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Autore: RedeNetele    06/03/2020    2 recensioni
A quasi ventinove anni, Anna si trova di fronte a una scelta: lasciare la sua vecchia vita per ottenere un lavoro oppure rimanere disoccupata. Anche se a malincuore, Anna lascia Lorenzo, il suo ragazzo, e si trasferisce a più di duecento chilometri di distanza, nella città che l'ha vista crescere, dove l'aspetta un posto come impiegata nell'ospedale cittadino.
La vita da single è più difficile del previsto, soprattutto se a complicare le cose ci si mettono un vicino di casa ostile, irritante e con due occhi di ghiaccio e il suo cane-killer costantemente a caccia dei gatti di Anna. Ma chissà che non sia proprio Yaroslav, levriero apparentemente bipolare, ad alleviare la solitudine di Anna e a farle vedere sotto una nuova luce anche lo scostante Oleksander?
Ma l'imprevisto è sempre dietro l'angolo e, quando Lorenzo si dimostrerà più tenace del previsto, Anna dovrà fare i conti con l'amore, un sentimento che non ha mai compreso fino in fondo.
Una storia di umani, cani e mostri da sconfiggere.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Uhm. Anna afferrò il blazer nero che aveva appena indossato e se lo sistemò meglio sulle spalle. Non era del tutto convinta del suo outfit. Forse dovrei rimettermi i jeans e farla finita, considerò, osservando con occhio critico il miniabito nero che aveva scelto di indossare sotto la giacchetta dal taglio elegante.

Era forse un abbigliamento troppo formale per un aperitivo in centro in compagnia di un paio di amiche? Ex-amiche, le ricordò il suo inconscio. Vecchie amiche! Si corresse subito dopo, risoluta. Vecchie amiche con le quali sono stata costretta a interrompere i rapporti, ma che ho ogni intenzione di tornare a frequentare con profitto.

Un'occhiata veloce all'orologio le rivelò che aveva perso fin troppo tempo davanti allo specchio. Dopotutto, questo vestito va benissimo, decise, afferrando gli occhiali dal comodino e infilandoseli sul naso. In fin dei conti è troppo corto per essere considerato formale.

Dopo essersi sistemata i capelli attorno alla montatura metallica degli occhiali, Anna corse in cucina e riempì le ciotole delle gatte. «Io esco, signorine!» le informò, riponendo le crocchette nell'armadio. «Sasà, non mangiarti pure la razione di tua sorella!»

Cinque minuti più tardi era in macchina e guidava lungo le strade che un tempo le erano state familiari. C'era il suo vecchio asilo là, dietro la curva. Quante volte aveva percorso quella strada, stringendo la mano di sua madre? Sì, però sono sicura che un tempo questa via non fosse a senso unico, pensò infastidita la ragazza, svoltando bruscamente in una strada laterale. Era strano scoprire di non essere più in grado di orientarsi nella città che anni prima era stata la sua casa.

Quando giunse nei pressi del piccolo centro storico che costituiva il cuore di Lanzate, Anna parcheggiò in uno dei pochi posteggi gratuiti che riuscì a scovare e poi si avviò di buon passo verso il Caffé Excalibur, facendo del proprio meglio per ignorare il tremolio alle gambe che le rendeva difficile camminare. Osservò con occhi curiosi gli antichi palazzi che la circondavano, le poche botteghe storiche che avevano resistito alla carica della modernità e le molte catene di abbigliamento e di biancheria intima che le avevano in molti casi sostituite.

Questa pasticceria me la ricordo! Esultò la giovane, soffermandosi per qualche istante davanti a una vetrina che esibiva dolciumi di ogni tipo. Proprio in quell'istante, il cellulare vibrò e Anna si affrettò a pescarlo dalla borsetta.

“Noi siamo qui” citava il messaggio che Sabrina le aveva inviato via Facebook.

Oh, porca vacca! Si rabbuiò la ragazza, allontanandosi dalla vetrina. Non ci vediamo da anni e io riesco ad arrivare in ritardo la prima volta che decidiamo di uscire insieme!

