Storie originali > Soprannaturale > Licantropi
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Autore: BabaYagaIsBack    03/03/2020    0 recensioni
● Book II ●
In una notte Aralyn ha compiuto nuovamente l'impossibile, mettendo in ginocchio l'intero clan Menalcan. Ha visto ogni cosa intorno a sé macchiarsi del colore del sangue e andare distrutto - forse per sempre. Così, in fuga dai sensi di colpa e dal dolore che le schiaccia il petto, si ritrova a essere ancora una volta l'eroina del suo branco e il mastino al servizio del Duca, ma anche il nemico più odiato dai lupi del vecchio Douglas e l'oggetto di maggior interesse per il Concilio che, conscio di quale pericolo possano ora rappresentare i seguaci di Arwen, è intenzionato a fargliela pagare.
Ma qualcuno, tra i Purosangue, è disposto a tutto pur d'impedire che la giovane Aralyn Calhum venga punita; anche mettere a punto un "Colpo di Stato".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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3. The youngest Menalcan (2/2)


 

Joseph accompagnò la sorella nelle proprie stanze subito dopo aver fatto visita alla salma del padre e lì, richiudendosi la porta alle spalle, decise che fosse arrivato il momento di dirle ciò che più di tutto aveva temuto. Sapeva di star andando incontro a qualcosa di spiacevole, eppure era conscio che l'unico a poterle dare una notizia come quella era lui - dopotutto il loro era uno dei pochi legami veri presenti in quel clan.

Dapprima osservò Leah muoversi per quella che fino a qualche anno prima era stata la sua cameretta. La seguì con lo sguardo mentre in punta di dita sfiorava le lenzuola con sopra ricamate le rose, poi la testata del letto e infine il comodino, dove nessuno aveva spostato nulla. C'erano ancora gli ultimi libri che aveva letto in quella casa, la lampada d'epoca e la statuina di una valchiria regalatale per il suo nono compleanno; c'erano appesi ai muri i ricordi di una ragazzina appena entrata nell'età adolescenziale, mentre le tende color pesca erano state sostituite da altre bianche. Tutto era rimasto identico a come probabilmente lo ricordavano entrambi perché, grazie al cielo, la furia della battaglia non era riuscita a raggiungere quell'area della Villa - la più lontana nell'ala ovest, in esatta opposizione a quella dei fratelli maggiori.

Lì vi erano poche stanze, tutte dedicate ai membri del branco che, purtroppo per Douglas, erano nati donna. Ammassate le une sulle altre, le femmine era tenute lontane dai punti nevralgici di quel luogo, quasi a evidenziare quanto per l'Alpha la loro presenza fosse inutile; e persino sua figlia, purtroppo, era considerata a quel modo.

«Casa dolce casa» la sentì sospirare con poca convinzione. Seppur quell'edificio fosse di proprietà della loro famiglia da generazioni, pareva quasi che gli unici a non sentirlo così familiare e confortevole fossero proprio loro, gli eredi del capoclan.

Liberando la chioma boccolosa dal cappello, la ragazza si lasciò cadere sul materasso, chiudendo gli occhi in un'espressione di totale stanchezza: «Forse ora potrei sentire questo posto un po' più mio... o almeno finché quel bruto di nostro fratello non ci metterà sopra le sue-» Joseph la interruppe prima che potesse concludere. Avvertiva dentro di sé l'urgenza di metterla al corrente della morte di Kyle, di impedire a chiunque altro di darle quella spiacevole notizia - in fin dei conti, seppur alle volte ne fosse infastidito, sapeva con che occhi sua sorella guardava quell'uomo, li riconosceva: erano gli stessi con cui, all'inizio, lui aveva preso a guardare Aralyn, in un misto di piacere e desiderio. E ora rimpiangeva ogni singolo momento perso, ogni parola che si era detto pur di non cedere a quel sentimento e mettere distanza tra loro, una distanza che ora pareva sciocca se confrontata con quella che li divideva. 
L'aveva persa così presto da sentire la mancanza di tutti i ricordi che non avevano condiviso, del suo profumo che non riusciva a trovare in alcun angolo, dei suoi baci che erano stati troppo pochi. Chissà se, se non si fosse frenato in continuazione, arrendendosi prima al suo bisogno di lei, sarebbe ora stato in grado di aggrapparsi a qualcosa di diverso dai ricordi del suo viso distrutto e una semplice parola.

Respira.

Già, dopo tutti quei mesi aveva compreso cosa volesse dire perdersi per qualcuno, struggersi per la sua assenza, morire al solo pensiero di non poter più respirare la sua stessa aria o ululare alla medesima Luna; quindi, se quello di Leah fosse un imprinting o meno, poco importava - era comunque una sorta di amore e non avrebbe dato a nessuno la possibilità di schiacciare il suo fragile cuore con il peso di ciò che era successo.

