro.
Perché la vera malattia di cui soffro non può essere curata da nessuno dei farmaci che sto controllando, né che potrei acquistare.
L’unica cura possibile è una persona. Che mi odia.
L’organo che soffre davvero, in me, è il cuore, straziato da una ferita che io stesso mi sono inferto. Sono io l’unico colpevole.
E lo so bene.
Ho provato ad agire, espiare, come dice Cecchini, e sperare, ma sono mesi che tento senza nessun risultato. E inizio a credere che sia inutile continuare a insistere.
È per questo che mi trovo così, in questo stato. Mi sono lasciato andare a quello che temo sia davvero l’inizio di una depressione.
Ma non voglio pensarci, è più facile credere di avere tutti questi sintomi e una malattia qualsiasi che può guarire facilmente, in perfetto stile Cecchini, ipocondriaco com’è.
Mi sa che passare tutto questo tempo con lui non mi fa proprio bene.
Ricordo ancora quella volta in cui pensava che sarebbe morto per via dei morsi dei tarli! Quando Anna e Chiara avevano chiesto, insieme a lui, ospitalità a casa mia...
Rivedendo la scena in modo più obbiettivo, Chiara quella volta ci aveva provato spudoratamente e io ci ero cascato in pieno, col trucchetto del fuorigioco. Da brava geisha, aveva trovato il modo di attirarmi compiacendomi. Quello che Federica non aveva mai fatto, usando al contrario me per i suoi scopi.
La cosa più divertente dell’episodio, invece, era successa con Anna, che aveva svegliato il maresciallo per impedire che baciassi sua sorella. L’avevo saputo da lei stessa quando ormai stavamo insieme... per gelosia.
Peccato che ora tutto questo conti quanto un due di picche.
Anzi, magari fosse stato un due di picche... sarebbe stato meglio dell’indifferenza che Anna mi riserva, o l’odio e il dolore che leggo nel suo sguardo, la sua delusione, tutti motivi per i quali mi ritrovo adesso su questa poltrona. Cercando una giustificazione per una sofferenza che ha tutt’altra origine non segnata su questi bugiardini.
 
Ci mancava solo il maresciallo che rientra con un maialino al guinzaglio, insistendo di volermi far fare una foto con l’animale in braccio.
Per una volta ringrazio il tempismo del suo cellulare che squilla.
La notizia è meno bella di quanto avremmo voluto, però, perché pare Don Matteo abbia avuto un incidente.
Cecchini corre in ospedale lasciandomi da solo col maiale, che mi osserva in modo dubbioso prima di lanciare un sonoro sgrunt.
Probabilmente anche lui ha notato la mia cera.
Fantastico.
Anna’s pov
 
Per fortuna, ieri sera almeno Don Matteo è rimasto illeso. Ha però investito una ragazza, adesso in fin di vita, che si è ritrovato davanti all’improvviso e non è riuscito a scansare in tempo.
Sono rimasta in caserma fino a tarda notte per riuscire ad aprire il fascicolo, quindi stamattina me la son presa libera, nella speranza di potermi concedere una tregua e rilassarmi.
Ultimamente non è una cosa che mi riesce granché.
La notte è difficile chiudere occhio. Se di giorno sono la solita Anna, quella che è la più forte, sempre, a prescindere, la sera quando rientro a casa da Patatino, le cose sono molto diverse.
I ricordi di quanto successo mi assalgono non appena mi chiudo la porta alle spalle, e per quanto cerchi di impedirmi di pensarci, non ce la faccio: io e Marco che litighiamo per la questione del Pakistan, lui che si fa da parte definendosi un ostacolo, poi noi che facciamo pace, il giorno del matrimonio... e lui che mi confessa di avermi tradita. La scoperta, qualche giorno dopo, di chi fosse l’altra. Sergio, apparso da nulla e con lui la mia vita passata e futura materializzata in una dolcissima bimba di nome Ines. Mamma che tenta di aiutarmi ma che mi confonde soltanto. Cecchini che prova a farci riappacificare ma fa solo danni, e l’uomo che amo e che ho sfrattato da casa ospite dell’appartamento di fronte al mio.
Sì, l’uomo che amo.
Sarebbe stupido negarlo.
Così come sarebbe inutile cercare ancora di odiarlo.
I nostri due anni insieme non si cancellano così, da un giorno all’altro: per quanto abbia tentato di chiudere quei momenti in un angolo della mia mente, ho capito che non ci riuscirei mai nemmeno volendo.
Fingere che non ci sia stato niente tra noi è impossibile.
Nemmeno Marco ce la fa.
Non ci è riuscito nemmeno quella sera che si è portato la PM a letto.
Ha bevuto per dimenticare almeno per qualche ora.
Ma ha finito per commettere l’unico sbaglio che sapeva già anche lui non sarei riuscita a perdonargli.
Il tradimento c’è stato, da quello non si torna indietro, non si può cancellare.
Vorrei, così come lo vorrebbe Marco, ma non si può.
E ogni giorno è sempre peggio perché non capisco.
Marco è sempre il mio Marco.
Come ha potuto tradirmi?
 
I miei pensieri vengono bruscamente interrotti dal campanello.
Quando apro la porta, mi pento immediatamente di aver preso la mattinata libera.
“Sorpresa!!!”
Elisabetta, mia cugina.
Mi sento assalire dal panico.
Il suo matrimonio!
Cavolo, no! Avevo cercato di non pensarci!
Il suo invito mi è arrivato un paio di settimane dopo le mie nozze saltate come un fulmine a ciel sereno, anche se la cosa era già nell’aria da tempo.
Ne avevo addirittura parlato, con Marco.
Per quanto voglia bene a mia cugina, Elisabetta sa essere particolarmente pesante e il tatto non è mai stato il suo forte, quindi pensavamo a quel giorno come a una tortura, visto che anche lui l’aveva ovviamente conosciuta.
Solo ora mi ricordo che sarà questa domenica.
Che gioia!
Cerco di sopportare i suoi modi sperando in una visita breve e indolore.
“Dimmi la verità, tesoro... come stai?” mi chiede.
“Bene, perché?”  
“Beh, insomma, dopo quello che ti è successo,” fa lei, e mi rendo conto di essere stata ingenua. “dev’essere stato orrendo ricevere l’invito per il mio matrimonio!”
Cerco di sviare il discorso.
“Ma... ma sono felice per te.”
“Ma quindi verrai lo stesso?” mi domanda, esterrefatta.
“Sì, certo che vengo,” è la mia risposta sconcertata. Perché non dovrei?
“Uh, che sollievo! Sai, avevo paura che per te fosse troppo deprimente... ti ricordi quanto è stato penoso?” commenta, mentre io mi ritrovo a dover fare appello a tutta la mia forza di volontà per non scoppiare a piangere così. Come dicevo, il tatto non è il suo forte, e non ha ancora finito... “Io invece sono così felice! Sto per sposare l’uomo dei miei sogni, non potrei chiedere di meglio!” continua, al settimo cielo, e non so come faccio a trattenermi dallo spingerla fuori di casa e sfogarmi come vorrei.
Elisabetta sa essere una serpe, quando vuole.
Non c’è niente di male ad attendere con ansia il proprio matrimonio, ci mancherebbe, ma cavolo... C’era proprio bisogno di rimarcare quanto è stato orribile per me quello che avrebbe dovuto essere il giorno più bello della mia vita? E di sottolineare quanto il suo futuro marito sia l’uomo dei suoi sogni?
Anch’io ero convinta di stare per sposare un uomo meraviglioso, solo per scoprire letteralmente a un passo dall’altare che mi aveva tradita.
Proprio lui, che si era ritrovato nella posizione opposta.
Riducendo il mio cuore in frantumi.
Ottima scelta dei termini! Pure l’abbraccio, vuole!
No, ma non vi preoccupate... Che problema c’è, chi se ne frega di quanto sto male io, qui sono tutti felici, e contenti di farmelo notare, e io devo pure esserlo per loro.
Sento bussare alla porta ancora aperta, per cui ne approfitto per allontanare mia cugina prima di strangolarla.
“Permesso? Scusate, non volevo interrompervi, faccio in frettissima...”
Sergio, grazie grazie grazie.
“Ti lascio le chiavi della macchina.” dice solo, prima di andare via.
Elisabetta non attende un secondo per comunicarmi di aver pensato di mettermi insieme agli altri single... al tavolo dei bambini.
Cioè, io ancora a preoccuparmi, quella mattina, di non mettere zia Carmela al suo stesso tavolo, e lei non si fa scrupoli al mettermi insieme ai mocciosi?!
Ma siamo sicure di essere parenti, noi due?
Certe volte penso di essere stata adottata.
Comunque, siccome non c’è limite al peggio, mia cugina è convinta che mi stia facendo un favore perché sarebbe improponibile presentarmi da sola, manco fossimo nel Medioevo, e finisco per mettermi nei guai da sola.
Perché non so come, Elisabetta capisce che ho un nuovo fidanzato... Sergio.
Quando confermo, è il panico a parlare.
Anche perché non ho proferito sillaba, io.
Mia cugina invece parte in quarta.
“No, ti prego, amor, voglio sapere tutto! Chi è, quanti anni ha, dove l’hai conosciuto... Ma io dico, ti succede una cosa bella nella vita e non chiami tua cugina per raccontarglielo?!”
“Quante domande!!” la fermo, col mio sorriso più falso. Con una scusa, riesco a mandarla via, rimanendo finalmente da sola, chiedendomi cosa accidenti abbia nel cervello.
A parte niente, intendo.
Non faccio nemmeno in tempo a chiudere la porta, che mi ritrovo per l’ennesima volta a singhiozzare.
Perché la vera cosa bella della mia vita è stata incontrare Marco.
Lui era la cosa più bella in assoluto, e ha rovinato tutto.
Tutto.
 
Le indagini proseguono e nel pomeriggio, una volta in caserma, becco Cecchini al telefono con la sua biscottina, mia madre. Ancora fatico a credere che usino sul serio questo nomignolo.
A dire il vero non mi riesco ad abituare al fatto che si frequentino, anche se sono felice per loro perché meritano di avere un po’ di felicità. È quel soprannome che detesto.
Ovviamente, il maresciallo riattacca non appena io arrivo davanti alla sua scrivania.
“Era sua madre, dice che le manco,” mi informa.
Grazie, maresciallo, mi serve questo tipo di comprensione.
“Non mi interessa,” ribatto, seccata, ma lui non demorde.
“Dice che è preoccupata per Nardi,” continua, fissandomi. “Pure Lei è preoccupata!” afferma, alludendo a me.
Certo, ma non lo vengo a dire a Lei.
“Non direi,” nego infatti col tono più convincente che mi riesce, “hanno detto che hanno mandato un sostituto, le indagini possono proseguire.” spiego, come se mi importasse solo dell’aspetto lavorativo.
Rapporti civili.
“Ah, non è preoccupata?” mi schernisce però Cecchini, “lui sta male per Lei! Per colpa sua!”  
A questo non riesco a mantenere la calma.
“Non mi-... è sempre colpa mia!” mormoro, rabbiosa.
Certo, quindi si è ammalato per colpa mia, com’è colpa mia il tradimento?
Non ho cominciato io il casino che ci ha portati qui.
Okay, in parte sì, magari se gli avessi detto prima del Pakistan le cose adesso starebbero diversamente.
Nel senso che a quest’ora io sarei a seimila chilometri da qui, e farebbe comunque terribilmente male, ma almeno non avrei sempre Marco davanti a ricordarmi cos’eravamo e cos’ha buttato via. E soprattutto, non saprei che mi ha tradita.
E poi, non doveva espiare, Marco? Bene, che si tenga la malattia! A ognuno il suo dolore.
Anche se io per prima so che la cura sarebbe facile, per me: dargli quella seconda possibilità che invece continuo a negargli. Che non significherebbe perdonarlo, ma credere che dietro a tutto questo caos, non c’è solo l’uomo che mi ha delusa, ma anche quello che ho imparato ad amare.
Il problema è che lo so, che quel Marco c’è e non è mai andato via, lo vedo nonostante il cuore in frantumi e il velo di lacrime che non mi lascia mai.
Ma la mancanza di una vera ragione che possa giustificare quella notte mi impedisce di accettare una tregua.
Dov’era il vero Marco, in quelle ore?
L’uomo che ho conosciuto non sarebbe mai andato a letto con la prima incontrata in un bar.
Pensavo bastasse, il nostro amore.
 
