Storie originali > Storico
Ricorda la storia  |      
Autore: AngelCruelty    04/03/2020    5 recensioni
"Storia partecipante al contest "Generi a catena" indetto da Dark Sider sul forum di EFP"
Ragnarr Loðbrók è morto.
Ma Ívarr Ragnarrson è ancora vivo. E ha tutte le intenzioni di dimostrarlo.
Note: Ívarr in questa fanfiction ha una caratterizzazione molto simile a quello della serie tv Vikings, ma i fatti e le descrizioni si basano soprattutto sulla saga "La canzone di Ragnarr"
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Libertà

Ragnarr Loðbrók era morto.

Non era caduto in battaglia come il più prode degli eroi, no.

Ragnarr* era stato prigioniero per giorni, torturato e indebolito fino ad essere trasformato nel più mansueto degli animali. E poi era stato gettato in una fossa di serpenti. Striscianti, velenosissimi, viscidi serpenti.

Dov’era Ragnarr in quel esatto momento? Era stato accettato nel Valhalla? Non era caduto in guerra, ma Ívarr era certo che non si sarebbe mai piegato alle sofferenze e alle pene e che, pertanto, fosse morto con il sorriso in volto. La sua resistenza e la sua forza erano state abbastanza per ricongiungerlo ad Odino?

Un giorno, forse, il primogenito del re danese sarebbe approdato ad Ásgarðr e l’avrebbe scoperto di persona. Ma come poteva pretendere che ciò accadesse? Che lui raggiungesse gli dèi nell’enorme sala del Valhalla quando mentre i suoi fratelli erano lì fuori a vendicare suo padre lui era disteso, inerte, a fissare il cielo terso? In una giornata come quella ci sarebbe dovuta essere una tempesta, i grandi fulmini di Thor avrebbero dovuto squarciare il cielo e gli stormi di corvi di Loki avrebbero dovuto bucare le nuvole gracchiando e assordando i timpani dei malcapitati terrestri. E invece no. C’era un cielo celeste sopra le loro teste e lui, lasciato lì a crogiolarsi nell’attesa del ritorno dei suoi fratelli e gran parte dell’esercito, era costretto a guardarlo. C’erano persone intorno a lui, ma non gli badavano, timorose di dover affrontare la sua ira. Tutti sapevano che dentro quella corazza abbandonata a terra c’era un’anima intrappolata che non voleva altro che uscire fuori, battersi e guadagnarsi il solo e unico “paradiso” in circolazione. Era come se qualcuno avesse dimenticato la propria armatura sul terreno e se ne fosse andato in battaglia senza, perché una parte di Ívarr era al fianco di Hálfdan e Ubbe, spada sguainata e scudo alla mano. Ma quella parte di lui che invece era rimasta lì, ancorata al terreno da gambe senza ossa, non faceva che emettere grida strazianti di dolore, rabbia e persino invidia. I suoi fratelli avrebbero avuto vendetta, e lui no…

Come dal nulla, dalle bianche nuvole che cospargevano cielo sembrò formarsi una dama bianca.
Ívarr stava proprio per pronunciare il nome di Freia, quando si rese conto che quella figura candida e rassicurante era in verità sua madre.

