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Autore: _Lightning_    28/02/2020    2 recensioni
[INCOMPIUTA]
«Mi sembrava che ne avessi bisogno,» sussurra Natasha, con voce velata, e Tony sorride appena a quello sfoggio di spavalderia che sanno entrambi essere inutile.
«Decisamente,» non la contraddice, ma aumenta un poco la stretta e sente la sua farsi quasi disperata a sottolineare quanto ne avesse bisogno anche lei.
Come se quell’abbraccio potesse alleggerire il dolore di entrambi, o fonderlo in modo da renderlo più comprensibile, meno oscuro.
Non sa se Natasha lo stia trascinando verso il basso per piantare un ormeggio sicuro, o verso l’alto, a fluttuare incerto a mezz’aria. Ma sfiora la terra con la punta dei piedi e rimane lì, in equilibrio, in bilico con lei.

In un universo in cui lo schiocco ha reciso e distrutto legami, chi è rimasto è costretto a ricostruirli, ritrovarli, o crearne di nuovi, con il costante interrogativo di quanto sia giusto andare avanti quando ci si è lasciati così tanto dietro.
[pre-Endgame // Hurt-comfort // IronWidow + Pepperony // PoV Tony]
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Pepper Potts, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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15.

Legàmi



 

“Non è vero, come dicono molti, che si può seppellire il passato.
Il passato si aggrappa con i suoi artigli al presente.”

K. Hosseini – Il cacciatore di aquiloni




Marzo 2019, Complesso dei Vendicatori

La primavera inizia a far capolino dal gelo bianco e nero. Solo nel vedere la neve compatta che lascia pian piano spazio al verde sottile dei fili d'erba, Tony si sente più in grado di respirare, di credere che al mondo esista ancora qualche colore in grado di riaccendergli gli occhi. Gli sembra di avere il cervello più pulito e funzionante, anche quando si inceppa per quella sete che gli sta sempre alle calcagna e che a volte gli dà l'impressione di avere le vene prosciugate e riarse.

Un giorno prova a spostare le sue corse verso il nulla all'esterno, nell'aria gelida e frizzante che gli punge la pelle riattivando il suo corpo un po' più solido, un po' meno aguzzo. Si sfianca, rientra accaldato e con passo leggero e dopo un paio di tentativi inserisce anche quell'esercizio nel proprio ritmo quotidiano, assieme ai pasti di nuovo regolari, ai miglioramenti minimi che continua ad apportare ogni giorno a FRIDAY per tenere occupato il cervello, e a quelle letture classiche che aveva sempre ripromesso a sua madre di portare a termine. Adesso ha tutto il tempo di intraprenderle. Si obbliga quindi a svegliarsi prima per non passare tutte quelle ore a letto, ad aspettare che il sole sia alto per far scorrere più rapidamente le mattine: sono sempre il momento più difficile da affrontare, dopo il logorante assedio notturno di sogni e incubi.

Si sente in continua guerra con se stesso: percepisce i propri pensieri che, di nuovo scattanti, si fanno lo sgambetto da soli portandolo su sentieri che intersecano sempre gli stessi crocevia. Gli ripropongono le stesse immagini, le stesse associazioni; poi ne inventano di nuove e lui non riesce a star loro dietro. 
Quella era la marca di cereali preferita di Peter; il colore dei tovaglioli è lo stesso di un vestito di Pepper; la canzone che passa alla radio è una che gli ha fatto conoscere Peter; dimentica i toast nel tostapane e quasi sente il richiamo divertito di Pepper dall'altra parte del Complesso. Lampi e frammenti che non hanno più un posto dentro di lui: lo spazio è saturo nella sua vuotezza, non ci sono appigli per fissarli e finiscono per spargersi alla rinfusa, stuzzicando quella parte di lui che vuol sempre riparare tutto e tutti ed è ora incapace di riparare se stesso.

La maggior parte delle volte va a dormire con un'emicrania latente, frutto proprio di quei troppi pensieri senza posto che spianano la via a notti insonni. Una delle poche, amare consolazioni è condividere di tanto in tanto quell'inconveniente con Natasha: a volte, quando mette piede in sala comune alle due di notte la trova lì sveglia, o lo raggiunge lei poco dopo. Non le ha mai fatto domande, né lei gliene ha mai poste: è chiaro a entrambi cosa li derubi del sonno, e basta una vicendevole occhiata cerchiata di viola a sottolinearlo, senza ricorrere a parole superflue. Una comunanza mesta e silenziosa che un po' gli pesa, un po' lo spinge a non lasciarsi affondare sul posto al pensiero di poter fare da appiglio a qualcuno.

In un certo senso lei si ostina ancora a spronarlo e stargli dietro, ma adesso che è un po' più cosciente di ciò che lo circonda si rende conto che sembra riservare quel tipo di attenzioni a tutti. La vede sempre appaiata a qualcuno, instancabile, come se la sua nuova ragione – missione – di vita fosse assicurarsi che gli eroi più forti della Terra non sprofondino in loro stessi, privandosi anche della flebile luce rimasta in questo mondo. Passa ore e ore a parlare con Steve, sulle panchine esterne; sembra cercare un qualche tipo di comunicazione distaccata con Bruce, che si fa vedere al Complesso sempre più di rado; è spesso chiusa in sala riunioni con Rhodey, a chiacchierare via ologramma con Nebula e Rocket; dedica a lui quasi tutti i pomeriggi in palestra per non fargli battere la fiacca. Quando non è con loro, sta china sulle scartoffie della RESCUE: Kids, intenta e concentrata mentre parla al telefono con May e appone firme su firme, oppure prende posto alla centralina d'emergenza, attorniata da schermate di controllo e in attesa di richieste d'aiuto di cui i Vendicatori rimasti possano occuparsi. Non arrivano quasi mai.