Non avrebbe augurato mai, a sua sorella, il vuoto che sentiva dentro, ma soprattutto non avrebbe permesso che a generarlo fossero la bocca e la voce di qualcuno che non aveva idea di cosa si provasse - e nel suo branco, nemmeno uno dei confratelli presenti aveva mai avuto l'onore di innamorarsi; la maggior parte di loro era guidato solo da ciò che gli penzolava tra le gambe, come Gabriel aveva dimostrato più volte nel corso degli anni.

«Dobbiamo parlare» sentenziò, tenendo lo sguardo rivolto verso un punto indefinito.

Non si era preparato a quel momento, eppure doveva affrontarlo.

Leah sbuffò, ancora ignara di ciò che la stava aspettando: «Sì, sì...» fece, sventolando una mano davanti al viso: «c'è da discutere su come comportarsi dopo che il vecchio sarà stato seppellito».

Anche, pensò Joseph muovendo i primi passi verso di lei, ma quello lo avrebbero potuto fare in qualsiasi momento. Avevano ancora più di una settimana a disposizione, esattamente nove giorni, prima che la Luna Nuova si alzasse nuovamente in cielo.

Con una mano, la ragazza si sfilò gli occhiali dallo scollo in cui li aveva lasciati: «Non dovremmo chiedere aiuto anche a Kyle?» domandò ingenuamente, mentre un lieve rossore le imporporò il viso, facendo trapelare ciò che mai aveva apertamente confessato.
Il fratello sentì lo stomaco venir schiacciato da una morsa lieve, eppure fastidiosa, che gl'impedì di avvicinarsi ulteriormente. Non era certo che affiancarla fosse la cosa giusta, dopotutto non si trattava semplicemente della notizia di un lutto, ma anche di un'accusa di tradimento, di una presa di posizione da sempre rinnegata - si trattava di qualcosa di molto più complesso che, presto o tardi, avrebbe compreso anche il chi fosse Aralyn.

«No, non possiamo» soffiò in un sussurro, avvertendo il peso della notizia gravere sempre più sulle spalle. Se in passato dare simili annunci non gli aveva mai procurato alcun disagio, ora che quella perdita lo toccava così nel profondo la questione era ben diversa.

Sua sorella rotolò sul materasso, mettendosi prona: «Perché? E' impegnato?»

Sì, a correre libero per le Lande Selvagge.

Lui scrollò la testa: «Non si trova qu-»
«Tornerà per il funerale, no?» non pareva proprio voler ascoltare, forse perchè dentro di sé avvertiva l'arrivo di qualche brutta notizia a cui non avrebbe saputo come far fronte.

Joseph però, innervosito da quell'involontaria perdita di tempo, la mise a tacere con un ringhio sommesso: «Leah, ascoltami!»
La ragazza sussultò appena, sicuramente presa alla sprovvista dalla sua reazione. L'osservò con occhi grandi di preoccupazione e prima che lui potesse riprendere a parlare iniziò a scuotere la testa con veemenza, lasciando oscillare i boccoli.
«No, non voglio» disse secca, alzandosi dal letto per mettersi a frugare nella borsa che qualcuno, tra i confratelli, le aveva portato in camera insieme ai bagagli. La vide armeggiare tra tasche e taschine con sempre più concitazione: «Qualsiasi cosa tu debba dire, me la dirai dopo che sarà tornato» continuò, certamente sperando di poter allontanare la verità che sentiva prendere forma nella mente.

E a lui tutto ciò scocciò. In qualche modo aveva bisogno che lei lo ascoltasse, che accogliesse quella scomoda situazione e condividessero insieme la consapevolezza di essere da soli in un covo di belve. Privi di reali alleati se non loro stessi; ma soprattutto gli serviva che qualcuno capisse il suo vuoto.

Il purosangue avanzò, sforzando i piedi di ubbidire al proprio volere: «Dannazione!» sbottò poi, afferrandola per un braccio: «Lui non tornerà Leah! Non è più parte di questa vita!» si lasciò sfuggire, sentendo l'amaro pizzicargli la lingua.

Lei agitò il capo, spostando il proprio sguardo da lui alla borsa, dove riprese a cercare con la mano libera: «Non può essere morto» sentenziò senza alcuna titubanza nel tono.

«Ti prego, ascoltami...»

«No!» ringhiò, divincolandosi dalla sua presa. Questa volta, quando i loro occhi s'incontrarono, Joseph vide quelli di lei terribilmente umidi. Il rossore imbarazzato che le aveva colorato il viso era ora della stessa tonalità dell'agitazione e seppe, con incredibile certezza, di averle spezzato il cuore - chissà come avrebbe reagito, quando le avesse confessato che a ucciderlo era stato lui stesso. Chissà con che odio lo avrebbe guardato, che rumore avrebbero fatto gli schiaffi di sua sorella sul viso.

«No...» biascicò, mentre la bocca le si impastava a causa del pianto che stava cercando di trattenere: «Non possono averlo ucciso... lui non avrebbe mai permesso a un Impuro di abbatterlo».

