Uhm.
Anna afferrò il blazer nero
che aveva appena indossato e se lo sistemò meglio sulle
spalle. Non era del
tutto convinta del suo outfit. Forse
dovrei rimettermi i jeans e
farla finita, considerò,
osservando con occhio critico il miniabito
nero che aveva scelto di indossare sotto la giacchetta dal taglio
elegante.
Era
forse un abbigliamento troppo
formale per un aperitivo in centro in compagnia di un paio di amiche? Ex-amiche,
le ricordò il suo inconscio. Vecchie amiche!
Si corresse subito dopo,
risoluta. Vecchie amiche con le quali sono stata costretta a
interrompere i
rapporti, ma che ho ogni intenzione di tornare a frequentare con
profitto.
Un'occhiata
veloce all'orologio le
rivelò che aveva perso fin troppo tempo davanti allo
specchio. Dopotutto,
questo vestito va benissimo, decise, afferrando gli occhiali
dal comodino e
infilandoseli sul naso. In fin dei conti è troppo
corto per essere
considerato formale.
Dopo
essersi sistemata i capelli
attorno alla montatura metallica degli occhiali, Anna corse in cucina e
riempì
le ciotole delle gatte. «Io esco, signorine!» le
informò, riponendo le
crocchette nell'armadio. «Sasà, non mangiarti pure
la razione di tua sorella!»
Cinque
minuti più tardi era in
macchina e guidava lungo le strade che un tempo le erano state
familiari. C'era
il suo vecchio asilo là, dietro la curva. Quante volte aveva
percorso quella
strada, stringendo la mano di sua madre? Sì,
però sono sicura che un tempo
questa via non fosse a senso unico, pensò
infastidita la ragazza, svoltando
bruscamente in una strada laterale. Era strano scoprire di non essere
più in
grado di orientarsi nella città che anni prima era stata la
sua casa.
Quando
giunse nei pressi del piccolo
centro storico che costituiva il cuore di Lanzate, Anna
parcheggiò in uno dei
pochi posteggi gratuiti che riuscì a scovare e poi si
avviò di buon passo verso
il Caffé Excalibur, facendo del proprio
meglio per ignorare il tremolio
alle gambe che le rendeva difficile camminare. Osservò con
occhi curiosi gli
antichi palazzi che la circondavano, le poche botteghe storiche che
avevano
resistito alla carica della modernità e le molte catene di
abbigliamento e di
biancheria intima che le avevano in molti casi sostituite.
Questa
pasticceria me la ricordo!
Esultò la giovane, soffermandosi
per qualche istante davanti a una vetrina che esibiva dolciumi di ogni
tipo.
Proprio in quell'istante, il cellulare vibrò e Anna si
affrettò a pescarlo
dalla borsetta.
“Noi
siamo qui” citava
il messaggio che Sabrina le
aveva inviato via Facebook.
Oh,
porca vacca!
Si rabbuiò la ragazza,
allontanandosi dalla vetrina. Non ci vediamo da anni e io
riesco ad arrivare
in ritardo la prima volta che decidiamo di uscire insieme!
A
quell'ora il locale presso il
quale si erano date appuntamento era piuttosto affollato. Il sole era
basso, ma
illuminava ancora la piazza e i tavolini esterni accoglievano un buon
numero di
avventori intenti a sorseggiare spritz e calici di
vino. Anna si fermò a
qualche metro di distanza dal tavolo più lontano
dall'ingresso e scrutò
l'ambiente circostante. Perché non ci è
venuto in mente di scambiarci i
numeri di telefono? Si chiese, schermandosi gli occhi con le
mani per
evitare che il riflesso del sole sulle lenti degli occhiali
l'abbagliasse.
Dopo
qualche secondo, una testa
bionda attirò la sua attenzione: apparteneva a una ragazza
alta, avvolta in uno
spolverino rosso che le fasciava il corpo morbido. Quando la vide, Anna
sentì
che il suo cuore accelerava i battiti. Sabrina!
Anche se non stava
guardando nella sua direzione, non c’era il minimo dubbio che
quella era
proprio la sua amica.
Stringendo
istintivamente a sé la
borsetta – una sorta di tic che la coglieva ogni volta che si
sentiva nervosa –
Anna zigzagò tra i tavolini. Quando si trovava a pochi passi
dalla ragazza
bionda, quella si voltò verso di lei e la guardò
con aria interrogativa. Poi,
lentamente, sul suo viso si disegnò un sorriso.
«Anna?» chiese, con gli occhi azzurri
che brillavano come zaffiri.
Anche
se erano molti anni che non
sentiva la sua voce, la riconobbe subito. «Ciao!»
disse, con la voce che, per
l’emozione, le si strozzava in gola.