Tony si chiede spesso come faccia a gestire con così tanta scioltezza le persone più problematiche del pianeta senza avere un esaurimento nervoso. O magari è proprio quello, che glielo evita. Ha provato più di una volta a entrare in punta di piedi nel suo spazio, ma non è riuscito a carpire null'altro se non quello che gli ha lasciato intravedere finora. Dovrebbe bastargli, visto con chi ha a che fare, eppure vorrebbe sapere per fare di più. È sempre un pensiero pericoloso, quello, perché la maggior parte delle volte finisce per scatenare disastri e rovinare tutto ciò che tocca, quasi avesse delle mani tossiche e corrosive.

Così si tiene a bada come può cercando, per una volta in vita sua, di accontentarsi e di non essere il solito, invadente, insaziabile Tony Stark. Ritiene comunque una piccola conquista aver ottenuto il privilegio di poterle stare vicino senza doversi aspettare un KO tecnico da un momento all'altro, o di vederla allontanarsi o allontanarlo bruscamente come ha sempre fatto con tutti, eccetto Barton. Non gli dà l'impressione di essere indesiderato, gli offre quasi una sorta di rifugio. Se stare in compagnia di Rhodey lo fa sentire stabile, coi piedi per terra, ma obbligato in qualche modo a parlare con lui, di sé, del mondo tutto, cercare la sua gli permette di rimanere sospeso e reclamare il semplice, umano diritto di rimanere in silenzio.


 

§

 

Quella mattina si sta imponendo con particolare dedizione di tenere costantemente occupato il cervello. Capitano sempre dei lassi di tempo vuoti, in cui si trova a rimestarsi i pensieri in testa, ma oggi non può permetterselo. Deve sfiancarsi, incanalare i pensieri in attività che richiedano un livello di concentrazione molto alto per non addentrarsi in considerazioni troppo articolate.

Ha quasi perso un polmone sul ring, quando Natasha l'ha portato su sua richiesta al limite per lui umanamente sostenibile nelle sue condizioni di salute ancora un po' precarie, e vi avrebbe passato volentieri il resto della giornata, se lei non gli avesse intimato inflessibile di concedersi una pausa almeno fino al tardo pomeriggio, visto che “non voleva averlo sulla coscienza”. Spiegazza nervoso le pagine del libro, nel tentativo di non distrarsi, e si riassesta il cuscino dietro la schiena scoccandole un'occhiata. Si è piazzata da una decina di minuti al capo opposto del divano col suo libro incomprensibile in cirillico e, al contrario di lui, è intenta e concentrata nella lettura. Le invidia quella apparente capacità di estraniarsi dal mondo. Di non dar retta ai calendari e non farsi influenzare dalle date che, all'atto pratico, non sono che numeri vacui per dare un senso al tempo, ma riescono comunque a fissarsi sulle sue retine con ferri roventi.

Comprime le labbra e cerca un appiglio sulle pagine un po' ingiallite del libro, cercando di mantenersi saldo sul ponte immaginario della Pequod [1] e non sconfinare sul fatto che oggi sarebbe stato il compleanno di Pepper – e lui era partito per l'Afghanistan, quello stesso giorno di dieci anni fa. Quasi immerge la testa nella carta a punirsi per aver completato quei pensieri che continuano a riemergere in sordina da ore, dopo averlo folgorato la sera prima inviandogli una scossa di destabilizzante tristezza e smarrimento. Anche ora si sente strangolato dai i suoi stessi pensieri e, di nuovo, prova una fitta di qualcosa che si avvicina molto a risentimento per Natasha, per il suo sapersi tenere impegnata mente e corpo in altro. Senza fatica, un'inclinazione naturale ad estraniarsi dal mondo e dalle proprie emozioni. Quasi torce la copertina morbida del libro, e si lascia scappare un respiro secco, un bolo d'angoscia che non lo alleggerisce minimamente e che fa alzare gli occhi alla donna per una frazione di secondo.

«Come fai?» sbotta infine lasciando ricadere il libro, trattenuto sulle gambe con un dito tra le pagine a tenere il segno, e Natasha alza del tutto lo sguardo, un sopracciglio lievemente inarcato. «A... a fregartene di tutto, intendo. A non... esternare,» chiarisce Tony, rendendosi conto della vaghezza della domanda, e non migliora poi di molto la situazione con quell'aggiunta.

Però Natasha interrompe comunque la propria lettura per guardarlo meglio, e coglie un'ombra sospettosa sul suo volto, nel modo in cui lo guarda un po' lateralmente quasi a offrire meno bersaglio.

«Abitudine, suppongo.»

Tony si chiede se abbia davvero capito la domanda, o se sarebbe stata la sua risposta standard a prescindere da ciò che le avrebbe chiesto.

«È una brutta giornata?» chiede, secca, a dimostrazione che, forse sin da quella mattina, sa perfettamente che ricorrenza sia questa, così come conosce probabilmente quelle che turbano l'esistenza di tutti i suoi compagni di squadra.

Tony si limita a deflettere i suoi occhi e a inclinare la testa con un mezzo cenno d'assenso, senza offrire altro in risposta. Sposta lo sguardo all'esterno, dove cade un nevischio sottile, residuo dell'inverno che volge al termine e che va a sciogliere pian piano le coltri bianche che ancora ricoprono i prati. Non potrebbe immaginare cassa di risonanza più intonata al proprio umore incostante.

«Era una domanda seria,» gracchia poi, scacciando il fiume di ricordi e pensieri che gli straripa in testa, di giorni invernali passati accoccolato con Pepper sul divano, un plaid ad avvolgerli e in sottofondo un film che non avrebbero guardato davvero. «Vorrei riuscirci anch'io, a far finta di niente. Magari potresti darmi un corso accelerato,» conclude, stentando un sorriso mal riuscito.

Natasha ricambia in modo automatico, con una traccia d'amarezza ben visibile nel modo in cui tira le labbra compresse.

