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Autore: crazy lion    27/02/2020    3 recensioni
Attenzione! Spoiler per la presenza nella storia di fatti che Demi e la sua famiglia hanno vissuto, raccontati nel libro di Dianna De La Garza "Falling With Wings: A Mother's Story", non ancora tradotto in italiano.
È il 28 dicembre 2002 e Madison compie un anno. Dianna, Eddie e la loro famiglia organizzano una festicciola molto semplice, solo per loro. Ma se da una parte quella è una bella occasione per stare insieme, divertirsi, giocare e sorridere nel vedere come la piccola Maddie scopre il mondo, dall'altra in Demi e Dianna si nascondono demoni potenti fatti di problemi, dolori, insicurezze, paure che secondo loro non possono essere rivelati a nessuno e che forse non permetteranno alle due di vivere una giornata serena. Riusciranno a stare bene, oppure le difficoltà della vita rovineranno tutto? E saranno in grado, almeno un po', di parlare capendo che farlo è la miglior cosa, oppure continueranno a chiudersi in loro stesse?
Disclaimer: con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, né offenderle in alcun modo. Vale non solo per Demi, ma anche per tutti gli altri personaggi di cui ho parlato.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Demi Lovato
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
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Ciao a tutte!
Causa dolori fisici e problemi di salute vari (domani vado dal medico) con “Cuore di mamma”, la mia long, sono bloccata. Per scrivere questa ci ho messo quasi un mese e mezzo. Scusate davvero!
 
 
 
UNA GIORNATA PARTICOLARE

Dianna si svegliò di soprassalto, sudata ma al contrempo piena di brividi e con il cuore in gola, come se avesse appena avuto un incubo. Tuttavia non ricordava di aver sognato nulla quella notte, o perlomeno niente di spaventoso o triste. Allora perché provava quella sensazione? La testa le girava, si sentiva tutta sottosopra, con lo stomaco in subbuglio, come quando il giorno dopo l'ultimo dell'anno si alzava molto più tardi del suo solito perché era andata a letto ad orari ai quali non era abituata.
"Maledizione" mormorò fra i denti, attenta a non svegliare nessuno.
Eddie riposava ancora accanto a lei, il suo leggero russare l'unico rumore che si udiva nella stanza.
Ecco perché stava così male: era tardi, anzi, tardissimo notò guardando l'orario segnato sulla sveglia: le sette e mezza di mattina. Era abituata ad alzarsi molto presto, due ore prima delle figlie per cui verso le quattro. Questo aveva fatto sì che lei e il marito litigassero più volte, Eddie non capiva perché la moglie dovesse svegliarsi ad orari del genere, gli sembrava assurdo, ma lei aveva cercato di fargli comprendere che erano quelle le ore di sonno che riusciva a concedersi e che proprio non era in grado di restare a letto di più. In realtà non era quella la motivazione principale e lo sapeva benissimo, ma non si era mai azzardata a dirlo.
Era il 28 dicembre, un sabato. Ed era il giorno in cui Madison compiva un anno. I supermercati erano chiusi, ma per fortuna aveva tutto l'occorrente per fare una torta. Per quell'anno niente feste in grande con nonni o altri parenti, avevano deciso lei ed Eddie, anche perché erano appena tornati da una breve vacanza al lago Tahoe con alcuni loro amici e vicini di casa e si sentivano stanchi.
"Non festeggerai con la tua famiglia il primo compleanno di tua figlia?" le aveva chiesto sua madre, dispiaciuta, pochi giorni prima.
Il loro rapporto si era complicato durante la giovinezza di Dianna ed era rimasto così per anni, tanto che per lungo tempo aveva avuto pochi contatti con lei e suo padre. Ma dal momento in cui aveva lasciato Patrick e raccontato tutto quello che era successo, ovvero che il loro matrimonio era andato bene e che si erano amati per lungo tempo ma che poi lui era cambiato e aveva cominciato ad abusare di lei fisicamente e psicologicamente nonché a bere e a drogarsi, la donna e i genitori si erano riavvicinati e la loro relazione era migliorata moltissimo.  Si vedevano poco perché loro stavano in Texas e lei a Los Angeles, ma almeno le bambine avevano i genitori di Eddie lì e potevano godersi quelli che consideravano a tutti gli effetti dei nonni.
"Non stavolta, mamma" aveva ripreso Dianna. "Porteremo le bambine a fare una breve vacanza e torneremo stanchi, ma se vuoi possiamo festeggiare insieme l'ultimo dell'anno. Se verrete qui il 30 potrete passare a Los Angeles il 31 e qualche altro giorno, nel caso vi fosse possibile."
Le sarebbe dispiaciuto dirle di non venire, in fondo lei e il marito avevano il diritto di vedere le loro nipoti e viceversa, così si erano messe d'accordo. Anche se con un bambino piccolo è possibile fare viaggi molto lunghi, la donna non se l’era sentita di portare Madison in Texas pensando che per lei sarebbe stato troppo stancante.
Un lieve lamento proveniente dal lettino lì accanto la fece voltare: la piccola si stava svegliando. La donna si stiracchiò in velocità, si alzò uscendo dalle calde coperte e si infilò un paio di ciabatte gialle. Il letto di Madison aveva le ruote; le cantò una melodia che le venne in mente al momento e lo mosse piano a destra e a sinistra riuscendo a farla riaddormentare. La accarezzò e le depositò un delicato bacio sulla fronte, poi le rimboccò meglio le coperte. Infilò un paio di jeans , una maglia e una felpa appoggiati su una sedia lì accanto, tutti e tre neri. Si vestiva così nei giorni in cui si sentiva particolarmente stanca o triste.
Sospirò, poi andò in bagno e si guardò allo specchio. I lunghi capelli biondi erano scompigliati e in disordine, li pettinò dando nervosi colpi di spazzola. Erano deboli e li perdeva con facilità, anche questo un sintomo dell’anoressia benché lei non se ne rendesse conto. Gli occhi castani, invece, le apparivano spenti. Il suo corpo, come sempre, era troppo grasso, i fianchi esageratamente larghi, la vita altrettanto, per non parlare delle cosce che parevano esplodere. Era orribile, non c'era altro modo in cui avrebbe potuto definire lei stessa. L'anoressia, della quale soffriva da molti anni, le faceva vedere ogni cosa in maniera distorta e lei continuava a negare di averla, nascondendo tutto al meglio che poteva. Nessuno doveva sapere, per tutti la sua vita doveva apparire perfetta, come lei stessa. Decise di non truccarsi, tanto non doveva uscire. La pelle su guance, zigomi e naso era secca, un altro sintomo della malattia. Come faceva ogni giorno la idratò spalmandoci sopra della crema, poi attese qualche minuto affinché iniziasse ad asciugarsi.
Una volta in cucina mangiò un pugno di cereali integrali e uno yogurt magro, ma subito dopo le voci cominciarono a tormentarla. Non venivano sempre, a volte si trattava solo di sue sensazioni, altre invece le pareva proprio che qualcuno, di genere femminile e con una voce piuttosto roca e maligna, le parlasse nella testa. Eppure aveva ragione.
"Come madre fai schifo. Inoltre sei brutta e grassa, quarantaquattro chili sono moltissimi." Si pesò sperando di essere calata anche solo di poco, di qualche grammo, ma non era così. Era enorme, non andava affatto bene. Quando stava con Patrick era arrivata a pesarne trentotto. "Perciò adesso, come prima cosa, vomiti tutto quello schifo che hai mangiato."
Si chinò sul water e si infilò due dita in gola, ma dopo il primo conato e che un po' di cibo fu uscito, non seppe nemmeno lei come, ebbe la forza psicologica necessaria a fermarsi. Madison stava piangendo, sembrava disperata, e inoltre almeno oggi doveva essere forte anche fisicamente e ciò significava mangiare, per quanto la sola idea del cibo le facesse schifo. Eddie era in ferie, se avesse voluto vomitare - ed era sicura ne avrebbe sentito il bisogno - avrebbe dovuto farlo con discrezione in modo che non scoprisse nulla. In più, era il compleanno di Madison e voleva che la piccola festicciola che aveva in mente fosse perfetta. Perciò, nonostante la voce le urlasse nella testa di continuare a rigettare, si alzò e si lavò i denti.
"Lasciami stare, ti prego!" implorò stringendosi la testa fra le mani.
Ma quella rideva, si prendeva gioco di lei e di quanto fosse cicciona, la chiamava nei modi più orribili.
Il cuore cominciò ad accelerare fin quasi a farla impazzire, il respiro era affannoso, sudava. Aveva mangiato troppo poco e il corpo, pur se abituato, sentiva già la stanchezza e la debolezza farsi più forti di qualsiasi altra sensazione. Era cresciuta pensando di dover essere perfetta sotto ogni aspetto ed era convinta che, se non fosse stato così, Eddie avrebbe smesso di amarla. Non poteva ingrassare, né mostrarsi debole o lui si sarebbe preso gioco di lei e l’avrebbe odiata, lasciandola. Fu allora che arrivarono i sensi di colpa. Se fosse stata davvero forte sarebbe andata avanti e avrebbe rimesso ogni cosa, festa o non festa, aveva ragione la voce.
"Pensavo fossi più brava" continuava a dirle. "Non credevo ti saresti arresa."
Seguitava a voltare il capo da una parte e dall'altra perché quell'immaginaria ragazza le parlava e sembrava che la sua voce provenisse da ogni dove. E intanto la bambina continuava a strepitare e strepitare anche se Eddie, lo sentiva, si era alzato e cercava di calmarla.
Sospirò mentre una sola, singola lacrima le rigava la guancia destra, poi tornò di sopra. Madison era in braccio al papà che, in piedi, camminava per la stanza cantandole una canzoncina, ma quando vide la moglie si fermò e le andò incontro.
"Dov'eri finita?" le chiese, tenendo la piccola con una mano e cingendole le spalle con un braccio.
Non c'erano né rabbia né accusa nel suo tono, solo sincera preoccupazione. Era sempre così dolce con lei, premuroso nelle parole e nei gesti. Tutto il contrario di Patrick che, innumerevoli volte, l’aveva ridicolizzata e picchiata.
"Di sotto. Io… sono stanca, non mi sento un granché."
Il che era vero, almeno su questo stavolta non aveva mentito. Aveva detto così tante bugie, in quegli anni, per nascondere tutti i suoi problemi, che ci si era quasi del tutto abituata. E ogni volta si sarebbe presa a schiaffi per questo.
"Che ne dici di riposare un altro po'?" La donna stava per replicare che non voleva, che ormai era sveglia e non aveva più sonno, ma Eddie le indicò gli occhi. "Hai due occhiaie che ti arrivano fino ai piedi. Prova almeno a stare a letto, penso io a lei e a Dallas e Demi, non preoccuparti."
"Ma devo fare la torta!"
"Se vuoi me ne occupo io."
La voce del marito era morbida, rassicurante e Dianna sentì il suo cuore scaldarsi.
"No, ci penso io, grazie. Proverò a dormire un po', farò il dolce più tardi."
Prese fra le braccia la sua bambina e se la strinse forte al cuore, respirando il profumo dolce che emanano tutti i bimbi piccoli, poi le sussurrò all'orecchio:
"Scusami, ti avevo promesso che non sarebbe successo mai più."
Era il suo ennesimo fallimento come mamma, pensò.
"Hai fatto colazione?" le chiese Eddie, guardandola un po' preoccupato e con occhi traboccanti d'amore.
"Sì, ho mangiato un vasetto di yogurt con dei cereali."
Tremò.
Si sentiva sempre stanchissima e spesso aveva freddo. Mangiare così poco la indeboliva moltissimo. In quel momento un sudore freddo parve attraversarla. Non era la prima volta che succedeva, ma non ci si era mai abituata.
"Bene, brava."
Poco dopo, mentre padre e figlia uscivano dalla stanza, Dianna si rimise sotto le coperte. Cosa insolita per lei, e difatti non riuscì a riposare nemmeno un minuto.
Non riesco neanche a prendermi cura di mia figlia.
Ma che persona - che madre - snaturata e senza cuore doveva essere per comportarsi così? Perlomeno però era sdraiata e, per quanto molto debole, essere su un letto la faceva sentire meglio. La voce continuò a tormentarla sussurrandole di muoversi per smaltire le calorie e lei lo fece, camminò intorno al letto infinite volte, saltò, addirittura si lanciò in qualche piccola corsa a piedi nudi nel poco spazio che aveva a disposizione, finché questa la lasciò tranquilla e la donna crollò, esausta, sul materasso. Non chiuse mai gli occhi, nemmeno ci provò. Rimase lì, immobile, con la testa finalmente priva di ogni pensiero.
 
 
 