Infatti non era di loro che si trattava - non del tutto, quantomeno.

Mosso dall'istinto, Joseph le cinse la nuca con una mano, portandosela al petto. La strinse con dolcezza sentendola cedere al dolore, quasi volesse confortarla - ma in realtà stava solo provando a farlo con sé stesso e, nonostante fosse sua sorella, desiderò che al suo posto vi fosse qualcun altro, una persona che non aveva idea se mai avrebbe potuto stringere ancora, il cui profumo era diventato essenziale, eppure assente sia nei polmoni, sia nei ricordi.

«Non sono stati gli uomini di Arwen, Leah...» sussurrò a ridosso della sua fronte: «Non è morto in questa guerra, ma per questa guerra» precisò, ritardando ancora di qualche istante il momento della verità.
La ragazza scostò d'un poco il viso dal torace di lui, lì dove il suo mascara, ormai alle prese con le lacrime, aveva lasciato una piccola chiazza scura sul tessuto del completo.

La sua confusione era evidente: «C-che vuoi... che vuoi dire?»

Facendosi forza, il figlio di Douglas scavò dentro di sé alla ricerca delle parole migliori con cui spiegare ogni cosa, senza però dover partire dal principio. C'erano di mezzo troppe questioni, troppe cose che ancora adesso si rimproverava. C'era Aralyn e tutto ciò che significava per lui.
«E' stato per ordine del vecchio. Kyle è morto perché ha tradito Douglas».

Senza alcun preavviso, Leah spinse via il fratello, facendolo barcollare in uno stato di incomprensione. Joseph la guardò con occhi sbarrati, incapace di capire per quale ragione si stesse comportando a quel modo.

«Menti!» la sentì tuonare appena tra loro si creò abbastanza distanza da metterli faccia a faccia: «Questa è una bugia, Joseph! Lui non avrebbe mai tradito il nostro branco, ma soprattutto non avrebbe mai e poi mai osato farlo con te, il suo Alpha!»

«E infatti sono l'unico a cui è stato fedele, tradendo tutti» sibilò, in modo che solo lei potesse sentirlo e arrivandole minacciosamente vicino, annullando così lo spazio che lei aveva posto tra i corpi. 
I suoi canini dovettero apparire più affilati del solito, così come il suo sguardo più deciso, perché la sorella trasalì appena. «E' stato condannato a causa mia...» aggiunse dopo alcuni istanti, spostando lo sguardo sul pavimento. 
La morte di Kyle era l'unica cosa di cui si sentisse realmente responsabile, insieme alla prigionia di Aralyn - due colpe che non sapeva se sarebbero mai sparite dalla sua coscienza, ma con cui cercava di convivere al meglio, vista la situazione.

«Non capisco...» Leah fece un passo indietro, improvvisamente instabile sui suoi sottilissimi tacchi a spillo e il fratello seppe con assoluta certezza che, se lei non avesse deciso di affiancarlo in quella battaglia contro Gabe, ciò che le avrebbe confessato si sarebbe trasformato nella sua fine.

Nonostante questo però, non si frenò più del dovuto: «Si è fatto uccidere per salvare qualcuno a me caro, per impedire che alla gogna finissi io. Lo ha fatto senza che io gli chiedessi nulla, eppure ora che non c'è più gli devo tutto».

Pronunciare quelle parole ad alta voce fu liberatorio. Ammettere i propri peccati sembrò allentare la morsa intorno al cuore, quella che aveva iniziato a stringersi giorni prima e che, lentamente, era certo lo stesse uccidendo.

«Per chi?» domandò la ragazza afferrando il bavero della giacca di lui, pretendendo una risposta. Voleva sapere il nome del licantropo per cui, l'uomo di cui era innamorata da anni, aveva dovuto perdere la vita. La necessità di quell'informazione era terribilmente vivida nella sua espressione - giustamente, si ritrovò a pensare il Puro; eppure non riuscì ad aprir bocca, facendola infuriare.
Leah prese a strattonarlo bruscamente, mentre le lacrime tornavano a scorrere copiosamente sulle sue guance ora sporche di trucco: «Joseph, per chi lo hai sacrificato?» gridò e, a quel punto, a lui toccò tapparle le labbra con una mano, zittirla per impedire che tutto il clan scoprisse il suo segreto - bastava già Gabriel a volerlo sotto terra.

Con movimenti lesti e sapienti, tipici di una persona abituata agli scontri, il ragazzo bloccò la sorella alla bene e meglio, cercando di calmarla: «Ti prego... smettila» era la prima volta che supplicava qualcuno che non fossero La Madre Luna, altri Dèi o l'immagine di Aralyn in un sogno che troppo presto diventava incubo - ma era anche la prima volta in cui sentiva di aver bisogno che qualcuno accettasse i suoi errori senza giudicarlo.

E forse, coscia di ciò, la giovane smise di agitarsi tra le sue braccia, lasciandosi semplicemente andare al dolore.
 

   
 
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