Zappavigna, che ha portato il caffè a Cecchini, mi fa notare che è appena arrivato il sostituto.
Quando mi giro, però, mi si gela il sangue nelle vene.
Perché è la Procuratrice Capo.
Sara Santonastasi.
In tutta la sua bellezza e il suo carisma.
Perché sarebbe stupido negarlo.
Come da stupidi è buttar via una storia d’amore per una litigata.
Ma Marco ci è riuscito. La sera stessa che ci eravamo lasciati.
E ora, ogni dannato giorno, mi ritrovo a lavorare con il traditore e il suo capo che è, guarda caso, l’altra.
Mi avvicino a Cecchini, arrabbiata.
“Perché lei?” mormoro.
Lui è ancora fermo sul suo punto, però.
“Se Lei non faceva stare male Nardi...” commenta, allusivo.
Ancora con questa storia?!
“Buongiorno,” ci saluta Sara. “Che ha Nardi?” domanda, ma io non riesco a rispondere.
Ci pensa il maresciallo. “Eh, l’influenza.”
Zappavigna corre in mio aiuto.
“Eh, sì, gira l’influenza...” dice, guardandomi di sottecchi.
Beh, noi due ci capiamo, vero?
“... gira, gira, gira, poi si ferma e lui torna.” conclude Cecchini, ed è in momenti come questo che lo strangolerei volentieri.
Direi che Marco la via l’ha già smarrita, non gli serve continuare.
Comunque, la PM mi chiede del caso, così mi ritrovo costretta a parlare con lei, nel mio ufficio, cercando di tenere a bada per l’ennesima volta la voglia irrazionale di scappare lontano.
Lei sarà anche gentile, a tentare di non farmi pesare quanto accaduto, ma non funzionerà mai.
Non riuscirei mai a dimenticare chi ho davanti.
 
Una volta informata su tutto, la accompagno giù, solo per capire che oggi non è proprio giornata.
Perché a uno dei tavolini del bar di Spartaco, c’è Elisabetta... con Sergio!
Mi precipito a interrompere qualsiasi conversazione stia avvenendo, sperando di arrivare in tempo.
Naturalmente no.
Amore! Ma è un vero piacere conoscere il tuo fidanzato!”
“Eh?!” esclama Sergio, voltandosi a guardarmi.
Fatemi sparire, ORA!
Per mia fortuna, lui capisce e mi regge il gioco.
“Ah, sì, certo!”
“Caro, meno male che ci sei!” commenta mia cugina, “perché la stavo mettendo nel tavolo dei bambini!”
Sopprimetela, prima che lo faccia io.
Lei si accorge dell’orario, e finalmente va via.
Okay, voglio sparire di nuovo.
“Simpatica, tua cugina,” ridacchia Sergio, una volta che lei è fuori portata.
“Ti posso spiegare tutto,” mormoro, arrossendo per il malinteso. “Lei è mia cugina Elisabetta, si sposa, e se io non vado al matrimonio con un fidanzato, lei mi mette al tavolo dei bambini. E io non ce l’ho un fidanzato, ieri sei passato tu, e le ho detto che sei... il mio fidanzato.” mormoro.
Ora posso scavarmi la fossa da sola. In che cavolo di guaio mi sono cacciata?
“Okay,” commenta lui, comprensivo, ma io sono troppo in imbarazzo perfino per guardarlo.
“Scusami... troverò una scusa per non farti venire, e grazie per non avermi fatto fare una figuraccia.”
“Ma no, figurati, vengo volentieri”, mi contraddice però Sergio, spiazzandomi. “è da tanto che non vado a un matrimonio!”
“Cioè, mi accompagneresti al matrimonio di Elisabetta?” chiedo, sconcertata.
“Vuoi stare nel tavolo dei bambini?”
“No!”
“E allora? Farò il tuo fidanzato, così posso anche sdebitarmi per quello che hai fatto per me.” accetta con un sorriso.
Riesco a mala pena a ringraziarlo, sono troppo sconvolta.
Me ne torno in caserma, incredula.
Inizialmente non capisco nemmeno per cosa lo avrei aiutato... in fondo, gli ho solo offerto una mano perché nessun altro voleva farlo, perché sono convinta che non è tutto da buttare come dice lui. Si cade, ma ci si rialza. E se c’è qualcuno che ti aiuta, è sicuramente più facile. Nessuno lo sa meglio di me, che di queste cadute ne ho prese parecchie, negli anni.
E in un uno dei momenti più difficili, avevo trovato la mia ancora di salvezza in mare aperto.
Perché scoprire che il mio fidanzato voleva farsi prete mi aveva sommersa di dubbi nei quali ho seriamente rischiato di affogare.
Scoprire che il mio salvatore mi avrebbe tradita non è che sia una situazione più gratificante, però.
Ma perché torna tutto a lui, sempre a lui?
Perché non riesco a far uscire Marco dalla mia testa, dal mio cuore?
Ma chi voglio prendere in giro...
Non è facile come voglio far credere.
Soprattutto perché io sono la prima a non volerlo fare davvero.
 
Marco’s pov
 
Sono ancora a casa, la malattia non sembra voler passare.
Qualcuno suona alla porta, distraendomi dai miei pensieri cupi.
Quando vado ad aprire, è come se avessi fatto entrare una luce nell’oscurità.
È Ines.
“Ciao!”
“Ciao!” la saluto, sorpreso. “E tu che ci fai qua?”
Incredibile come riesca a farmi tornare il sorriso, come nessun altro.
Veramente, ci sarebbe un’altra in grado di farlo, quanto e più di lei forse, ma per adesso non voglio pensarci. 
“Sono venuta a trovare Jimi,” mi spiega la piccola.
“Chi?”
Lei non mi risponde, sorpassandomi e fiondandosi in cucina.
“Che fai?” dico, seguendola.
Certo che basta lei a rivoluzionarmi la giornata. Per un po’ dimentico tutto il resto.
Ecco chi è Jimmy... il maialino.
La osservo sorridendo, mentre lei accarezza l’animale, affermando che dev’essere affamato.
Do un’occhiata in frigo.
“... Secondo me preferisce la pasta al forno,Jimmy, che dici?”
Lei scoppia inaspettatamente a ridere.
“Che c’è, che ho detto?” Le chiedo, senza capire.
“Non si chiama Jimmy... si chiama Jimi! Come Hendrix!”
Certo che Cecchini aveva capito tutto, eh.
“Gli hai dato il nome di Hendrix? Ah, ma allora è un intenditore! Pasta al forno tutta la vita!”
Lei sorride, e io le porgo il piatto affinché possa dare lei stessa da mangiare al maialino.
Adoro questa bimba, assomiglia proprio ad An- no! Mi ero riproposto di non pensarci!
“Prendi pure il latte!” mi dice poi Ines.
“Come, perché i maiali bevono anche il latte?”
“No, quello è per me!” ridacchia.
Io le verso il liquido nel bicchiere, soffermandomi poi a guardarla.
Mi viene spontaneo pensare a quanti passi avanti io abbia fatto con i bambini in questi ultimi anni. E pensare che prima la sola idea mi dava l’orticaria... soprattutto dopo la fine della mia storia con Federica, non ne volevo proprio sentir parlare. Lei aveva già deciso tutto: ne voleva due, un maschio e una femmina, come se fosse possibile scegliere in anticipo. Che follia.
Stranina, la tua ex...
Io direi qualcosa in più di ‘stranina’, ma vabbè.
Dovresti denunciarla per circonvenzione di incapace.
E in effetti, il suggerimento tanto sbagliato non era.
Però, dopo aver conosciuto meglio Anna e trovato finalmente il mio posto nel mondo, al suo fianco, le cose erano drasticamente cambiate.
Cambiare, un termine che prima avevo ripudiato, e che invece negli ultimi due anni e mezzo avevo imparato ad amare. A metterlo in pratica, in ogni ambito possibile.
Un esempio? Beh, Cosimo, quella sera del test, mi aveva detto che come padre facevo schifo, ma appena pochi giorni fa Anna, in lacrime, ha mormorato, affranta, che sarei stato un padre fantastico.
E a guardarmi adesso, con una bottiglia di latte in mano e la piccola Ines intenta a berne un bicchiere, mi rendo conto del perché, e ammetto che vorrei tanto poterlo essere.
Solo che la sensazione non è bella come dovrebbe.
Perché a quest’ora dovrei essere con Anna, a casa nostra, e questo momento dovrebbe essere uno scorcio di vita quotidiana.
Quella vita che, come mi ha fatto giustamente notare lei, io ho buttato via. Non potrei essere più d’accordo, su questo punto. Perché alla fine sono stato io a rovinare tutto.
Ormai nemmeno ci spero più in un suo perdono, per questo sto così male.
L’unica, fievole speranza che ho è che Anna, prima o dopo, accetti di darmi quella seconda possibilità, per poterle dimostrare che posso essere migliore di quanto io sia stato finora. Che quello è stato un errore orribile, che non avrei dovuto né voluto commettere, e che mai più si ripeterà.
Che il Marco che ottimizza le energie e che starebbe sempre in bermuda e ciabatte (tipo adesso...) può invece animarsi e fare l’impossibile per farla ridere di nuovo, e renderla felice.
Perché io l’amo, e farei qualsiasi cosa per lei.
 
Cecchini’s pov
 
In caserma, Anna sta dando le direttive su come proseguire le indagini.
Quando rimaniamo soli nel suo ufficio, mi informa su cosa dobbiamo fare noi.
“Maresciallo, io e Lei dobbiamo andare alla fabbrica dolciaria.”
Colgo il pallone al balzo per cercare di smuoverla di nuovo.
“Così magari ne approfittiamo per comprare qualche dolcino al povero Nardi,” suggerisco, sperando in una sua reazione. “È depresso.”
Ma, come sempre, lei nega.
“No,” afferma, con un tono che non ammette repliche e un’occhiata minacciosa, “dobbiamo andare a parlare con una donna che potrebbe conoscere la ragazza aggredita.”
“Comandi,” mormoro.
È sempre inflessibile, lei, almeno in apparenza.
E questo mi dispiace molto.
Nei due anni trascorsi, mi sono affezionato molto sia a lei che a Marco, e penso che stavolta non sarei riuscito a superare la morte di mia moglie Caterina se non ci fossero stati loro ad aiutarmi.
Il minimo che posso fare, ora, è dare una mano a loro.
Non è perché mi voglio impicciare come pensano loro, o farmi i loro affari... io voglio solo vederli felici.
Certe volte questo vuol dire intromettermi nelle loro vite, forse un po’ troppo, ma lo faccio a fin di bene, e loro lo sanno anche se dicono il contrario.
E lo so che le cose che dico una reazione la provocano in tutti e due, pure e soprattutto nel Capitano.
Perché pure loro vorrebbero risistemare le cose, anche se Anna dice sempre di no, che non le importa più niente del PM, e che non ne vuole sapere.
Se solo riuscissero a parlarsi veramente, però, non come hanno fatto finora, se si spiegassero...
Certo, non si può cancellare quello che ha fatto Marco (su questo, una spiegazione non ce l’ho nemmeno io. Come ha potuto fare una cosa del genere, lui che ama Anna più di qualsiasi altra cosa, il secondo dopo che l’aveva lasciata?), ma magari potrebbero riprovarci piano piano, a rimettere insieme i pezzi di quel puzzle che è la loro storia d’amore.
Perché Anna e Marco sono fatti l’uno per l’altra, è sempre stato evidente.
Anche Elisa è d’accordo.
Sinceramente il suo comportamento mi ha stupito.
Avrebbe tutto il diritto di odiare l’ex genero, e invece anche lei spera che le cose si possano sistemare tra loro, anche se è delusa per quello che è successo.
Me l’aveva detto più volte anche prima, che Anna non era mai stata così felice com’era con Marco, lui riusciva a tirar fuori ciò che lei aveva sempre tenuto nascosto. Ed è vero, con lui si era sbloccata. Il trauma invece l’ha fatta chiudere a riccio un’altra volta.
Pure Marco stesso, con Anna accanto era totalmente un’altra persona... ma in meglio. L’amore per lei lo aveva trasformato. E ora l’errore che ha commesso lo ha distrutto.
Sono veramente preoccupato per lui, perché faccio finta di niente, ma lo so che è davvero per lei che sta male.
Elisa pensa la stessa cosa, anche se non si esime dal rimproverarlo, se deve... come per la storia delle rose e dei cioccolatini. Certo, era stata un’idea mia, quindi tecnicamente aveva dato a me del pirla, ma secondo lei era colpa di Nardi.
Comunque, devo trovare un modo per risolvere le cose tra quei due, ma come?
 