«Non sono sicura che sia un bene, o che vorresti essere come me,» ribatte poi, sfuggente, ma con una loquacità che in effetti non si era aspettato.

«Ci sono svantaggi, ad essere come te?» si lascia scappare lui, con un mezzo sbuffo incredulo che si fa quasi risata, volendo per sé l'abilità di scegliere quali emozioni provare e quando.

Si rende conto di aver mosso un passo falso nel vedere il lampo risentito – e ferito, sofferente – che attraversa il suo volto, e preannuncia la replica acuminata che gli scaglia contro senza per questo riuscire ad attutirla:

«Ci sono svantaggi molto consistenti per diventarlo, Stark. Non credo sopravvivresti al corso accelerato,» conclude, rialzando il margine del libro a netta barriera tra loro due.

Tony si umetta le labbra, realizzando in ritardo la sua indelicatezza. A volte si dimentica che, a dispetto di quella facciata imperturbabile che le invidia tanto, anche Natasha è fatta di carne e ossa e sentimenti. Ben nascosti, ma vivi. Le fanno capolino negli occhi solo di rado, in passaggi di silhouettes fugaci e difficili da cogliere. Stava giusto credendo di riuscire a captarli un po' meglio, prima di quello scivolone evitabile. Si rende però conto che, a dispetto della concentrazione rivolta al libro, Natasha sembra ancora in partita e sul chi vive. Potrebbe benissimo non renderlo palese, considerando gli anni di addestramento spionistico, ma sta chiaramente scegliendo di renderlo tale: ci sono delle pause nel modo in cui muove gli occhi nel leggere, a fissare anche la visione periferica che lo include, e il suo ritmo nel voltare le pagine è variabile, incostante. Sta giocando con lui come il gatto col topo. Ciò dovrebbe irritarlo, se non per il fatto che gli offre collateralmente anche un'opportunità di porre rimedio a quel commento a cuor troppo leggero – opportunità che lei è con tutta evidenza disposta a concedergli.

L'ultima cosa che vuole fare è allontanarla – anche se vorrebbe non essersi mai avvicinato così tanto, lui che è così abile nel mandare a monte tutto e nello sfaldare legami in un batter d'occhio. Ma non vuole allargare il baratro tra loro, non ora che sembrano aver trovato una sorta di pericolante equilibrio che permette a entrambi di non precipitarvi. O forse quello è lui, solo lui: Natasha sembra sempre avere un baricentro perfetto, da ballerina, a dispetto dei suoi scossoni e passi maldestri. Reprime un sospiro sul nascere: sono entrambi troppo orgogliosi per porgere o accettare delle scuse dirette, quello è certo... così si trova costretto ad aggirare il problema e a lavorare d'ingegno.

«Ti va una boccata d'aria?» le propone, di nuovo senza fermarsi a ponderare le parole.

Lei rialza di scatto gli occhi, allo stesso modo di un animale ferito e messo all'angolo, o di un serpente che snuda i denti pronto a mordere. Getta uno sguardo fuori, alla pioggerellina ghiacciata che continua ad attecchire sul manto nevoso.

«Perché?» chiede, invece di un molto più sensato e secco "piove".

«Perché no? Si soffoca qua dentro,» scrolla le spalle lui con assoluta nonchalance, come se il loro scambio teso non fosse mai avvenuto, e si alza già per recuperare il cappotto.

Lei continua a fissarlo dietro al doppio schermo del libro e delle sue ciglia, per poi elargirgli un piccolo, impercettibile cenno del mento in direzione della porta.

«Vai. Io ti raggiungo.»

È la risposta più simile a un  che potesse ottenere da lei, e le getta un ultimo sguardo che non trova riscontro prima di imboccare la porta. Si tira su il bavero della giacca pesante e allaccia gli alamari esterni: non fa poi così freddo, ma si ritrova i capelli bagnati dopo pochi minuti. Non è una sensazione sgradevole, a dispetto del suo odio generale per la neve, e rallenta il passo lungo il vialetto lastricato che segue il perimetro del Complesso. Ha completato il primo giro, è infreddolito e ha il cappotto ricoperto di nevischio, quando finalmente sente i passi lievi di Natasha dietro di lui che lo raggiungono rapidi, per poi affiancarlo.

«Era una lettura avvincente?» si arrischia a canzonarla, gettando un'occhiata teatrale all'orologio da polso e ricacciando poi le mani nelle tasche.

Natasha sbuffa dal naso, scuotendo i capelli già invasi di cristalli che luccicano alla luce flebile del sole, e lo spintona appena di lato senza per questo rispondere. Continua a piovere, o a nevicare, a seconda dei punti di vista. Non importa a nessuno dei due, mentre ritracciano le orme lasciate da lui poco fa sul sottile strato di neve e fanghiglia ghiacciata che delimita il vialetto. A un certo punto lei lo prende sottobraccio, aggrappandosi all'incavo del suo gomito. La sua stretta è salda, quasi contratta, e ne percepisce la tensione anche attraverso la stoffa pesante.

«Non sai niente di me,» sbotta dopo un po' Natasha, e a dispetto della natura di quell'affermazione la sua voce rimane pacata, morbida.

Tony rallenta appena il passo, sentendosi però tirare da lei, che non asseconda il suo movimento.

«Uh, concordo in toto, ma cosa c'entra con...»

«Nella Stanza Rossa ci hanno addestrate a controllare le emozioni,» rivela lei, di punto in bianco, con un colpo di pistola che risuona attutito nei dintorni innevati.

Tony si blocca del tutto nei suoi passi, costringendo infine anche lei a fermarsi, la mano trattenuta tra il suo braccio e il suo fianco. Gli sembra il genere d'informazione da rivelare faccia a faccia, magari davanti a un bicchiere di qualcosa di molto forte... non durante una passeggiata intrapresa nel tentativo di scacciare troppi pensieri e di dare modo a lui di rettificare parole fuori luogo, e non con lo stesso tono che avrebbe usato per raccontargli un aneddoto di poca importanza.