A quell'ora il locale presso il quale si erano date appuntamento era piuttosto affollato. Il sole era basso, ma illuminava ancora la piazza e i tavolini esterni accoglievano un buon numero di avventori intenti a sorseggiare spritz e calici di vino. Anna si fermò a qualche metro di distanza dal tavolo più lontano dall'ingresso e scrutò l'ambiente circostante. Perché non ci è venuto in mente di scambiarci i numeri di telefono? Si chiese, schermandosi gli occhi con le mani per evitare che il riflesso del sole sulle lenti degli occhiali l'abbagliasse.

Dopo qualche secondo, una testa bionda attirò la sua attenzione: apparteneva a una ragazza alta, avvolta in uno spolverino rosso che le fasciava il corpo morbido. Quando la vide, Anna sentì che il suo cuore accelerava i battiti. Sabrina! Anche se non stava guardando nella sua direzione, non c’era il minimo dubbio che quella era proprio la sua amica.

Stringendo istintivamente a sé la borsetta – una sorta di tic che la coglieva ogni volta che si sentiva nervosa – Anna zigzagò tra i tavolini. Quando si trovava a pochi passi dalla ragazza bionda, quella si voltò verso di lei e la guardò con aria interrogativa. Poi, lentamente, sul suo viso si disegnò un sorriso.  «Anna?» chiese, con gli occhi azzurri che brillavano come zaffiri.

Anche se erano molti anni che non sentiva la sua voce, la riconobbe subito. «Ciao!» disse, con la voce che, per l’emozione, le si strozzava in gola.

Sabrina lanciò una specie di gridolino di entusiasmo. «Ma ciao!» strillò, prima di gettarle le braccia al collo e abbracciarla con forza. «Oddio, non ci credo! Sei davvero qui!»

Mezza soffocata dallo slancio dell’amica, Anna le batté un paio di colpetti sulla schiena e poi cercò di ritrarsi quel tanto che bastava per prendere fiato e per parlare senza annegare nella giacca di Sabrina. «Eh, sì! Alla fine sono tornata.»

L’altra ragazza sciolse l’abbraccio e si allontanò di un mezzo passo. «Non ci avrei mai sperato» commentò, esaminandola da capo a piedi. «Oddio, che bello!» squittì, allungando una mano e afferrando quella della giovane bruna. «Dai, vieni dentro che Esther ci sta aspettando: con ‘sto casino, l’ho lasciata di guardia a un tavolo, altrimenti ce l’avrebbero fregato da sotto il naso.»

Anna si lasciò guidare all’interno del locale, dispensando sorrisi ai due o tre camerieri che incrociò lungo la via. È Esther, quella?  Si chiese meravigliata, quando vide la ragazza seduta al tavolino verso cui Sabrina la stava conducendo. Nella sua memoria l’amica era una bimbetta grassoccia e con gli occhiali spessi, assolutamente diversa dalla giovane donna che ora le stava sorridendo calorosamente: gli occhiali erano spariti, così come i chili di troppo, e, quando si alzò in piedi per accoglierla, vide che era decisamente più alta di lei. Solo le treccine erano rimaste, anche se tra le ciocche nere ne erano comparse molte blu.

«Anna!» esclamò la ragazza, allungandosi al di sopra del tavolino per abbracciarla. «Sei rimasta praticamente uguale a quando eri piccola!»

La giovane bruna ridacchiò. «Vuoi dire che dimostro ancora sei o sette anni? Be’, grazie!»

Esther le pinzò una guancia con due dita. «Ma no! Sto solo dicendo che si capisce che sei tu… non sei cambiata molto.»

Anna la studiò con occhio critico. «Tu invece sì. Dove sono finiti gli occhiali?»

Esther si abbassò la palpebra inferiore con un indice e con l’altro si indicò l’occhio. «Sono i miracoli delle lenti a contatto, mia cara. Tu non ci hai mai provato?»

Anna rabbrividì. «No, no, per carità! Mi fa impressione solo l’idea di infilarmi un dito in un occhio…»

Sabrina le posò una mano sulla schiena e la sospinse verso una delle sedie libere. «Dai, sediamoci, che qui ingombriamo!» Quando si furono sistemate, la ragazza bionda allungò una mano verso la lista dei cocktail. «Cosa ordiniamo?» chiese, rivolta alle amiche.

