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Autore: Schmetterlinge    01/03/2020    2 recensioni
Il Master le si affianca, fissandola [dritta] in quei profondi occhi color cobalto.
“Non voglio che tu ti faccia male, Juvia.”
La ragazza lo guarda, in attesa che finisca.
“Ma ti autorizzo a scatenarti come poche volte nella tua vita, siamo intesi?”
Lo scruta, incerta di aver afferrato pienamente il significato di quelle parole.
“Ti do dieci secondi per terminare l’incontro, d’accordo?”
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Lluvia
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Continuavo a rigirare, tra le mani, l’anello che mi aveva lasciato mia madre quando ero piccola.

 

Era l’unica cosa che che avevo di lei.

 

Lo guardavo e pensavo.

 

Pensavo agli avvenimenti degli ultimi giorni, delle ultime ore.

 

Alla reazione del Master e dei miei compagni.

 

Al volto esterrefatto di Gray, che mi credeva morta.

 

 

 

[Come tutti, del resto]

 

 

 

Mi passo maldestramente una mano tra i capelli, stanca.

 

Avevo [finalmente] accettato quello che ero veramente.

 

 

 

E questo mi aveva riportato alla vita.

 

 

 

Non sapevo cosa sarebbe accaduto in seguito, cosa mi sarebbe capitato.

 

Mi sentivo incredibilmente forte.

 

 

 

Forte come non lo ero mai stata.

 

 

 

Completamente rigenerata.

 

Poluska aveva insistito perché si occupasse personalmente di tutti gli accertamenti necessari.

 

Mi aveva, letteralmente, segregata nel mio appartamento [una delle poche aree della Gilda a non essere andata a fuoco] e mi ci aveva rinchiusa per un paio di giorni.

 

Ancora non riusciva a credere come fossi riuscita a riprendermi così, dal nulla, e come fosse stato possibile avere un recupero cosi straordinariamente rapido. 

 

In effetti, non sapevo spiegarlo nemmeno io.

 

Parlare con la me bambina era stata sicuramente un’esperienza al di là del possibile, oltre ogni comprensione.

 

Un leggero, timido bussare alla porta mi distoglie, all’improvviso, dal turbinio [continuo] dei miei pensieri.

 

Scorgo una testolina dai lunghi capelli corvini sbucare da dietro lo stipite.

 

Mi osserva incerta, tanto desiderosa di entrare quanto intimorita.

 

Le sorrido, gioiosa di vederla, invitandola a venirmi incontro con un piccolo cenno.

 

Non si fa pregare molto e, in men che non si dica, la osservo fiondarsi, letteralmente, tra le mie braccia.

 

Si nasconde contro la mia spalla, stringendomi i fianchi fino [quasi] a stritolarmi.

 

Le accarezzo la testolina folta, massaggiandole le spalle esili.

 

Le prendo il volto, costringendola a guardarmi negli occhi.

 

Mi sorride, palesemente felice.

 

“Mi sei mancata, Juvia.”

 

Le lascio un buffetto [affettuoso] sulla guancia morbida, color pesca.

 

“Anche tu, Wendy.”

 

La stringo a me, ricadendo [a peso morto] sul materasso, iniziando a tormentarla con un po’ di solletico.

 

Ride, ride di gusto, sguaiatamente.

 

Voglio che sorrida.

 

Voglio che rida.

 

Voglio che sia spensierata, come è giusto che sia una bambina della sua età.

 

Perché, dopotutto, Wendy è ancora una bambina.

 

Una bambina che ha dovuto crescere in fretta, troppo forse.

 

 

 

 

Come me

 

 

 

 

Prende un cuscino, gettandolo verso di me, nel tentativo di liberarsi dalla mia presa, dando così inizio ad una vera e propria lotta di fodere e piume.

 

All’improvviso, sulla soglia, notiamo le figure di Lucy ed Erza fissarci con sguardo apparentemente imperturbabile.

 

Rimango incerta sul da farsi; non so bene come comportarmi.

 

Da un lato vorrei correre loro incontro ed abbracciarle, dall’altro ho paura che la mia possa essere una reazione esagerata.

 

Poi, le vedo sorridermi con sguardo malizioso, furbesco e, ancor prima di rendermene conto, me le ritrovo addosso.

 

Mi sommergono con tutto il loro peso, costringendomi a ricadere poco elegantemente su quello che rimaneva del mio letto.

 

Mi abbracciano, tenendomi stretta, con tutta l’intenzione di non volermi lasciare andare.

 

Non parliamo, semplicemente ridiamo.

 

 

 

Ridiamo

 

 

 

 

La piccola Dragon Slayer ci osserva [felice] senza aggiungere altro.

 

Ero finalmente a casa, con la mia famiglia, al sicuro.