Lo guarda fisso, forse aspettandosi una reazione, e lui richiude la bocca rimasta stolidamente aperta, inalando aria gelida che gli invia una scossa alle radici dei denti. Gli si chiude la gola e ripensa a quel poco che sa effettivamente su di lei, a quelle sporadiche righe dei suoi file che ha letto di sfuggita. Nonostante la fuga di notizie che scatenata da lei dopo Insight, i dati su di lei sono rarefatti, ben celati... e lui non ha mai trovato un valido motivo per approfondire la questione, ma gli sono bastati gli stralci intravisti di tanto in tanto, che figuravano metodi di coercizione e addestramento non troppo dissimili dalla tortura.

Batte rapido le palpebre, faticando a far collidere l'immagine di Natasha ora, impettita e diritta di fronte a lui a dispetto del volto smunto, con la foto della ragazzina troppo magra e troppo giovane appuntate sul fascicolo sovietico macchiato di sangue e polvere da sparo che si è trovato tra le mani mentre indagava su Barnes, riesumando gli archivi superstiti dello SHIELD. C'erano quelle che sembravano cartelle mediche in russo, là dentro; poi rapporti, dati, appunti che non ha mai chiesto a FRIDAY di tradurre e che ha lasciato ad ammuffire nella loro cartellina ingiallita, in uno schedario dimenticato sotto ai resti del Triskelion. Le foto... quelle non ha potuto impedirsi di vederle, ma immortalavano sempre l'operato di Natasha, non Natasha stessa. Bersagli e obbiettivi, tutti cancellati dall'esistenza con croci rosse e indelebili: istantanee di corpi riversi in pozze di sangue e ripiegati su se stessi in angoli scomposti, con timbri rossi a bruciapelo stampati sulla fronte. Lei stessa cancellata con due tratti netti e calcati rabbiosamente, a incidere la carta fotografica.

«Nat...» fa per bloccarla quando vede che sta per continuare, ma viene interrotto e ignorato:

«Non scelgo sempre io cosa esternare, e neanche come sentirmi. Sono difettosa,» alza le spalle con una noncuranza chiaramente esercitata, chissà a quale prezzo.

Se proprio dovesse esprimere un'opinione, direbbe che l'hanno rotta, non che lei sia difettosa per natura. Non gli sembra una scelta di parole molto migliore. Sa comunque per certo che Natasha non è il tipo da accettare pietà gratuita, anche se in realtà per lei non prova altro che quieta ammirazione, per mille motivi che sarebbe probabilmente vano esprimere ad alta voce adesso. Non servono frasi fatte indirizzate a un conforto inesistente, a lei che è stata derubata così tante volte della propria vita. In questo ostinato e inutile orgoglio almeno si somigliano, e gli riesce più facile muoversi di conseguenza. Potrebbe sempre contraddirla o chiedere di più, fare quel di più che lo tenta di giorno in giorno; invece fa un passo indietro e retrocede nel proprio spazio lasciandole il proprio, già così esiguo, accontentandosi di quello spiraglio di confidenza che gli ha accordato.

«Non... non credo che mi serva un corso accelerato, né un addestramento intensivo,» proferisce a mezza voce, con gli occhi piantati nei suoi. «Mi tengo le mie emozioni fuori controllo,» conclude quindi, più goffamente.

«Tienitele strette,» ribatte lei senza durezza, come se quello fosse esattamente il tipo di atteggiamento che avrebbe voluto vedergli assumere.

Si riporta di fianco a lui, ancora aggrappata al suo braccio mentre riprendono a camminare. Tony vorrebbe credere che quello scambio di battute coincida con uno scusa e uno scuse accettate, ma non ne ha la certezza, come non ne ha mai con Natasha, ed è paradossale che proprio lei stia diventando un punto fermo nella sua vita in tutta la sua insondabilità. Quando si decide a parlare di nuovo, è ormai talmente intirizzito da riuscire a malapena a camminare e da essersi guadagnato un biglietto di sola andata per una polmonite; lei invece appare totalmente indifferente a quella temperatura e sembra quasi gradirla.

«Come mai questo... momento rivelatorio stile Downton Abbey?» chiede, cercando di rincorrere un tono brioso in contrasto con ciò che ha appena sentito e che fatica ancora ad assimilare.

«La fiducia funziona in entrambi i sensi, di solito,» replica svelta lei, ancora senza guardarlo.

Tony si trova a sospirare e stringe un poco il braccio attirandola a sé mentre cammina, a corto di parole giuste. Incassa la testa tra le spalle e si sente allo stesso tempo vittorioso e sconfitto in partenza. Si chiede quanto ci vorrà per farla ricredere, e si bea al contempo della consapevolezza di averle strappato quella stilla di coraggio, o follia, per spingerla a fare affidamento su di lui, fosse anche per le poche parole che si è arrischiata a condividere.

«Sono molto bravo a deludere le persone.»

«Almeno abbiamo qualcosa in comune.»

Alzano le spalle sfalsati, a ritmo con le rispettive frasi contro quelle due verità inamovibili.

Riprendono a camminare, protraendo la passeggiata più a lungo di quanto sarebbe salutare. Tony inizia a sentire i piedi che sguazzano nella neve sciolta, filtrata nelle sue scarpe da ginnastica decisamente non invernali. Natasha però non si ferma; sembra quasi aver messo il pilota automatico mentre avanza scricchiolando tra le pozze ghiacciate, seguendo con precisione la linea del mattonato quasi stesse avanzando sul parquet di una scuola di danza, esercitando passi imparati a memoria.