Stiamo per uscire, quando il cellulare di Anna suona.
Lei mi intima di andar fuori dal suo ufficio, ma io resto a portata d’orecchio.
‘Ste telefonate possono essere utili.
E infatti, sta parlando con sua cugina, per il suo matrimonio a cui a quanto pare è stata invitata.
Quello che sento mi lascia di stucco.
“... sì, ci vengo al tuo matrimonio... ci vengo, con il mio fidanzato.”
Questa sì che è una splendida notizia!
Ma quindi lei e Marco hanno fatto pace! Come ho fatto a non accorgermene?
Io so sempre tutto... ma non ha importanza. Quello che conta è che abbiano fatto pace. Sono proprio contento! Si meritano di essere felici, loro due.
Sono talmente su di giri che lo dico pure a Zappavigna.
Meno male, finalmente!
 
Le indagini continuano, e io tengo informato Don Matteo come sempre.
Mentre sono in canonica, scopro che a Spoleto sta per venire nientemeno che il Papa!
Decido di usare al meglio il maialino che ho preso, per preparare l’asado argentino per la sua visita.
Mi incarico di informare tutti in caserma.
Mi affretto a chiamare prima il PM, però, perché ci sono un paio di cose che deve sapere al più presto.
Gli dico del Papa, per poi passare all’argomento più importante.
“... stia a sentire: Anna la inviterà al matrimonio di sua cugina!” esclamo.
Lui però non sembra tanto entusiasta.
“Non è che deve venire il Papa e cominciano a succedere miracoli, su,” mi canzona.
“Che fa, non mi crede?” chiedo, indignato.
“No.” è la sua risposta secca.
Uomo di poca fede, ora gli faccio vedere io.
“Guardi che l’ho sentito con le mie orecchie! Ha detto ‘inviterò il mio fidanzato’! Quanti fidanzati c’ha?” faccio, in tono eloquente. Anna uno, ne ha! E chi è? Lui!
“Sta dicendo sul serio?”
“Si vede che comincia a sentirsi in colpa... aspetti e vedrà. Adesso devo chiudere,” dico in fretta, perché si è avvicinata Anna.
Do a tutti la notizia, ma la Capitana non sembra così interessata, perché mi ricorda di nuovo delle indagini.
Ma figlia mia, distraiti un secondo!
 
Marco’s pov
 
Sono a casa con Jimi quando ricevo la chiamata di Cecchini.
Mi informa che a Spoleto tra qualche giorno viene addirittura il Papa! E a quanto pare il maresciallo vuole pure cucinare il povero maialino per preparare l’asado.
Povero Jimi, però, mi stavo affezionando. Quantomeno lui mi tiene compagnia in questi giorni, come avrebbe potuto fare Patatino, se solo quel traditore non avesse preferito Anna a me.
... tu guarda da che pulpito viene la predica.
In effetti Anna non ha avuto tutti i torti ad arrabbiarsi per la mia infelice scelta dei termini.
Comunque non mi ci soffermo più di tanto, perché Cecchini mi dà un’altra notizia che mi sconvolge: a quanto pare l’invito per il matrimonio di Elisabetta è arrivato sul serio, e Anna ha intenzione di chiedermi di accompagnarla.
Quanto mi infastidisce, sua cugina. Nel cervello deve avere aria e basta. Basti pensare a quelle battute stupide che fa, che spesso sono soltanto cattiverie gratuite, e la cosa peggiore è che nemmeno se ne accorge. Calpesta i sentimenti degli altri come se nulla fosse, pensando solo a se stessa. Anna le vuole bene, ma non mi ha stupito sapere che l’abbia sempre considerata troppo difficile da gestire. Io ci avrò parlato due o tre volte, e mi è bastato. Sia perché è veramente insopportabile, sia perché mi erano stati sufficienti pochi minuti per capire che Anna l’avesse inquadrata bene, come fa sempre con le persone. Le capisce al volo. Ed Elisabetta è una spina nel fianco.
Comunque, qualsiasi cosa ne dica Cecchini, io non sono convinto di questo invito, e infatti ho provato a dirlo al maresciallo. Il miracolo non l’ha fatto la Madonna, figuriamoci se lo fa il Papa, dai... anche se, mio malgrado, la sua sicurezza di aver addirittura sentito tutto con le sue orecchie per un po’ mi illude che forse, finalmente, lei stia cercando di darmi quella possibilità.
Anche se non mi spiego perché non abbia accettato di andarci da sola, come sarebbe stato normale, non siamo mica nel Medioevo.
Cos’è, pur di non presentarsi senza un accompagnatore, lo chiede a me? Anna? 
Mi sembra veramente strano. Cioè, dopo tutti i miei sforzi, il mio perdono giunge dal matrimonio di quella pazza di Elisabetta? Qualcosa qua non quadra.
Ma, in tutta sincerità, pur di avere una seconda possibilità con Anna, sono disposto a credere pure a Cecchini, per quanto inaffidabile sia. Il che è tutto dire, visto che le ultime volte che si è impicciato così tanto, ero finito a cena con Chiara prima, e convinto che Anna stesse per sposare Giovanni poi.
Ora che ci penso, ha perfino detto di averlo sentito con le sue orecchie, come quella volta davanti al municipio.
Ho il terrore che abbia capito male di nuovo, ma sono talmente depresso che non mi ci soffermo più di tanto, su questo punto. Accetterei qualsiasi storia assurda, pur di non abbandonare davvero la speranza di poter riconquistare il suo amore.
Dopotutto, il maresciallo non ha tutti i torti: quanti fidanzati ha, Anna?
 
Anna’s pov
 
In caserma, continuo con le indagini.
Sto interrogando la principale indiziata, con Sara.
La donna, la Dottoressa Montella, sembra essere sincera. Non sarà una santa, ma sta collaborando... e la storia dei certificati falsi, messa così, la capisco pure, ma riguardo al caso sembra non c’entrare nulla.
Per questo, la decisione di Sara mi sconvolge.
“Lei è in stato di fermo,” sentenzia, fredda.
Io poso il blocknotes e la penna, avvicinandomi a lei.
“Forse potrebbero bastare i domiciliari...” mormoro, cercando di farla ragionare. “Voglio dire, sta collaborando, e non mi sembra un’assassina.”
Lei però sembrava aspettarsi questa mia richiesta.
“Aveva ragione Nardi, allora.” afferma, spiazzandomi.
“Aveva ragione su cosa?” chiedo, senza capire dove vuole andare a parare. E che accidenti vuol dire... hanno parlato di me?
“Che ti fai coinvolgere emotivamente. Ma qui i fatti sono che lei è stata trovata sulla scena del crimine, e aveva un movente visto che la vittima la ricattava.”
Io non so cosa risponderle, ma non per i fatti o il resto.
Perché quand’è che Marco le avrebbe detto quelle cose di me? E soprattutto, da quando pensa che sia un tratto negativo?
Lui ha cambiato idea su questo aspetto da un sacco di tempo, ormai. Praticamente da subito.
Non è che... non lo pensava davvero, e mi ha mentito anche su questo per tutto il tempo?
Cioè, capisco che a Sara, che non mi conosce, potrei aver dato questa impressione: lo aveva pensato Marco, così come Cecchini e Tommasi. Ma io non mi faccio coinvolgere, valuto i fatti, la situazione e cerco di mettermi nei panni di chi ho davanti, e spesso si è rivelato un comportamento corretto.
È facile sentenziare senza sapere, nessuno lo sa meglio di me.
Eppure Marco ha detto queste cose di me a Sara, come se fosse sbagliato a prescindere, e mi ferisce non poco. Anche se non prendo le sue parole per oro colato.
La cosa che mi fa più male è proprio che lui le abbia parlato di me. Perché? Okay, è il nostro capo, ma pensavo avesse ridotto al minimo i contatti con lei, che li avesse limitati al lavoro, e invece scopro così che continuano ad uscire fuori dai margini.
Non mi ha già fatto abbastanza male, tradendomi con lei? Adesso deve pure dirle i fatti miei?
I miei pensieri confusi sono interrotti dal telefono che squilla, e che mi dà una notizia che non avrei voluto ricevere: la versione della donna non è confermata.
Sento crollare di nuovo tutte le certezze.
Ho sbagliato, significa che non ho capito nulla... che quella donna c’entra con il caso, e io non l’ho capito.
Nell’ultimo periodo, sembra sempre che non riesca ad azzeccarne una. Sembro incapace di vedere le cose con obbiettività, da quando è successo il casino con Marco.
Come se il dolore per il suo tradimento avesse portato via la mia capacità di scindere il lavoro dal privato.
Sono costretta a chiamare Ghisoni per portare via l’indiziata.
Anche Sara fa per andar via, ma prima di uscire si rivolge di nuovo a me.
“Meglio non farsi coinvolgere,” mi avverte, freddamente. “perché alla fine tutti mentono, o nascondono qualcosa.”
Mi è sembrato alludesse a qualcosa di personale, anche se non riesco ad afferrare il motivo.
Mi lascia da sola nel mio ufficio, a ripensare alle sue parole.
Mi costa moltissimo ammettere che ha ragione.
Riflette molto bene la mia situazione attuale, quello che è successo.
Quasi come se gli ultimi anni fossero stati fatti solo di bugie e mezze verità.
Ma davvero sono stata così cieca? La mia mente così offuscata dall’amore per Marco da non rendermi conto che mi mentiva?
Non può essere... è sempre stato tutto così reale.
Anna, non ci siam mai detti delle balle, non iniziamo ora.
Erano state queste le parole di Marco, quella maledetta sera, prima che mi lasciasse.
Eravamo sempre stati onesti l’uno con l’altra, non era il momento di nascondersi dietro mezze parole.
Solo per scoprire, adesso, che lui pensa ancora che io mi lasci coinvolgere dai casi. Che mi lascio commuovere. Io! Che ho dimostrato di saper mantenere il distacco anche di fronte a situazioni che mi riguardavano da vicino, come quando fu accusata Lina, la ex di Giovanni, e mi ritrovai a dover sentire che lui si era confidato con lei e mi accusava di non essere obbiettiva solo perché erano stati insieme, quando invece avevamo scoperto che lei non era stata sincera come diceva.
O quel caso di quella ragazzina a cui avevano ucciso il padre, in carcere per un reato che non aveva commesso... un caso che mi si era scagliato addosso con la potenza di una tempesta, perché mi faceva rivivere in modo terribilmente reale quello che avevo passato io con mio padre, una storia mai completamente chiusa.
Lui... che proprio durante quell’indagine, aveva sbattuto in galera il suo ex migliore amico senza pensarci due volte, senza valutare l’effettiva incongruenza delle prove a suo carico, per pura vendetta. Troppo arrabbiato e coinvolto per riuscire a vedere i fatti con chiarezza.
Non ci credo, che Marco pensi davvero quelle cose, di me.
Non ci credo, che mi abbia solo mentito, in questi tre anni.
Potrei, e sarebbe meglio se ci riuscissi, per certi versi, perché almeno avrei un valido pretesto per odiarlo, cancellarlo dalla mia vita per sempre, e tentare di andare avanti.
Ma non ce la faccio. Non ce la faccio.
Perché i ricordi che mi legano a lui, i momenti passati insieme, sono fin troppo reali, i nostri sentimenti troppo forti per essere solo una menzogna.
Anche se le parole di Sara continuano a gridare nella mia mente, e il mio cuore, già in frantumi, si spezza un po’ di più.
 
