Tecniche di giardinaggio
all’ombra delle stelle
Aspettava
sempre l’Ora del Racconto per sgattaiolare fuori dalla
stanza,
nonostante il buio del corridoio che ora le faceva paura. Accendeva
una candela e raggiungeva lo studio del signor Cicero, dove
s’intrufolava per dimenticare gli incubi e fantasticare con
l’occhio premuto sul cannocchiale. Ammirare le stelle era una
delle
poche cose che riusciva a metterle pace in quelle notti insonni, mi
raccontò tempo dopo, mentre con il dito mi indicava questa o
quella
costellazione. E anche se il suo corpo fremeva all’idea di
volare
verso la luna, Pervinca si costringeva a restare a terra.
Fu
una di quelle sere che il vento la chiamò a sé.
Era freddo e
impertinente, profumava di terra, e il cielo non bastava
più. Lo
sguardo le cadde sulla serra, illuminata dalla luce debole delle
lanterne, ove una figura danzava per scacciare i pensieri. Lasciando
che la vestaglia frusciasse al suo passaggio, dopo aver infilato gli
scarponcini, Pervinca uscì. Lo avvertii distintamente mentre
salivo
le scale per tornare a vegliare sulle mie bambine, ma Vaniglia, ferma
sulla soglia con un sogno impigliato tra le ciglia, scosse il capo.
«Se
sta andando dalla zia, allora
andrà tutto bene» m’informò
con uno sbadiglio. «Torniamo a
dormire.»
Era
scalza, nel corridoio soffiava qualche spiffero, e forse questo mi
convinse ad acconsentire. Non ci volle molto perché
Babù si
riaddormentasse, sensibile com’era alla notte, e io mi
sedetti sul
suo cuscino per farle compagnia. Non
compresi subito il significato di quelle parole, sebbene ci rimuginai
sopra per qualche tempo; all’epoca le attribuii al sonno,
alla
cieca fiducia che ponevo nelle mie bambine.
Intanto
nella serra era incessante ma
leggero il suono di cesoie al lavoro, e Pervinca fu lesta a chiudere
la porta alle sue spalle, lasciando il freddo all’esterno.
Tomelilla nemmeno si voltò.
«Prendimi
quel vaso là, per favore.»
Vì
fece come le era stato detto, avvicinandosi alla zia. «Ma
non vai mai a dormire tu?»
«Senti
da che pulpito» ribatté
la mia strega, ma nella sua voce si celava l’ombra di un
sorriso.
Piano, per non danneggiarne le radici, Tomelilla posò una
piantina
al centro del vaso e iniziò a versarci della terra.
«Se
proprio vuoi fare qualcosa», disse a Pervinca che
l’osservava in
silenzio, «puoi
finire di potare.»
Vì
prese le cesoie tra le mani, guardandosi
intorno. «Da
dove comincio?»
Tomelilla
le indicò un rampicante rinsecchito sulla parete della serra
e tornò
a tastare il terreno nel vaso. Quando fu soddisfatta vi
versò
dell’acqua e lo ripose in una delle tante mensoline che
arredavano
la serra. Poi si sfilò i guanti, che posò sul bancone,
sospirò
profondamente e si sedette sulla sedia a dondolo.
Pervinca
intanto recideva, gettando l’operato della sua solerzia nel
cesto
ai suoi piedi. Ci aveva preso gusto; poteva quasi dirla
un’attività
rilassante.
«Santi
numi, bambina mia, non è così che si fa»
la riprese Tomelilla dopo un
attimo, «Stai
tagliando tutti i rami secchi!»
«E
non sono questi che dovrei tagliare? O forse dovrei potare quelli
buoni?» ironizzò
Vì dando un colpo secco con le sue cesoie a un altro gambo
rinsecchito.
Dalla
sua sedia, la mia strega fece segno di no. «In
botanica, quando si vuole salvare una pianta, molto spesso bisogna
recidere anche i rami sani. Quel rampicante ha quasi la tua
età,
signorina, non vedi quanto affollamento c’è tra le
sue fronde?»
Pervinca
annuì, intuendo dove volesse andare a parare sua zia.
Tomelilla
continuò. «Se
possibile, è sempre meglio recidere un gambo alla base e non
alle
estremità. Come sono quelle?»
«Rinsecchite
e tristi come Scarlet Pimpernel.»
«Sbagliato!
Taglia più verso il basso.»
Vì
sbuffò. Era uscita per passare un momento tranquillo insieme
a sua
zia, magari sorseggiando tè e biscotti che lei avrebbe
magicamente
fatto apparire. «Per
i corsi di botanica non ci sono le Lezioni di Magia?»
borbottò facendo come le era
stato detto. Tomelilla sentì e sorrise, ma non disse nulla,
limitandosi a osservare quanta forza la sua Vì ci mettesse
nel
recidere quel rametto testardo. Il suo compiacimento doveva essere
evidente nella piega smorzata del suo sorriso quando Pervinca prese
tra le mani il gambo, sorpresa.
«Un’estremità
è ancora verde!»
La
mia strega prese a dondolarsi sulla sedia, gli occhi prima posati
sulla nipotina ora verso il vasetto di pervinche che riposava al
sicuro su una delle mensole più alte.
«Proprio
così» concordò.
«Anche
in quello che pensiamo sia morto può nascondersi un barlume
di vita
che non va gettato via ma aiutato a crescere, cosicché in
primavera
gli alberi fioriscano e in estate ci regalino i loro frutti.»
Pervinca
intanto continuava a tagliare. «È
a questo che serve l’inverno.»
Quel
che Tomelilla disse in quell’istante quasi
lo sussurrò. Forse voleva che rimanesse un segreto tra lei e
Vì,
così diverse e simili nel profondo; forse desiderava che io,
udendolo dalla loro camera, lo percepissi più come un
promemoria che
un rimprovero. Fatto sta che il rumore di cesoie non cessò
che per
un istante, riprendendo subito dopo, mentre il legno del pavimento
continuava a cigolare sotto il dondolio regolare della mia strega.
«È
a questo che serve distruggere, ogni tanto. Per portare nuova
vita.»
→ Angolo
dei Rododendri.
Come
dice il saggio (ossia la sottoscritta), “when in
writer’s block,
Fairy Oak”. Scherzi a parte, l’ispirazione mi ha
attraversata
come un fulmine ieri pomeriggio mentre anch’io, come la
nostra cara
Vì, era alle prese con la potatura di alcune piantine
piuttosto
tenaci. Non mi capitava da molto, difatti quella lassù non
è una
frase del tutto campata in aria, e sono molto contenta di notare
come, blocco dello scrittore o no, tornare in questa sezione mi
rilassi sempre così tanto. È casa, e non
smetterò mai di dirlo.
Ultimo ma non meno
importante, già che siamo in tema, questa
e questa
sono le canzoni
che mi hanno aiutata a scrivere questo brano. Insomma, ad ascoltarle
non vi immaginate anche voi Pervinca cantare Into the unknown?
❀ daniverse