D'un tratto, si sgancia dal suo braccio e si scosta un poco da lui, affondando il mento tra il collo della giacca e la sciarpa, gli occhi che si fanno schivi quasi ci fosse una nuvola ad oscurarli. Tony, pur perplesso, non commenta, e trattiene il moto di istintiva sorpresa che stava per attraversargli il volto, oltre al richiamo che gli sale alle labbra. Ogni volta che pensa di averla capita, o di aver fatto breccia... si rende conto di aver preso un abbaglio, o di essere stato ingannato. Ed è convinto che lei non lo faccia nemmeno apposta: sembrano semplicemente scattare dei meccanismi di difesa che può immaginare solo in parte, ma che lo fanno sentire parte di tutto ciò che potrebbe ferirla, almeno dal suo punto di vista. Non gli è estraneo come concetto, solo che lui è molto meno... controllato, in quei casi. Nel peggiore dei quali si ritrova avvinto da un attacco di panico, cosa che dubita Natasha possa anche solo lontanamente concepire – colpa o merito dell'addestramento, conclude irrequieto, seguendo le sue falcate ora più ampie e quasi militaresche, scevre della grazia latente di un balletto.

«Credo che una partita di Cluedo sarebbe più semplice,» esterna infine, quando Natasha si porta quasi di scatto un paio di passi avanti a lui.

Lei volta appena la testa, continuando a camminare, ma sembra forzarsi a rallentare fino a permettergli di affiancarsi di nuovo a lei, quasi si fosse resa conto solo ora di essersi allontanata. Tony smorza un sospiro, lasciando una spanna di distanza tra loro. Non sa cosa le abbia smosso dentro la confessione di poco fa, ma è evidente che sia irrequieta... forse pentita, a dispetto delle sue dichiarazioni di fiducia.

«Che intendi?»gli chiede, con poca energia, la voce attutita dalla stoffa morbida che le cinge il collo.

Tony tira leggermente su col naso in un riflesso nervoso, inclinando un poco il volto verso l'alto e sentendo i cristalli di ghiaccio che gli si posano aguzzi sulle guance arrossate. Il cielo grigio e uniforme lo abbaglia col suo riverbero, e strizza un poco gli occhi, sentendo l'infantile, inopportuno impulso di acchiappare al volo quegli sparuti fiocchi di neve completi che viaggiano leggeri nell'aria. Gli piacerebbe anche la neve, se non ricoprisse ricordi così tetri.

«Intendo,» riprende poi, abbassando il capo e passandosi una manica ad asciugare il volto umido, «che se davvero vuoi tenermi a distanza dovresti farlo prima di lasciarmi avvicinare, no?» continua infine con una scrollata del capo.

Cerca di non farla suonare come un'accusa, anche se quel giorno sembra che ogni parola che gli esce dalla bocca sia una potenziale coltellata sferrata a casaccio attorno a sé.

«Non ti sembra un po' ipocrita, come discorso?» rilancia Natasha, di nuovo rigida, ancora sulla difensiva. «Sei il primo che si isola sempre da tutti,» continua poi, rapida e mirata, centrando quel bersaglio sensibile come se l'avesse sempre avuto in testa sin dall'inizio. «Ti rinchiudi nel tuo eremo, scansi Rhodey, eviti Happy...»

«Assolutamente,» la interrompe Tony, fissandola poi senza vacillare. «Non ti sto facendo la predica, Romanov; sto dicendo che ti capisco, e che va bene così,» conclude, anche se quella è un'affermazione sincera solo a metà.

Ovvio, capisce benissimo l'impulso di mantenere una distanza ragionevole con le persone, dopo anni passati a farlo lui stesso; ma adesso non è sicuro che andrebbe davvero bene così. Pensa di fermarsi lì, di non aggiungere altro, invece schiude la bocca e protrae il flusso di parole, lasciandolo scorrere lungo quegli argini di fiducia che non ha ancora testato con mano.

«Happy ha già il suo da fare con May. E Rhodey... è il mio migliore amico. C'è sempre stato, ma in alcuni casi non sa bene come... gestirmi,» conclude, a malincuore, ripensando in un lampo a quanto, quanto avessero litigato subito dopo la morte dei suoi.

Giornate intere passate a urlarsi addosso perché lui non voleva occuparsi del funerale, non voleva scegliere le foto per le tombe, né i bouquet funebri, né voleva sentire nulla che avesse a che fare con suo padre e sua madre. Alla fine, Rhodey si era fatto carico di tutto: un ragazzone testardo e ambizioso che aveva rimandato il suo ingresso in Aeronautica per stare appresso al suo migliore amico allo sbando, pur di farlo arrivare sobrio alla funzione. L'aveva tenuto in piedi, è vero, ma anche allora aveva sentito quell'esigenza inespressa da parte sua, quel pungolo a parlare di fatti che lui invece voleva e vuole tenere chiusi a chiave in fondo all'anima.

«Io so gestirti?» lo riscuote Natasha, e sembra quasi divertita mentre contrae appena le labbra. «È per questo che mi ronzi attorno?» aggiunge, con una traccia affilata che potrebbe essere malizia scherzosa, o fastidio camuffato.

Tony sospira a quel ribaltamento della discussione, sentendosi messo all'angolo, come tante volte durante i loro scambi sul ring. Ammette che preferirebbe un montante in piena faccia, all'interruzione dei loro concordi silenzi che gli ridanno respiro, ma non è nemmeno disposto a lasciarsi sfuggire quella rara falla nelle barricate di Natasha.

«Non esattamente,» ammette quindi. «Neanche tu mi conosci così bene... e forse questo aiuta,» dice in fretta, stringendo le mani nelle tasche e torcendone la stoffa. «E poi, sei stata tu a cercarmi per prima: starti appresso è quasi un passo obbligato, visto che continuo a non spiegarmi da dove tu sia sbucata fuori,» la rimbecca, con un guizzo del mento verso di lei.