«Io vado sul classico» decise Anna, senza nemmeno dare un’occhiata all’elenco di bevande. «Prendo uno spritz.»

«Mi sa che ti imito» si accodò Esther. «È un secolo che non ne bevo uno…»

Con un cenno della mano, Sabrina bloccò una cameriera di passaggio. «Due spritz per le mie amiche e un mojito per me, per favore.»

Quando ebbe ordinato, si sporse verso Anna e la fissò con un gran sorriso sulle labbra rosse. «Sei consapevole del fatto che in poco meno di un’ora dovrai farci un riassunto dei tuoi ultimi vent'anni di vita, vero?»

Anna abbassò gli occhi, leggermente a disagio: non amava parlare di sé anche perché, in effetti, la sua vita non era stata particolarmente entusiasmante fino a quel momento. «Sì, be’, non è che ci sia molto da dire…»

«Com'è che si chiamava, già, il posto in cui vi siete trasferite?» le chiese Esther.

«Villanuova. Carino… poco più grande di Lanzate. Pieno zeppo di zanzare, se vi interessa saperlo.»

«Ah, be’, di zanzare ce ne sono un mucchio anche qui, adesso» ribatté Sabrina. «Davvero… quando eravamo bambine mi beccavo una o due punture a settimana, adesso mi sembra che girino in stormi.»

«Ho notato» borbottò Anna. «Una mi ha punta anche ieri…»

«Sei tornata da molto?» indagò ancora Esther.

«Mah, da qualche settimana» replicò l’altra. «Ho da poco preso in affitto un appartamento, prima stavo da mia zia, la sorella di mia mamma.»

Sabrina appoggiò il mento su una mano e la osservò con grande attenzione. «Ma quindi sei tornata solo per lavoro?»

«Be’, ecco…» Anna esitò, chiedendosi se il posto di lavoro all’ospedale fosse veramente l’unica ragione per cui aveva deciso di tornare a Lanzate. «Principalmente sì, sono tornata perché avevo bisogno di lavorare. Poi, certo, ho sempre pensato a Lanzate come a casa mia. A Villanuova mi sono trovata bene, però mi sono sempre sentita un po’ una straniera: non so se riuscite a capirmi.»

Esther le rivolse un sorriso storto. «Sì, credo proprio di riuscire a capirti.»

La ragazza bruna si sentì arrossire. «Oh… be’, certo, in effetti…» Ho fatto una gaffe? Si chiese.

«E quindi sei qui da sola?» la interrogò ancora Sabrina, cambiando argomento e chiudendo quella parentesi leggermente imbarazzante.

«Ho le mie due gatte» scherzò Anna.

«Nessun fidanzato?» chiese Esther, insinuante.

«E che palle!» sbottò scherzosamente la ragazza bionda. «Non è che perché tu sei sposata con l’uomo dei tuoi sogni, allora devono essere tutte accasate!»

«Chiedo solo!» si difese l’altra giovane. «Sono curiosa!»

«Niente ragazzo» ridacchiò Anna, prima di incupirsi. «In realtà ce l’avevo fino a poco tempo fa. Siamo stati insieme per diversi anni e avevamo anche intenzione di andare a vivere insieme. Poi, però, è saltato fuori questo lavoro qui a Lanzate e lui ha deciso di non seguirmi.»

«Ah… mi dispiace» mormorò Esther. «Non potevate provare ad avere una relazione a distanza? A volte funzionano…»

Anna scosse amaramente la testa. «Non eravamo nella situazione per tentare di restare insieme nonostante la distanza. Prima lui sembrava d’accordo sul fatto che io venissi qui, poi ha cambiato idea all’ultimo minuto. La sera in cui ci siamo lasciati ci siamo detti delle cose pesanti e… non credo che potremo aggiustare le cose.»

«Ma tu vorresti farlo?» le chiese Sabrina.

