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Autore: Ksyl    03/03/2020    3 recensioni
PREQUEL di "Surprise Surprise"
Kate Beckett decide di accettare, a sorpresa, di trascorrere il week end negli Hamptons, nella 2x24, e Gina non è mai stata invitata.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Richard Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
Capitoli:
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8

Castle non si diede per vinto. Se Beckett non era al distretto, poteva essere a casa. O forse era ovunque, ma preferiva essere ottimista e sperare di poterla trovare, e vedere, presto. Si fermò a comprare un mazzo di margherite vicino al suo appartamento e la sosta gli servì per calmare i nervi. Non aveva preparato nessun discorso, ma era fermo nel suo proposito di risolvere la questione una volta per tutte. Non si poteva andare avanti così. Lui non avrebbe retto.

Bussò alla porta con il cuore che gli batteva sempre più forte. Con suo grande sollievo sentì dei passi in avvicinamento. La porta si spalancò di colpo. Si trovò a fissare Beckett senza riuscire a dire una parola.
"Castle", ruppe lei il silenzio, sorpresa. "Che cosa ci fai qui?"
Non gli sembrò contenta di vederlo. Prima che trovasse un pretesto per allontanarlo le allungò il mazzo di fiori, in segno di pace. Ma nemmeno questo gesto fu in grado riscaldare l'atmosfera, anche se lei lo accettò senza fare nessuna obiezione.

"Grazie. Sono molto belle", mormorò a fatica. "Vuoi entrare?"
Fu un invito fatto con molta riluttanza, ma lui non se lo fece dire due volte e oltrepassò velocemente la soglia.
"È molto bello qui", le disse guardandosi intorno.
Vide di sfuggita lo specchio che avevano comprato insieme, appoggiato contro una parete, girato. Questo, insieme alla sua sedia scomparsa, non raccontavano una storia confortante. Non si perse d'animo, se la sarebbe giocata dando fondo a tutto il suo fascino, se si fosse reso necessario.
Kate si allontanò per mettere i fiori in un vaso e lui ne approfittò per osservarla meglio. Gli parve più magra del solito, sicuramente più stanca e non esattamente disponibile a un confronto, ma sempre splendida.
Invece di parlarle avrebbe voluto raggiungerla in cucina, abbracciarla e implorarla di non allontanarlo mai più. E tanti saluti al suo fascino.

Lei lo sorprese tornando da lui con due tazze di caffè. Gliene porse una, prima di sedersi nel punto più lontano del divano, raccogliendo le gambe sotto di sé.
"Sei tornato in città?"
"Sì, oggi. Sono passato al distretto, ma visto che non c'eri, ho pensato di venire a vedere il tuo nuovo appartamento".
Che cosa gli prendeva? Sembrava una visita di cortesia a una nuova amica settantenne che aveva appena conosciuto alla tombola.
"Molto gentile da parte tua", gli rispose con tono incolore, continuando a bere il suo caffè. Certo non lo stava aiutando ad alleggerire l'atmosfera, né sembrava avere intenzione di metterlo a suo agio, caffè a parte. Ma forse funzionava così con le amiche della tombola.
"Come stai?", le chiese appoggiando la tazza sul tavolino basso di fronte a lui. L'appartamento gli piaceva davvero. C'era molto di lei, molto più che nel precedente saltato per aria. La ritrovava in ogni dettaglio.
Da lettore accanito avrebbe desiderato alzarsi per leggere i titoli sui dorsi dei libri che aveva disseminato per tutta la casa, ma forse non era il momento giusto.
Era già infastidita dalla sua presenza, ci mancava solo che lo trovasse in bagno a spiare nel suo armadietto dei medicinali.
"Bene. Normale", rispose lei senza guardarlo in faccia. "Tu come stai?"
"Mi sei mancata". Sganciò la bomba che rimase in sospeso tra di loro. Lei lo fissò attonita per un lungo istante, mentre lui cercava nel suo viso la reazione alle sue parole.
Sapeva come erano fatti. Avrebbero potuto andare avanti ore e giorni, guardinghi, senza abbandonare la loro tana, rilanciando ogni volta la palla all'altro. Non ne sarebbero mai usciti. Qualcuno doveva sbloccare la situazione ed esporsi e quel qualcuno era lui. Giochi finiti. Adesso si faceva sul serio.