Demi si svegliò con il sorriso sulle labbra. Si sentiva riposata e piena di energie per affrontare anche quella giornata di vacanza. Non che quando recitasse a “Barney And Friends” si sentisse sempre stanca, anzi, perché le piaceva; ma essere in vacanza la faceva sentire rilassata. Certo doveva fare i compiti, ma per il resto era libera e lo sarebbe stata ancora per un po’. Ricordò i giorni appena trascorsi al lago, era stato tutto bellissimo. Il cottage in cui avevano alloggiato immerso nella neve e in mezzo alla natura, i giochi che aveva fatto con la sorella, Andrew e Carlie, la sorellina di lui, insomma, ogni cosa era stata fantastica. Andrew era il suo migliore amico praticamente da sempre, i due erano inseparabili e la bambina sentì un dolore al centro del petto farsi strada in lei, sempre più in profondità, che le mozzava il respiro. Le mancava già quel ragazzino che la ascoltava e la capiva così bene, come nessun altro sapeva fare, e sperava che l'avrebbe rivisto presto.
Si alzò, scese dal letto e lo rifece con cura. Le coperte erano blu, in tinta con il colore delle pareti, un colore delicato che lei adorava. Aprì uno dei due cassetti del suo comodino. Controllò che dentro ci fosse ciò che cercava, come temendo che qualcuno durante la notte gliel'avesse sottratto anche se sapeva che era impossibile. Dopo un ammasso di cianfrusaglie che avrebbe dovuto decidersi a togliere, sentì un fiocco e una carta liscia. Lì vicino, sul pavimento, si trovava un altro pacchetto più grande. C'erano, quindi, e trasse un sospiro di sollievo. Li avrebbe tirati fuori al momento opportuno.
Uscì dalla sua stanza ancora in pigiama e si diresse verso la camera della sorella, che trovò vuota. Sentiva le risate di Madison provenire dal salotto e Eddie che le parlava e giocava con lei per cui, immaginando che la mamma si fosse già alzata si disse che era stata l'ultima a svegliarsi, cosa che non accadeva praticamente mai. Stava per scendere quando Buddy, il suo Cocker Spaniel, le corse incontro abbaiando e saltellando felice. Aveva cinque anni e la mamma e Eddie gliel'avevano regalato per il suo quinto compleanno.
"Ciao, piccolo" lo salutò accarezzandogli il pelo folto e bianco e passandogli una mano sulle orecchie morbide.
L'altro, in risposta, le leccò una mano facendola ridere.
La bambina si diresse verso le scale ed iniziò a scenderle piano, con il cane che seguiva ogni suo passo. Si era resa conto che la camera dei genitori era ancora buia e socchiusa e non voleva svegliare la mamma. Per prima cosa, in bagno si lavò il viso - cosa che spesso, a casa, dimenticava di fare – e si pettinò lasciando i capelli sciolti. Erano lisci, lunghi e lucenti, li adorava. Guardò la sua immagine riflessa nello specchio e si vide un po’ grassa. Lo era, in effetti, aveva la pancetta, i fianchi larghi e le cosce abbastanza grosse, ma si era sempre vista peggio di così. Fin da quando aveva tre anni si toccava la pancia e credeva di non essere affatto magra.
Non devo pensarci.
Riuscire in tale intento non era facile, ma non voleva che quei pensieri le rovinassero la giornata. Si consolò dicendosi che, nonostante questo, aveva un viso molto carino, con un sorriso dolce e che la mamma le diceva sempre che era bella. Non era la sola e forse chi le parlava così aveva ragione. Forse, però.
In cucina trovò Eddie che, con la piccola sul seggiolone, le stava dando la colazione. L’ambiente era piuttosto ampio, con il tavolo al centro e una moquette a coprire il pavimento. Demi notò che, in realtà, era Madison che - seppur ancora in modo maldestro - prendeva il cucchiaino di yogurt e se lo portava alla bocca.
"Non le dai il latte?" chiese la bambina all’uomo, dopo averlo salutato. “Brava, Maddie!” si complimentò poi battendo le mani.
La guardò e le sorrise e la piccola, che non aveva capito quelle parole ma gradito il rumore, ricambiò.
"Stamattina no, qualche giorno fa la mamma ha detto che a quest'età bisogna iniziare a variare. Lo berrà nel pomeriggio e la sera, comunque."
Demi si avvicinò. Vide che era alla fragola e Eddie le spiegò che era fatto con latte intero, non scremato, perché i bambini a quest'età hanno ancora bisogno del primo.
"E come mai?" gli chiese la piccola, incuriosita, cominciando a scaldarsi il latte.
Aveva quasi nove anni e mezzo e sapeva farlo da un po’.
"Contiene quantità più elevate di vitamina D che serve per rafforzare le ossa e riduce l'insorgenza di malattie croniche durante la vita."
Demetria spalancò la bocca per un momento. Sapeva molte cose sui bambini, prima che nascesse Madison aveva anche letto un libro, ma questa non l'aveva mai sentita. Si domandò quali giochi avrebbero fatto insieme quel giorno. Chissà, magari le avrebbe letto una storia, o sarebbero usciti tutti per una passeggiata.
Eddie le domandò come mai si fosse alzata tanto presto - non erano ancora le otto - e lei rispose che non aveva più sonno.
"Dov'è Dallas?"
"Eccomi!"
La sorella uscì dal bagno - doveva esserci entrata poco dopo di lei -, in pigiama ma con i capelli avvolti in un asciugamano, di sicuro ancora bagnati. Doveva essersi appena fatta la doccia. Quando la vide, Madison le rivolse un lungo sguardo perplesso, poi però la riconobbe ed iniziò a gridare di gioia allungando le manine verso di lei.
"Shhh, non si fa" la rimbrottò bonariamente il padre.
Lui e la moglie stavano cercando di farle capire, benché fosse ancora piccola, cosa si poteva o non si poteva fare, ed urlare in quel modo era un no assoluto. Eddie e Dianna, però, sapevano benissimo che Madison era ancora troppo piccina per capirlo davvero. In ogni caso, sentendo la voce del padre farsi più autoritaria la piccola smise subito, iniziando poi a gorgogliare felice.
Demi e Dallas fecero colazione con delle fette di pane tostato imburrate con un'abbondante aggiunta di marmellata preparate dalla più grande mentre Eddie, una volta che Maddie ebbe finito lo yogurt, bevve una tazza di tè con un paio di biscotti. Non mangiava mai molto a colazione, era sempre stato così, e nei giorni lavorativi si accontentava di un caffè nero prima di correre via.
"Vado a fare i compiti" annunciò Demetria e Dallas andò ad asciugarsi i capelli, sbuffando al pensiero che poi anche a lei sarebbe toccato mettersi sui libri.
La mamma concedeva loro il lusso di non svolgere il proprio dovere solo il giorno del loro compleanno, a Natale, a Pasqua e in qualche altra festività, ma quella della sorellina non era una scusa valida. Mentre la più grande si chiuse subito la porta alle spalle, Demi restò in cima alle scale ad ascoltare. Qualsiasi rumore la distraeva: Madison che rideva, Buddy che abbaiava o camminava per la stanza, Eddie che commentava fra sé e sé una notizia che doveva appena aver letto sul giornale, tutto pur di non svolgere i problemi con le frazioni. Potevano sembrare facili, ma lei non era mai stata un asso in matematica. Il primo, infatti, le venne sbagliato, e gliene restavano ancora diciassette. La sua maestra, Gracelyn Porter, con cui studiava a casa da quando aveva iniziato a recitare l’anno prima, doveva essere pazza. Quanti gliene avrebbe assegnati per le vacanze estive? Cinquanta? Cento? Assurdo. Dallas la aiutò spiegandole dove aveva sbagliato, lo rifecero insieme e ne svolsero un altro aiutandosi reciprocamente a capire i passaggi, poi Demi riuscì a farne quattro da sola.
"Ci hai messo circa un quarto d'ora per ciascuno di questi ultimi" calcolò la sorella. "Non è male, ma se in un compito che ti darà la maestra ne troverai cinque o sei non riuscirai a farli tutti. Devi svolgerne molti, anche più di quelli che ti ha dato per le vacanze, e diventare più veloce anche solo di qualche minuto."
"Non ce la farò mai" piagnucolò l'altra.
Quando non riusciva bene in qualcosa, soprattutto se riguardava la scuola - perché per quanto concerneva la musica e il canto era più determinata e non si arrendeva finché non aveva imparato un pezzo -, gli occhi le si riempivano di lacrime. Lo vedeva come un fallimento.
"Sono sicura che ce la farai, Demi. Sei brava in questa materia, è solo che a volte ti perdi in un bicchier d'acqua, fai errori piccoli che però ti sballano il risultato. Che altro devi fare oltre a matematica?"
"Studiare storia e alcuni esercizi di inglese."
"Ti do un consiglio: cambia materia e domani riprendi questi, okay? Hai bisogno di una pausa."
Demetria svolse i compiti di inglese in mezzora e studiò alcune pagine del libro di storia che riassunse su un quaderno, sottolineò i concetti più importanti e ripeté. Non gliene mancavano molte, ma dopo quasi tre ore di compiti era stanca.
"Torniamo in salotto, dai" sussurrò Dallas prendendola per mano. "Faremo altri compiti nel pomeriggio."
"Oh, ma che bello!"
Demi, seduta sul tappeto davanti alla sorellina e con la schiena appoggiata alla base del divano, mosse il sonaglio colorato che teneva in mano per attirare la sua attenzione.
"Aaah!" esclamò la piccola e sorrise.
Protese le manine verso l'oggetto ma la sorella maggiore si spostò di lato, in modo da farla muovere. Madison si lamentò per qualche momento, infastidita dal fatto di non poterlo avere subito, poi si mise carponi. Stava per gattonare, ma decise di sollevarsi ed andare verso Demetria solo con le ginocchia, dato che sapeva farlo. Si mosse lentamente sbilanciandosi un paio di volte a destra e a sinistra, ma alla fine riuscì ad ottenere quel che voleva.
"Bravissima, bravissima!" esclamarono le sorelle e il padre, applaudendo mentre lei rideva felice.
Dopo averlo mosso facendolo roteare in aria e battendolo con forza sul tappeto - Dallas si stupiva ogni volta di quanto forte fosse Madison anche se era così piccola -, si stancò e lo mise da una parte, poi guardò verso i propri piedi e, poco dopo, si alzò con lentezza e difficoltà sulle gambe malferme aggrappandosi alla stoffa del coprimaterasso del divano. Barcollava, ma non cadde. Si mosse piano, un piccolo passo alla volta, non lasciando mai il suo appiglio.
"Ho letto che alcuni bambini imparano a camminare anche a nove mesi" disse Demi. Parlò piano come se temesse di deconcentrare la sorellina. "Lascerà la stoffa quando si sentirà più sicura."
Benché ormai da tempo si aggrappasse a qualcosa e camminasse, solo il giorno prima aveva iniziato a farlo senza tenersi da nessuna parte. Era ancora troppo presto per lei per muoversi con sicurezza, ma i bambini possono sorprendere e migliorare la loro deambulazione in pochissimo tempo.
Madison guardava prima davanti a sé, poi i propri piedi e infine il padre e le sorelle, come per cercare conforto e rassicurazione in loro. Questi le sorridevano, per cui forse voleva dire che stava andando tutto bene, che era brava. Dopo aver fatto avanti e indietro lungo il divano per un paio di volte lasciò andare la stoffa e mosse qualche passo da sola. Uno, due, tre, quattro passi insicuri e poi cadde sul tappeto con il sedere. Per fortuna riuscì a mantenere quella posizione e non si fece male alla testa, ma cominciò comunque a piangere nonostante la caduta non le avesse fatto davvero male e fosse stata attutita dal pannolino.
"Mio Dio!" esclamò Dallas.
L'aveva vista finire a terra tante volte e sapeva che non le era mai accaduto niente, ma dentro di lei scattava sempre un senso di allarme. E se invece si era fatta male ma non riusciva a farlo capire loro attraverso il suo pianto? Non sapeva ancora parlare se non per qualche sillaba, non era in grado di dire se sentiva dolore.
Eddie sorrise ad entrambe, poi si alzò dalla poltrona e si avvicinò alla bambina.
"Va tutto bene, Maddie, sei stata fantastica."
I loro sguardi si incontrarono e lui continuò a sorridere, accolse il suo pianto e non la sgridò. Non sarebbe stato giusto, non ne avrebbe avuto motivo e in quel momento era necessario che la rassicurasse, che le facesse capire che non era accaduto nulla. Certo, si era spaventata perché la caduta era stata improvvisa, ma poteva accadere.
Vedendo che il papà non aveva alzato la voce, la bambina si calmò presto. Eddie le asciugò le guance rigate di lacrime con un fazzoletto e poi la prese in braccio iniziando a camminare e a canticchiare come aveva fatto in precedenza, anche se dopo cinque minuti buoni la piccola si stava ancora lamentando.
"Uhm, Madison? Guarda, ti mostro una cosa" disse Demi, poi si alzò, sparì e tornò poco dopo con un album di fotografie. Lo aprì e le indicò un paio di foto. "Vedi questa bambina? Ero io, anche se ero un po' più grande di te, avrò avuto due anni." Quelle parole erano ancora senza senso per Madison, ma almeno la figura la distrasse e si mise a guardarla con attenzione. "Questa invece è Dallas, sempre più o meno della stessa età." Gliene mostrò altre, più indietro nell'album, di loro due da neonate. "Vedi quanto eravamo piccole? Anche tu eri così."
"Mmm" mormorò la bimba e mise una mano sopra quelle figure come se volesse prenderle, stupendosi quando non ci riuscì.
Non capì bene ciò di cui la sorella stava parlando, ma vedere quelle foto di bambine tanto piccine la fece ridere di cuore, una risata argentina che riempì la stanza. Tutti sorrisero.
"Come cavolo fai?" chiese Dallas alla sorella.
"A fare cosa?"