Áslaug la volva* lo guardò con un sorriso rassicurante e parlò. Ciò che disse risuonò nelle orecchie dell’uomo con tono delicato, dolce, cullante. Ma il significato di quella parola gli serrò una morsa alla gola che lo portò a emettere un nuovo urlo di frustrazione. La sua mente gli stava forse giocando brutti scherzi? Sembrava che persino gli dèi e la sua stessa madre lo volessero prendere in giro. Ívarr, il mezzo vichingo… Era adesso un mezzo vichingo senza padre. Quello sarebbe dovuto essere il suo più grande momento di gloria, quello in cui l’eredità di suo padre veniva consegnata nelle sue mani. Non l’eredità materiale fatta di tesori accumulati con le razzie, e nemmeno di pezzi di terra conquistate con il sangue. L’eredità di Ragnarr Loðbrók era molto di più: era il suo nome, era la sua fama e la sua gloria.
Ívarr Ragnarsson non riuscì più a sopportare la vista di tale calma e spensieratezza. Fu assalito da un montare di delusione, paura, rabbia e incertezza che lo spinsero a voltarsi. L’uomo si ritrovò supino, si tirò su con le possenti braccia e guardò le sue mani sporche sul terreno.
Quelle mani avevano soffocato, spezzato, graffiato. Quelle mani erano uno dei pochi mezzi che aveva per sopravvivere. Sempre più amareggiato, si trascinò a grandi falcate fin sotto l’ombra di un albero, facendo leva sulle sue sole braccia. Arrivato a destinazione, con il fiato corto, si accasciò a terra e cadde addormentato, stremato dalla sua stessa ira implacabile. Durante il sonno però, non trovò la pace che sperava: sognò nuovamente sua madre e quella parola tanto bramata quando odiata.
*
Fu svegliato dal baccano che fece il battaglione in rientro. I rumori delle asce strusciate a terra, le urla dei feriti e i comandi di Ubbe abbaiati a destra e a manca gli ricordarono quello che stava succedendo fuori dalla sua testa. Subito si destò e, con camminando con gli arti superiori, raggiunse gli altri figli di Ragnarr.
Non capì molto di quel che accadde in seguito, se non che, con grande disprezzo nella voce, Hálfdan gli comunicò che avevano fallito.

Dapprima, Ívarr fu invaso da un forte senso di impotenza e rabbia. Era la stessa che ormai era solito conoscere, ma stavolta era diretta soprattutto verso Aelle: colui che aveva osato uccidere il grande Ragnarr Loðbrók. Con espressione inorridita abbassò lo sguardo, dove incontrò ancora le sue stesse mani luride. Mani con unghia nere, pelle lisa e muscoli possenti. I suoi punti di forza… le sue mani e la sua grande mente.
Con un impeto di inaspettata gioia scoppiò a ridere.
Ecco cos’era venuta ad annunciare sua madre.

‘Libertà’, era la parola che più volte gli aveva sussurrato, quasi con il terrore di fare del male a lui che non l’aveva mai conosciuta.

‘Libertà’… una parola che aveva sempre odiato perché a lui preclusa. Fino a pochi attimi prima gli era sembrata una lama che si faceva strada nelle sue carni. Ma adesso…
Sua madre gli era apparsa per dirgli che i suoi fratelli avrebbero fallito, che la loro forza non era niente in confronto alla sua.
Lui, Ívarr Ragnarsson, con la sua arguzia e le sue indomite braccia, avrebbe avuto successo dove gli altri figli di Ragnarr avevano fallito.
Il Senz’Ossa avrebbe costruito la propria libertà dal nulla, sfuggendo ad un corpo ostile, così come aveva fatto il gigante di ghiaccio nell’innalzare le mura di Ásgarðr.

Mentre rideva, Ívarr non si curò degli sguardi esterrefatti dei presenti e si lasciò cadere a terra ancora una volta. Rivolse lo guardo al cielo e lì trovò sua madre a sorridergli.
‘Libertà’, era la parola che più volte gli aveva sussurrato.
Ívarr ricambiò il sorriso. 
 

 

*Volva: strega della cultura norrena

Note Autrice: L’ Ívarr qui descritto è ispirato a quello della serie tv Vikings, ha infatti alcuni caratteri in comune con il personaggio novellato della serie: rapporto morboso con la madre, sensazione di frustrazione che lo porta ad essere perennemente arrabbiato, grande intelligenza. Come nella saga “Racconto dei figli di Ragnarr” però, ha una forza immane nelle braccia, ed è a queste fonti storiche, sebbene esagerate e compromesse dalle convinzioni mitologiche e religiose del tempo, che la presente storia si ispira. Si narra infatti che i fratelli di Ívarr mossero subito guerra ad Aelle ma furono sconfitti. Allora Ívarr negoziò con il famoso trucco della ‘pelle di bue’, ovvero reagì con l’astuzia. Così come si prevede nella parte finale della fanfiction.
  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: AngelCruelty