Lei rimase in silenzio per molto tempo, come se volesse sorvolare sulla sua confessione, ma poi sembrò decidere che se lui aveva messo le sue carte sul tavolo, allora l'avrebbe fatto anche lei.
"Non hai mai telefonato".
"E tu hai tolto la mia sedia al distretto".
"Che cosa c'entra adesso la tua sedia?", replicò brusca.
Era bastato poco per farla alterare. Doveva aver covato per settimane sentimenti poco piacevoli nei suoi confronti. Ecco perché sarebbe stato necessario parlarsi. Ma non era quello che erano abituati a fare. Parlarsi. 
"È così che andrà? Mi taglierai fuori dalla tua vita senza spiegazioni solo perché hai voluto provare un'esperienza che alla fine non ti è piaciuta?", la provocò irato, senza riuscire a controllarsi.
Dio lo perdonasse, non pensava quello che aveva detto. Non del tutto, almeno. E feriva soprattutto se stesso, immaginando che lei avesse gettato senza problemi quello che lui avrebbe invece voluto nutrire e custodire.

Ci volle qualche istante prima che in lei si facesse strada il senso delle accuse che lui le aveva lanciato. Poi si trasformò in una furia sotto i suoi occhi.
"Io ho voluto provare l'esperienza? Io ti ho tagliato fuori dalla mia vita? Ti ha dato di volta il cervello? Se è così che la pensi puoi andartene immediatamente. Non ho intenzione di stare ad ascoltarti" gli vomitò addosso.
"Sei tu a essere cambiata senza motivo. Quel mattino ti sei svegliata ed era tutto diverso".
E gli aveva detto che non c'era nessun noi. La parte più terrificante di tutte.
"Mi spiace molto rovinare questo bel quadretto che ti sei costruito in cui io sono la cattiva, ma se c'è qualcuno che mi ha letteralmente scaricato, quello sei tu".
La guardò con tanto d'occhi. "Sei impazzita?"
"Io non sono impazzita. Forse sei tu ad aver perso la memoria a breve termine", concluse sarcastica.
"Io ricordo tutto benissimo, invece. Siamo stati bene, molto bene e poi, all'improvviso, sei diventata distante, inaccessibile, come se non fosse successo niente tra di noi. O non te ne importasse". Non era così che aveva voluto che andasse il loro incontro, ma almeno si era tolto un enorme peso dalle spalle.
"Castle". La vide far uno sforzo per calmarsi prima di proseguire. "Hai iniziato a parlare di tornare a New York appena ho aperto gli occhi. Mi hai praticamente spinto fuori da casa tua. Questo te lo sei dimenticato Signor 'Io mi ricordo tutto?", gli fece il verso, imitando il suo tono e questo gli fece venire un po' da ridere.
"Il problema quindi è averti chiesto a che ora volessi tornare a casa?". Era tutto lì? Avevano perso cinque settimane di vita perché lui aveva sbagliato a fare una domanda? E cosa c'era poi di sbagliato in quella dannata domanda?
"Ti sembra normale?". Kate era l'espressione stessa della dignità offesa.
"Volevo solo sapere quali fossero i tuoi programmi per la giornata. Non potevo certo legarti e tenerti con me per tutta l'estate. Che, per inciso, era invece quello che volevo fare. Ma mi pare così ovvio che non ha nemmeno senso stare qui a doverlo spiegare". A questo punto era davvero arrabbiato. Avevano smesso di parlarsi per una cosa così idiota? Non poteva essere di certo quella la spiegazione. Doveva esserci dell'altro.