"Con lei. Ti osservo da sempre, in pratica. Vedo come ti comporti con Madison, quanto ti viene naturale, è stato così fin da quando l'abbiamo avuta a casa. È come se fossi nata per amare i bambini, il tuo è un dono. Io non… cioè, le voglio un mondo di bene, ma non riesco ad essere così spontanea con lei. Ho sempre paura che si faccia male, di comportarmi in modo sbagliato o di perdere la pazienza."
Avrebbe voluto avere almeno la metà della sicurezza della sorella minore.
"Guarda che anch'io non sono sempre tranquilla. In fondo ho solo dieci anni, ne ho di cose da imparare. Non lo so, mi viene spontaneo. Non credo sia un dono, ma se invece è così come dici, allora sono nata avendolo ed ora posso metterlo a frutto. Anche tu sei brava, comunque.”
Madison, che aveva voluto scendere dalle braccia del padre, si diresse piano verso Dallas e si aggrappò ai suoi pantaloni per essere presa in braccio. Eddie le portò il ciuccio per farla calmare e si diede dell'idiota per non essersene ricordato prima, poi le passò un peluche di un orsetto marrone che la bambina strinse con entrambe le mani. Rimase ferma per lunghi minuti, osservando il peluche e muovendolo solo ogni tanto. Non diceva niente e Dallas ebbe tutto il tempo di guardarla, come faceva spesso. Le sue manine erano così piccole che non erano grandi nemmeno la metà di una delle proprie, i piedini protetti dalle calze antiscivolo - avrebbe iniziato a portare le scarpe solo una volta che fosse uscita di casa camminando - parevano quelli di Cenerentola se non più piccini, e il pigiamino rosa con le coccinelle che indossava la faceva sembrare una bambola. Ma più che per la sua bellezza, Dallas e tutta la famiglia la adoravano per la simpatia. Madison sorrideva a tutti, sconosciuti compresi, e si faceva prendere in braccio anche da chi non conosceva riservandogli gorgogli e risate pieni di felicità. I suoi occhioni, che i primi giorni di vita erano stati azzurri, si erano trasformati diventando di un bellissimo color miele e i capelli le arrivavano quasi alla base del collo. La mamma aveva spiegato che i bambini cambiano colore degli occhi rispetto a quando nascono, all’inizio sono o grigi o azzurri.
"Sembra un angelo, vero?" chiese Demi alla sorella.
E forse lo era davvero. Per molto tempo la bambina aveva sperato di avere una sorellina minore ma, quando Eddie e la mamma si erano messi insieme, aveva cominciato a credere che quel sogno non sarebbe mai diventato realtà. Dio, invece, nonostante tutto quello che era successo in passato aveva fatto loro quel dono meraviglioso, un vero e proprio miracolo per Demi. La sua vita non poteva considerarsi felice. Non avrebbe mai dimenticato le urla di Patrick, i piatti rotti, gli oggetti lanciati, l'odore di alcol, gli insulti alla mamma. Le mura di quella casa in cui poi Eddie era venuto a vivere ne sembravano ancora piene, pregne di un veleno dal quale non si sarebbero mai liberate. Inoltre aveva dovuto lasciare la scuola poco prima della nascita di Madison per lavorare a "Barney And Friends" perdendo i pochi amici che aveva - una sola, per la verità, che comunque si era trasferita in Giappone e che probabilmente non avrebbe visto mai più - e studiando a casa. E mentre vedeva i familiari coccolare e riempire di attenzioni Madison si diceva che prima tutto quello era per lei. Non che adesso non la amassero più, ma aveva capito che essere una sorella maggiore comportava responsabilità e minori attenzioni da parte degli altri, anche se non significavano meno amore, e lei ne soffriva. Una sensazione di bruciore le seccò la gola e dovette andare in cucina a bere un bicchier d'acqua. Perché si sentiva in quel modo? Madison era più piccola, era ovvio e giusto che ricevesse più attenzioni, eppure lei non lo accettava pur amandola moltissimo. Le sembrava di essere meno importante, di non contare più tanto come prima.
In quel momento Dianna, ancora stanca ma almeno un po' più riposata, si presentò di sotto e Madison scese dalle braccia di Dallas per andarle incontro camminando, cosa che rese la donna molto felice.
"Brava, amore mio. Demi," chiamò la figlia poco dopo, "mi aiuteresti a cambiarla?"
La stanchezza non l’aveva abbandonata e, guardandola, il marito disse che la vedeva molto pallida.
“Sto bene, non preoccuparti. Mi gira solo un po’ la testa.”
“Ti misuro la pressione.”
Dianna non obiettò, sapendo che se l’avesse fatto lui si sarebbe insospettito. Il valore di quella minima, il più importante, era piuttosto basso anche se non quanto si sarebbe aspettata.
“Mangerò qualcosa, promesso.” La voce riprese a gridare con rabbia, sembrava un insieme di artigli che la graffiavano dilaniandole l’anima, ma cercò di ignorarla. “Ora devo cambiare Madison, però.”
“Sì, mamma, ti aiuto” rispose Demi alla sua domanda.
Non che avesse bisogno di una mano, ma la donna sapeva che alla figlia piaceva aiutarla. La bambina sospirò. Era così, infatti, tuttavia avrebbe solo voluto urlare:
"Ehi, mi sento come se fossi troppo grande! Vorrei solo un po' più di attenzioni, di affetto. Lavoro ad uno show nazionale che presto andrà in televisione, ma sono ancora una bambina."
A volte aveva provato la sensazione che i genitori dessero più attenzioni a Madison che a lei, lasciandola in disparte. Quando la piccola aveva otto mesi le aveva rivolto, senza farsi sentire da altri, parole molto cattive che non avrebbe più dimenticato.
“A volte ti odio per questo, ti odio” le aveva sussurrato, salvo poi starci malissimo il pomeriggio, la sera e la notte e scusarsi con Madison il giorno dopo.
Lei, troppo piccola per capire, le aveva sorriso e poi avevano iniziato a giocare, mentre Demi si era sentita rinascere. Amava la sorella e sapeva che i suoi volevano a lei, Madison e Dallas un bene infinito e che le adoravano in ugual misura. Ma non essere più la piccolina di casa certe volte era un po’ difficile, forse anche a causa del fatto che, accidenti, ora non andava più a scuola ma lavorava. Lavorava e aveva solo nove anni. Aveva voluto partecipare a quello show, ma solo ora, nonostante avesse già sperimentato lo stress per precedenti audizioni, si rendeva conto che non era semplice per la sua età. La pressione di lavorare alla Disney le faceva credere che fosse necessario apparire in un certo modo, anche se non era anoressica e non lo sarebbe stata ancora per qualche anno, e in ogni caso quella non sarebbe stata l'unica motivazione a portarla a soffrire di tale malattia, anzi, si sarebbe rivelato il male minore. La mamma non le chiedeva mai come si sentisse, non parlavano mai di cose profonde. Non capiva perché. La piccola si teneva tutto dentro, non riusciva a sfogarsi con lei, ad aprirle il proprio cuore e a farle capire che le sembrava di crescere troppo in fretta, di avere paura, forse, di stare diventando famosa per quanto le piacesse, che lei in fondo era ancora piccola e si sentiva sempre in ansia e che le mancavano la scuola e Mary. Il respiro le si faceva sempre più lento e pesante e il battito cardiaco sembrava rallentare, ma era di sicuro solo una sua impressione. Non è facile vivere nascondendo i propri sentimenti, in particolare il dolore, le paure e le insicurezze. Mosse distrattamente i pupazzetti appesi sopra il fasciatoio per far ridere Madison, iniziando poi a toglierle il pannolino sporco; e se la mamma le stava parlando non la udì.
Una volta finito disse di voler andare un attimo in camera e sparì senza dare altre spiegazioni. Chiusasi la porta alle spalle, cominciò a prendere a pugni il cuscino con tutta la forza che aveva; poi ci immerse la faccia e urlò. Gridò perché non sapeva come sarebbe andato quell'anno - né il successivo se era per questo - con le riprese di "Barney And Friends", se sarebbe stata abbastanza brava, se ce l'avrebbe fatta, per quanto ancora avrebbe recitato e sarebbe stata costretta a studiare a casa, né se avrebbe più rivisto la sua amica. C’erano troppi “se” e condiionali, pensò, troppe incertezze.
Quando Mary le aveva detto che sarebbe partita per il Giappone lei aveva pianto per giorni, almeno se fosse rimasta a Los Angeles avrebbero potuto vedersi, ma così… Non aveva nemmeno un recapito con il quale contattarla ed il giorno in cui le aveva detto che sarebbe partita con l'aereo si era inginocchiata al centro della sua stanza a pregare che tutto andasse bene e a ripetere:
"Buon viaggio amica mia, buon viaggio."
Il giorno dopo l'insegnante di matematica aveva fatto scrivere a tutti un problema con i nomi di Mary e Demi come le persone coinvolte, le pareva di ricordare che lei dovesse mandare un regalo all'amica in Giappone e poi non rammentava altro. La maestra l'aveva fatto risolvere a Demetria facendola andare alla lavagna e la bambina si era bloccata, aveva iniziato a dire cose sconclusionate, a confondere i dati. Se l'intento dell’insegnante era stato quello di sbloccarla, di farla sentire meglio, non ci era affatto riuscita. Senza Mary Demi si era sentita sola, le era parso che le sue gambe fossero diventate deboli, troppo per riuscire a sostenere il peso del corpo e persino dell’anima. Tremavano sempre assieme alle braccia e alle mani quando pensava a lei e, Dio, se non avesse avuto Andrew accanto non avrebbe saputo cosa fare. Il ragazzo, allora quindicenne, era andato a trovarla ancora più di frequente per un lungo periodo di tempo provando a distrarla, portandola fuori a camminare, a bere una cioccolata calda a casa sua o al bar e chiacchierando a lungo con lei. Aveva lasciato che piangesse, che si sfogasse, che gli dicesse che Mary le mancava come l'aria e che anche se era contenta di iniziare le riprese aveva paura. Paura di sbagliare, di fallire, di non essere all'altezza. In fondo era solo una bambina. Ora era passato un anno, e la lontananza dell'amica ancora bruciava come un fuoco nemico nel petto che non si era mai spento. Ma Andrew era sempre lì, c'era sempre stato anche prima e lei sperava che non si sarebbero mai divisi. Lui non era per lei un ripiego, qualcuno a cui appoggiarsi perché Mary non c'era più, ma una persona sulla quale contare e a cui voleva un bene infinito.
Mary ed Andrew erano gli unici che la capivano davvero, che non le parlavano solo ogni tanto perché lei era Demi Lovato, quella che aveva fatto il "Cinderella", un concorso di bellezza per bambine e ragazzine che qualche anno prima aveva vinto assieme a Dallas e nel quale avevano anche cantato, quella la cui sorella aveva fatto qualche voice over, quella che aveva partecipato a diverse audizioni fin da quando era piccola. Non tutti sapevano questo, ma alcuni sì e per loro Demi era solo, appunto, “quella che”. Ne avevano parlato in classe, a fine 2001, prima che lei lasciasse la scuola, ma le chiacchiere sul suo conto erano iniziate molto prima e non erano state tutte positive. Certo era, però, che anche se in parte avrebbe voluto frequentare la scuola come una bambina normale aveva anche paura, perché era stata vittima di bullismo a causa del suo peso. All'amico non l'aveva detto, come non gli avrebbe mai confessato ciò che stava per fare. Ne aveva un estremo bisogno, non poteva farne a meno.
Aprì con una piccola chiave un cassetto della sua scrivania e ne tirò fuori una ventina di merendine al cioccolato. Le ingurgitò tutte in pochissimi minuti, prima godendosele e poi mangiandole con una velocità impressionante finendo per ingozzarsi. Ancora non lo sapeva, ma si trattava di binge eating, un disturbo alimentare nel quale la persona mangia grandi quantità di cibo in poco tempo per far fronte ad un dolore o ad un problema troppo grande per lei e che non coinvolge il vomito o l'assunzione di lassativi, o nessun altro metodo per espellere ciò che c'è nello stomaco. Aveva iniziato a mangiare tanti dolci tempo prima, quando Madison c'era già. Dianna non le diceva niente perché pensava che sarebbe stata solo una fase della crescita, e poi a quale bambino non piacciono le cose dolci? Nessuno, nemmeno lei, sospettava che quello sarebbe stato solo l'inizio di anni d'inferno.
Gettò con rabbia le cartacce nel cestino pensando che, tanto, nessuno ci avrebbe fatto caso e poi andò in bagno a lavarsi i denti. Pezzettini di brioche erano rimasti incastrati e aveva tutta la bocca sporca di cioccolato, ma si sentiva appagata. Le piacevano, ma soprattutto quelle merendine l'avevano aiutata a provare meno ansia. Il respiro si era calmato, non provava più dolore e sapeva di amare la sorella. Per adesso, si sentiva meglio. Stava quasi male da quanto aveva mangiato, considerato anche che prima aveva fatto colazione, ma ricacciò indietro un conato, non provocato dalla sua volontà ma dal proprio corpo. Tutto doveva rimanere nel suo stomaco o si sarebbe sentita ancora male, ne era sicura. Quando si abbuffava, anche più volte al giorno e sempre di nascosto, perdeva il controllo e non capiva mai quanto effettivamente stava mangiando finché non aveva terminato. A volte, ma non sempre e non in quel momento, la assalivano i sensi di colpa per non essere riuscita a fermarsi, perché doveva essere magra e perfetta e invece continuava a mangiare come un maiale. Era grassottella e non riusciva a dimagrire. Era appagata e si sentiva bene, o almeno lo sarebbe stata per un po'.
 