«Stavi per ammazzarti; e se non ci fossi stata io ti avrebbe recuperato di peso Steve, credimi,» lo rimbecca lei, seccamente evasiva come al solito. «Comunque ho dovuto studiarti, la prima volta che mi hanno ordinato di tenerti d'occhio, sai? Ti conosco quanto basta.»

Tony tira le labbra, adesso incupito da quella presunzione. Sbuffa fastidio dal naso.

«Vorrei pensare che non sono così facile da leggere.»

Non è mai stato un libro aperto per nessuno... se non per Pepper, e anche lei commetteva qualche errore d'interpretazione per via del carattere terribile che si ritrova.

«No, non lo sei. Mi ci è voluto un po' di esercizio, per inquadrarti,» gli concede lei, quasi a fargli un favore, e Tony sente un pizzicore molesto nell'orgoglio.

«Per inquadrarmi,» ripete, e tira di nuovo le labbra reprimendo un altro sbuffo. «È così difficile instaurare rapporti umani normali, Romanov? Che so, magari non vedere la gente come dei profili vaganti o dei potenziali obiettivi?» sbotta, allargando i gomiti in un gesto frustrato, le mani ancora affondate nel caldo delle tasche.

Si pente della propria scelta di parole nel veder riemergere dietro agli occhi le immagini dei suoi obbiettivi, e sa che anche per Natasha quella deve essere la prima associazione logica.

«Non mi scomodo a inquadrare spontaneamente qualcuno senza un motivo. Se mi sapessi leggere anche tu un minimo, l'avresti capito,» osserva però lei, schivando l'argomento e facendosi d'un tratto gelida.

«Ci sto provando, a capirti,» ribatte lui, moderando la voce prima troppo alta e fallendo subito dopo, confuso da quell'affermazione. «E mi fa... incazzare non riuscirci,» ammette poi, di getto e con un ondeggiare frustrato delle spalle.

«Quindi cercare di decifrarmi è il tuo nuovo passatempo?» lo rimbecca Natasha, alzando il volto verso di lui con uno sguardo pungente che lo fa sentire in difetto.

Tony si morde le labbra, esitando a rispondere. Non riesce a darle del tutto torto, anche se non condivide la scelta di parole – o forse teme solo che corrisponda troppo al reale.

Quell'aura di mistero che Natasha si porta appresso è effettivamente un diversivo, un qualcosa su cui concentrare la propria attenzione e su cui lambiccarsi il cervello stanco di calcoli e teorie fallimentari. Un enigma umano con variabili imprevedibili; e vista la sua affinità con le macchine e la sua storica incapacità con le persone non può nemmeno frustrarsi troppo nel non riuscire a venirne a capo, come farebbe in laboratorio con gli occhi logorati dagli schermi. Sta con lei e si trova a pensare ad altro; non alle perdite, non alla sconfitta, non al peso che gli schiaccia i polmoni, non alla propria inutilità. E quando pensa a ciò che gli manca, trova un riscontro di assenze in lei. Non speculare, ma nemmeno così diverso. È la sua natura di incognita ad attrarlo, a illuderlo di poter dimenticare almeno parte del vuoto mentre è intento a decifrarla. Poi ci sono quelle crepe, quelle incrinature che scorge di tanto in tanto in lei, che gli fanno desiderare come sempre di poter riparare tutto prima di vederle allargarsi o mandare tutto in pezzi lui stesso. Si sente d'un tratto un bambino annoiato che ha scoperto un giocattolo nuovo. Realizzarlo lo fa sentire sporco, come se la stesse usando.

«È un modo come un altro per distrarmi,» confessa infine a mezza voce, fissandosi fugacemente sulle scarpe che affondano nel nevischio grigiastro per poi tornare sui suoi occhi.

Percepisce con mano quelli inquisitori di Natasha su di sé, e si sente scrutare dall'interno in un modo che lo fa sentire spiacevolmente nudo in mezzo alla neve, come se avesse scostato un po' troppo il sipario che cela la propria anima.

«Ci sarebbero attività molto più utili e costruttive con cui distrarti,» commenta infine la donna, con un tono affatto duro che arriva inaspettato.

«Per esempio?»

Tony si guarda attorno sconfortato, accennando a quel vuoto che sembra rispecchiarsi ovunque, in ogni angolo di quel mondo incolore in cui si insinua solo qualche pagliuzza stentata di verde. Natasha sospira profondamente, e il suo sguardo si fa ora severo, come se stesse fissando un alunno particolarmente indisciplinato che si rifiuta di applicarsi al massimo.

«Sei un genio, Stark,» gli ricorda con un colpetto sul gomito, pronunciando quella frase fatta che si sente ripetere da una vita e che non risolve mai nessuno dei suoi problemi. «Puoi arrivarci da solo,» conclude, continuando poi a camminare in silenzio e sospingendolo appena per invitarlo a fare lo stesso.

Tony annuisce con molta poca convinzione, mentre i pensieri riprendono a girare in circolo, simili a un cavallo imbizzarrito che si cerca di far arrestare stringendo sempre più il cerchio. Non è un metodo che con lui funziona molto bene: al centro di quella ruota in perenne movimento trova solo ricordi troppo vividi e frammenti senza più posto... non una soluzione, né qualcosa da fare. Almeno, considera, Natasha non gli ha intimato una nuova distanza di sicurezza. Forse – un po' lo spera e un po' lo teme – vuol dire che quella fiducia esiste davvero, e non sia solo un concetto gettato a far da ammortizzatore tra loro.

Sarebbe comunque una conclusione piuttosto tetra per quel discorso, se il caso non decidesse di impugnare un pennello e di ravvivare il verde nel grigio, a scacciare un po' delle tinte monocromatiche che ormai fanno parte dei suoi occhi. Basta poco, davvero poco: una chiazza di ghiaccio nero invisibile, su cui Natasha pianta il piede con un po' troppo slancio, le mani bloccate nelle tasche. Neanche le sue doti atletiche e di ballerina riescono a salvarla: scivola, perde contatto col terreno in modo quasi cartoonesco, rimanendo sospesa a mezz'aria per una frazione di secondo e atterra poi di schianto, col fondoschiena che affonda nella neve ammassata sul ciglio del vialetto.