"Kate, non c'è bisogno di inventarti delle scuse", continuò, abbassando la voce. "Posso accettare che tu abbia avuto un ripensamento dopo aver capito che non era quello che volevi. Posso farmene una ragione, basta che me lo dici una volta per tutte e non ti chiudi nei tuoi silenzi di tomba da cui non riesco a tirarti fuori nemmeno strappandomi il sangue".
"Sei davvero convinto che ti abbia sedotto e poi abbandonato? Perché invece non potrebbe essere il contrario?"
Lui fece una risata forzata. "Dai, Kate, è impossibile. Lo sanno tutti...".
"Sanno tutti cosa?", insistette.
Castle fu distratto da un tuono in lontananza, che preannunciava un temporale estivo. L'interruzione gli servì per raccogliere le idee.
"Che non sto al distretto solo per i casi. Che aspetto tutti i giorni la tua telefonata per arrivare di corsa con una tazza di caffè sperando di strapparti un sorriso e che mi sento a casa solo quando mi siedo su quella sedia scomoda. Che tu hai tolto". Era un punto a cui teneva molto.
"Castle, tu non mi hai mai detto queste cose", mormorò sconvolta.
"Dai, Kate, lo vedrebbe anche un cieco", le rispose esasperato. "Inventati un'altra scusa".
"E allora perché mi regali dei fiori bianchi?", gli sbraitò addosso.
Lui la guardò senza capire.
"Cosa vuol dire che ti regalo fiori bianchi? Quali fiori?", chiese facendo fatica a concentrarsi sul nuovo argomento di discussione.
Lei allungò un braccio a indicare i fiori nel vaso: "Le margherite? Bianche. La rosa che mi hai portato in spiaggia? Bianca". Lo guardò come se il suo ragionamento fosse non solo logico, ma anche ovvio e scontato.
Lui aprì la mano che teneva stretta a pugno e mosse le dita intorpidite. "Mi stai dicendo che la base delle nostre incomprensioni è il mio pessimo gusto in ambito floreale?". Per la seconda volta, gli venne da ridere. Dal modo in cui cercava di non mordersi le labbra, era sicuro che stesse venendo da ridere anche a lei. Se ne sentì rincuorato.
"Anche quel tuo vestito che mi ha fatto impazzire era bianco, quindi? C'è qualcosa che non colgo?"
Non le piaceva il bianco? Lo avrebbe fatto scomparire dall'intero universo cromatico, se avesse voluto.

Tornò serio.
"Di cosa stiamo parlando esattamente, qui, Kate? Perché io non ho ancora capito qual è il problema. E non posso provare a risolverlo, se non so di cosa si tratta".
Si interruppe. Ripensò alla sua reazione, a quello che era riuscito a strapparle. Di come si era arrabbiata quando l'aveva accusata di averlo scaricato.
"Quindi... nemmeno tu volevi che finisse così? Non ti sei chiusa in te stessa perché non sapevi come dirmi che non era quello che volevi senza mettermi in imbarazzo?"
Erano stati due idioti. Due completi idioti.
"Certo che no", rispose offesa. "Pensavo che fossi tu a non sapere come affrontare il discorso".
"Io non volevo far altro che riportarti in quel maledetto letto e tenertici per quanto possibile. Però mi sembrava cortese e civile sapere i tuoi piani a riguardo".
"Tu volevi...", farfugliò lei esitante.
"Passare ogni istante del mio tempo con te? Sì. Portarti ogni week end libero negli Hamptons per averti tutta per me? Sì. Comprarti un maledetto specchio al giorno? Sì. Dormire nello stesso letto con te tutte le notti? Sì. Tenerti la mano in silenzio quando non vuoi parlare? Sì".
Non avrebbe saputo che cos'altro inventarsi per convincerla. E perché era tanto difficile farlo?
"Non potevi semplicemente dirmelo?"
"No, non potevo. Perché saresti scappata via spaventata. E perché non lo sapevo nemmeno io fino adesso che l'ho detto ad alta voce".
"Sapere cosa?".
"Che ti amo", rispose semplicemente, guardandola negli occhi finalmente libero e dando un nome a quello che sapeva dentro di sé da mesi, senza avere il coraggio di dirselo.
Lei rimase in silenzio, come se non riuscisse a rendere comprensibile a se stessa quello che aveva sentito e solo dopo un po' di tempo, quando aveva recuperato la padronanza di sé, ritrovò la voce.
"Usciamo", gli disse con tono deciso.
Lui la guardò a bocca aperta. Gesù, quella donna era spiazzante.
"Ma sta per piovere", obiettò.
"Dai, Castle, un po' di pioggia non ha mai ucciso nessuno".

   
 
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