 
 
Dianna si accomodò sul divano dopo aver bevuto, un po' controvoglia, una tazza di tè  caldo che il marito le aveva offerto. L'aveva zuccherato parecchio almeno secondo lei, ma in realtà non era vero. Per farlo felice, però, l'aveva ingurgitato tutto mangiando anche quattro biscotti. Sì, si sentiva più in forze, la testa non vorticava, ma ora cercava di tenere a bada la voce che le diceva di andare subito a rigettare. Essere perfetta, nel corpo come nella vita, le faceva pensare di avere ancora controllo su di essa, di poterla gestire. Se fosse ingrassata sarebbe impazzita, senza contare che Eddie avrebbe pensato cose orribili su di lei. Chissà, forse l'avrebbe lasciata, anche se ora la amava così tanto e se era diverso da Patrick che, invece, per anni si era preso gioco di lei. Dianna non sapeva come sarebbe riuscita ad andare avanti senza di lui e non voleva nemmeno pensarci. Avrebbe fatto in modo di non arrivare a quel punto. Aveva iniziato a mangiare di meno, o a non farlo, durante l'adolescenza nascondendo al meglio possibile ogni cosa e pensando che più magra fosse diventata, più brava sarebbe stata in tutto - nella vita quotidiana, a scuola, in ogni campo - più sarebbe stata perfetta e quindi amata dai genitori, dalla comunità, da Dio stesso. Questa ricerca ossessiva di perfezione l'avrebbe accompagnata per molti, molti anni.
"Tutto bene?" le chiese Eddie.
Le accarezzò una mano e lei lo guardò come se lo vedesse per la prima volta da quando si era svegliata.
"Sì, sono solo molto pensierosa oggi."
"Lo vedo. Riguardo a cosa?"
"Alla mia adolescenza. Un periodo difficile."
Era una mezza verità.
"Lo è per tutti, ma per alcuni di più. In ogni caso hai avuto una bella famiglia."
"Sì, è vero."
“Non voglio dire che non ci siano stati problemi, Dianna, so cos’hai passato con tuo padre, che ti…” Lei tossicchiò per fargli capire che avrebbe dovuto abbassare la voce. “Che ti picchiava, a volte. E mi dispiace, mi dispiace tantissimo.”
La strinse forte a sé e lei inspirò il buon profumo dell’acqua di Colonia che utilizzava.
“Non importa. Ora andiamo d’accordo.”
La sua voce si incrinò.
Come poteva non importare? Anche se negli anni Sessanta le punizioni corporali erano la norma, non significa che non lasciassero segni nell’anima e nella mente, a volte modificando il comportamento di una persona in peggio. Grazie a Dio, pensò la donna, lei non faceva lo stesso con le sue figlie.
Signore, ti prego, fa’ che non arrivi mai a picchiarle, con le mani o con la cintura come faceva lui. Non voglio farlo!
Ma non ci aveva mai nemmeno pensato, era troppo orribile.
In ogni caso, nonostante quei problemi e le difficoltà economiche erano sempre rimasti uniti lei, i genitori e i fratelli, almeno fino a quando a diciotto anni Dianna se n'era andata.
"Mamma, facciamo la torta?" chiese Dallas.
Demi intanto era tornata, nessuno pareva essersi accorto del fatto che fosse stata via diversi minuti e non le fu chiesto niente.
"Certo!"
Solo l'idea provocò a Demetria un'intensa ondata di nausea. Aveva mangiato tantissimo e dover preparare un dolce non la allettava. Nemmeno Dianna era entusiasta, meno pensava al cibo meglio si sentiva, provava repulsione solo all’idea di dover preparare la torta ma doveva farlo per sua figlia. Lei non c'entrava niente con il suo problema ed era giusto che avesse una festa, che non poteva essere completa senza un dolce. La stanchezza di Dianna non era passata nonostante il cibo, non lo faceva mai perché il suo disturbo alimentare la accompagnava da moltissimi anni, ma perlomeno riuscì a reggersi in piedi senza paura di cadere e le sembrava di avere meno freddo di prima. Si mise un maglione più grosso per proteggersi meglio. Inoltre, pensò, fare qualcosa l’avrebbe distratta da pensieri così cupi.
All'inizio aveva deciso di fare il tiramisù, aveva letto la ricetta online, ma poi aveva pensato che in quella torta c'è il caffè e che non avrebbe voluto farlo assaggiare a Madison nemmeno usando il decaffeinato, era troppo piccola. Aveva optato così per una cheesecake al cioccolato.
"Io come posso aiutarvi?" domandò Eddie, sapendo che la moglie avrebbe preparato tutto assieme alle figlie per farle divertire.
"Gonfia un po' di palloncini e appendili in giro per casa."
"Agli ordini!"
Tutto entusiasta, l'uomo andò a prendere un sacchetto di palloncini che tenevano sempre in un cassetto, e del nastro. Madison era ancora lì in salotto mentre le sorelle e la madre si erano trasferite in cucina, le prime due chiacchierando e ridendo felici, Dianna un po' meno ma l'uomo pensò che fosse solo a causa di un po' di stanchezza. Iniziò a gonfiare il primo palloncino e poi lo lasciò andare, facendo sì che l'aria uscisse e che questi svolazzasse prima di cadere a terra. Ripeté quella sorta di gioco due o tre volte per far ridere la bambina e ci riuscì benissimo, perché Madison continuava a muoversi, stando in piedi, a destra e a sinistra e se cadeva le risate aumentavano, tanto che quasi non riusciva a respirare. Era impossibile non rimanere contagiati da quella scena, infatti Eddie cominciò a ridere con lei e Buddy, vicino a loro, annusava i palloncini a terra per capire cosa fossero. L'uomo si augurava solo che una volta gonfiati non li avrebbe scoppiati, o si sarebbe spaventato.
"Va bene," disse cercando di riprendersi dalle risate che ancora lo scuotevano, "ora ci calmiamo e facciamo quello che ha detto la mamma."
Aveva già qualche idea per rendere quei palloncini bianchi più carini e non solo.
Intanto, in cucina, la preparazione della torta procedeva a gonfie vele. Dianna aveva frullato i biscotti secchi nel mixer, mentre Dallas si era occupata di far intiepidire e fondere il burro che poi aveva unito ad essi con l'aiuto della sorella, mettendo ogni cosa in una ciotola. Demi adesso stava mescolando il tutto per creare un composto ben amalgamato.
"Non so se verrà buona, è la prima volta che la faccio" disse Dianna mentre imburrava e foderava una tortiera con la carta da forno. "L'ho vista preparare in televisione e mi era sembrata quella adatta per una festa di compleanno. In ogni caso una volta cotta dovrò lasciarla raffreddare nel forno per qualche ora e poi in frigo. Credo potremo mangiarla stasera."
“Così tanto? Che pal… ehm, uffa” si lamentò Demi.
“Chi ti ha insegnato queste parole brutte?” le domandò la madre sospirando.
Ne diceva molto poche ed era consapevole che le avesse sentite gli anni precedenti a scuola, o in televisione o a volte anche da loro.
“Dallas” rispose l’altra convinta, poi si rivolse alla sorella e le chiese: “Ti ricordi quella volta in cui mi hai insegnato a dire la parola “troia”? Avevo…”
“Cinque anni, lo so, me lo ripeti ogni santa volta. Scusa, okay? È che era troppo figo insegnartele e poi mi sembrava che ti piacesse.”
“Infatti, ma a mamma non tanto ora che lo sa.”
“Non sarebbe stato così se non gliel’avessi detto, è colpa tua.”
Dianna alzò gli occhi verso il cielo e non commentò. Al di là delle parolacce, le piaceva la complicità che c’era tra le sue figlie. Erano molto legate.
"Tornando alla torta sarà buonissima, mamma" la rassicurò Demi, che si stava rendendo  conto che mescolare era più difficile di quanto sembrasse.
Ci voleva tanta forza anche se il composto era tenero e si stava stancando, ma lo faceva volentieri per la sorellina. Ora la nausea per il cibo le era passata. Ciò che stava mescolando aveva un profumo niente male.
"E anche se non dovesse essere così, sapremo di averci provato" osservò Dallas. Poi rivolgendosi a Demi aggiunse: “Sei una schiappa. Non riesci nemmeno a mescolare.”
Lo disse ridendo e l’altra lo fece a sua volta, non prendendola come una vera e propria offesa.
“Provaci tu, scema” le rispose con il medesimo tono.
“Stupida” disse allora Dallas e l’altra la minacciò con il cucchiaio.
“Ehi, il linguaggio” le rimproverò la mamma facendole smettere subito. “Un po’ a volte posso accettarlo, ma dopo basta. E poi non ditevi queste cose nemmeno per scherzo, non è carino. Chiedetevi scusa.”
Una volta fatto, le due sorelle si abbracciarono.
“Non volevo dirti quelle cose in modo cattivo” mormorò Dallas.
“Lo so, nemmeno io. Ti voglio bene!”
“Anch’io!”
Se lo dissero con sentimento, una cosa che non facevano spesso, o perlomeno non in presenza di altre persone. Ogni tanto però era bello farlo e sentirselo ripetere, anche se entrambe sapevano benissimo che l’affetto che le legava non era mai svanito e speravano sarebbe stato così per sempre.
"Bene, è a posto così, Demi" disse la madre, versando poi il tutto nella tortiera. "Ora in frigo per un'ora e intanto prepariamo la crema."
"Sarà la parte più divertente, vedrai" assicurò Dallas a Demi. "Di sicuro la mamma ce la farà assaggiare."
Demetria le rivolse un sorriso furbetto, come a dire che anche se non fosse stato così lei l'avrebbe mangiata comunque.
Dianna aveva fatto scolare la ricotta per ore, già da quella mattina quando si era alzata. La mise nel mixer assieme al formaggio fresco spalmabile, al latte e a mezzo baccello di vaniglia. Le due ragazzine si divertirono moltissimo a rompere le uova.
"Quando ero piccola pensavo sempre che dentro ci fosse un pulcino" disse Dallas. "E quando la mamma mi faceva la frittata le dicevo:
"No, così lo ucciderai!"
Ti ricordi?"
"Sì" rispose la donna sorridendo. "Ho perso il conto delle volte nelle quali ho dovuto ripeterti che non c'era, non ne volevi proprio sapere."
"Devo essere stata proprio stupida."
"No, eri solo una bambina e da bambini è normale dire cose che ad un adulto possono sembrare strane. E va bene così, è giusto."
Dopo diversi passaggi terminarono di preparare la crema, unendo anche cioccolato fondente fuso e poi lasciato intiepidire e cacao amaro. Una volta corposa e dopo che Dallas e Demi l’ebbero assaggiata e approvata, la versarono sul composto tirato fuori dal frigo distribuendola su di esso. Dopodiché Dianna la mise in forno. La ricetta originale americana stabilisce che la cheesecake va cotta, benché la donna avesse sentito che si può mangiare anche cruda.
Tornarono in salotto e trovarono Madison che accarezzava piano il cane sulla testa. Lui, sdraiato sul tappeto, lasciava fare e rimaneva tranquillo. Dianna non si preoccupò, Eddie stava sempre attento quando permetteva alla bambina di toccarlo e infatti anche in quel momento non le toglieva gli occhi di dosso.
L’uomo aveva legato un palloncino ad ognuna delle sette sedie del tavolo del salotto e aveva scritto su di essi il nome della bambina con vicino su uno un cuore, sul secondo uno smile, sul terzo una rosa, sul quarto una margherita e sugli ultimi tre una semplice foglia.
“Hai avuto un’idea davvero molto carina, amore.”
Dianna gli si avvicinò  e gli stampò un bacio sulla guancia mentre le due figlie più grandi apprezzavano il lavoro. Non era qualcosa di molto elaborato ma nessuno aveva mai preteso questo, anche perché di solito le cose semplici sono le più belle e le meglio riuscite.
“E non è finita. Guarda fuori.”
Per rispettare ciò che spesso si fa ai compleanni dei bambini negli Stati Uniti, Eddie aveva appeso delle stelle filanti alla porta. Erano di tre colori diversi: rosso, argentato e giallo e si muovevano nella brezza leggera.
“Non era necessario, ma grazie.”
“L’abbiamo fatto per Dallas e Demi, mi sembrava giusto ripetere la cosa per Madison.”
“È tutto bellissimo, Eddie!” esclamò Demetria che, non riuscendo a contenersi, iniziò a battere le mani.
Anche Dallas, seppur più grande, sembrò apprezzare. Ormai lei festeggiava i compleanni con i propri amici e le servivano solo un posto dove farlo, una torta e delle pizze per cena. Tuttavia vedere le decorazioni la faceva tornare un po’ bambina.
"Ma!" esclamò Madison vedendo la madre e le corse subito incontro a gattoni, perché da in piedi non era ancora in grado.
Si aggrappò con forza ai suoi pantaloni e la donna la sollevò stringendosela forte al petto, sicura che presto avrebbe imparato a pronunviare la parola "mamma" nel modo corretto.
"Maddie, guardami" mormorò e la bambina, pur non capendo, si rese conto che la stava chiamando e puntò i suoi occhi in quelli della madre. "Mamma" disse poi la donna, piano, scandendo bene le "m".
Era una tecnica che aveva funzionato molto bene con Dallas e Demi, in passato.
"Ma" rispose quasi subito lei, sicura.
"No, mamma."
"Mama" disse dopo qualche momento di esitazione.
"Quasi, imparerai in fretta. Sei stata bravissima."
Ma sarebbe valso lo stesso se non ci avesse provato, in fondo aveva solo un anno e ogni bambino ha i propri tempi.
Dianna le sorrise e le diede un bacio. Eppure, dentro di sé provava una sensazione di stanchezza cronica, se così si poteva definire. Spesso avrebbe avuto voglia di piangere e a volte lo faceva, se non c'era nessuno in casa a parte Maddie e a volte era come se non le importasse di niente, nemmeno delle figlie, in particolare della più  piccola quando se ne doveva occupare. Si sentiva una merda in quei momenti. Lei, il suo genitore che la amava più di chiunque altro al mondo, provava cose che non avrebbe dovuto provare.
Sono uno schifo di madre.
Se lo ripeteva spesso, era convinta di questo e non poteva essere diversamente. Se ne avesse parlato tutti le avrebbero detto le solite frasi, che non era vero, che non avrebbe dovuto pensarla a quel modo, ma non avrebbe creduto a nessuno perché solo lei sapeva la verità. Altrimenti, per esempio, pochi giorni prima non avrebbe lasciato piangere la sua piccola perché lei si sentiva troppo stanca anche solo per alzarsi ed andare a prenderla. La depressione post partum le toglieva ogni grammo di energia. Aveva preso farmaci per un po', sempre all'insaputa di tutti, ma quando si era sentita meglio aveva smesso senza che il medico le dicesse che avrebbe potuto farlo o no iniziando a scalarli gradualmente, e così non era mai guarita e anzi, aveva avuto una pesante ricaduta oltre a vari effetti collaterali che tremava solo al ricordare. Se fosse riuscita a far diventare le figlie delle star avrebbe avuto una vita davvero felice.
Non ne poteva più, era necessario che si sfogasse o sarebbe esplosa. Il dolore causato dai dubbi sulla sua bravura nell'essere mamma e dal pensiero che Eddie avrebbe potuto lasciarla se non avesse continuato quella farsa si stava facendo più potente di qualsiasi altra cosa, come un mostro che con difficoltà tentava di emergere dagli abissi. Lei lo teneva nascosto, provava a non pensarci e si concentrava su altro per distrarre la propria mente e anche quando stava male si stampava in faccia un bellissimo sorriso e andava avanti. Quel giorno, però, si sentiva debole dal punto di vista emotivo, anche se non riusciva a comprendere perché, e se non avesse buttato fuori le proprie emozioni, se non si fosse concessa quel lusso almeno una volta, sarebbe scoppiata a piangere davanti al marito e alle figlie e ciò avrebbe scatenato una reazione a catena che non poteva iniziare. Tutti si sarebbero preoccupati, Madison forse avrebbe pianto, Eddie e le bambine le avrebbero chiesto cosa c'era che non andava e o lei avrebbe seguitato a fingere e loro a non crederle, scoprendo poi la verità, o si sarebbe sbottonata con loro molto più di quanto potesse permettersi raccontando ogni cosa, spaventando tutti e Dio solo sapeva cos'altro. Nulla di tutto ciò doveva accadere, o la sua vita si sarebbe trasformata in un disastro. In più aveva già parlato del suo matrimonio fallito, anni prima, il tempo delle confessioni a cuore aperto e delle debolezze era terminato.
"Vado un attimo in bagno" disse e, senza attendere una risposta, mise giù la bambina e vi si chiuse dentro.
Si accomodò sul water e scoppiò a piangere. Furono lacrime improvvise e copiose, che parevano non vedere l'ora di uscire, ma si trattò di un pianto silenzioso e molto breve, di pochi secondi, che nessuno udì. Fu così corto che, quando si asciugò gli occhi ancora lucidi e pieni di lacrime che non ne volevano più sapere di venir fuori, non le parve di essersi sfogata così tanto. A quanto sembrava, però, era il massimo che poteva concedersi. Con il cuore appesantito, tornò in salotto.
Trovò Dallas con Madison in braccio. La ragazzina più grande se ne stava in piedi, immobile, sul tappeto.
"Non ti senti più sicura da seduta?" le chiese la mamma.
"Sì, ma qualcuno non voleva stare in quella posizione."
"Ah, davvero?"
Dianna arruffò i capelli della figlioletta che, anziché ridere o guardarla, osservava con interesse il portafogli del padre in cima al tavolo del salotto. Eddie se ne accorse.
"Ho capito" disse soltanto e, dopo averlo preso in mano, tolse i soldi di carta e di moneta, la patente e qualche altro documento per lasciare solo alcune tessere scadute che non si decideva mai a buttare via. "Ecco qui" disse, mentre Dallas si accomodava su una sedia vicino alla tavola e rideva.
Madison, come aveva iniziato a fare da un po', prese a cercare in ogni tasca possibile e a tirar fuori e rimettere dentro le due o tre tessere rimaste, prima piano e poi sempre più in velocità.
"Wow, è proprio un lavoro, eh?" fu il commento di Dianna.
Era impossibile non sorridere di fronte a quella scena.
"Per il prossimo compleanno potremmo regalarle un portafogli con dei documenti, tutti finti ovviamente. Sono sicura che li apprezzerebbe" riprese la donna.
"Concordo" rispose il marito che poi scattò una foto alla bambina.
Le fece anche un video con la videocamera per immortalare per sempre quella scena.
"Cosa c'è, Madison? Il fornello? No, non si può toccare, se lo accenderai ti farai la bua" le disse la mamma che ora la teneva in braccio una volta che tutti si furono spostati in cucina.
Mancava ancora tempo alla cottura della torta.
La piccola lanciò un grido quando la mamma si allontanò dai fornelli. La fissava con la bocca chiusa e le manine strette a pugno, gliele puntava sul petto come se volesse spingerla via ma allo stesso tempo non dava segni di voler essere messa giù.
"Non tirare i calci alla mamma."
Il tono di voce di Dianna si alzò di alcune ottave. Capiva che la bambina fosse arrabbiata, ma non poteva farle male.
"Però, che caratterino!" esclamò Eddie facendo ridere le altre due figlie. "Comunque, di sicuro non ha preso da me."
"E come lo sai?" lo provocò Dallas. "Tu ti ricordi come ti comportavi quand'eri così piccolo?"
L'uomo non seppe cosa rispondere, era ovvio che non rammentasse nulla e le due sorelle risero di cuore.
"Posso tenerla io, mamma?" chiese Demi.
"Sei sicura di riuscire a farlo stando in piedi? Non credo voglia sedersi."
"Penso proprio di sì."
Nei mesi passati era diventata un'esperta, anche se all'inizio l'aveva presa in braccio sempre e solo se si trovava sul divano o al massimo su una sedia. La donna gliela passò e, all'inizio, le mani della bambina tremarono. Madison le si aggrappò al collo e si lasciò andare ad un gridolino di gioia. Quando qualcuno la prendeva in braccio vedeva il mondo a diverse altezze ed era sempre bellissimo. Il cuore di Demetria cominciò a battere all'impazzata. E se le fosse caduta? E se non fosse riuscita ad arrivare ad una sedia per accomodarsi e sentirsi più tranquilla, nonostante il tavolo della cucina fosse a pochissima distanza? Doveva solo tenerla stretta, con le mani nelle giuste posizioni, poteva farcela. Poco a poco, respirando profondamente, riuscì a calmarsi e a ritrovare la sicurezza abituale che provava quando teneva tra le braccia un bambino. Forse Dallas aveva ragione, era proprio un dono, perché si sentiva tanto felice in quei momenti che avrebbe voluto urlare e niente, nemmeno cantare o recitare le dava la medesima sensazione, o meglio sì ma non con la stessa intensità. Aveva un sorriso che andava da un orecchio all’altro e ogni fibra del suo essere sembrava gridare e cantare di gioia. Il cuore le scalpitava nel petto, ma stavolta non per l’ansia.
"Che cos'hai visto?"
Madison era attirata da qualcosa, guardava di qua e di là ma Demi non riusciva a capire su cosa stesse focalizzando l'attenzione. C'era forse un insetto che volava, una mosca o una falena, magari? No, non vedeva niente. Poi capì.
"Oh, sì, penso che l'interruttore della luce sia interessantissimo. Mamma, posso farglielo premere qualche volta?"
Dianna le rispose di sì.
"Ci sono già passata con voi due, per cui non mi sorprende" commentò con un finto sospiro di rassegnazione.
Eddie non aveva mai avuto molto a che fare con i neonati o i bambini piccoli e aveva conosciuto Dallas e Demetria quando erano già grandicelle per cui con Madison, per lui, tutto era una scoperta. Lei imparava a conoscere il mondo e l'uomo la osservava, cercando di capire come lo vedeva e lo percepiva. Per Demi valeva lo stesso. Avere una sorella minore le aveva dato la possibilità di vederla crescere, notare i suoi cambiamenti e non solo quelli fisici. Sarebbe stato bello essere come lei, sempre sorridente, non sapere cosa fossero le preoccupazioni, i problemi, la solitudine e il dolore. Trasse un profondo respiro e si concentrò sulla piccola che schiacciava l'interruttore ad un ritmo serrato, facendo andare la luce ad intermittenza. Poco dopo, però, pianse per essere messa a terra e la sorella la fece sedere sul tappeto.
"Maddie, saluta con la manina. Lo sai fare?" le chiese, in modo che smettesse di lamentarsi.
Ma lei non lo fece e continuò a piagnucolare, così Demetria lanciò alla mamma uno sguardo interrogativo. Che cosa stava succedendo? Voleva essere cambiata? Aveva caldo o freddo, o fame, o sonno?
"Fatemi vedere una cosa." Dianna si avvicinò alla piccola e le aprì piano la bocca. "Ah! Lo sapevo. Le sta spuntando un dentino, un incisivo."
Ne aveva già cinque, anch'essi incisivi, per cui ora gliene mancavano soltanto due e via via nei mesi successivi, fino ai due anni, sarebbero cresciuti tutti gli altri.
Eddie si lavò bene le mani e, dopo aver preso in braccio la figlia, si sedette e cominciò a massaggiarle la gengiva, un metodo che fa sì che il bambino provi sollievo dal dolore. Le diede anche un po' d'acqua fresca con il biberon. Madison smise di piangere e di agitarsi dopo qualche minuto.
"Lunedì dovrò andare in farmacia a comprare degli anelli da dentizione" commentò lui.
La piccola allungò le braccia verso la mamma, che la sollevò con delicatezza.
 