Anna esitò. Non era certa di sentirsela di condividere dei dettagli così intimi della sua vita con delle persone che non vedeva da tanti anni, ma forse quella era l’occasione giusta per affrontare un argomento che la turbava più di quanto lei stessa volesse ammettere. Forse parlarne con qualcuno mi farà bene, decise. «Non lo so. A volte mi manca, però non sto davvero male per lui. Mi sento sola, ma forse è una cosa che non è tanto legata alla rottura con Lorenzo, quanto al fatto che questo trasferimento ha sconvolto la mia vita. E, comunque, ormai sono diversi giorni che nemmeno lui mi cerca più.»

«Prima ti cercava?» fece ancora la ragazza bionda.

Anna sbuffò. «Sì. Mi tempestava di chiamate e di messaggi che nemmeno leggevo. E poi, di punto in bianco… puff, è svanito nel nulla.»

Esther arricciò il naso. «Eh, be’, magari non ha nemmeno tutti i torti: se tu non lo filavi di striscio…»

«Ma sì, infatti non sto dicendo che ha fatto male. La cosa mi ha lasciato un po’ così, ma ormai è acqua passata: si guarda avanti!»

«Ben detto!» esclamò Esther, battendo un palmo sul tavolo e facendo sussultare la cameriera che si stava avvicinando con le loro ordinazioni. «Sarà scontato, ma quando si chiude una porta, si apre un portone.»

«Sì?» sorrise Anna.

«Ma certo. Fino a un paio di anni fa io stavo insieme a un bastardo. Proprio un soggetto pessimo, credimi» disse l’altra, giocherellando con una treccina blu. «Il fatto è che ero talmente condizionata da lui che nemmeno riuscivo a lasciarlo, benché non ne potessi davvero più delle sue stronzate. Poi un giorno sono andata in banca per lavoro e ho conosciuto Michele. Abbiamo iniziato a frequentarci e nel giro di un mese ho trovato il coraggio di lasciare il mio ex. E dopo sei mesi eravamo sposati.»

«E adesso hai un bimbo» commentò Anna con una punta di ammirazione mista a invidia.

«Una bimba» la corresse la sua amica. «Frida. Eccola qui!»

Così dicendo, Esther le allungò il cellulare. Sullo schermo faceva bella mostra di sé la foto di una bimbetta di un anno o poco più, con la pelle color caffellatte, un cespo di capelli scuri e brillanti occhi neri. Rideva felice con la faccia impiastrata con un’inquietante poltiglia beige. «Che carina!» esclamò Anna, sincera.

«Già» convenne Esther col volto splendente d’orgoglio. «Comunque era solo per dire che secondo me fai bene a non continuare a tormentarti per quel tipo, se sei convinta di voler andare avanti: se ti guardi in giro, nel giro di poco troverai qualcun altro.»

«O magari hai già messo gli occhi su qualcuno?» si intromise Sabrina. «Magari un collega?»

Anna sbuffò. «Non direi proprio: negli uffici in ospedale siamo praticamente tutte donne. E i pochi uomini che ci sono hanno almeno cinquant’anni.»

«Allora forse un vicino di casa?» tentò ancora la ragazza bionda. «O qualcuno che viene in palestra con te, se vai in palestra?»

Anna alzò gli occhi al cielo. «Non vado in palestra e il mio vicinato lascia piuttosto a desiderare: annoveriamo un cinquantenne con la pancia, due adolescenti disagiati, un ultraottantenne e uno stronzo con il macchinone. Ci sarebbe un tipo caruccio, ma è sposato e c’ha pure una figlia. In poche parole, la desolazione totale.»

«Mh» commentarono all’unisono le altre due ragazze.

«In ogni caso», continuò Anna, «al momento sento di star bene anche da sola. È vero, tornare a casa e trovare l’appartamento vuoto è un po’ triste, ma ora come ora non ho proprio la forza di iniziare una nuova storia con qualcuno che non sia Lorenzo: mi ci vuole un periodo di calma e tranquillità.»

«Ma sì» approvò Sabrina. «Pure io sono single; e ci sto benissimo!»

Esther le rivolse un’occhiata in tralice. «Sei single?» le chiese con un mezzo sorriso. «Sicura-sicura?»

La ragazza bionda aspirò una generosa quantità di mojito. «Diamine!» sbottò poi. «Penso proprio che me ne accorgerei, se mi vedessi con qualcuno.»