Come se la mia giornata non fosse già stata estenuante, stasera devo vedere Sergio, da me, per creare una storia per noi due che stia abbastanza in piedi da reggere alle domande dei miei parenti, per il matrimonio.
Perché di certo non posso presentarlo dicendo a tutti che è un ex galeotto. Sono pur sempre un Capitano dei Carabinieri, e purtroppo le apparenze nella mia famiglia contano.
Sono sempre stata considerata un ‘modello da seguire’ in famiglia, e col tempo sono rimasta mio malgrado incastrata in questo ruolo. Obbligata a dover essere sempre all’altezza, sempre composta, sempre perfetta.
Anna, che non si sbilancia mai. Anna, che sa dominare le proprie emozioni, gestire i suoi problemi. Che fa sempre tutto bene, che non ha mai causato problemi o preoccupazioni. Anna, che è la più forte, sempre, a prescindere.
Sono sempre stata questo. Per tutti, Anna che non ha mai bisogno d’aiuto.
Che non fa mai niente di strano o sbagliato o sconsiderato.
Per questo non posso dire chi è davvero Sergio, poco importa se io non ci veda nulla di male in lui, per la gente resterà sempre un mostro. Perlomeno, per tutti quelli che non sanno che lui, con l’omicidio del nipote, non ha mai avuto niente a che fare, e il resto non è così grave.
Poi ci sono anche quelli che sanno della sua innocenza, ma ci vedono sempre del negativo nei suoi trascorsi con la legge, come Cecchini e Marco.
Ma, come dicevo, a me non importa quello che pensano gli altri, non è mai importato. Ci sono cose sulle quali il giudizio altrui non mi interessa. Sergio è simpatico e molto gentile, e la sua compagnia mi aiuta a distrarmi e a non pensare al cumulo di macerie in cui è ridotta la mia vita. E poi, voglio dargli una mano con Ines. Voglio che capisca che può avere una possibilità con sua figlia, deve solo impegnarsi a conoscerla, invece che allontanarla come sta facendo, con lei che saluta tutti quelli che incontra, tranne lui. Che si rifugia tra le braccia di Marco quando lo vede. Dovrebbe solo sforzarsi un attimo e accogliere il sostegno che gli offro.
Anche se in questo momento è lui che sta aiutando me, con l’aver accettato di accompagnarmi al matrimonio di Elisabetta.
Quindi eccoci qui, nel soggiorno di casa mia, mentre cerco di decidere cosa potrebbe mai fare lui in questa vita fittizia.
Naturalmente, come tutte le volte in cui tento di fare qualcosa di riservato, Cecchini irrompe a curiosare con una scusa veramente poco credibile, che io rigetto con un’altra altrettanto improbabile ma pazienza, tanto so che mi ha mentito, prima di tornare da Sergio.
“Dov’eravamo rimasti?”
“Progetti per il futuro,” mi risponde, passeggiando distrattamente avanti e indietro.
Dopo aver inventato un posto in cui ci siamo conosciuti, provo a farmi venire in mente un lavoro per lui, ma qualsiasi cosa proponga la smentisco da sola, perché mia cugina conosce mezzo mondo,e non posso tralasciare nessun dettaglio.
Mentre tento di mantenere la calma, che non ho al momento, Sergio ha un’idea diversa.
“Sai cos’è importante, ai matrimoni? La cosa più importante di tutte?” mi chiede, lasciandomi interdetta.
“Che cosa?”
Lo vedo trafficare col cellulare, che appoggia sopra un mobiletto.
Iniziano a diffondersi nell’aria note di una canzone romantica.
“Ballare,” afferma, avvicinandosi a me.
Io lo guardo terrorizzata, facendo un passo indietro.
“Che fai?” biascico. Glielo richiedo ma lui, per tutta risposta, mi prende taccuino e penna dalle mani, gettandoli alle sue spalle con fare teatrale.
“Ci alleniamo,” replica con un sorrisetto, prima di prendermi per mano e obbligarmi a ballare.
Ma rilassarmi non è la cosa più facile del mondo, per me, anche se devo ammettere che è un buon ballerino.
“Però, sei bravo,” ammetto.
Lui si mette a ridacchiare. “Lo dici come se fosse una cosa incredibile, ma grazie!” scherza.
Senza nemmeno rendermene conto, mi lascio distrarre e condurre in questo ballo improvvisato, scordandomi per qualche istante dei miei problemi.
Ma io sono sempre io, e quando mi accorgo che lui mi sta stringendo più del normale mi tiro indietro, finendo per far cadere a terra un vaso sulla mensola dietro di me.
Il rumore della ceramica in frantumi mi riporta alla realtà, in cui se sono qui con lui è perché Marco mi ha tradita e il mio cuore è ridotto peggio di quel vaso, e anche lui spesso e volentieri mi trascinava a ballare in soggiorno, solo per farmi ridere, per avere una scusa per abbracciarmi...
Mando giù il dolore meglio che posso, ignorando il leggero imbarazzo nell’aria, e riprendendo con Sergio a creare il suo ‘alter-ego’.
 
Marco’s pov
 
Sono seduto in soggiorno con Cecchini che tenta di risollevarmi il morale, inutilmente.
All’improvviso sento un rumore provenire dall’appartamento di Anna, che mi fa scattare in piedi.
“Ma che è? Ha sentito?” chiedo, preoccupato.
“Mah, niente,” fa lui.
“Ma come, niente? Da casa di Anna, un tonfo! Secondo me si è fatt-”
“Fermo fermo fermo, si fermi un attimo, non vada...” mi dice, fissandomi in modo strano.
Io salto su. Che ho, stavolta?
“Mamma mia... bianco, bianchissimo!” afferma, e io mi sento di nuovo distrutto.
“Ma no, di nuovo!” sospiro, tornando a sedermi.
“‘Ste medicine non vanno bene.”
“No, ma sono inquieto,” spiego. “Maresciallo, Lei ha detto che Anna doveva chiamarmi per il matrimonio, e non ha chiamato ancora!”
Lui cerca di distrarmi, dicendo che sono pessimista e di pensare al vestito che dovrò mettere, ma la mia testa è bloccata su altro: perché ancora non mi ha chiamato?
Vorrei vedere lui, al mio posto. Va bene espiare e tutto, lo capisco, ci sta, ma nemmeno Ulisse ha dovuto sopportare tutte queste peripezie per tornare a Itaca. Mi verrebbe da ridere, se penso a come stavo dopo il matrimonio saltato con Federica. Paragonato ad ora, era appena un pizzicotto, quello che provavo. Quella sofferenza era veramente niente, a confronto, e non solo perché da vittima sono diventato carnefice, ma perché scommetterei qualsiasi cosa che lei non stava così come sto io, dopo avermi tradito con Simone.
È vero che io dico che sono gli altri che si fanno coinvolgere, accusandoli di spostamento nevrotico e scemenze varie, ma la verità è sono io più di tutti a lasciarmi condizionare dalle situazioni, che lascio che sia l’istinto a muovermi e non la ragione, mai, quando invece dovrei. Ed è colpa mia se adesso me ne sto qui, depresso, nel soggiorno di Cecchini. Sono io l’unico colpevole.
E dopo questi mesi passati a tentarle tutte per farmi perdonare, inizio a chiedermi io stesso cosa farei, se mi trovassi al posto di Anna. Sarei disposto a perdonare uno che tradisce, dopo essere stato tradito per primo e sa quindi come ci si sente, e in certi errori non dovrebbe imbattersi nemmeno per sbaglio? Per quanto cerchi di negarlo, la risposta la conosco già.
No.
Quindi non me la sento davvero di biasimarla.
È orribile quello che le ho fatto, anche se, in mia difesa, posso dire che non le avrei mentito perché non me ne importava niente, anzi.
Se avevo scelto di non confessare quanto avevo fatto, era solo per non perderla.
Perché sapevo benissimo che, se le avessi detto la verità, lei avrebbe accettato immediatamente quell’incarico in Pakistan che era pronta a rifiutare per me, e sarebbe sparita per sempre dalla mia vita, indipendentemente dal fatto che fossimo sull’altare o a casa.
L’avrei perduta per sempre, così come sta accadendo adesso, e non c’è niente che posso fare, se non sperare.
Che un giorno possa cambiare idea, o che il maresciallo, per una volta, abbia origliato bene.
 
Decido che però Cecchini ha ragione: queste medicine che sto prendendo non vanno bene, quindi è meglio che vada dal medico.
Sulla strada, però, incontro proprio il maresciallo, che per qualche assurda ragione mi dice che devo cambiare strada, e poi cambiare medico.
Non so, ho come l’impressione che stia tentando di distrarmi e sviarmi dal mio obbiettivo con una storia che non ha né capo né coda.
Sarà che però sono mezzo intontito dal malessere che sento addosso, e finisco per dargli retta.
Nel breve tragitto, comunque, mi chiedo perché abbia cercato con tanta insistenza di farmi cambiare destinazione.
Non c’era mica Anna, lì vicino, vero? Non è che sa qualcosa di lei che non vuole dirmi?
... non avrà mica un altro?
 
Anna’s pov
 
Sono in centro a Spoleto, intenta ad aiutare Sergio a comprare un abito per il matrimonio di mia cugina, e anche per l’uscita di stasera a cui lei mi ha obbligata ad andare.
Io mi ritrovo ad essere terribilmente agitata, pur cercando di non darlo a vedere.
Sergio scherza su tutto, e questa cosa mi fa innervosire.
Perché mi sembra di rivivere la quotidianità con Marco, con lui sempre pronto a fare lo spiritoso anche quando era fuori luogo, e io che cercavo di essere più razionale. Esattamente come in questo momento.
Finalmente lui va a provarsi il completo che ho suggerito alla commessa di prendergli.
La cosa comincia a farsi inquietante, sembro mia madre quando ha chiesto per filo e per segno come doveva essere l’abito da sposa per il presunto matrimonio con Giovanni.
Cos’è, sto diventando come lei?
Quando Sergio esce e mi chiede come stia, devo ammettere che sta molto bene.
Lo nota anche quell’oca della commessa, che metto a tacere in un secondo.
E non perché io sia gelosa.
Sergio non mi piace in quel senso: il fatto è che adesso, in giacca e cravatta, mi ricorda terribilmente qualcuno.
Torno alla domanda di prima: sto diventando come mia madre?
Sono in un negozio insieme a un uomo che nel suo modo di fare somiglia fin troppo a Marco, e io sto tentando di cambiarlo, renderlo migliore. Ma migliore per chi, a che pro?
Perché Sergio può riscattarsi e riprendere in mano la sua vita senza dover modificare nulla di sé, neppure il suo look.
Perché ora mi sto comportando così, con lui? Voglio renderlo diverso? Nascondere chi è? Per cosa, perché mi vergogno di chi sia? No, e allora?
Sto veramente cercando di aiutarlo, o sto involontariamente ricreando in lui qualcuno che sia simile a Marco?
Anche la storia che ho inventato per lui... ci siamo conosciuti durante un’escursione in montagna, sul serio?
Magari un’escursione a un monastero sulle alture di Spoleto, perché no. E come professione, minimo ingegnere o architetto, ma avrei anche potuto dire avvocato o magistrato, che cambiava?
E il vestito elegante?
Blu. Come quello che Marco aveva scelto per il nostro matrimonio perché sapeva quanto adorassi quel colore su di lui.
Certo che, se il mio obbiettivo era quello di dimenticare Marco, mi sta riuscendo particolarmente male.
E soprattutto, mi sto ritrovando a fare una cosa che mai avrei pensato: tentare di cambiare a forza qualcuno, quando il cambiamento dovrebbe essere un percorso naturale, riflesso della vita che si vive giorno per giorno.
Nessuno lo sa meglio di me, e io stessa l’ho detto a Marco, quella sera a casa mia, quando era venuto da me a dirmi che mi amava.
Marco, hai bevuto!
Un pochino sì, se no credo che non sarei qua.
E se, anche stavolta, avesse detto quelle cose a Sara perché aveva bevuto?
Però questo significa che dice la verità solo sotto effetto dell’alcol.
O forse, più semplicemente, quando ha paura e la situazione gli sfugge di mano, istintivo com’è, e non è più in grado di controllarsi?
Ma perché tutti questi dubbi?
 