 
All’improvviso le sembrò di trovarsi da un’altra parte. Era in bagno e Maddie era nella vaschetta piena d’acqua, calda al punto giusto. La donna le stava lavando il corpo e i capelli e la piccola si lamentava perché il liquido le finiva nelle orecchie, così lei cercava di calmarla. Le aveva comprato qualche giochino che si poteva immergere senza rovinarlo, in modo che avendo le manine occupate la bambina si tranquillizzasse e lasciasse lavare. Una volta finito, la donna la sollevò fra le braccia e stava per prendere un asciugamano, quando accadde. Successe tutto molto, troppo in fretta. La bambina le scivolò dalle braccia e lei non ebbe il tempo di fare nulla. Rimase immobile, paralizzata, senza respirare. Fu questione di un solo attimo e Madison sbatté con violenza la testa sul pavimento producendo un colpo secco.
 
 
In quella sorta di allucinazione, che aveva avuto tante altre volte soprattutto nei primi mesi di vita della piccola, non accadeva altro. Madison non piangeva né sveniva. Restava lì a terra e lei non aveva il tempo di rendersi conto della situazione che quell’immagine mentale svaniva.
Senza accorgersene aveva stretto di più la figlia a sé, tremando, quasi temesse che sarebbe successo davvero in quel momento. Era strano, comunque. Prima non si era mai sentita in quel modo con altre persone presenti. Possibile che la depressione, o qualsiasi altra cosa ci fosse nella sua testa, le impedisse di godersi anche momenti di relativa tranquillità come quello? Ma ormai la sua vita era controllata dai propri problemi, l’anoressia in primis ed era quella la normalità, per lei. Si sentì attraversare da una vampata di calore e poi da un freddo intenso che parve congelarle l’anima, la testa le girò di nuovo come una trottola impazzita. Chissà, forse era impallidita ma nessuno disse niente, sperò che se era così i suoi non se ne fossero accorti.
E se quest’allucinazione si trasformasse in realtà? Pensò. Se facessi davvero del male alla mia bambina?
Tutto considerato, lo riteneva probabile.
“A che pensi, mamma?” chiese Dallas.
Pregò che nessuno le avesse parlato e di non doversi giustificare, ma quella della figlia pareva una semplice domanda. Inventò qualcosa in velocità, mentre la sua mente lavorava frenetica.
“Al fatto che dobbiamo aprire i regali!” esclamò mostrando il suo più bel sorriso. “La torta sarà pronta tra poco e penso che Madison sarà felice di vedere che giocattoli le abbiamo comprato.”
Era da un po’ che Demi aspettava quel momento e si era trattenuta dal pestare i piedi per l’impazienza, neanche il compleanno fosse stato il suo. Chissà se a Maddie sarebbe piaciuto il regalo che le aveva comprato con la paghetta settimanale dei genitori, il primo dono che acquistava per lei con i propri soldi - il secondo l’aveva preso insieme a Dallas. Ciò la faceva sentire più grande. In ogni caso, l’arrivo di Madison l’aveva sicuramente fatta crescere nonostante fosse ancora una bambina.
“Vado a prenderli” disse, poi si alzò in piedi e sparì correndo.
“Demetria, aspettami.”
Dallas la seguì e le due fecero a gara a chi prendeva prima il proprio regalo. Vinse Dallas che ne aveva solo uno, invece Demi tornò di sotto con due pacchetti. Eddie, intanto, era andato a prendere quello che lui e la moglie avevano comprato alla loro bambina, che aveva tenuto in macchina.
Mentre li aspettava, Dianna sperò che sarebbe riuscita a godersi a pieno almeno quel momento. Nonostante la vita che aveva, era piena di segreti. Sarebbe mai riuscita ad essere felice? E a trasformare le figlie in delle star? E a non pensare più al proprio passato? Forse no, anzi, no di sicuro. Perlomeno aveva risposto a quella terza domanda, si disse, ma non sentiva il bisogno di andare in terapia. Ancora non capiva quanto fosse importante. E ce l'avrebbe fatta a non essere più depressa? E a guarire dal suo… Ma che stava dicendo? Lei non aveva un problema. Giusto? Solo molti anni dopo avrebbe capito come stavano le cose e che tutta quella perfezione non la faceva certo stare bene. Ma adesso, sentiva che era l'unica cosa grazie alla quale, assieme al suo disturbo alimentare, riusciva a tenere sotto controllo la sua vita.
"Eccomi."
Eddie era rientrato, seguito subito dopo dalle figlie. I quattro si sedettero sul tappeto e i più grandi misero davanti a Madison i pacchetti. La bambina fece un versetto, sorrise e guardò quelle cose strane con curiosità. Ne toccò uno con la manina: non sapeva ancora cosa fosse la carta, ma in ogni caso faceva un rumore che le piaceva tantissimo.
"Cosa sono questi? Eh? Cosa sono?"
Dallas provava ad aizzare la curiosità della sorellina e quando questa cercò, fallendo, di sollevare uno dei pacchetti, capì di esserci riuscita.
Tutti risero di cuore, una risata liberatoria anche per Dianna e Demi che riuscirono a concentrarsi solo sul presente. Non se ne resero conto, lo fecero e basta e si sentirono come se qualcuno avesse tolto loro un peso dall'anima lasciandole libere di respirare e sorridere senza fingere.
"Quale apriamo prima?" chiese Demi alla piccola che, pur non capendo, indicò un piccolo scatolone avvolto da una carta argentata, il pacchetto più grande.
Provò a tirare quest'ultima, ma non si aprì, così tanto per cominciare staccò il fiocco che si trovava in cima allo scatolone. Dianna tagliò la carta con un paio di forbici e ben presto, aiutata dalle sorelle, la bambina riuscì a tirarla  via e ad aprire il contenitore. Ciò che si trovò davanti però, all'apparenza non era un giocattolo. C'erano solo dei pezzi di un oggetto non ben identificato, un libretto simile a quelli che la mamma le leggeva, ma senza figure, e un altro pacchetto. Madison guardò tutto ciò perplessa, poi incontrò lo sguardo del papà.
"Vedi cosa c'è qui dentro?" L'uomo aprì il secondo pacco e ne estrasse frutta e verdura di plastica, simili a quelle che Madison aveva già. "E questo, una volta montato, sarà un bellissimo carrello da spingere in cui potrai mettere frutta e verdura giocando a fare la spesa come i grandi, e portarle in giro, dandole a noi. Presto capirai meglio."
Madison, che fino a poco prima si era sentita come se stesse per piangere, adesso guardava con interesse il pomodoro, il peperone, la fragola, la mela e molti altri alimenti, osservandone bene i colori diversi e tutti molto accesi.
Mentre Eddie montava il carrello, Dianna aiutò la bambina ad aprire il secondo pacchetto. Si trattava di un regalo di Demi e quando Madison ci mise la mano sopra sentì che suonava. Fu subito attratta da ciò e lanciò un urletto di gioia.
"Oh, una piccola pianola!" esclamò la mamma. "Demi, è bellissima. E della grandeza giusta per un bambino."
"Sono andata con Dallas in un negozio apposta. È un giocattolo, ma le sarà molto utile. In futuro potrò insegnarle le note e, se un giorno vorrà e le piacerà, Madison potrebbe imparare a suonare un vero pianoforte."
Intanto la bambina aveva buttato letteralmente una mano sopra i tasti producendo un insieme di note che produssero un suono orribile. Ma era ancora troppo piccola per capirlo e le piacque molto. Non riusciva a capacitarsi del fatto che da quella cosa che prima non aveva mai visto venissero fuori dei suoni, le pareva tutto così strano. Schiacciò tasti a caso, alcuni facevano un suono bello, altri più brutto, ma quel gioco non era male.
"Demi, le fai sentire qualcosa?" chiese Dallas.
"Con quell'affare? Ehm, va bene."
Con qualche esitazione, la bambina si sedette sul divano con la pianola sulle gambe. Non c'erano abbastanza tasti per fare dei begli accordi con la mano sinistra, per cui si accontentò di suonare con la destra. Dopo le prime note, trasse un profondo respiro e cominciò a cantare.
"Twinkle, twinkle, little star,
How I wonder what you are!
Up above the world so high,
Like a diamond in the sky.
Twinkle, twinkle, little star,
How I wonder what you are!
[…]"
La melodia era famosissima e molto semplice, ma tutti la gradirono e applaudirono Demi che, con la sua voce incantevole, sembrò quasi fermare il tempo. Tutti si immobilizzarono, anche Madison che di solito, vista la sua età, era sempre piena di energia. Quattro paia d'occhi erano fissi su di lei e i genitori e le sorelle la ascoltavano rapiti. Demi, mantenendo sempre la schiena dritta, si concentrava solo sul canto e sui suoni. C'era qualcosa in quella voce, una passione per la musica e un amore per la sorella e per i bambini che vibrava, usciva dai più profondi recessi del suo essere e si spandeva nell'aria riempiendo ancor più la stanza di vita.
"Bravissima, Demi!" si complimentarono i grandi con lei, mentre Madison le si aggrappò alla gamba e chiese con lo sguardo di riavere la sua pianola.
Sorrise però alla sorella perché quella canzoncina, che già aveva sentito, le era piaciuta.
Il campanello del forno suonò e Dianna andò a controllare la torta. Tutto sembrava a posto e la lasciò raffreddare a forno spento e con la porta leggermente aperta.
Quando tornò in salotto notò che Maddie stava aprendo il secondo regalo di Demi: si trattava di una scatola di Lego. La bambina ne prese due di forma quadrata - ce n'erano anche di rettangolari e qualche cerchio - e li attaccò e staccò a ripetizione. Era un gioco che la faceva ridere, anche se i grandi non riuscirono a capire perché. Si divertiva tantissimo e, quando Dallas costruì una torre, la prima cosa che Maddie fece fu farla cadere e staccare tutti i pezzi.
"Sei una piccola combina guai" commentò Demi.
Le fece il solletico ai fianchi, poi finse di mangiarle la pancia e la bambina pareva non avere più fiato. Demi e Dianna le guardavano sorridendo mentre Eddie era ancora concentrato a montare il carrello. Terminò poco dopo e Madison, sollevandosi piano in piedi, fece un passo in avanti cominciando a spingerlo.
“Brum, brum, brum” ripeteva.
Era la prima volta che pronunciava la “r” e Dianna era convinta l’avrebbe dimenticata presto, per impararla davvero nei mesi a venire.
Era ancora troppo malferma sulle gambe per poter utilizzare quel carrello con facilità e si fermò quasi subito, sentendosi stanca.
L'ultimo regalo, quello di Dallas, era il peluche di un unicorno bianco, morbidissimo e senza cerniere o bottoni, così che la bambina non si sarebbe fatta male in alcun modo. Aveva ali grandi, tanto che una volta messo in piedi faticava a stare dritto, cosa che fece ridere le tre sorelle. Ma era bellissimo, di un bianco purissimo e con gli occhi neri. Sembrava vero e forse, si disse Demi, per Madison lo sarebbe stato. In futuro, nei suoi giochi, avrebbe pensato che lo era come fanno tutti i bambini con i propri peluche e bambole. È giusto che sia così, si disse con un gran sorriso, anche lei aveva attraversato quella fase. Le era piaciuto pensare che le sue Barbie, o il Cicciobello o simili fossero reali, in particolare con i bambolotti che rappresentavano dei bambini. Dianna aveva notato i primi accenni di istinto materno in sua figlia già dai tre o quattro anni di età e Demetria aveva sempre detto:
“Da grande vorrò un figlio.”
A volte aveva desiderato di crescere in fretta per averlo subito, ma la madre le aveva fatto un semplice discorso spiegandole che da grandi le cose diventano un po’ più difficili e che non c’era motivo di sbrigarsi.
Dallas pensò più o meno le stesse cose, benché la sua fase di considerare le bambole dei bambini fosse durata molto meno e non era sicura di avere un grande istinto materno. Rammentò anche che nei momenti nei quali sentiva i suoi genitori litigare o il papà diventare violento o cattivo, lanciare cose, urlare, tornare a casa ubriaco o drogato, lei si nascondeva sempre in camera, con Demi o senza, con un peluche al fianco e giocava con lui, sotto il letto o le coperte. Questo la aiutava ad allontanarsi da quell'orribile realtà fatta di dolore e ad entrare in un altro mondo, in un'altra vita molto più belli, una realtà ideale in cui lei, la sorella e il peluche vivevano in una famiglia sempre felice, piena di amore e serenità, senza urla, botte, la mamma che mangiava poco e vomitava e il papà che si ubriacava o drogava. Al tempo non sapeva cosa fosse la droga ma la mamma ogni tanto ne parlava, dicendo che erano più le volte in cui lui beveva che altro. Dallas aveva compreso che doveva essere una cosa molto brutta. Aveva capito da tempo, come la sorella, che non si può essere sempre felici, che non sarebbe nemmeno giusto che fosse così perché la felicità eterna trasformerebbe la vita in un'esistenza monotona e senza altre emozioni. Ma in quei momenti, che nessun bambino al mondo dovrebbe mai vivere, il gioco era stata la sua unica salvezza. Per Demi era valso lo stesso, ma lei aveva solo tre anni quando il padre se n'era andato, per cui non ricordava molto bene. Rammentava però altre cose, la maggior parte delle quali bruttissime, che ancora tormentavano il suo sonno trasformando i sogni in incubi. Scosse con vigore la testa: non voleva pensarci adesso, desiderava stare bene. La sua vita era un alternarsi di giallo e nero, il primo per i momenti allegri e spensierati, l’altro per le situazioni tristi, nelle quali si sentiva sola o troppo sotto pressione. Il problema era che queste ultime erano la maggioranza. A volte prendeva in mano un foglio e lo dipingeva metà di un colore e metà di un altro e poi, su un secondo, mischiava i colori facendo un macello e scrivendo sotto, in grande:
Questa è la mia vita.
Poi buttava tutto nel cestino perché nessuno se ne accorgesse.
Molte volte anche Dianna aveva fatto il medesimo ragionamento, usando però come colori il bianco e il grigio. Se solo si fossero aperte un po’ di più luna con l’altra avrebbero scoperto che non erano poi tanto diverse, per quanto lo fossero i pensieri che riempivano le loro menti.
Non c'erano più regali per Madison, ma la bambina sembrava molto felice di quelli che aveva ricevuto e passava dal suonare la pianola, ad accarezzare il peluche, ad attaccare e staccare qualche pezzo di Lego. Batman provò ad avvicinarsi all'unicorno, ma i padroni gli impedironodi farlo e il no fu tanto secco che non osò più.
"Come vuoi chiamare l'unicorno, Madison?" le chiese la mamma.
Sapeva che era una domanda senza senso per una bambina di quell'età e si sentì stupida per averla posta, ma voleva vedere cos'avrebbe fatto la figlia.
Non successe un granché, la bambina guardò il peluche perché aveva visto che la mamma lo indicava.
"Quando l'ho comprata ho pensato subito al nome Sparkle" sussurrò Dallas, come temendo che non sarebbe piaciuto a nessuno.
Era un nome che trasmetteva gioia, faceva sorridere solo a sentirlo e piacque a tutti, tranne a Madison che parve non prestarci molta attenzione. Qualche anno dopo, però, avrebbe scelto proprio quello per l'unicorno, che sarebbe diventato il suo giocattolo preferito.
Mentre le sue figlie si divertivano, Dianna andò a preparare il pranzo. Quando chiamò tutti a tavola, la torta ormai si era raffreddata in forno e la donna poté coprirla con dell'alluminio  stando attenta che la carta non toccasse il dolce e metterlo in frigorifero.
"È ottimo, mamma. Posso avere altre patate?" chiese Demi.
Il pollo, che la donna aveva cotto il giorno precedente, era leggermente salato ma questo lo rendeva ancora più saporito ed invitante e le crocchette di patate che aveva fritto erano buonissime.
"Sì, certo."
La donna ne aveva mangiate due o tre, preferendo però come contorno delle zucchine lesse e un po' di finocchio cotto nel latte. Aveva fatto il conto delle calorie di ogni singolo alimento e non si poteva permettere le crocchette, anche se già lo sapeva. L'avrebbero fatta ingrassare troppo e prima di pranzo aveva già sentito le voci dell'anoressia che le urlavano di non mangiare, o di farlo e rimettere subito dopo per poi andare a pesarsi e ad allenarsi, perché secondo loro stava diventando una schifosa balena.
Devo essere perfetta.
Era un pensiero ossessivo, ormai, ma lei ci era abituata. Ancora non comprendeva che non era l’anoressia che le faceva sentire di avere il controllo sulla propria vita, come difatti pensava, bensì che la malattia condizionava tantissimo la sua esistenza.
"Dianna?"
"Eh? Cosa?"
"Ti ho chiesto come mai non ti vanno le crocchette, è la terza volta che te lo domando."
"Scusa amore, stavo pensando che oggi pomeriggio potremmo fare una passeggiata, è una giornata così bella. Comunque sai che non mangio spesso quelle cose, cerco di nutrirmi in modo sano."
E lui le credette, perché le volte nelle quali mangiavano insieme la vedeva nutrirsi abbastanza normalmente, forse a volte un po' troppo poco ma nulla di preoccupante, perché lei faceva degli sforzi immani per mangiare in maniera decente e fare in modo che mai, nemmeno per un secondo, il marito capisse che c'era qualcosa che non andava. Se fosse successo così la sua vita sarebbe stata distrutta, non avrebbe più avuto il controllo su niente e la perfezione che negli anni aveva costruito sarebbe andata in mille pezzi. Si rilassò quando notò che le sorrideva e che non le poneva altre domande, né sembrava agitato o preoccupato.
Dopo pranzo andarono tutti a riposare.
Madison ci mise un po' ad addormentarsi, non ne voleva sapere e i genitori dovettero prenderla in braccio più volte perché sembrava non le piacesse stare nel lettino. Quando provarono a metterla in mezzo a loro, la piccola cominciò a gattonare sul materasso cercando di scavalcarli. Non era mai successo prima ed Eddie rise di cuore seguito a ruota dalla moglie.
"Le pensi proprio tutte per farci diventare matti" osservò l'uomo alzandosi in piedi con la figlia fra le braccia. "Adesso è ora di calmarsi e dormire un po', però."
La bambina crollò poco dopo. Non appena si rilassò, stanca dopo una mattinata intensa di giochi, si lasciò andare al sonno.
 