Tony sbotta a ridere sonoramente senza nemmeno rendersene conto, e scorge una lampante espressione d'orgoglio ferito che appanna il volto di Natasha, apparentemente non intenzionata a rialzarsi e sotto shock per essersi messa al tappeto da sola. Sa benissimo che gliela farà pagare doppia per quell'episodio: per avervi assistito e per aver riso di lei, ma non fa nulla per smorzare la propria ilarità, che anzi aumenta, tanto che alla fine vede un accenno di sorriso affiorare anche sul suo volto, anche se vagamente perfido, come se stesse già architettando la sua vendetta.

«Come ci si sente, a essersi messi KO? Esperienza nuova?» la canzona, parlando attraverso un altro risolino e tendendole al contempo la mano per aiutarla in un'offerta di pace.

Lei prevedibilmente scuote il capo e ignora la mano, facendo perno per alzarsi... per poi afferrarlo di scatto per la manica e far capitombolare anche lui a terra, con le scarpe che slittano inutilmente sulla stessa pozza di ghiaccio che ha atterrato lei. Impatta di fianco sulla neve, senza troppi danni e con un'altra risata che decolla dalla sua gola nell'aria cristallina, unendosi alla sua, inaspettata.

«Per te invece non è una situazione nuova,» lo rimbecca lei, con un sorrisetto compiaciuto che le inclina le labbra.

Tony assottiglia gli occhi con fare minaccioso, divenendo mortalmente serio; poi, senza curarsi delle conseguenze, raccoglie un pugno di neve e lo scaglia con forza tra i capelli di Natasha. Con quello, sa di aver firmato la propria condanna a morte. Lei infatti lancia un verso sorpreso e non perde tempo a ricambiare con un proiettile ben più corposo che lo coglie con precisione da cecchino in pieno volto, per poi assalirlo senza ulteriori cerimonie. Ingaggiano una lotta a terra ostacolata dai loro cappotti ingombranti, a suon di mezzi insulti, neve che si infila ovunque, risate soffocate e prese decisamente illecite. Non gli ci vuole molto a capire chi avrà la meglio – come quasi sempre – ma si difende come può e riesce a infilarle un po' di neve nel colletto del maglione, per poi vedersi ritorcere contro il gesto e uggiolare sotto shock nel sentire una massa congelata che gli scivola lungo la schiena.

Natasha ne approfitta e lo immobilizza a faccia in giù nella neve, alzandogli il braccio e torcendogli appena il palmo, con una leva a una prima occhiata semplice che potrebbe però dislocargli in scioltezza una spalla. Tony batte rassegnato la mano libera a terra, chiedendo la grazia, e alla sua mezza risata sconfitta si unisce quella invece vittoriosa di Natasha, che gli rende infine la libertà dopo avergli spalmato un altro po' di neve tra i capelli sulla nuca – a mo' di promemoria su cosa succede a chi sfida la Vedova Nera.

Tony si raddrizza seduto, sorridente e a corto di fiato, col fondoschiena e i capelli fradici, la neve nelle scarpe e un principio d'embolia polmonare a forza di respirare gelo, ridere e incassare colpi al contempo. Guarda Natasha accanto a lui e non è ridotta molto meglio, in ginocchio nella neve coi capelli scarmigliati e altrettanto umidi che sta tentando di districare, la sciarpa quasi sciolta che le pende in disordine dal collo. Sta palesemente reprimendo un sorriso che le accentua comunque le guance arrossate; e per un momento esatto la vede spensierata, con gli occhi verdi privi di quelle ombre che impediscono al sole di renderli iridescenti, come fronde smosse dal vento che fanno filtrare un singolo raggio di sole.

Si trova a pensare che è esattamente per questo, per i fugaci istanti di luce piena che intravede di tanto in tanto, che vale la pena portare avanti quel "progetto fiducia" un po' sconclusionato. Per ricordarsi che possono – che può – farcela.

Una nuova risata gli solletica la gola, assieme a qualcos’altro, di più affilato: una scheggia che incrina quel momento e lo sfaccetta come uno specchio rotto deformando l’immagine. Perché stanno ridendo e il suo petto si è gonfiato d’elio per una singola frazione di secondo sgombrando la testa, eppure è ancora su quella Terra, è ancora quel giorno, c’è ancora un vuoto in espansione dentro di lui, è ancora in mezzo alla neve che odia. Quel senso di assurdità, di feroce ironia, lo agguanta alle spalle e gli strizza il cuore, troncandogli fiato e pensieri. Sente la risata appena nata che si spezza in un singulto acuto; e lo camuffa, lo soffoca, tinge quell’allegria mutilata di fronte agli occhi cristallini di Natasha sapendo di non poterla ingannare del tutto. È allo scoperto, smascherato, con gli occhi appannati e un singhiozzo a mezza via tra petto e bocca.

Agisce senza pensare in cerca di un riparo per il proprio volto vicino a cedere: coglie quell'attimo in fuga e si sporge ad abbracciarla prima che la cenere possa trattenere quel gesto. La stringe saldamente a sé, premendo gli occhi sul punto di straripare contro la stoffa del suo cappotto. La sente ricambiare con qualche istante di ritardo, cautamente, in una presa maldestra che gli cinge il busto e una spalla in modo asimmetrico, poco avvezzo. Teme per un istante, la paura gli lampeggia bianca e nera in fondo alla testa, ma lei rimane solida tra le sue braccia, viva, reale, con un'orma di resina e aghi di pino a sfiorarlo.