Quando lui va via, mi decido ad andare a prepararmi per la serata, accordandomi con lui di andarci a piedi insieme, tanto il posto è vicino.
Mia cugina e il suo futuro marito ci aspetteranno lì.
Sinceramente, preferirei un altro pellegrinaggio insieme a Don Matteo a questa cena, ed è tutto dire.
Ma, per quanto io sia restia, mi costringo a prestare più attenzione del dovuto perfino al mio look.
Io.
Non devo fare colpo su nessuno, ma la verità è che mia cugina è capace di criticare ogni dettaglio, anche il più inutile, e se devo convincerla che la mia vita va a gonfie vele, devo prestare attenzione anche a questo.
E quindi, tacchi alti e vestitino bordeaux, anche se odio questo tipo di mise e avrei preferito un paio di pantaloni e una camicetta, come al mio solito.
Quando esco, incontro sul pianerottolo... Cecchini, con un maiale al guinzaglio, e Marco.
Li osservo, interdetta.
“Maresciallo, ma che ci fa con un maiale in casa?” domando esterrefatta, cercando di concentrarmi sull’animale.
“A chi si riferisce?” fa però lui, giusto per migliorare le cose.
“A chi si deve riferire, scusi, che è?” interviene Marco, con un’occhiata eloquente.
Mi soffermo a guardarlo per un attimo, prima di andarmene.
“Voi due non state bene,” mormoro, sconcertata dal siparietto a cui ho appena assistito.
“Sta bene Lei,” sento borbottare Cecchini, e mi devo appellare a tutti i santi del Paradiso per non tornare indietro e dirgliene quattro.
Non sono così insensibile come mi dipinge lui.
L’ho visto, Marco, come sta.
È messo peggio di quanto credessi.
Non che a casa prestasse tutta questa attenzione all’abbigliamento, ma eravamo da soli, ed era una cosa diversa.
Mi sono imposta di andar via, perché vederlo in quello stato mi fa male, e mi preoccupa più di quanto io sia disposta ad ammettere.
Non potrei mai essere indifferente: lo so che sta soffrendo anche lui, ed è in parte colpa del mio atteggiamento nei suoi confronti. Vorrei poter fare qualcosa, ma il dolore che lui stesso mi ha provocato non me lo permette. È più facile indossare la mia solita corazza e fingermi incurante.
Anche se so che con lui sono sempre a rischio, per Marco sono sempre stata un libro aperto.
E per questo preferisco scappare.
 
Marco’s pov
 
Suonano al campanello, e quando vado a rispondere è Cecchini, con Jimi al guinzaglio, che ha dimenticato le chiavi.
Mi chiede come mi sono conciato, visto il mio stato attuale, ma sinceramente non mi importa molto di nient’altro.
Se Anna non mi perdona, niente ha senso per me.
Proprio mentre sto discutendo di questo con lui, ecco che Anna esce dal suo appartamento.
Rimango imbambolato per qualche secondo a osservarla: un vestitino corto che le dona da morire, un cappottino in pelle e tacchi alti. Ma quanto è bella?
Anna è sempre bella.
Vengo riportato alla realtà quando Cecchini chiede a chi si riferisca lei con ‘maiale’.
“A chi si deve riferire, scusi, che è?” lo redarguisco cercando supporto in Anna, che non mi dà.
Grazie, Cecchini, per aver migliorato la mia reputazione. Grazie tante.
Lei sembra sconcertata. “Voi due non state bene,” afferma prima di andar via.
“Sta bene Lei,” è il commento antipatico del maresciallo, e mi trattengo dal dire che a me sembra che Anna stia davvero bene, in tutti i sensi, e la cosa mi fa solo stare peggio, per certi versi.
“Oh, quanti inviti che m’ha fatto, eh!” esclamo, arrabbiato.
A me non sembra che lei voglia far pace, anzi. E sto iniziando ad avere dei dubbi, al che Cecchini mi chiede se ho saputo dell’incidente avuto dalla zia di Anna, che a quanto pare è caduta e quindi son stati costretti a rimandare la cerimonia.
Però non posso fare a meno di notare che ci ha messo un po’ troppo a cercare un motivo. E Anna mi sembrava tutto fuorché preoccupata.
Il maresciallo mi nasconde qualcosa.
“E comunque io, se fossi in Anna, che la vedo così, non la inviterei,” afferma lui, dicendo che devo cercare di tirarmi su.
Mi lascio convincere, e in effetti la doccia e il cambio d’abito mi fanno sentire molto, molto meglio.
Basta piangersi addosso, devo riprendere in mano la mia vita. Tentare con più forza.
Lui sembra altrettanto contento.
“Aggiungo una cosa,” fa, divertito. “Alle donne non piace l’uomo depresso!”
Io però rettifico senza pensarci un secondo. “A me non interessa piacere alle donne, a me interessa piacere ad Anna.” dico semplicemente.
È l’unica cosa che conta.
“Anna è una donna, però!”, precisa lui, con un po’ di buonsenso.
Gli propongo allora di andare al Pub del Porcospino a vederci una partita con una birra, ma lui non è d’accordo, dicendomi che ci dobbiamo prima occupare di Jimi.
Io mi lascio convincere anche stavolta, però ho capito quello che sta cercando di fare.
Mi siedo a terra, appoggiandomi al divano.
Perché va bene malato, depresso, triste, ma non sono scemo. La storia della zia che cade dalle scale non me la sono mica bevuta, e lei era vestita elegante perché stava andando a cena con qualcuno.
“Maresciallo, mi dica la verità... c’ha un altro, Anna.”
Lui nega, ma non sono convinto.
“Anna è un tipo tutto d’un pezzo come Lei, e non si metterebbe con un tipo subdolo, un furbastro e falso...” mi dice, fregandosi da solo.
“Chi è?” gli chiedo a bruciapelo.
“Chi?”
“Chi, fai i giri, Lei! Lo vede, che ha un altro?”
È inutile che tenti di dire il contrario, è stato fin troppo preciso a stilare la lista di aggettivi del tipo con cui lei non starebbe uscendo.
E lui sa pure chi è, e la cosa peggiore è che non dovrei essere sorpreso.
Anna è bella, e dolce, e tosta, e meravigliosa, ed era solo questione di tempo prima che qualcun altro se ne accorgesse e cercasse di consolarla.
E Cecchini non è bravo a mentire, per le cose importanti.
Non glielo do a vedere, ma ho come la sensazione che le pareti di casa sua stiano iniziando a stringersi su di me, quasi a soffocarmi.
Ho bisogno di uscire, ma di certo non pensavo di dovermi portare appresso il maiale per fargli fare pipì.
Ma se l’obbiettivo del maresciallo era quello di non farmi andare al bar per non incontrare Anna, il suo avermi mandato qui giù al parchetto di fronte casa non ha sortito l’effetto sperato, perché lei sta tornando proprio adesso, e non è sola.
C’è Sergio, con lei.
 
Mi do dell’idiota da solo. Come ho fatto a non capirlo prima?
Era ovvio che fosse lui, le gironzola sempre intorno.
La scena che mi si svolge davanti agli occhi non mi piace per niente, e sono costretto a starmene qui a osservare quanto sta succedendo senza poter fare nulla, nascosto dietro un albero, come quella volta al reality.
Solo che, al contrario di allora in cui il principe fece una brutta fine, Anna non si sta allontanando da Sergio, anzi.
Direi che deve aver bevuto, perché barcolla, e sento lui ridacchiare un “Ti scorto?” prima di cingerle i fianchi e aiutarla ad arrivare al portone sana e salva.
“Ma cosa tocchi?” mormoro tra me, ben consapevole che non posso impedirlo, ma geloso alla follia.
Perché lei è mia, e quello lì non si deve permettere di allungare le mani. Solo io posso farlo. È la mia Anna, e se solo osa provarci...
“Adesso che abbiamo fatto il selfie, tua zia sarà convinta che siamo fidanzati, eh!” dice Coso, e già mi fa ribollire la rabbia. Ma fidanzati cosa?!
Anna, come avevo visto, è instabile e si lascia sfuggire le chiavi del portone, che raccoglie prima di biascicare un: “Sì, sarà convinta... così al matrimonio non ti faranno troppe domande...”
“Così possiamo ballare tutta la notte...” suggerisce lui, con un tono che mi fa venire voglia di spaccargli la faccia.
La risposta che gli dà Anna è anche peggio.
“Sì, perché no...”
Cioè, sta davvero flirtando con quello lì?!
Non so con quale volontà mi trattengo dal raggiungerli, e il peggio deve ancora venire, perché Coso, lì, fa un passo verso di lei, e le sue intenzioni sono terribilmente chiare.
Ma - e di questo ringrazio la mia buona stella - Anna fa un passo indietro, limitandosi a rispondere con una risata, prima di dargli le spalle e rientrare in casa.
Se da un lato mi consola sapere che lei lo abbia rifiutato, dall’altro sono costretto ad ammettere che mi sembrava felice, finalmente. Come non la vedevo da un sacco.
E allora perché quel suo sorriso fa così male?
Ovvio, perché non è merito mio.
Non è per me, che sorride.
Ho una gelosia dentro che non sono sicuro di riuscire a contenere.
Ad esprimere il mio stato d’animo ci pensa Jimi con un sonoro “Sgrunt!
“Eh no, sgrunt lo dico io!”
 