 
 
Demi non lo sapeva, ma era l'unica ancora sveglia. C'era silenzio intorno a lei, in quella stanza. Un silenzio che, se le faceva piacere quando si sentiva triste o voleva restare sola, in quel momento non la aiutava affatto. La sua mente era piena di pensieri che sembravano tante voci che si mescolavano insieme. Alcune le parlavano e ridevano felici, altre invece la facevano sentire sola e disperata. Demi sorrideva pensando al compleanno della sorella, a quanto le piaceva vederla giocare, al suo viso che si era illuminato quando le aveva dato i regali e in particolare nel momento in cui Dallas le aveva fatto vedere l'unicorno, ma al contempo piangeva. Spesso si sentiva molto triste ma nessuno sembrava accorgersene. Ripensava al padre, a ciò che lei, la mamma e Dallas avevano vissuto per colpa sua. Era stato orribile e spaventoso, l’aveva segnata nel profondo, in maniera indelebile, più di quanto chiunque potesse pensare. L’aveva fatta piangere, terrorizzata a morte, cambiata per sempre togliendole spesso la serenità e, quando se n’era andato, delusa in molte occasioni. Eppure quell'uomo era pur sempre suo papà, l'uomo che aveva lanciato oggetti, fatto male alla mamma, rischiato di farne a lei e a Dallas se Dianna non si fosse messa in mezzo e anche quello senza il quale loro due non sarebbero esistite e che, nei momenti di lucidità, aveva giocato con loro e le aveva amate. Non come Eddie, certo, ma l'aveva fatto e lo faceva ancora a suo modo. Era diviso in due persone diverse: una buona che appariva quando non beveva, che sapeva amare ed essere generosa, e l'altra cattiva e mostruosa nel momento in cui si dava all'alcol o alla droga. Ora lei e la sorella lo vedevano poco e per fortuna stava meglio. Dianna non gliele avrebbe mai lasciate vedere se fosse stato male. Demi si prese la testa fra le mani. Cosa provava per lui? Gli voleva bene? O di più, lo amava? Oppure lo odiava? Non lo sapeva, non riusciva mai a provare un solo sentimento per lui e tutto ciò che riguardava Patrick per Demetria era contrastante. Se pensava di volergli solo bene, non poteva dimenticare quello che gli aveva visto fare e lo odiava. Se lo odiava e basta, si sentiva in colpa perché le pareva di non amarlo più e pensava di essere una persona cattiva. Se lo amava a volte quella parola, “amare”, le pareva troppo per un uomo come lui, però in altre occasioni era questo ciò che sentiva… forse. Per Dallas, lo sapeva, valeva lo stesso perché ne avevano parlato. Ma lei era più grande, magari crescendo sarebbe diventato più facile. Demetria non si rendeva ancora conto che sarebbe stato tutto il contrario. E le ci sarebbe voluto ancora un po' per capire che il padre era malato, che si comportava così a causa di alcuni disturbi mentali e che, anche se aveva voluto una famiglia, non era stato capace di gestirla; tutto ciò, comunque, non giustificava quanto aveva fatto. Tuttavia Demi era ancora troppo piccola per comprendere tutto questo.
E poi i pensieri riguardanti il suo funerale tornarono all’improvviso. Fu come se qualcuno le avesse dato una botta in testa colpendola con un pezzo di ferro. Ci rifletteva spesso, si sentiva affascinata dalla morte. Non le faceva paura, anzi, si domandava come sarebbe stato il suo ultimo respiro, dove si sarebbe trovata in quel momento, se ci sarebbe stato qualcuno con lei, cos'avrebbe provato nell'attimo preciso in cui avrebbe lasciato questa vita. Chissà, forse la sorella le avrebbe tenuto la mano, o magari si sarebbe ritrovata sola, ma questa seconda prospettiva anche se la rattristava oltre ogni dire, chissà perché non la spaventava e non la sorprendeva. Forse il motivo era che si sentiva già molto sola adesso, con i propri pensieri più brutti, con le sue paure più profonde che nessuno conosceva. Pochi giorni prima aveva pensato al proprio funerale ma ora lo rifece, con più intensità e ampliando l'immagine mentale che le apparve davanti agli occhi: una chiesa con pochissima gente, solo i suoi familiari che però non apparivano addolorati. E lei in quella bara bianca, umida e fredda, che non sentiva né provava più niente. Il prete parlava di lei e della sua breve vita con voce quasi monocorde, non dicendo nulla di interessante o che valesse la pena ascoltare. Uno dei suoi familiari, non riusciva a sentire né a vedere chi, raccontava di lei quasi in fretta. E alla fine tutti festeggiavano, come si fa sempre dopo i funerali negli Stati Uniti. Ma per cosa? Per celebrare il defunto? Probabilmente sì, anche se Demi non aveva mai capito questa pratica. Insomma, ai funerali la gente deve straziarsi, battersi il petto, piangere, sentirsi disperata e come se stesse toccando il fondo e non riuscisse più a risalire. Non comprendeva quelli che, ai funerali degli adulti quanto dei bambini, dicevano che desideravano che quella fosse una celebrazione che parlava di felicità. Le era capitato di sentirlo un anno prima quando, nel suo quartiere, era morta una bambina di nove mesi e i genitori avevano pronunciato parole del genere. Di sicuro soffrivano ancora, ma allora perché avevano parlato così? Che cos'avevano voluto dire? Lei, in una morte bianca di una bambina così piccola non vedeva nulla di gioioso nemmeno adesso, neanche pensando al fatto che si trovasse in Paradiso. E non è che immaginasse il proprio funerale celebrato in modo sbrigativo perché credeva che i suoi non le volessero bene, anzi, sapeva che la amavano sopra ogni cosa. Non capiva perché le venissero pensieri come quello. In fondo aveva una bella famiglia, un lavoro alla Disney che nonostante tutto le piaceva, quindi che cosa le mancava? Dentro, però, spesso si sentiva vuota e aveva pensieri cupi. Le ci sarebbero voluti anni per capire cosa stava succedendo in lei.
Aveva bisogno di abbuffarsi come prima, la confusione era troppa, il dolore altrettanto e non riusciva più a reggere tutto quel peso. Le sembrava di portare il mondo sulle spalle e si incamminò verso la cucina restando curva, come se quel peso fosse reale. Si avvicinò in punta di piedi alla credenza. Andava sempre piano per non farsi scoprire, si sarebbe  vergognata come una ladra se qualcuno si fosse accorto di ciò che faceva. Si avvicinò alla credenza e la aprì piano. Uno sportello scricchiolò.
"Maledizione, no!" mormorò, pensando qualche parolaccia che si rifiutò di dire.
Sarebbe stato difficile per gli altri sentirla dalle camere ma ogni rumore, nel silenzio più totale, sembrava essere molto più forte. Buddy, che stava dormendo nella sua cuccia, si svegliò e le corse in contro saltando felice. Cercò di spiccare un balzo tanto alto da arrivare alla sua faccia per leccargliela, ma Demi non glielo permise e si abbassò alla sua altezza per accarezzarlo. Lo coccolò un po', poi lui le portò una pallina che lei lanciò da un lato della stanza. Per fortuna era di gomma morbida e non faceva molto rumore, così non avrebbe disturbato nessuno. Il cane abbaiò piano, come se sapesse che non avrebbe dovuto disturbare, e corse a prenderla. Gliela riportò e aspettò, con il respiro ansante e scodinzolando gioioso, che lei ricominciasse il gioco. Andarono avanti così per mezzora e quando, alla fine, lui decise che era arrivato il momento di portare la pallina nella sua cuccia per tenerla tutta per sé, Demetria rise. Buddy le aveva tirato su il morale, come sapeva fare spesso. Aveva capito che era triste e si era subito prodigato per far sentire meglio la padroncina. La ragazzina si commosse: lui non capiva quanto la vita degli umani potesse essere difficile e per fortuna era rimasto in canile solo poco tempo, anche se Demi immaginava che essere stato abbandonato doveva essere stato traumatico per lui. Ma comunque, anche se non comprendeva quanto per lei le cose fossero complesse, benché non riuscisse ad immaginare che Demi era tutta felice e sorridente quando registrava "Barney And Friends" e dopo, nonostante la famiglia amorevole, diventasse un'altra persona, era sempre lì a confortarla. Non sapeva come mai lei fosse triste ma non importava, c'era sempre e non la giudicava mai, come fanno tutti gli animali che amano i loro padroni. Gli era grata perché l'aveva distratta, impedendole di abbuffarsi di nuovo.
"Grazie" mormorò, poi si diresse in camera sua sentendosi un po' meglio.
 
 
 