L’amica si sporse verso di lei. «E che mi dici di tutti quei messaggini che continui a ricevere da un paio di settimane a questa parte? Credi che non me ne sia accorta?»

Sabrina arrossì e Anna si reclinò contro lo schienale della sedia, osservando le due ragazze. Un tempo erano state un terzetto, ma ora c’era innegabilmente un legame speciale tra Esther e Sabrina: era una relazione a due dalla quale lei era esclusa. Almeno per ora, si disse, determinata a non perdersi d’animo. Ora che le aveva ritrovate, aveva tutte le intenzioni di tornare a frequentarle: grazie a loro, sarebbe riuscita e mettere nuove radici in quella città. O almeno intendo fare del mio meglio perché questo avvenga.

«Fatti gli affari tuoi» borbottò Sabrina, rispondendo alla frecciatina dell’amica. «È un tizio che ho conosciuto attraverso certi giri di mio cugino. Ci sentiamo solo ed esclusivamente perché gli servono certe informazioni…»

«Uh, che cosa misteriosa» commentò sarcastica Esther, punzecchiando con la punta della cannuccia la fettina di arancia che il barista aveva infilato nel suo bicchiere.

La giovane bionda le puntò addossò uno sguardo fintamente minaccioso e indicò con un dito il drink che Esther non aveva ancora toccato. «Bevi, va’!» le intimò. «E smettila di ficcare il naso negli affari altrui.»

Per tutta risposta, l’altra si lasciò andare a una risatina che non prometteva niente di buono e si rovesciò in bocca una manciata di noccioline.

♥♥♥

Quando parcheggiò di fronte a casa – a una distanza di sicurezza dall’odiata Audi nera – erano ormai quasi le undici. Quello che avrebbe dovuto essere solo un aperitivo si era trasformato poi in una pizza e poi in un dopo-cena in un barettino dalla deliziosa atmosfera bohème. Solo lei e Sabrina, però, perché Esther era ben presto dovuta scappare a casa da marito e figlioletta, della quale sentiva già la mancanza.

La maternità rincoglionisce le persone, si disse, ricordando la telefonata che l’amica aveva fatto a una bambina che quasi certamente non era nemmeno in grado di capire che la voce della madre proveniva dal telefono.

Barcollando leggermente, Anna rotolò fuori dal Panda, cercando di trovare il proprio equilibrio sui tacchi che fino a una mezz’oretta prima non le erano sembrati così alti. Porca vacca, mi sa che ho un po’ esagerato con gli alcolici. L’ultimo giro me lo potevo anche evitare.

Che poi, lei non era più abituata a bere. Quando usciva con Lorenzo, si concedeva al più una birra (che era anche la cosa che più le piaceva) o al massimo un cocktail non troppo forte. Ma non so perché, ho come l’impressione che Sabry mi condurrà sulla cattiva strada, se glielo permetto.

Giunta di fronte al cancello d’ingresso, la ragazza iniziò a frugare nella borsetta. Dove cavolo sono finite le chiavi di casa? Scuotendo l’intera borsa le sentiva tintinnare, ma quel maledetto affare era un dedalo di tasche, taschine e rientranze e trovare qualcosa al suo interno era meno facile di quanto si potesse pensare. Mi servirebbe una luce…

Proprio mentre formulava quel pensiero, il cancello si aprì davanti ai suoi occhi. Miracolo! Pensò Anna, prima di realizzare che di miracolo non si trattava. Il cane-coccodrillo! Comprese, immobilizzandosi nell’atto di infilare una mano nell’ennesimo taschino laterale della borsa. Il muso bianco di Yaroslav le arrivava all’altezza dell’ombelico e lei era terribilmente consapevole che, se avesse deciso di alzarsi sulle zampe posteriori, il cane avrebbe in tutta tranquillità potuto morderle il naso. O anche le orecchie.

«Ehm.» Deglutendo, la ragazza retrocedette di mezzo passo, a malapena consapevole che dietro all’animale era comparso anche il padrone – colui che, evidentemente, aveva aperto il cancello al posto suo. Yaroslav la seguì come in trance e poi le spinse il naso nella pancia, annusandola come se la trovasse qualcosa di estremamente interessante. «Ehi, ehi!» protestò lei, portano istintivamente le mani sulla testa dell’animale. Solo allora ricordò che era buona regola non toccare il capo di un cane sconosciuto, ma Yaroslav non parve prendersela. Le sue orecchie ebbero un fremito e il cane prese ad annusarla, mentre la lunga coda vaporosa iniziava a ondeggiare.