Anna’s pov
 
Sono al bar con Elisabetta e il suo fidanzato.
Come immaginavo, sarebbe stato meglio essere ovunque tranne che qui
Egocentrica com’è, non lascia parlare nessuno, ma sarebbe stato meglio continuasse il monologo.
“Senti, Anna non mi ha detto molto di te... dov’è che vi siete conosciuti?” chiede di punto in bianco a Sergio, che strangolerei seduta stante, perché inizia a improvvisare, senza attenersi minimamente a quello che avevamo stabilito.
“In galera!” risponde, tranquillissimo, e mia cugina ci guarda stranita, così come Enrico.
“Ma che simpatico!” dico, guardandolo malissimo, “no, quale galera, nessuno è stato in galera, lui non intendeva...”
Ma Sergio ha deciso di farmi venire un infarto, evidentemente, perché mi lascia a boccheggiare prima di riprendere il suo discorso come se niente fosse.
“Io faccio volontariato,” spiega, mentre io mi tengo pronta ad assestargli una gomitata se sbaglia di nuovo, “mi occupo del reinserimento dei detenuti, quindi faccio dei corsi di disegno lì in galera.”
Ancora con ‘sta parola?! Ma basta!
Elisabetta sembra estasiata.
“... e ci siamo conosciuti lì, solo che lei si imbarazza un po’ a dirlo perché tecnicamente era sul lavoro, e allora sai... Però, come si dice, ‘al cuor...’”
“... ‘non si comanda!’ Che storia romantica!” esclama Elisabetta, ridendo.
Io non sono per niente tranquilla, e ho ragione.
“Ancora non ci credo,” riprende infatti lei, “che tu abbia trovato un nuovo fidanzato.”
Io mi limito ad annuire, buttandomi sul bicchiere di birra che ho davanti.
“No, sai,” interviene Sergio, tirandomi verso di lui e passandomi un braccio intorno alle spalle, mentre io mi irrigidisco all’istante, “sono io che non ci credo, che una persona speciale come lei si sia potuta innamorare di uno scansafatiche come me.”
Queste risposte che sta dando Sergio mi fanno sentire anche peggio di come non stia già, perché come sempre tutto mi riporta a Marco.
Mi sembra di essere tornata a quella volta con Cosimo, a casa del maresciallo, per il test sulle cose da sapere sul bambino per lo show di Carlo Conti, quando ci siamo finti i suoi genitori.
Tutte quelle risposte programmate che Marco aveva deliberatamente ignorato, preferendo la sincerità all’unica domanda in cui avrebbe potuto davvero inventare qualsiasi cosa.
Cos’è che vi ha fatto innamorare l’uno dell’altra?
L’onestà, la fiducia, e poi il fatto che lei, quando ama, ama fino in fondo. E poi, perché lei bacia benissimo.
Quest’ultima cosa, quando l’ha detta, nemmeno la sapeva, tra l’altro.
E mi ero resa conto in quegli istanti quanto fossi per lui un libro aperto, di quanto mi conoscesse a fondo solo avendomi osservata, di quanto gli avessi già dato di me senza accorgermene.
Ironia della sorte, proprio quelle qualità sono oggi gli ostacoli che mi impediscono di dimenticarlo e di perdonarlo.
Perché avevo sbagliato, lo avevo ammesso, avevo fatto di tutto per rimediare alla storia del Pakistan. Lo amavo, ed era l’unica cosa che contava, più della carriera, più di tutto il resto.
Avrei fatto qualsiasi cosa, per lui, lo avevo capito quando avevo accettato l’idea che stare lontana da lui sarebbe stato insopportabile.
Ero stata onesta, mi ero fidata ciecamente e gli avevo dato tutto quello che potevo, e invece avevo scoperto nel peggiore dei modi che lui mi aveva mentito su una cosa tanto grave, con l’intenzione di sposarmi lo stesso; aveva preferito scappare prima di ascoltarmi e senza parlarne, e un attimo dopo avermi lasciata, mi aveva tradita.
Quella mattina, sotto casa, lo avevo baciato pregandolo di sposarmi nonostante tutto.
Senza sapere che c’era stata un’altra al mio posto.
Un’altra che sono costretta a rivedere ogni dannato giorno, perché è pure la Procuratrice Capo.
Lui continua a ripetermi che non voleva, che quella notte non ha significato nulla e che si è trattato di un errore, ma mi ha tradita comunque. Che lo abbia voluto o meno.
Elisabetta, però, non ha smesso di ficcanasare.
“No, ma io intendevo dire-”
“Cosa intendevi dire?” tenta di bloccarla Sergio, inutilmente.
“Intendevo dire in così poco tempo, no?”
Ma che bel complimento... sono un caso così perso?
Ma che me lo chiedo a fare... dopotutto mi conosce anche lei, io non sono una che cambia fidanzato così spesso, a caso.
Perché lei, quando ama, ama fino in fondo.
E sinceramente, la battuta sull’essere uno scansafatiche di Sergio non mi aiuta. Ho già avuto un ottimizzatore di energie nella mia vita, non c’era bisogno di infierire.
Ma la mazzata arriva ora.
“Insomma, dopo la batosta del mancato matrimonio,” continua Elisabetta, malignamente, ed io sento il cuore sprofondare. “ti ricordi quanto piangeva? Poverina...” ridacchia.
Io riesco solo ad allontanarmi dalla stretta di Sergio e a puntare gli occhi in basso per impedirmi di piangere davvero, anche adesso.
“Non direi poverina, no,” interviene Sergio in mia difesa, inaspettatamente, “direi fortunata, invece... Fortunata perché si è accorta in tempo che stava per sposare un cretino, un imbecille, uno che si lascia scappare una ragazza come lei...”
E per quanto apprezzi il suo gesto, forse sarebbe stato meglio se non avesse parlato affatto.
Certo, a quegli aggettivi ho pensato anch’io in questi mesi, e gliene avrò affibbiati anche di peggiori, ma ancora una volta quelle frasi mi riportano indietro, precisamente alla strada di ritorno dal monastero.
Volevo solo dire che è un pazzo, perché ha lasciato andare una come te.
Da lì in avanti, nulla era più stato come prima, tra noi.
La nostra favola aveva avuto inizio. Non una tradizionale di principi e principesse, no, perché io potevo essere Zorro, o al massimo Mulan se proprio vogliamo, ma era stata la più bella che avrei potuto immaginare. Sembrava un sogno ad occhi aperti.
E proprio quel sogno era diventato un incubo.
Ma mentirei se non dicessi che, per quanto assurdo possa sembrare, la sera, quando sono a letto da sola, non spero ogni volta che arrivi una Fata Madrina a dirmi che tutto si aggiusterà con un incantesimo e che avrò il mio lieto fine col mio principe azzurro.
Nessuno sa quanto vorrei che succedesse, quanto vorrei trovare in me la forza di dare a Marco quella seconda possibilità che mi implora di concedergli.
Ma non ci riesco, non ce la faccio.
E so che fa male, sia a me che a lui, e a ciò che eravamo e sognavamo di essere.
Quando Elisabetta propone un selfie da mandare a mia zia che non ci crede, come lei, le cose peggiorano ancora.
“Però, ragazzi, vi dovete baciare!”
Mi sento gelare.
Di nuovo.
Così, prendete il bambino, lo mettete in mezzo a quadretto, e vi date un bacio. Un bacio, che cos’è, un bacio? Un bacio!
Che cos’è, il bacio alla stazione? Sta prendendo il treno?
... e poi, perché lei bacia benissimo! Per la scena...
Cerco di mettere a tacere la mia mente in subbuglio, indossando la mia migliore maschera convincente per la foto, mentre Sergio mi lascia un bacio sulla guancia.
Apprezzo tanto la delicatezza che ha avuto con me stasera, anche se ho odiato tutto di queste ore trascorse a questo bar.
Non per la sua compagnia, anzi.
Per il contenuto delle conversazioni. Il continuo confronto tra la vita perfetta che attende Elisabetta e la mia che, al di là delle apparenze, è un disastro.
Tra la sua felicità e la mia disperazione.
Forse è per questo che finisco per bere più di quanto avrei fatto in una circostanza normale.
Me ne accorgo quando torniamo a casa e non sono molto stabile sulle gambe.
Anche se non sono così ubriaca come sembra.
La mia mente è annebbiata, ma non abbastanza da non capire quello che faccio.
Sergio propone di approfittare del matrimonio per ballare tutta la notte, e io gli rispondo di sì perché voglio solo pensare a un modo per distrarmi, ma quando lui si avvicina a me, col chiaro intento di baciarmi, io mi tiro istintivamente indietro, limitandomi a ridere per la situazione assurda in cui ci eravamo cacciati solo perché mia cugina voleva piazzarmi al tavolo dei bimbi, prima di rientrare a casa.
Da sola.
Quando siamo andati via dal bar, Sergio aveva cercato in tutti i modi di farmi ridere per distogliere la mia fissazione dalle frasi di Elisabetta. E ci era riuscito.
Finalmente, per qualche minuto avevo messo da parte i miei problemi, dopo tutti quei mesi passati solo a piangere avevo riso davvero, per una volta.
La sua compagnia mi aiuta, ma non lo vedo in quel senso, e se è questo che lo ha spinto a provarci, seppur desistendo, mi ha fraintesa.
Quando mi sfilo vestitino e tacchi e mi metto a letto, ripenso al mio comportamento, al bar.
Quando le cose hanno iniziato a sfuggirmi di mano, ho optato per affogare il mio dolore nella birra che avevo davanti. Anche se io non lo faccio quasi mai, a meno di non essere davvero disperata.
Chiaro, se avessi avuto acqua o succo di frutta, avrei fatto lo stesso, ma mi ero trovata quella a portata di mano, e non ci avevo pensato un secondo, pur mantenendomi sempre abbastanza sobria da poter controllare le mie azioni.
Forse è questo, però, che fa Marco, di fronte ai problemi.
Forse è successa la stessa cosa la sera che mi ha lasciata.
Non aveva risposte per mettere a tacere tutti i dubbi e le paure che erano riaffiorate per causa mia, e aveva iniziato a bere. Per dimenticare.
Non pensare.
A me, aveva detto che ‘andava bene così’, quando è andato via, ma è evidente che non fosse vero.
Non andava bene per niente.
Mi aveva lasciata per darmi quella libertà che in realtà non volevo nemmeno, se non potevo condividerla con lui.
E nonostante io abbia cercato in tutti i modi di negarlo finora, per quanto confusa sia la situazione adesso, inizio a sentirmi anch’io in colpa per quanto successo.
O meglio, sono sempre stata colpevole per la mia parte di azioni, solo che non è così schematico come pensano tutti.
All’inizio, tutti avevano dato la colpa a me, perché non riflettevo, stavo sbagliando, pensavo al lavoro e non alla vita che avrei dovuto creare con Marco, stavo commettendo un errore enorme.
Alla fine, il problema più grande aveva finito per provocarlo proprio Marco, tradendomi quando io ero già tornata sui miei passi.
Il punto è che abbiamo entrambi le nostre colpe, siamo stati tutti e due causa del terremoto che ha distrutto la nostra storia.
Perché lui ha sbagliato, ma se io avessi tentato di più quando ha scoperto del Pakistan, se avessi insistito di più, se lo avessi fermato e provato a parlarne, forse tutto questo non sarebbe successo.
E ora, al mio fianco nel letto, ci sarebbe mio marito.
Ma non è così.
La sua parte è vuota. E fredda.
E io non mi sono mai sentita così sola.
 
Il mattino seguente, ci sono sviluppi nelle indagini.
Io e Sara interroghiamo un altro sospettato, che però ci fornisce informazioni lacunose che non stanno né in cielo né in terra, senza alcun senso logico.
Sara dispone il fermo, e io ne approfitto per chiederle la scarcerazione della Dottoressa Montella.
“Bisognerebbe avere un po’ più di fiducia nelle persone, anche se commettono degli errori,” le faccio notare.
“Concetto interessante,” commenta lei, “soprattutto se espresso da te.”
Mi rendo conto solo ora di quello che ho effettivamente detto, e a chi.
La mia nottata è stata quasi insonne e piena di interrogativi, e gli strascichi li porto ancora addosso. Non solo per la stanchezza, ma soprattutto per i pensieri che si scatenavano nella mia testa mentre io osservavo il soffitto senza realmente vederlo, coricata nella parte di letto che avrebbe dovuto occupare Marco.
Bisognerebbe avere un po’ più di fiducia nelle persone, anche se commettono degli errori.
L’ho detto io stessa. Tutti meritano una seconda occasione, e allora perché con Marco dovrebbe essere diverso?
È vero, ha commesso un errore enorme (e ci sarebbe da ridere, se ripenso che sempre io avevo definito un ‘errore’ il nostro primo bacio), ma non passa giorno che lui non si punisca per quello che ha fatto, ha accettato senza protestare la mia scelta di limitarci a un rapporto civile, mi ha pregato di dargli un’altra possibilità senza risultato, e adesso si sta lasciando vincere dalla depressione.
Non riesco ancora a crederci, che l’uomo trasandato che ho incrociato ieri sera sul pianerottolo sia lo stesso che ho conosciuto in piazza tre anni fa, quello che mi disse senza giri di parole che non si era più sposato solo perché aveva cambiato idea.
Sta male. Troppo.
Per causa mia.
Ci tiene a te... tanto.
Lo so. Lo sento.
Perché vederlo in quello stato distrugge anche me.
Forse dovrei davvero ascoltare mia madre e non fermarmi agli errori, ma concentrarmi sul cuore.
Perché è stato quello il momento in cui mi sono scoperta innamorata di Marco, quando mi ha lasciato vedere cosa nascondeva dentro.
Mi sono innamorata di lui anche se l’avrei creduto impossibile e fuori da ogni logica, da ogni normale spiegazione... ma l’amore, di normale, non ha nulla.
L’amore è follia.
 
Quando scendo in strada per riaccompagnare la donna rilasciata, vedo Marco venirmi incontro.
Non riesco a nascondere il mio sollievo.
“Marco, che ci fai qua? Stai meglio?” gli chiedo, speranzosa.
“Sì, sì, alla grande,” risponde lui, ma non mi convince. C’è qualcosa di strano.
Avrei preferito non saperlo.
 
Marco’s pov
 
Sono a passeggio con Jimi, quando noto Anna uscire dalla caserma.
Come al mio solito non ho ancora imparato la lezione, e se la mia testa urla di non andare, il mio corpo ha già deciso per me.
Mollo Jimi a Pippo, lì di passaggio, e mi dirigo a grandi passi verso di lei.
“Marco, che ci fai qua? Stai meglio?” mi chiede quando mi nota. La sua felicità nel rivedermi sembra sincera, ma ormai il mio cervello non ha più il controllo di nulla, la gelosia e la rabbia hanno preso il sopravvento.
Lei evidentemente se ne accorge.
“Che c’è?”
“No, niente, niente... ho saputo di tua zia, mi dispiace un sacco,” dico, ben sapendo che si tratta di una bugia di Cecchini.
“Perché, che è successo a mia zia? Che c’è?” domanda infatti Anna.
A questo punto non mi trattengo più.
“No, tutto a posto...” mormoro, ironico, prima di sfogarmi. “Alla fine hai deciso di andarci con quello al matrimonio...” vuoto il sacco, trattenendo a stento la rabbia, la mia voce che trema.
Alla mia ammissione, lei mi rivolge uno sguardo carico d’odio.
“Lo sai qual era l’alternativa? Il tavolo dei bambini.” spiega, molto più calma di me.
Detesto quando fa così.
“Secondo te con chi ci voglio andare al matrimonio? Sergio è stato solo molto gentile.”
“Ah, immagino...” dico, il disprezzo che trasuda da ogni sillaba.
“Ma secondo te con chi sarei stata più contenta di andarci?”
“Non lo so, forse ti conosco poco, ma ieri sera quando sei arrivata mi sembravi felice. Felice davvero,” sputo fuori, ammettendo di averla vista con lui.
Lei mi rivolge uno sguardo deluso, dandomi le spalle e allontanandosi di qualche passo, come a volersi trattenere dal rispondere.
Io invece non ci penso neanche, a trattenermi.
“Anna, stammi a sentire, quello lì è un ragazzino!”
“Abbiamo la stessa età, Marco! Mi stai dicendo che sono una ragazzina anch’io?” mormora, rabbiosa, tornando indietro.
Questa cosa dell’età non è mai stata un problema, per noi, e non lo è nemmeno adesso, ma non riesco più a controllare cosa dico.
“È una cosa diversa,” esplodo, “sto dicendo che tu sei il Capitano dei Carabinieri e stai facendo la scema con un delinquente.”
Anna ovviamente non ci sta, e mi fronteggia senza arretrare di un passo.
“Almeno lui ha pagato per quello che ha fatto, e anche per quello che non ha fatto, a differenza tua!” mi dice, rischiando di farmi peggiorare la situazione.
Come se non bastasse, si presenta sulla porta della caserma Sara, che le fa cenno di seguirla al piano di sopra.
Anna si ricompone in un secondo.
“Scusami, ma io devo andare a relazionare il nostro Capo, che è la donna che ti sei portato a letto, e ti ringrazio per avermi lasciato con lei in questi giorni, grazie.” mi dice infine in un tono inequivocabile, prima di andare via, lasciandomi lì a mordermi la lingua perché ha ragione e io non posso dire niente.
Non posso che constatare che la discussione l’ha ovviamente vinta lei, perché in quel caos di sentimenti che sentivo dentro, c’era anche la consapevolezza che lei mi stesse dicendo soltanto la verità, nuda e cruda. Gliel’ho letto negli occhi, mentre mi rispondeva con sicurezza e a tono, perché sapeva che avrei capito. Mi conosce troppo bene, sa come gestirmi in casi come questo. Soprattutto se sa di aver ragione.
Perché mi aveva già detto che a quel dannato matrimonio lei non ci voleva nemmeno andare, se non con me. Ma non può più, perché io l’ho ferita.
E che io stesso so perché ha accettato l’aiuto di Sergio, perché conosco le aspettative della sua famiglia e il suo volersi mostrare forte sempre, a ogni costo.
 