Al risveglio, Madison era molto attiva. Non appena vide la mamma, che si alzò nel sentirla piangere, allungò le manine verso di lei e, felice, cominciò a batterle e a ridere. Era incredibile, pensò Dianna, come i bambini piccoli potessero cambiare umore da così a così vedendo una faccia familiare. Prese l'unicorno che la donna le aveva appoggiato sul cuscino - aveva sempre permesso alle figlie di tenere un giocattolo a letto, purché non avesse cerniere, bottoni o altre parti interne di ferro o metallo - e lo alzò come fosse stato un trofeo.
"Sì, è tua. Si chiama Sparkle" le disse la donna, chiedendosi se nel giro di qualche mese la figlia avrebbe imparato quel nome.
La piccina la mosse a destra e a sinistra e le sue ali parvero aprirsi come se stesse volando.
"Sembra che le piaccia un sacco" commentò Eddie rifacendo il letto. "Dallas ci ha azzeccato."
"Pare proprio di sì."
"Ah!" esclamò la bambina e, dopo aver tirato indietro un braccio, lanciò l'unicorno che attraversò la stanza in un batter d'occhio.
Lo fece volare lontano da sé scagliandolo con forza, ma non c'era rabbia nei suoi occhi, anzi. Sorrideva e rideva, il che significava che vederlo volare doveva essere per lei molto divertente. Chissà, forse pensava che poteva farlo davvero, come aveva visto in alcuni cartoni animati in cui c'erano dei cavalli volanti come per esempio "Hercules", o forse era solo un gioco innocente. Sparkle si scontrò con uno specchio al lato opposto di quello in cui si trovava il lettino, ma non lo ruppe perché era morbida ed era stata lanciata con forza ma non con tutta quella necessaria a spaccare un vetro. Atterrò e rimase lì, immobile mentre Madison rideva agitando manine e piedini fino a rimanere senza fiato. Dianna andò a riprenderla mentre Eddie, avvicinatosi alla figlia, le prese le mani e incontrò il suo sguardo.
"Ehi, non si fa. Non si lanciano i giocattoli, capito? Puoi fare la bua alle persone o rompere qualcosa. Ci si può divertire in tanti altri modi, anche senza lanciare le cose. E poi, così anche i giocattoli si fanno la bua, sai?"
Madison comprese solo che aveva fatto qualcosa di male e, quando Dianna passò il giocattolo al marito, vide che Eddie lo alzava in aria, gli faceva compiere delle giravolte, lo muoveva a destra e a a sinistra e lo faceva andare a testa in giù. Madison rise di cuore, la sua risata argentina e quasi liberatoria riempì la stanza di luce e allegria e anche Dianna, che non aveva avuto una giornata molto facile, si lasciò andare a sorrisi sinceri che le aprirono il viso. Solo le sue figlie riuscivano a farla sorridere in quel modo tanto onesto, e anche Eddie quando le dimostrava con piccoli gesti il suo amore. Perlomeno, in quelle situazioni non doveva mentire e si godeva piccoli ma fuggevoli attimi di felicità.
"Ecco, visto? Puoi farlo volare così" spiegò Eddie alla figlia, ridandole il gioco.
Come a tutti i bambini, anche a Madison piaceva imitare i grandi. Cominciava a divertirsi nel farlo e crescendo le sarebbe piaciuto sempre più. Perciò, tenendolo saldamente con entrambe le mani, iniziò a muoverlo come gli aveva visto fare e si rese conto che era molto divertente anche così. A volte ci metteva un po' troppa forza, ma i genitori si resero conto che non era mai violenta con quel giocattolo. Era capitato con altri, ma in passato quand'era più piccola, ed era normale perché a volte non riusciva ancora a dosare la sua forza. Adesso iniziava a capire che se tirava troppo un peluche questo si sarebbe rotto, era successo qualche giorno prima con un orsacchiotto che poi la mamma aveva dovuto mettere a posto e Madison si era resa conto che forse non era il caso di farlo con altri. Tuttavia le capitò di tirare forte un'ala o una zampa dell'unicorno e di sentire un lieve crack, dopo il quale riuscì a fermarsi e lo guardò per controllare se gli aveva fatto la bua. La mamma le diceva sempre così, che quando faceva la bua ad un giocattolo questo si stava male, come quando lei cadeva e piangeva. Gliel'aveva fatto capire parlandole e poi mostrandole una finta caduta, che però Madison aveva preso per vera, nella quale Dianna poi aveva finto di piangere.
"Brava, piano" le disse Dianna dandole un bacio. “Fammi vedere… No, non è successo niente, sta bene.”
Maddie sorrise.
Aveva solo un anno, con il tempo sarebbe diventata più brava a camminare, a parlare così come a a giocare e a controllare la propria forza, capendo cosa si poteva fare e cosa no. Adesso era ancora troppo piccola, era normale che sbagliasse.
Il cambio del pannolino fu un po' movimentato. Se quello della mattina e il secondo dopo pranzo erano andati bene, il terzo fu più difficile perché la piccola si girò su un fianco e guardò verso la porta. Eddie, che dopo mesi di pratica si definiva un esperto, la tenne con decisione, ma senza farle male, affinché non cadesse.
"Aspetta un attimo. Ti cambio e poi possiamo andare a giocare, d'accordo? Te lo prometto."
Madison era diventata più impaziente dai dieci mesi in poi, perché anche se non si sentiva bene bagnata o sporca non le piaceva nemmeno il cambio, in quanto le portava via tempo per divertirsi. Tuttavia era necessario e i genitori si erano ingegnati per non farla spazientire, non solo con i pupazzetti appesi al fasciatoio ma anche cantandole qualcosa o parlandole. Eddie continuò a raccontarle ciò che avrebbero fatto quella giornata e Madison, concentrandosi sulla sua voce, lasciò che lui la pulisse, cambiasse e rivestisse senza più lamentarsi. Ogni giorno Eddie si sentiva sempre più orgoglioso di se stesso. Credeva di essere un bravo padre per Madison e in un certo senso anche per Dallas e Demi. In quell'anno aveva imparato moltissimo sui bambini piccoli vedendo Maddie crescere. Dopo lo spaesamento iniziale, era diventato molto bravo a prendersi cura di lei.
"Andiamo a fare una passeggiata, che ne dite?"
Fu Dallas a proporlo. Era una bellissima giornata, fresca ma non troppo, il sole splendeva e sarebbe stato un peccato non approfittarne e chiudersi in casa fino a sera.
“Sì, come avevo detto io” commentò Dianna, che però fu grata alla figlia perché lei si era persino dimenticata di averne parlato durante il pranzo.
 Tutti accolsero la richiesta, dato che qualcuno avrebbe comunque dovuto portare fuori Buddy che aveva bisogno di uscire due o tre volte al giorno. Dopo essersi infilate una tuta da ginnastica, Demi e la sorella erano pronte. Dianna mise a Madison una tutina di ciniglia e poi la fece salire sul passeggino, mentre Eddie prese il guinzaglio del cane. Raccomandarono alle figlie di stare davanti a loro così avrebbero potuto vederle. Nonostante Dallas fosse grande, si sentivano più sicuri in quel modo. La ragazzina sbuffò ma non replicò e poco dopo partirono.
Camminare a Los Angeles non era semplicissimo, soprattutto perché loro non abitavano in periferia. C'era molto traffico, per cui si diressero in un parco giochi lì vicino nel quale sarebbero potuti stare più tranquilli. Quel giorno era vuoto. Buddy cominciò a tirare e Eddie faticava a seguirlo, ma era anche contento nel vederlo divertirsi tanto. Madison, invece, si illuminava quando vedeva passare un uccellino, una farfalla o nel momento in cui una foglia veniva trasportata dal vento. La sua curiosità non aveva limiti, come quella di tutti i bambini, eppure i genitori e le sorelle se ne stupivano sempre. Lei indicava animali o cose dei quali loro a volte neanche si rendevano conto e li aiutava a guardare il mondo con i suoi occhi.
"Tu scappi ed io cerco di prenderti?" chiese Dallas a Demi.
L'altra annuì e iniziò a correre. Era un po' maldestra ma riuscì comunque a nascondersi dietro un albero, dove si accucciò e rimase in silenzio. Ci volle un po' alla sorella per trovarla e, quando lo fece, Demi fu in grado di sfuggirle e scappare di nuovo via. Alla fine si lasciò acchiappare, ma solo perché era rimasta senza fiato.
"Wow! Quand'eri piccola era più facile" osservò l'altra tra un respiro ansante e l'altro.
"Esatto, ero. Ora non lo sono più."
Dallas corse sullo scivolo per goderselo. Era grande, ma le piaceva assaporare ancora un po' il senso di libertà che aveva avuto da bambina.
Senza che nessuno lo notasse, invece, Demi si allontanò e andò a sedersi su una panchina in disparte. Notò che era l'unica a non trovarsi sotto un albero.
Pessima mossa pensò riferendosi a chi aveva deciso di metterla lì. Nessuno ci si potrà sedere, d'estate.
Era stata altre volte in quel parco e l'aveva già notata, ma non finiva mai di stupirsi di quell'errore commesso, forse involontariamente, da qualcuno. Tuttavia, in quel momento non le dispiaceva. Il sole non era troppo  forte e preferiva rimanere sola, senza nemmeno la compagnia di una pianta silenziosa. Tirò fuori dalla tasca della giacca leggera un taccuino sul quale a volte appuntava idee per alcune canzoni. Non lo usava molto spesso, preferiva scrivere in camera sua con la porta chiusa, ma sentiva che le proprie mani fremevano. Le dita le tremavano appena e nei palmi le scorreva un’energia impossibile da contenere, che sembrava premere per uscire quasi fino a far male. Aveva bisogno di muoversi e buttare giù qualcosa, qualsiasi cosa. Poteva essere anche solo una frase, un concetto, o magari sarebbero state parole alla rinfusa che più tardi avrebbe messo in ordine, ma l'importante era cominciare.
L'ispirazione non esiste aveva letto una volta da qualche parte. Si può avere qualcosa da cui partire, ma ciò lasciato a se stesso rimane fermo, statico, non produce niente. Quello che lo fa è l'atto di scrivere in sé. Lavorando avremo più idee e sviluppi ed è necessario scrivere ogni giorno.
Lei non era d'accordo. Scriveva canzoni, non racconti o romanzi, ma valeva lo stesso. Credeva che l'ispirazione esistesse, eccome. Poteva venire da un'idea che macinava nella sua testa da giorni o settimane, oppure dall'abbaiare del cane, dalla risata di Madison, o dalla tristezza che spesso lei provava. Era vero, però, che solo lavorandoci sopra era in grado di produrre qualcosa. Demi non riusciva a scrivere tutti i giorni. A volte lavorava una notte intera e riempiva sette o otto fogli con nuove canzoni, altre - più rare - si metteva a letto e basta. Era inutile scrivere quand'era così stanca che le si chiudevano gli occhi e stupido sforzarsi fino a farsi scoppiare la testa se non usciva nulla. Ma lei era determinata e, in futuro, le sarebbe accaduto sempre più spesso di lavorare di sera anche per troppe ore perdendo il sonno e tutto questo non le avrebbe fatto bene. In ogni caso, una cosa più di tutte era certa: senza scrivere canzoni, comporre e cantare non sapeva come sarebbe riuscita ad andare avanti. Per lei scrivere e cantare era come respirare, senza la scrittura e il canto si sentiva soffocare o morire. Quando non lo faceva anche per la troppa stanchezza o perché la mamma la mandava a letto presto, stava male. Sentiva un vuoto all'altezza del cuore e nella testa, un senso di incompletezza, come se le mancasse qualcosa di importante. Il momento che ora stava vivendo era uno di essi. Il respiro le si fece più pesante e la testa le girò. Nel suo stomaco parve esplodere una bolla di nausea che salì, salì e salì ancora fino a raggiungere la sua gola. Si chinò in avanti emettendo un verso orribile, che si augurò nessuno avesse sentito. Non vomitò, ma ci andò molto vicina e solo facendo respiri lunghi e profondi iniziò a calmarsi. Si alzò, camminò un po' e continuò a respirare in modo regolare inspirando dal naso ed espirando dalla bocca finché la nausea sparì.
Si risedette, prese la penna stilografica che teneva in mano e solo quando cominciò a scrivere si rese conto con sollievo che la sensazione di vuoto spariva pian piano, che la sua anima si stava riempiendo e che ora era tutto a posto, o quasi. Lei stava meglio, era questa la cosa importante. Nel primo foglio scrisse solo alcune parole riguardo i suoi sentimenti, nel secondo parti sconnesse di una possibile canzone. Era tristissima ma bella. Ci avrebbe lavorato più tardi, pensando anche alle note. Nel quadernino che teneva nella sua scrivania avrebbe composto sul pentagramma e scritto il testo su un altro foglio, per poi provare al piano. Scrivere e cantare la aiutavano a sfogarsi e a sentirsi meno sola.
"Demi?"
La ragazzina fece un salto.
Era Dallas, l'aveva raggiunta e si era seduta accanto a lei.
"Da quanto sei qui?" chiese con voce flebile.
"Scusa, non volevo spaventarti. Da qualche minuto, ma non mi andava di disturbarti durante il tuo processo creativo, mi sembrava maleducato. È molto bello vedere come ti concentri per scrivere, sembri in un altro mondo."
"In un certo senso lo sono, ma sono anche qui perché racconto di cose personali."
"E com'è, quest'altro mondo?" volle sapere la più grande.
Demi rifletté per un momento prendendo un lungo respiro.
"Forse è più bello. Senza tanti casini. Però dipende da come mi sento io in quel momento nella vita presente perché a volte parlo proprio di quei casini.” Ripeté quelle parole apposta, per dar loro più enfasi. “In ogni caso, quando scrivo sto meglio." Dallas avrebbe voluto chiederle di più ma Demetria mise via tutto, si alzò in piedi e domandò:  "Giochiamo ancora? Facciamo il contrario, stavolta?"
"Contaci, sorella."
Si diedero il cinque e la corsa ripartì. Quando Demi riuscì a prendere Dallas, si rese conto che quest'ultima era andata lentamente per darle la possibilità di vincere.
"Non era necessario. Non sono più piccola, ricordi?"
"Sì, ma mi piace vedere il tuo sorriso."
"Il mio sorriso, hai detto?"
Quella frase le era rimasta impressa nella mente come un segno indelebile, ma non come quelli che le aveva lasciato Patrick. Questo non faceva male, in futuro sarebbe stato un bellissimo ricordo. Nessuno le aveva mai detto una cosa del genere tranne Andrew.
"Sì. Spesso ti vedo così triste, Demi!” esclamò l’altra, dispiaciuta per lei. “Non è che tu non sorrida, ma a volte dovresti farlo di più. Non mi sembri felice, però, e forse è per questo che non ci riesci."
Alla bambina si seccò la gola, la voce sembrava sparita, spenta. Andrew aveva capito che per lei non era facile lavorare alla Disney e con tutta probabilità lo sapevano anche i suoi genitori, benché non ne parlassero mai insieme, e Dianna aveva sempre detto a lei e a Dallas che avrebbero potuto smettere di lavorare e fare audizioni in ogni momento.
"Non so, forse un po’ hai ragione.”
“Ma perché stai così?”
Dallas le prese una mano e le si fece più vicina.
La sua voce era dolce, pensò Demi, era davvero in ansia per lei. Forse avrebbe potuto dirle qualcosa, ma non tutto, perché Dallas non avrebbe capito.
“È che…" iniziò, non sapendo bene come improntare il discorso, "sono tanto stressata. Lavorare mi piace, ma è molto pesante. Insomma, sono ancora piccola e già sto lavorando! A volte ci penso e non ci credo. Non voglio smettere, però è difficile. E poi non andare più a scuola mi pesa molto. Mary non c'è più e mi sento piuttosto sola senza di lei.”
Non è la parola corretta, tu ti senti molto, davvero molto sola pensò.
“Se non avessi Andrew,” riprese, non avrei amici."
Era stata onesta, per una volta. Era riuscita a dire ciò che provava, a farlo davvero. Ciò che nascondeva era il suo segreto riguardo il cibo, oltre a quanto si sentisse sola e al dolore per il passato con il loro padre e per il bullismo subito. Nessuno, nemmeno Dallas doveva venirne a conoscenza. Non si era mai aperta così con la sorella, ognuna di loro aveva le sue porte che lasciava ermeticamente chiuse. E forse non era nemmeno riuscita ad esprimere a pieno quel che sentiva, tutta l'ansia e il dolore, la solitudine e la sensazione di crescere troppo in fretta. Ma si era sbottonata anche troppo e perlomeno, un po' era stata sincera.
Dallas la abbracciò.
Demi si lasciò coccolare, accarezzare la testa e la schiena, con i capelli di Dallas che le solleticavano il viso, annusando il suo profumo di shampoo al lampone. Era lo stesso che utilizzavano anche lei e la mamma. Il  tocco delle mani della sorella  era dolce mentre esse la sfioravano, quasi che lei fosse un fragile fiore che temeva di rompere. Con Dallas accanto si sentiva sicura e protetta, cullata nell’illusione che nulla di male le sarebbe accaduto. Ciò accadeva anche con Andrew. Erano due persone importantissime per lei, punti di riferimento fondamentali e senza i quali non sapeva come sarebbe riuscita ad andare avanti.
"È per questo che dici che il mondo in cui ti immergi mentre scrivi a volte è più bello? Perché non ha tutte queste tensioni?" le chiese la più grande, staccandosi piano ma seguitando a stringerle la mano.
"Esatto, o anche perché nella scrittura le posso sfogare."
"Se vuoi possiamo parlarne con la mamma. Magari hai bisogno di una pausa, puoi smettere se…"
"No, non voglio." La voce ferma della bambina si incrinò appena. "Vorrei solo sentirmi meglio. Sono sicura che succederà" riprese con un sorriso. Non era del tutto sincero, ma Dallas non se ne accorse. "Devo solo riuscire a tranquillizzarmi."
"Una tecnica che ho imparato è chiudere gli occhi, fare un respiro profondo e continuare a respirare piano contando fino a dieci. Possiamo provare insieme, se ti va."
L'altra annuì e così fecero. Ad ogni respiro Demetria sentiva i suoi muscoli rilassarsi, il peso che si portava dentro diminuire un pochino. La solitudine e tutti gli altri sentimenti erano sempre lì, le pareva di vederli di fronte a lei, ma perlomeno ora tutto sembrava essere più calmo, non tempestoso come prima.
"Sto meglio, grazie Dallas" sussurrò con dolcezza e poi la abbracciò.
L'altra ricambiò la stretta con affetto, ma Demi sapeva che quella tranquillità le sarebbe presto sfuggita.
"Voglio che tu sappia che possiamo contare l'una sull'altra e parlare, se ne sentiamo il bisogno."
Demi fece cenno di sì, tuttavia con il passare del tempo avrebbe imparato che ci sono cose che fanno troppo male per poter essere dette, segreti che sono così pesanti da non poter essere rivelati e lei avrebbe nascosto tutto per anni ed anni. Solo Andrew avrebbe mantenuto per molto tempo il suo segreto riguardo l'autolesionismo, pentendosene poi moltissimo. Ma in ogni caso Demetria si sarebbe resa conto anni a venire che parlare è la miglior cosa.
Dopo poco, le due sorelle tornarono a giocare. Demi andò un po' sull'altalena, ascoltando il consiglio di Dallas di godersi quel gioco  finché avrebbe potuto e, accanto a lei, Madison era stata messa in una di quelle dei piccoli. Eddie la spingeva e lei sembrava divertirsi molto. Rideva e non riusciva a capire come facesse quell'aggeggio a muoversi.
Una volta tornati a casa, i cinque si misero a tavola per mangiare la torta. Prima di tutto, però, Dianna ci mise sopra una candelina. Maddie la guardò con curiosità, ma quando provò ad allungare le mani il papà la fermò.
"Mi domando se volesse toccare la candelina o la torta" osservò Dallas.
"Forse la seconda" disse Demi, che la trovava molto appetitosa e non vedeva l’ora di gustarla. “Di sicuro avrebbe adorato mettere le dita nella crema.”
Tutti risero.
“Tipico dei bambini” fu il commento dei genitori.
Dopo che ebbero cantato "Tanti Auguri A Te", Eddie si alzò e disse alla bambina di soffiare più forte che poteva. Se fosse stata più grande avrebbe aggiunto di esprimere un desiderio ma non pronunciarlo ad alta voce. La piccina si impegnò al massimo quando capì quello che doveva fare e, con un piccolo aiuto da parte del padre, riuscì a portare a termine quel compito. Ci fu un secondo  applauso e infine Dianna tagliò la torta. Il solo pensiero di doverla mangiare le fece venire la nausea e quando se la ritrovò nel piattino non riuscì quasi nemmeno a guardarla. Demi, invece, ci si avventò così come Dallas, che però mangiò in maniera un po' più civile.
"È ottima, mamma" si complimentarono le figlie maggiori, permettendosi per una volta di parlare a bocca piena e chiedendone un altro pezzo.
Lei non le sgridò e sorrise.
"Lo è grazie a tutte e tre."
Molti meriti andavano alle ragazze.
In effetti era buonissima, i biscotti si erano mischiati bene alla crema e non erano troppo asciutti, ma il tutto non era nemmeno venuto liquido. Il mix di cioccolato e un po’ di vaniglia, l’uno dal gusto deciso e l’altra più dolce, era perfetto.
Eddie fece i complimenti a tutti e Madison, a cui il papà ogni tanto dava piccole forchettate di crema, mandava giù piano e ne chiedeva sempre più, apprezzandola molto.
Dianna si sforzò di mangiare mentre le voci le urlavano cose orribili sul suo peso, sulla capacità che aveva di essere mamma e sulla propria vita in generale, facendola sentire come se stesse andando sempre più a fondo. Tuttavia rimase lì e ingurgitò, cercò di apparire normale e di sorridere mentre il piatto e la fetta di torta le apparivano enormi, il dolce era pieno di calorie e di grassi che non sapeva come sarebbe stata in grado di smaltire e temeva di ingrassare così tanto da farsi ancora più schifo ed essere abbandonata da tutti. Eppure quella malattia aveva ragione, non c'erano dubbi. E poi non era nemmeno una malattia, né un problema, era il suo modo di essere e basta ed era quello corretto, punto.
Demi ora si sentiva meglio dal punto di vista psicologico, altrimenti pensò che si sarebbe mangiata la torta intera.
Dopo la merenda si ritrovarono tutti di nuovo sul tappeto a giocare con Madison che, ora che era uscita, era ancora più piena di energie di prima. Dopo aver suonato un po' di note a caso sulla pianola, la bambina saltò addosso a Demi per essere presa in braccio. Mentre la stringeva con dolcezza e la piccola le metteva le mani fra i capelli, a volte tirandoglieli, Demi pensò che era stata una giornata particolare. Molto bella da un lato, perché avevano passato tutti del tempo uniti, in famiglia, fatto una torta e festeggiato, ma anche molto brutta - almeno per lei - a causa di tutti i pensieri che le avevano popolato la mente fino a farle quasi scoppiare il cervello. Riflettere sulla propria morte il giorno del compleanno della sorella era inquietante. In più le registrazioni dello show nazionale per il quale recitava sarebbero ricominciate in una quindicina di giorni e lei si sentiva male e bene al solo pensiero. A volte era tutto davvero troppo per una bambina della sua età.
I pensieri di Dianna non erano dissimili. L'anoressia e la depressione non la lasciavano in pace nemmeno nei momenti che avrebbero dovuto essere fra i più belli, concedendole piccoli attimi di serenità per poi rigettarla in un baratro nero e profondo.
"Buon compleanno, Madison!" esclamarono ancora tutti e quattro quella sera, dopo cena.
E mentre Eddie, Madison e Dallas andarono a letto felici, ignari di quanto stava accadendo, Demi e Dianna si addormentarono con gli occhi pieni di lacrime e il cuore e l'anima pregni di emozioni e pensieri contrastanti.
 