Però, che pelo morbido, pensò la ragazza, tastando con le dita la pelliccia setosa che copriva le orecchie dell’animale. Improvvisamente, la situazione non le pareva più tanto pericolosa. «Un grattino?» gli propose, piegando le dita all’attaccatura dell’orecchio sinistro. Per tutta risposta, Yaroslav inclinò il capo verso la sua mano, socchiudendo gli occhi con aria chiaramente soddisfatta.

L’idillio venne spezzato da un tossicchiare impaziente. «Possiamo andare?» chiese Oleksander, tirando appena il guinzaglio collegato al collare dell’animale.

A malincuore, il cane si staccò da Anna e voltò il muso per osservare il padrone. Se non fosse stato impossibile, la ragazza avrebbe giurato che sui suoi lineamenti canini fosse comparsa un’espressione di rimprovero. Sentendosi stranamente leggera, la giovane si appoggiò al muro accanto al cancelletto e inclinò il capo all’indietro per incontrare lo sguardo dell’uomo. «E dove andate a quest’ora?»

«Il cane deve fare la pipì» la informò lui. «Non gliela faccio fare in giardino.»

«Ah» commentò Anna, trovando l’informazione stranamente affascinante. E dove lo portava? Nelle aiuole praticamente inesistenti? Nei boschi poco distanti? O magari lo fa pisciare sulle macchine? Sulla mia, scommetto!

La ragazza fece per staccarsi dal muro, ma l’equilibrio la tradì e lei barcollò più del dovuto. Oleksander, che si stava allontanando, si fermò e le lanciò un’occhiata sospettosa. «E tu cosa ci fai in giro a quest’ora, invece?»

Anna si produsse in una risatina sprezzante. «A quest’ora?» gli rifece il verso. «Sono appena le undici! Sono uscita con un paio di amiche che non vedevo da un sacco di tempo.»

Sul volto dell’uomo comparve un’espressione di sufficienza. «Sei ubriaca, vero?»

Lei fece le spallucce. «Forse un pochetto» ammise. «Anzi, no: sono solo un pochino alticcia.»

«Quindi hai guidato in queste condizioni?» fece lui, guardandola con sdegno. «Dov’è che hai lasciato il tuo macinino? Lontano dalla mia macchina, spero.»

«In realtà l’ho messa vicina vicina alla tua» sghignazzò Anna, trovando la conversazione estremante divertente. «Mentre parcheggiavo ho sentito un rumoraccio: controlla un po’, va’, che non vorrei aver fatto qualche danno.»

«Ridi pure» ribatté lui tra i denti. «Se la trovo rigata, so a chi chiedere i danni. Buona serata.» Così dicendo, tirò di nuovo il guinzaglio di Yaroslav, convincendolo a muoversi in direzione del parcheggio.

Anna non trattenne un gran sorriso. «Ciao, ciao» ridacchiò. Stava andando veramente a controllare, l’idiota!

Soddisfatta per il modo in cui si era conclusa la sua serata, la ragazza fece per dirigersi verso il suo appartamento, quando la voce di Oleksander, ormai fuori dalla sua portata visiva, la raggiunse per l’ultima volta. «Dimenticavo: complimenti per il vestito!»

Allarmata da quell’osservazione, Anna abbassò lo sguardo sul proprio corpo e vide che il tubino che indossava sembrava assai più corto di quanto non ricordasse. Doveva essere risalito attorno a i fianchi quando si era faticosamente issata fuori dall’auto e adesso non era più lungo di una maglietta oversize. Eh, be’! Pensò stizzita. Cos’ha da guardare, ‘sto porco?

Strattonando la stoffa elasticizzata sopra le cosce, la ragazza rinunciò a ribattere e tornò a dirigersi verso la porta di casa. Dopotutto, devo ancora trovare le dannatissime chiavi!

 

   
 
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