Quella risata gli muore tra le labbra in un respiro confuso, e teme di scostarsi per rivelare l’entità di quel turbamento. Forse la sta stringendo con troppa forza, ma lei non protesta e sente che gli cinge la nuca con dita gentili, trattenendolo a sé. Come se avesse capito tutto, senza dir niente. Si chiede quanto abbia capito; se in luce di ciò che si sono detti prima sia doloroso vederlo esternare a quel modo le proprie “emozioni fuori controllo”. Se abbia senso quel risentimento doloroso che lo brucia nel sentirsi derubato da se stesso di qualcosa di bello, di quello sprazzo di leggerezza che gli aveva immesso un po’ d’aria nei polmoni. Ha una faglia che lo divide a metà, tra desiderio infantile di tornare a ridere e rotolarsi nella neve cancellando quel giorno dall’esistenza con un colpo di spugna, e di rincantucciarsi in un angolo del proprio letto spremendosi fuori le ultime, aride lacrime che gli sono rimaste in corpo, ricalcando indelebilmente i contorni di quello stesso giorno in modo ossessivo. Non sa cosa sarebbe più giusto, né cosa voglia davvero, né cosa preferirebbe Pepper. Serra gli occhi. No, sa perfettamente cosa preferirebbe lei: ha solo troppa paura e troppi sensi di colpa a tirarlo verso il basso per permettersi di essere spensierato.

Respira a fondo, sentendo gli occhi un poco più asciutti e si arrischia a sollevare il volto, poggiando il mento sulla spalla di Natasha senza offrirle ancora una visuale completa della sua espressione traballante. Lei si limita a stringerlo con forza appena più percettibile, sopportandolo a stento, o forse riconoscendo quelle labili emozioni che a lei non è dato provare appieno. Quando crede di avere più controllo sulla propria voce non si trattiene dal parlare, in quel suo modo goffo e assolutamente fuori luogo che spera lei abbia ormai imparato a leggere, perché meglio di così non sa fare:

«Sei un’ottima distrazione, ma a quanto pare anch’io sono difettoso,» bofonchia a mo' di difesa tardiva, mezzo attutito contro il suo cappotto, e la sente sbuffare di rimando contro la sua guancia in una nuvoletta di vapore.

«Su quello dovremmo lavorare entrambi,» gli fa notare con blanda e al contempo tesa severità senza però scostarsi da lui, inspirando poi a fondo e stringendo la presa delle sue dita.

«Visto che sono un genio, qualche idea già ce l'ho,» ribatte lui, sentendo le sinapsi che mandano qualche scintilla al solo pensiero di rimettersi all'opera, di occuparsi il cervello con altro.

Scioglie per primo la stretta, ricomponendosi per quanto possibile, fissandola con un mezzo sorrisetto sicuro di sé macchiato da pensieri plumbei.

«Tipo: evitarti l'esaurimento nervoso nel lasciarti gestire da sola me, gli altri sbandati e il mondo intero... sono un grande fan del multitasking, ma credo tu abbia raggiunto un record,» continua con slancio, ma con uno sprazzo di serietà che le fa storcere appena la bocca.

«Me la cavo benissimo così,» ribatte in automatico, per poi rialzarsi rapida, rimettere netta distanza tra loro e tendergli le mani, come tante altre volte sul ring. «Ma magari un genio a portata di mano può farmi comodo, di tanto in tanto,» continua furbetta, lasciando che si agganci ai suoi polsi per issarlo in piedi.

Tony le scocca un'occhiata truce da sotto le sopracciglia aggrottate, scrollandosi la neve sciolta dai capelli sconvolti.

«Sfruttatrice,» dichiara, spingendola appena di lato con una spallata.

«Egocentrico,» ribatte lei, imitando pronta il gesto.

La piantano con il botta e risposta quando rischiano di ritrovarsi di nuovo carponi nella neve dopo un doppio axel sincronizzato sul ghiaccio infido e si avviano verso l'ingresso. Tony le sente, quelle piccole cuciture che si è appena appuntato sul cuore. Tirano come quelle di una ferita appena ricucita che non guarirà mai del tutto, e spera che non cedano. Che resistano, almeno per un po’.




 


© T612
[Immagine originale -> tilde_stuff]



 



Note:
[1] La Pequod è la nave del capitano Achab (Moby Dick).
NB. Nel capitolo originale la ricorrenza del capitolo era l'anniversario di Tony e Pepper: l'ho convertita nel compleanno di lei perché, facendo i calcoli precisi nella timeline del MCU, il loro anniversario non potrebbe mai cadere a marzo, considerando che si mettono insieme a ridosso del compleanno di Tony, a maggio. Inoltre, come si vede nel primo film, il suo compleanno cade il giorno del rapimento di Tony.



Note dell'Autrice:

Cari Lettori, ritorno con un capitolo corposo che spero sia stato gradito.
Mi sembra evidente, ma sottolineo che, essendo la storia rigidamente PoV Tony, molte delle sue considerazioni/ipotesi su Natasha sono soggette a margine d'errore, in particolar modo rispetto al suo passato. Quest'ultimo è una commistione studiata tra MCU, sprazzi esigui di canone fumettistico (fondamentalmente, solo la relazione con Barnes e un altro dettaglio che troverà spazio in seguito rappresentano punti fondanti)
 e headcanon personali. Vi è comunque una netta preponderanza di MCU, principalmente per il fattore-PoV Tony, che renderebbe difficoltoso seguire le vicende fumettistiche risultando credibile nel contesto della storia, o del tutto inutile in quanto non avrebbero mai modo di venire esplicitate. Per dubbi o chiarimenti, sono sempre disponibile :)

Ringrazio di cuore
_Atlas_, Miryel, shilyss e T612 (grazie per la fanart meravigliosa <3) per aver recensito gli scorsi capitoli, e tutti coloro che hanno aggiunto la storia alle loro liste o che leggono soltanto <3
Alla prossima,

-Light-

 

   
 
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