Me ne torno a casa per calmarmi, e sto per addentare una bruschetta quando il campanello suona.
Non si può più nemmeno mangiare in santa pace.
Ines.
“Oh, ciao!” la saluto, cambiando immediatamente umore. “Se sei venuta qui per Jimi, mi dispiace, non c’è più perché Pippo se l’è perso.” la informo, dispiaciuto.
“Lo so,” mi dice però lei, “sono venuta a trovare te.”
“Davvero?” le chiedo. “Grazie, che bello!”
Ah, quindi c’è ancora qualcuno che a me un pochino ci tiene.
Lei sorride. “Ti devo dire una cosa.”
Mi conduce in strada, e scopro che... Jimi ce l’hanno lei e il suo amichetto.
E vogliono il mio aiuto per nasconderlo, per impedire che diventi un asado.
Accetto volentieri, avviando l’operazione ‘Salviamo il suino Jimi’!
Trovo il posto perfetto, così lasciamo lì il maialino.
Ines è al settimo cielo, almeno riesco ancora a rendere felice qualcuno.
Il suo sorriso è come un arcobaleno dopo il grigiore degli eventi dei giorni scorsi.
Ancora di più il suo abbraccio.
“Credo che il mio papà era come te,” mi dice, facendomi stringere il cuore. “certo, non con questi capelli.”
“Che scema!” le dico ridendo, e ricambiando il suo abbraccio.
La sua frase mi ha scaldato il cuore. Il fatto che, nella sua innocenza di bambina, ha detto che vorrebbe suo padre mi assomigliasse, mi ha illuminato dentro con una gioia che non riesco a descrivere.
È la cosa più bella che mi abbiano mai detto.
E non mentirei, se dicessi che, in cuor mio, vorrei davvero essere il suo papà.
 
Dopo aver riaccompagnato a casa il suo amichetto, porto anche lei in canonica dove scopriamo che Pippo, per rimediare, ha comprato un altro maialino e un porcellino d’India, che Ines chiede di poter tenere.
“‘n’altro...” mi viene istintivo commentare, ben consapevole che mi chiamerà in causa anche stavolta, ma non mi dispiace.
In compenso, convinciamo Cecchini a cambiare menù, con grande gioia della bimba.
 
Anna’s pov
 
È domenica, il giorno del matrimonio di Elisabetta.
Dire che sono nervosa è riduttivo. È paura vera, terrore incontrollato.
Mia cugina mi ha pure affidato il compito di tenere il suo bouquet.
Fantastico, proprio. Tatto zero. Anzi, sotto zero.
Sergio cerca di calmarmi, sdrammatizzando, finendo per peggiorare le cose.
“Stai benissimo!” mi dice, riferendosi al vestito.
E comunque il vestito ti stava bene. Bene bene bene bene...
La sua frase mi ricorda...
Nessuno. Non mi ricorda nessuno.
È già difficile così, senza pensare a lui.
“Rilassati, è una festa...”
Dove l’ho già sentita, questa frase?
Ah, sì, l’ha detta quella mattina Mar-
No!
Ma perché ogni cosa, ogni minima cosa mi deve riportare a lui, perché?
Sono dettagli da niente, eppure mi ricordano sempre lui.
Sergio mi dice che sta arrivando l’auto con la sposa, ma quando la vedo fermarsi, e lei scendere e abbracciare e baciare il suo futuro marito, il tempo intorno a me sembra fermarsi.
Come se tutto avesse iniziato ad andare a rallentatore, mi sento mancare il fiato, e tutto cambia.
Rivedo me stessa, mentre Marco mi porge la mano per aiutarmi a scendere. La gioia incontenibile quando mi ha sollevato il velo e i nostri occhi si sono incrociati.
La convinzione che da lì in avanti ci attendeva una vita che avrebbe dovuto essere meravigliosa, e invece è andato tutto in frantumi pochi minuti dopo.
Avevo sottovalutato l’impatto che questa scena avrebbe avuto su di me.
E sopravvalutato me stessa.
Sento un peso enorme opprimermi, l’aria che non ne vuole sapere di tornare.
Quando riesco a riprendere abbastanza il controllo del mio corpo, mi accorgo che ho il respiro affannato.
Riesco solo a voltarmi perché non riesco a sopportare quelle immagini.
“Che succede?” mi chiede Sergio, preoccupato.
La sua voce mi arriva ovattata, come se fosse distante da me anni luce.
“Non ce la faccio, non ce la faccio...” riesco appena a mormorare.
Mi sento svenire. Sto tremando, sono sull’orlo di una crisi di pianto, il cuore che batte talmente in fretta da darmi l’impressione di volermi uscire dal petto.
Un attacco di panico.
“Andiamo via,” mi dice, senza aspettare.
“Come?”
“Fidati, andiamo via.”
“Dove andiamo?”
“Via di qui!” afferma, prendendomi per mano e trascinandomi via. Ha capito che l’unica soluzione possibile è proprio quella di risparmiarmi questa agonia autoinflitta, scappando prima che gli sposi entrino in chiesa.
 
Non so quante ore restiamo a girovagare sul maggiolino senza una meta, so solo che quando ci fermiamo è ormai sera. È buio. Siamo sulla strada che porta al ristorante, dove a quest’ora si starà tenendo il ricevimento del matrimonio.
Io non ho detto una parola per tutto il tempo.
Se avessi aperto bocca sarei esplosa, e non voglio farlo.
So che non ha senso, che sono già scoppiata a piangere davanti a Sergio una volta e non si impressionerebbe di certo a vedermelo rifare, ma non voglio.
È già abbastanza umiliante così.
E ora siamo qui, con le mie scarpe buttate di lato, appoggiati al maggiolino, con in mano due chinotti che ha preso lui, mentre aspetta che io mi sblocchi.
Senza mettermi fretta, per non farmi pesare quanto successo.
 
Marco’s pov
 
Sono venuto al bar per bere un cocktail.
Non voglio ubriacarmi, ma distrarmi sì.
Stasera c’è il matrimonio della cugina di Anna, e lei ci è andata con Sergio, alla fine.
Fa male, terribilmente. Immaginarla con quel suo vestito verde, che mi aveva mostrato entusiasta una mattina, così bella, mentre balla con lui. Ride alle sue battute.
Che si dimentica di me.
Ordino un long island, senza accorgermi di chi ho accanto.
“Non ci credo... ma è un segno, questo!” esclama Sara, entusiasta dal mio arrivo.
“Io la chiamerei più una persecuzione,” ribatto, il senso di nausea che inizia a farsi sentire in gola. Non poteva andare peggio, stasera.
“Ah ah ah, che simpatia,” mi sfotte lei. “Stavolta da bere, offro io.”
La osservo, maledicendola per le sue parole.
“No, stasera me ne torno a casa sobrio, che la cavolata l’ho già fatta.”
Faccio per andar via, ma lei mi ferma.
“Ci stai tanto male, vero?” mi chiede in tono sommesso.
Io non rispondo nemmeno.
Perché, non si vede? Da quella dannata sera, la mia vita è distrutta. La donna che amo mi odia, e la colpa è solo mia. No, ma va tutto alla grande.
“Mi dispiace... non ho intenzioni bellicose,” mi informa, prima di sollevare il bicchiere per un brindisi. “Ad Anna Olivieri, donna fortunata.”
Faccio una risata amara.
“Cioè, mi prendi in giro, fai la battuta...” riesco a biascicare. Proprio lei... non deve nemmeno nominarla, Anna.
“No, affatto,” nega Sara. “è molto fortunata ad avere un uomo che la ama così, ed è una scema se non lo capisce. Ma tu che ci puoi fare? Niente.”
Dal suo tono, mi sembra sincera, e mi scuso per quello che ho detto prima.
Vorrei tanto che Anna la pensasse come lei.
Bevo appena un sorso del mio drink, e la mia mente torna all’estate di due anni e mezzo fa.
Era agosto, faceva caldo. Una birra in mano, la prima di una lunga serie.
Chiara a pilates, e io tornato da qualche ora dal municipio con Cecchini, quando avevamo chiesto le luminarie per il Natale di Cosimo. Anna che aveva detto di sì a Giovanni, o così credevo...
Osservo il bicchiere che stringo tra le mani, e poi la donna accanto a me.
Non ho più dubbi su cosa devo fare, le mie gambe che anticipano i miei pensieri.
Sto già correndo verso la mia moto, dopo una brevissima telefonata al maresciallo per essere sicuro che il ristorante sia quello che ricordo.
E una corsa folle verso la mia meta, verso l’ultimo tentativo che posso fare.
Solo due risultati possibili: la fine di tutto, o un nuovo inizio.
Il cuore in gola per la tensione.
Lungo la strada, in un piccolo parcheggio con uno splendido panorama su un promontorio, noto un maggiolino che conosco molto bene parcheggiato sotto le luci, e due figure appoggiate ad esso.
Una di loro è vestita di verde.
Ora o mai più.
 