 
credits:
Twinkle, Twinkle, Little Star è una ninnananna la cui melodia è francese, intitolata "Ah! Vous Dirai-Je, Maman", di M. Bouin, apparsa nel 1761 in “Les Amousements d’une Heure et Demy”. Le parole, invece, sono state scritte per la prima volta da Jane Taylor in una poesia intitolata “The Star”.
 
 
 
NOTE:
1. questa fanfiction, come quasi tutte le altre che scrivo, è ambientata a Los Angeles. Al tempo Demi stava in Texas ma fino all'anno scorso non lo sapevo, per cui ho deciso di tenere quest’ambientazione.
2. Dianna si alzava a quell'ora per vestirsi, truccarsi, acconciarsi i capelli, fare pulizie. Tutto doveva essere perfetto. Non so se litigasse con Eddie per questo, ma dal suo memoir "Falling With Wings: A Mother's Story" in cui lo spiega, si evince che per lei era un'ossessione.
3. Ha sofferto di anoressia, depressione, depressione post partum (con Demi e Madison, ma con quest'ultima più intensamente) e più avanti di ADHD (Deficit di Attenzione e Iperattività), PTSD (Disturbo Post Traumatico da Stress) dato da quanto accaduto con il precedente marito e dipendenza dallo Xanax, un ansiolitico. Non so se sentisse le voci o se vomitasse, nel libro non c'è scritto, ho cercato però di riportare la sua mania di perfezione e il fatto che nascondesse ogni cosa e che mangiasse poco. Anche tutti gli altri sintomi sono segni reali di anoressia. Dice solo che mangiava poco, ma essendo questa malattia una battaglia con la propria mente e dato che uno dei modi per non ingrassare è quello di vomitare, anche se non tutti gli anoressici lo fanno, mi sembrava realistico riportarli assieme al fatto, sempre non detto, che si vestisse o si coprisse molto per sembrare meno magra e per il freddo che la malattia le faceva provare.
4. Che i bambini debbano iniziare a variare la colazione dall'anno in poi e che abbiano bisogno ancora di latte intero è vero, l'ho letto su vari articoli. Possono cominciare a bere quello vaccino a quest'età.
5. Demi ha provato due volte a partecipare a quello show prima di essere presa. Per una bambina non dev’essere facile lavorare per quanto a lei piacesse. Non l'ha mai detto esplicitamente, ma ho cercato di immaginare ciò che sentiva. Nel memoir Dianna scrive che a Demi non essere più la piccola di casa doveva bruciare. La frase che ha rivolto in passato a Madison è tratta dalla mia storia "Sorelle".
6. Demi ha sviluppato il binge eating a nove anni, mangiava tanto e soprattutto molti dolci.  Questo disturbo non coinvolge il vomito. Si mangia troppo fino quasi a star male e poi ci si sente appagati, tutto parte dalla testa per sfogare sul cibo il proprio dolore. I soggetti presentano spesso obesità o sovrappeso, danno un'eccessiva importanza al proprio corpo e al peso, al cibo e all'aspetto. Essendo cresciuta in una famiglia in cui le abitudini alimentari non erano sane, fin da piccola Demi guardava la sua pancia e si vedeva grassa pensando di dover dimagrire ed essere perfetta, l'ha detto in alcune interviste. Come ho letto in diversi articoli, avere persone con disturbi alimentari in famiglia o vivere in contesti che fanno capire al soggetto che la magrezza è una cosa di fondamentale importanza, può rendere più facile l'insorgere del binge eating oltreché di altri disturbi. Il binge eating è causato anche da bassa autostima e altri fattori.
7. Mary ed Andrew sono inventati. Credo che al tempo Demi non avesse molti amici anche se Dianna scrive che essere stata ritirata da scuola era stata dura per lei. La sua amica è ispirata ad una bambina che avevo conosciuto alle elementari e tutto ciò che ho scritto riguardo lei e Demi è tratto dalla mia esperienza personale.
8. Dallas e Demi hanno vinto quel concorso. È vera anche la storia dell’agenzia e delle pubblicità. Tutte informazioni prese dal memoir di Dianna.
9. In “Simply Complicated” e anche nel libro viene detto che Dianna non affrontava mai argomenti profondi con le figlie perché, questo viene spiegato nel memoir, era cresciuta in una famiglia in cui ciò non avveniva.
10. Anche se Demi è stata bullizzata più pesantemente quando è tornata a scuola dopo le riprese, la situazione non era molto buona nemmeno prima. La chiamavano con diversi nomignoli, Dianna non scrive quali nel memoir, già prima dell’inizio dello show, offendendola principalmente per il suo peso.
11. Dianna ha cominciato ad evitare di mangiare verso gli undici anni ed era sempre l'ultima a finire i pasti, buttandone via la maggior parte. Quando era piccola lei e i genitori si sono trasferiti lontani da casa e sentiva la mancanza degli amici. A sette anni ha deciso di fuggire. È tornata perché una vicina si è accorta di quello che stava accadendo e il padre, la sera, l'ha frustata con una cintura. Dice che quella era un'epoca (gli anni '60) nella quale le punizioni corporali erano la norma. Di sicuro, anche questo l'ha influenzata. Spiega infatti che adorava suo padre, ma che dopo ogni punizione si domandava come mai lei non gli piacesse. E così ha iniziato a non mangiare. Non ne parlava con nessuno perché non pensava fosse un problema e perché in quell'epoca i disturbi alimentari non si conoscevano molto. Nel memoir scrive:
I still don’t understand all the forces that drove me to stop eating  at such a young age, but I do know that I felt compelled to be perfect. Perfection seemed to be the only way I could avoid my father’s wrath and escape the clutches of hell. At the same time, though, I loved my independent spirit and pursuit of adventure. With no bridge to link such opposite pursuits, limiting my food intake offered me the sense of control I needed to juggle the yin and yang of my existence. It was a way of focusing on a solution rather than the problems that were causing so  much  anxiety.  More important, it put me in the driver’s seat of my life.
Before long, I viewed my eating restrictions as a badge of honor that boasted of self-control. With every lost pound, I felt more perfect … more admired … and more beautiful. Somehow, all my twisted logic got bundled into the hope that someday I’d look and act just like those glamorous stars filling the pages of   the glossy magazines I liked to read.
Let me be clear. I don’t blame my parents, the church, or God. It’s  just the way I was wired. No one forced or coerced me into   an eating disorder. I chose that behavior to ease my own inner turbulence. It wasn’t a wise decision. But without safe avenues to express the confusion inside of me, the stress eventually affected my thinking, my behavior, and my health.
 
Traduzione:
Ancora non capisco quali forze mi abbiano spinta a smettere di mangiare a
una così giovane età, ma so che sentivo addosso l'obbligo di essere
perfetta. Raggiungere la perfezione sembrava l'unico modo di sfuggire
all'ira di mio padre e alle spire dell'inferno. Allo stesso tempo, però,
amavo il mio spirito indipendente e la ricerca dell'avventura. Senza un
ponte a collegare ricerche così dissimili, limitare il consumo di cibo mi
offriva il senso di controllo di cui avevo bisogno per regolare lo yin e lo
yang della mia esistenza. Era un modo di concentrarmi su una soluzione
anziché sui problemi che mi causavano così tanta ansia. Cosa ancor più
importante, mi ha messo al posto di guida della mia vita. Non ci volle
molto perché vedessi le mie restrizioni alimentari come medaglie d'onore
che vantano autocontrollo. Con ogni chilo perso, mi sentivo più perfetta,
più ammirata… e più bella. In qualche modo la mia logica insensata si era
fusa con la speranza che prima o poi sarei arrivata ad assomigliare  e a
comportarmi come quelle star che riempivano le pagine patinate delle
riviste che amavo leggere.
Lasciate che sia chiara. Non incolpo i miei
genitori, la Chiesa o Dio, è solo il modo in cui ragionavo. Nessuno mi ha
forzata o costretta in un disordine alimentare. Ho scelto io quel
comportamento per lenire la mia turbolenza interiore. Non è stata una
decisione saggia, ma senza strade sicure per esprimere la confusione che
avevo dentro, lo stress ha finito per avere effetto sul mio modo di
pensare, sul mio comportamento e sulla mia salute.
 
 
Grazie ad Emmastory per aver tradotto su mia richiesta il passaggio, perché io non riuscivo a capire alcuni termini.
12. Alcuni bambini a un anno hanno già quattro o cinque denti e altri solo un paio, ma è normale. Certi bimbi hanno poche difficoltà con la dentizione, ad altri invece dà molto fastidio anche se il dolore dura pochi giorni e, grazie ai vari rimedi con i quali lo si può alleviare, non è continuo.
13. L'immagine mentale della bambina che cade a Dianna dalle mani durante il bagnetto è reale, ne parla nel libro. Non so per quanto abbia avuto questa sorta di allucinazione.
Racconta che la depressione è iniziata dopo il parto, che ha smesso di mangiare pensando che i suoi sintomi - pianto, pensieri oscuri e paure ossessive - fossero dovuti al fatto che aveva guadagnato peso durante la gravidanza. Divenuto impossibile allattare a causa di ciò, ha dato a Madison il biberon ma non so esattamente quanto avesse la bambina quando è successo. La donna è andata dal medico e ha preso farmaci per tre o quattro mesi, poi pensando di stare bene ha smesso. Non parla degli effetti collaterali, dice solo che non ricorda se il farmaco fosse il Prozac o il Wellbutrin, ma li avrà avuti, di solito succede quando si smette di prendere un antidepressivo senza scalarlo. Sintomi come stanchezza, il pensiero di essere un fallimento come mamma, il non volerne parlare con nessuno perché timorosa di essere considerata debole sono tutti tratti dal libro. Non so se credesse che Eddie l'avrebbe lasciata o se si disinteressasse, a volte, alla sua bambina. Non voglio dire che fosse una cattiva madre, ma anche questo è un sintomo della depressione post partum: il disinteresse per tutto ciò che riguarda il bambino nonostante l'amore che si prova per lui.
Pensava sul serio che facendo diventare le figlie delle star avrebbe avuto una vita da favola.
14. In altre storie ho scritto che Demi aveva tre anni quando il padre se n'è andato. Ho sempre immaginato che fosse stata Dianna a cacciarlo. Leggendo il suo memoir ho scoperto che non solo Demi era più piccola (un anno e mezzo), ma è stata la moglie ad andarsene dopo varie volte nelle quali ci aveva già provato. Ho deciso di lasciare questa mia versione in quanto l'avevo già utilizzata. Ciò non vuole mancare di rispetto a nessuno.
15. In "Simply Complicated" Dianna dice che Demi era triste a causa dei problemi che aveva avuto con suo padre e la ragazza aggiunge che pensava spesso al proprio funerale ed era affascinata dalla morte. Ho cercato di immaginare cosa doveva provare.
16. Le frasi che Demi ha letto sulla scrittura sono inventate, ma è vero che scriveva molte canzoni in una sola notte.
   
 
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