 

Avrei tanto voluto che questo momento durasse in eterno.

 

Un momento di pace, di serietà ritrovata, di pura e autentica felicità.

 

Un voce, profonda e rauca, ad un tratto, interrompe le nostre risate, riportandoci sull’attenti.

 

Poluska ci fissa con aria interrogativa; un sopracciglio alzato, uno spigolo delle labbra leggermente curvato all’ingiù.

 

“Cosa state facendo?”

 

La guardo con occhi dolci, rassicuranti.

 

“Sto bene, Poluska, davvero.

 

 Molto meglio di te e loro messe insieme.”

 

In tutta risposta mi lancia un’occhiataccia.

 

“Tutte fuori, devo visitarla”.

 

Faccio per ribattere ma il suo sguardo minaccioso non ammette repliche.

 

Le ragazze si defilano, una dopo l’altra, lanciandomi occhiate consapevoli.

 

“Ci vediamo domani.”

 

Annuisco, sorridente.

 

Ancora qualche giorno e sarei potuta tornare alla normalità, rivedere i miei amici e ricominciare una nuova vita assieme.

 

Almeno così speravo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E’ quasi l’alba e il silenzio fa da padrone.

 

Ho passato tutta la notte in bianco, incapace di prendere sonno.

 

Guardo [continuamente] fuori dalla finestra; tutto è pace e tranquillità.

 

Inspiro ed espiro, battito dopo battito.

 

Ascolto il mio addome alzarsi ed abbassarsi con ritmo regolare.

 

Inspiro ed espiro, pensando a lui.

 

Non avevamo ancora avuto occasione di parlare; il Master e Poluska mi avevano letteralmente trascinata via.

 

Ricordavo soltanto il suo sguardo, allibito [sconcertato] e nient’altro.

 

Faccio per schiarirmi la voce quando scorgo l’oggetto dei miei pensieri manifestarsi proprio davanti a me. 

 

Con mia grande sorpresa, osservo la porta del mio appartamento aprirsi, quasi timidamente, rivelando la figura di Gray.

 

Mi scruta, rimanendo sulla soglia, incerto sul da farsi.

 

Attende una mia qualunque reazione, una parola qualsiasi.

 

Lentamente mi metto a sedere; lo invito ad avvicinarsi, accennando ad un timido sorriso.

 

Mi viene incontro, finendo col sedermisi accanto.

 

Tiene lo sguardo rivolto verso il basso, sembra quasi non abbia il coraggio di guardarmi negli occhi.

 

Poco a poco, inizia a giocherellare con le dita della mia mano, in una danza immaginaria; si lascia andare, accostando la sua fronte alla mia.

 

Chiudo gli occhi, inspirando ed espirando profondamente.

 

Riesco ad assaporarne il profumo, dolce-amaro.

 

Riesco a sentirne i battiti, veloci ed irregolari.

 

Sento le sue labbra poco distanti dalle mie, il suo respiro caldo sul mio volto.

 

Inizio ad accarezzargli il mento, risalendo lungo gli zigomi, per poi riscendere lungo lo sterno.

 

“Stai bene?”

 

Sorrido, nella penombra del mattino.

 

“Adesso si.”

 

Annuisce, non molto convinto della mia risposta.

 

Poi, prima ancora di rendermene conto, mi prende il volto tra le mani, obbligandomi ad incatenare  i miei grandi occhi azzurri alle sue iridi color pece.

 

Mi scruta, mi osserva come a volermi leggere dentro, col semplice dono dello sguardo.

 

Di fronte a Gray mi ero sempre sentita vulnerabile, fragile.

 

 

 

Con lui era sempre stato così

 

 

 

Faccio per parlare ma mi si mozza il respiro non appena percepisco le sue labbra sulla mie.

 

Lo sento premere, quasi con disperazione.

 

E’ un bacio lento, profondo.

 

Si stacca appena, per riprendere fiato.

 

Ansima, esattamente come me.

 

Non credo di aver realmente compreso quanto appena accaduto.

 

Gray mi aveva baciata.

 

Il ragazzo di cui mi ero perdutamente innamorata, l’oggetto dei miei sogni e dei miei risvegli mattutini mi aveva appena baciata.

 

Ansimo, incredula, basita.

 

Lo fisso, come a volermi accertare di non star sognando.

 

Mi sorride, palesemente imbarazzato; chiude gli occhi tornando ad accostare la sua fronte alla mia.

 

E rimaniamo così [aggrappati l’uno all’altro] ancora per un po’, senza fretta.

 

Rido, con gli occhi lucidi, accarezzandogli il mento spigoloso.

 

“Colazione?”

 

Lo vedo mordicchiarsi le labbra, gli occhi vispi, un sorriso accennato.

 

“E colazione sia.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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