Anna’s pov
 
“Va meglio?” mi chiede Sergio, dopo un po’.
Io annuisco soltanto, continuando a fissare il vuoto.
Decido di farmi coraggio: non possiamo restare qui tutta la notte, dovrò giù dare spiegazioni così, non mi va di aggiungere potenziali pettegolezzi.
“Dobbiamo tornare al matrimonio,” mormoro infine. “Devo portare il bouquet a mia cugina che... deve fare il lancio, se no poi impazzisce, e...”
Lui mi guarda, sconcertato.
“Non ho capito... Vuoi tornare per portare il bouquet a tua cugina?!”
“Sì,” confermo piano.
“Secondo me tu non vuoi tornare per il bouquet,” afferma però Sergio, piantando gli occhi nei miei, “secondo me tu vuoi tornare per dimostrare alla tua famiglia che stai bene, che la tua vita è okay, anche se non è così.”
Ha centrato esattamente il punto.
“Stai male per quello che è successo col tuo ex... mi pare che tu ne abbia tutte le ragioni! O no?”, continua, mentre io sono costretta ad abbassare lo sguardo.
“Architetto e psicologo, mi sembra...” sdrammatizzo, per non dargli la soddisfazione di dirgli che ha ragione.
“C’è un sacco di tempo per studiare, in prigione...”
La sua battuta stupida riesce per un attimo a farmi sorridere, ma solo per un attimo, perché poi ripiomba tutto addosso.
Lui se ne accorge.
“Stai male, soffri in santa pace! Perché devi andare lì a infierire con la torta nuziale, il bouquet e compagnia bella? Che ti frega di quello che pensa tua cugina, tua zia, tua madre e tutta la famiglia-”
Lo interrompo, perché non è facile come dice lui.
“E quindi, cosa... che facciamo? Facciamo finta di niente, che...”
Non so nemmeno io cosa sto dicendo, né cosa voglio fare, finendo per crollare di nuovo contro il cofano del maggiolino.
La verità è che vorrei solo scappare lontano, da tutto e da tutti.
“Stiamo qua,” dice semplicemente Sergio. “Guarda un po’!” aggiunge, facendomi segno di osservare il posto in cui ci siamo fermati.
Su un promontorio con una vista splendida su Trevi.
Se non fosse che queste dannate lucine che brillano sopra le nostre teste mi ricordano un certo drive-in, sarebbe perfetto.
“Brindiamo con i chinotti rubati ai nostri fallimenti,” propone, lasciandomi sconcertata.
Certo che... bella situazione in cui mi sono cacciata, eh.
“Inizio io... Io brindo... al fatto che mia figlia mi odi.” decide.
Beh, lo capisco. In realtà sua figlia non sa nemmeno che lui è suo padre, ma che non gli sia proprio simpatico è chiaro.
Come ho già detto, la bimba parla, ride e gioca con tutti quelli che incontra, ma non appena vede Sergio, lo evita e corre da Marco, se lui c’è.
Non so cosa sia peggio, se il fatto che loro due non riescano nemmeno istintivamente a legare, o che la bimba abbia identificato la sua figura paterna ideale in Marco.
Ma Sergio fa una cosa che mi spiazza.
Si mette a urlare.
“Mia figlia mi odia!”
Ma non è contento.
“Aspetta, posso fare meglio... MIA FIGLIA MI ODIA!!”
Wow, che figata, come direbbe qualcuno.
“Bravo, bravo...” mi complimento.
“Grazie,” sorride lui. “Tocca a te adesso.”
E no, me lo dovevo aspettare che c’era la fregatura.
“No, no...” rifiuto con una vocina che si sente appena. No, scherziamo?
“Come no? Io l’ho fatto, adesso... altrimenti sarò costretto a fare una cosa terribile,” mi sfida, e io già tremo. “Dovrò prendere la macchina, andare al ristorante, calarmi le braghe e chiedere a tua mamma se mi sposa!”
Io scoppio a ridere per l’assurdità dell’idea.
“A te la scelta,” continua Sergio. “Lo faccio, eh! Guarda che ne sono capace! Uno... due, chiavi della macchina,” conta, facendo sul serio per prendere le chiavi dalla tasca.
Lo blocco perché mi sa che lo fa davvero.
“Va bene, va bene, va bene... lo faccio,” cedo.
“Vai.”
Cerco di scegliere il brindisi al mio fallimento migliore.
Che mi costa parecchio esprimere ad alta voce, ma una sfida è una sfida.
“Io sono... una cornuta.” confesso.
Peccato che lui non sia soddisfatto.
“Cos’era, questo? Sul serio! Dai, sii seria!”
Io rido, e per una volta non voglio pensare a niente, se non a sfogarmi.
“Sono una cornuta,” affermo con più convinzione, ma lui mi incita a fare di più.
Ed è così che mi libero.
“SONO UNA CORNUTA!!!”
Lui scoppia a ridere, perché non credo si aspettasse davvero questa reazione da parte mia, e nemmeno io.
“Meglio?” mi chiede, dopo qualche istante.
“Sì...sì,” ammetto.
Mi sento davvero meglio.
Ed è la prima volta in mesi in cui rido davvero.
Senza alcol, senza una battuta che mi obbliga a farlo.
Ma soltanto perché improvvisamente, in un modo in apparenza tanto banale, è come se mi fossi tolta un peso.
“Come sei bella quando ridi...” mi dice Sergio, osservandomi con un’espressione ammaliata, e soddisfatto per la riuscita del suo piano.
Non posso che ricambiare il sorriso, quando un rombo di motore interrompe tutto.
Rompo il contatto visivo con Sergio, il cuore che torna a battere forte.
Io questo rumore lo conosco...
Sposto lo sguardo sulla strada, per notare una moto rossa che ha appena parcheggiato poco distante da noi.
Una moto molto familiare, così come il motociclista, che si toglie il casco e ci si avvicina.
Un senso di déjà-vu che mi invade, facendomi quasi tornare a una mattina in piazza, e un gesto molto simile.
L’inizio.
Noto l’espressione sconcertata di Sergio non appena capisce che è Marco, la domanda implicita chiara: come ci ha trovati?
“Puoi... potresti lasciarci da soli, per favore?” gli chiedo a bassa voce.
Lo so, è una richiesta strana dopo quanto è appena successo, ma ho bisogno di capire.
Sergio esita un istante ma poi annuisce, allontanandosi.
Marco gli fa un cenno, per poi raggiungermi.
“Che ci fai qui?” sussurro, incerta.
Noto che ha gli occhi leggermente lucidi, ma non per via dell’alcol, stavolta.
Anche se sembra di nuovo di rivivere uno dei nostri momenti...
Agosto, a casa mia, e lui che mi implorava di non sposare Giovanni.
Quando mi ha confessato che mi amava.
Sento le lacrime tornare prepotentemente all’attacco al solo ricordo di quella sera, tanto che non riesco nemmeno a fermarle.
Ma ci pensa Marco a farlo, accarezzandomi delicatamente la guancia per asciugare quelle che iniziano a rotolare giù.
Io esito solo un istante, prima di abbandonarmi a quel tocco caldo che tanto ho desiderato per tutti questi mesi passati a respingerlo.
Lui non ha ancora detto nulla, non a voce se non altro.
Perché i nostri sguardi si sono già detti tutto.
A un certo punto, però, decide che è arrivato il momento di parlare.
“Sono mesi che cerco di dirti tutto quanto, ma non trovavo le parole giuste per farlo,” mormora, finalmente, rispondendo alla mia domanda di prima. “In realtà non le trovo nemmeno adesso, quelle giuste, ma mi sforzerò. Perché voglio farlo. Devo tentare almeno di spiegarti... ciò che sentivo, che sento ora. Quel turbinio di emozioni che mi muovono, che mi fanno commettere errori e sbagli su sbagli, perché non ho ancora imparato la lezione... Quell’istinto che mi ha portato quella sera a commettere quell’errore che mi perseguita ogni attimo. E che da mesi mi spinge a cercare una possibilità di rivalsa per quello che ti ho fatto, anche se so benissimo che non merito il tuo perdono... Quello che sto cercando di dirti è che... Io ho bisogno di te, Anna, di averti nella mia vita... Perché non lo è, non è vita, senza di te, è solo sopravvivenza. E non riesco a fare nemmeno questo, più...”
Io non riesco a dire niente, le lacrime mi bloccano la gola e mi impediscono di emettere suono. Marco sembra un fiume in piena, e continua con le sue frasi sconnesse che però contengono tutto ciò che sente, tutto ciò che prova.
Ci sono i nostri ricordi nelle sue parole, i nostri momenti insieme, il nostro esserci l’uno per l’altra ogni volta che ne abbiamo avuto bisogno.
Non mi sta chiedendo di perdonarlo, perché quello che è successo c’è e non si cancella, ma l’unica cosa che vuole è una possibilità per provare a dimostrarmi che posso ancora fidarmi di lui. Che l’uomo di cui mi sono innamorata non è mai svanito, e che è qui, davanti a me, con il cuore in mano. A me la scelta, se tornare a custodirlo, o spezzarlo definitivamente.
Ma è disposto a rischiare, davvero, stavolta. A giocarsi le sue carte fino all’ultima, per fare le mosse giuste senza spinte esterne. Per poter essere finalmente padrone delle sue azioni fino in fondo.
Come mai prima d’ora.
Perché sono stata io a insegnarglielo.
E poi perché lei, quando ama, ama fino in fondo.
Perché mi ama. Profondamente, disperatamente.
Così tanto da accettare di correre il rischio, per amore.
A cambiare, ancora, per amore.
Perché ogni istante che abbiamo vissuto insieme è importante, e non può essere cancellato, né dimenticato.
Perché il nostro amore è l’unica cosa che conta.
 
Io sono senza parole. È una delle rare volte nella mia vita in cui non riesco a trovarle.
Non riesco a far niente, se non piangere in silenzio.
Perché quando pensavo di aver finalmente capito tutto di Marco, ecco che è tornato a sorprendermi.
Ma non come quel maledetto giorno in chiesa.
Stavolta, è tornato il sogno a occhi aperti.
Ed è lui, Marco, il mio Marco, qui davanti a me, un libro aperto come mai prima di adesso.
Mi basta un attimo per decidere cosa fare.
Seguirò il mio stesso consiglio.
Bisognerebbe avere un po’ più di fiducia nelle persone, anche se commettono degli errori.
E questo farò.
Voglio tornare a fidarmi di lui.
Forse sbaglierò, ma voglio dargli la possibilità di rimediare all’errore che ha commesso.
Perché solo così possiamo tornare a vivere entrambi.
Perché non avrei sopportato di vedere Marco ridursi a un automa per una sofferenza che si può tentare di guarire.
Lo amo troppo per lasciarlo sopraffare da quella depressione alla quale si stava abbandonando.
 
So che non ho bisogno di parlare, non adesso.
Per questo mi avvicino a lui, e lo abbraccio.
Più forte che posso, il viso premuto contro la sua giacca. Poco importa se la inzupperò, perché lui mi stringe a sé, finalmente, ed è come se il mondo avesse ripreso a girare all’improvviso.
Mi ero imposta di non pensarci, quando invece questa sensazione mi mancava più dell’aria.
Non dico nulla, so che capirà comunque il senso del mio gesto.
Perché il suo abbraccio non è paragonabile a quello di nessun altro.
In questo momento piango e basta, singhiozzando contro il suo petto, perché è l’unica cosa che posso fare.
Perché solo Marco può realmente asciugare le lacrime che lui stesso ha provocato.
Soltanto lui.
Non mi importa se farà male, se sarà difficile...
Non ce l’avrò fatta a sopportare la vista di mia cugina in procinto di sposarsi, ma sarò abbastanza forte da riuscire a perdonare Marco. Per ricominciare.
È un viaggio, non lo sai dove ci porta. Si perdono delle cose, se ne prendono altre.
Quando, dopo un tempo infinito, sciogliamo il nostro intreccio, i nostri occhi tornano ad incatenarsi.
Ancora, a parlare senza dire niente, e stavolta le lacrime non sono di dolore, ma di felicità.
Come se un peso si fosse finalmente sollevato dalle nostre spalle, dopo mesi di oppressione.
È come tornare a quel giorno in piazza.
Uno dei due, per meglio dire.
Il nostro primo incontro, quella stretta di mano che aveva cambiato il nostro destino.
La notte del Natale d’agosto, quando le nostre dita intrecciate avevano dato inizio alla nostra storia d’amore.
Sta per ricominciare tutto.
In un modo ancora diverso, ma non importa.
Perché il fato ci ha condotti qui, un’altra volta.
Niente è mai stato casuale tra noi, c’è sempre una ragione.
E stavolta non sarà diverso.
Perché il mio posto nel mondo è accanto a lui.
 
La mattina seguente, riusciamo a venire a capo del caso.
Sara, con mio enorme stupore, si complimenta con me per il lavoro svolto e si congeda, perché adesso che Marco sta bene, riprenderà regolarmente il suo posto, e quindi la sua presenza così assidua non sarà più necessaria.
La accompagno giù in strada, il cuore un po’ più leggero.
 
In piazza, trovo Cecchini e Marco, intenti a ultimare i dettagli per l’arrivo imminente del Papa.
Cioè, Cecchini dà le direttive, e Marco come al solito in questi casi, esegue.
Mi avvicino a loro, un sorriso che si fa istintivamente strada sulle mie labbra, e anche su quelle di Marco non appena mi vede.
Anche il maresciallo, stavolta, sorride.
Non so se abbiano parlato, ma sarebbe stato superfluo.
Quello che è successo è evidente.
Noi due siamo di nuovo immersi in quel mondo tutto nostro in cui le parole non servono.
Perché è impossibile, spiegare l’amore che ci unisce, non c’è nessun ragionamento di fondo, se non un assunto, profondo, per quanto banale.
Sei tu che mi fai stare bene quando io sto male, e viceversa.
 
 
Ciao a tutti!
Scusate il ritardo rispetto al solito, ma questa puntata ci ha dato del filo da torcere.
Non c’era un momento che fosse uno, da poter cambiare senza stravolgere tutto.
Io e Martina ci siamo quindi inventate una scena ad hoc, pur mantenendo il tutto più... contenuto.
Non era il caso di inserire scene smielate o altro.
Anna e Marco sanno esprimere i loro sentimenti senza bisogno di chissà quali esagerazioni.
Ora, togliamoci questa sesta puntata da incubo quanto prima, per cortesia.
A presto!
 
Mari
 
 
 
   
 
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