Sabrina
lanciò una specie di
gridolino di entusiasmo. «Ma ciao!»
strillò, prima di gettarle le braccia al
collo e abbracciarla con forza. «Oddio, non ci credo! Sei
davvero qui!»
Mezza
soffocata dallo slancio
dell’amica, Anna le batté un paio di colpetti
sulla schiena e poi cercò di
ritrarsi quel tanto che bastava per prendere fiato e per parlare senza
annegare
nella giacca di Sabrina. «Eh, sì! Alla fine sono
tornata.»
L’altra
ragazza sciolse l’abbraccio
e si allontanò di un mezzo passo. «Non ci avrei
mai sperato» commentò,
esaminandola da capo a piedi. «Oddio, che bello!»
squittì, allungando una mano
e afferrando quella della giovane bruna. «Dai, vieni dentro
che Esther ci sta
aspettando: con ‘sto casino, l’ho lasciata di
guardia a un tavolo, altrimenti
ce l’avrebbero fregato da sotto il naso.»
Anna
si lasciò guidare all’interno
del locale, dispensando sorrisi ai due o tre camerieri che
incrociò lungo la
via. È Esther, quella? Si
chiese
meravigliata, quando vide la ragazza seduta al tavolino verso cui
Sabrina la
stava conducendo. Nella sua memoria l’amica era una bimbetta
grassoccia e con
gli occhiali spessi, assolutamente diversa dalla giovane donna che ora
le stava
sorridendo calorosamente:
gli
occhiali erano spariti, così come i chili di troppo, e,
quando si alzò in piedi
per accoglierla, vide che era decisamente più alta di lei.
Solo le treccine
erano rimaste, anche se tra le ciocche nere ne erano comparse molte
blu.
«Anna!»
esclamò la ragazza, allungandosi al di sopra del tavolino
per abbracciarla.
«Sei rimasta praticamente uguale a quando eri
piccola!»
La
giovane bruna ridacchiò. «Vuoi dire che dimostro
ancora sei o sette anni? Be’,
grazie!»
Esther
le
pinzò una guancia con due dita. «Ma no! Sto solo
dicendo che si capisce che sei
tu… non sei cambiata molto.»
Anna
la
studiò con occhio critico. «Tu invece
sì. Dove sono finiti gli occhiali?»
Esther
si
abbassò la palpebra inferiore con un indice e con
l’altro si indicò l’occhio.
«Sono i miracoli delle lenti a contatto, mia cara. Tu non ci
hai mai provato?»
Anna
rabbrividì. «No, no, per carità! Mi fa
impressione solo l’idea di infilarmi un
dito in un occhio…»
Sabrina
le posò una mano sulla schiena e la sospinse verso una delle
sedie libere.
«Dai, sediamoci, che qui ingombriamo!» Quando si
furono sistemate, la ragazza
bionda allungò una mano verso la lista dei cocktail.
«Cosa ordiniamo?» chiese,
rivolta alle amiche.
«Io
vado
sul classico» decise Anna, senza nemmeno dare
un’occhiata all’elenco di
bevande. «Prendo uno spritz.»
«Mi
sa
che ti imito» si accodò Esther.
«È un secolo che non ne bevo
uno…»
Con
un
cenno della mano, Sabrina bloccò una cameriera di passaggio.
«Due spritz per le
mie amiche e un mojito per me, per favore.»
Quando
ebbe ordinato, si sporse verso Anna e la fissò con un gran
sorriso sulle labbra
rosse. «Sei consapevole del fatto che in poco meno di
un’ora dovrai farci un
riassunto dei tuoi ultimi vent'anni di vita, vero?»
Anna
abbassò gli occhi, leggermente a disagio: non amava parlare
di sé anche perché,
in effetti, la sua vita non era stata particolarmente entusiasmante
fino a quel
momento. «Sì, be’, non è che
ci sia molto da dire…»
«Com'è
che si chiamava, già, il posto in cui vi siete
trasferite?» le chiese Esther.
«Villanuova.
Carino… poco più grande di Lanzate. Pieno zeppo
di zanzare, se vi interessa
saperlo.»
«Ah,
be’,
di zanzare ce ne sono un mucchio anche qui, adesso»
ribatté Sabrina. «Davvero…
quando eravamo bambine mi beccavo una o due punture a settimana, adesso
mi
sembra che girino in stormi.»
«Ho
notato» borbottò Anna. «Una mi ha punta
anche ieri…»
«Sei
tornata da molto?» indagò ancora Esther.
«Mah,
da
qualche settimana» replicò l’altra.
«Ho da poco preso in affitto un appartamento,
prima stavo da mia zia, la sorella di mia mamma.»
Sabrina
appoggiò il mento su una mano e la osservò con
grande attenzione. «Ma quindi
sei tornata solo per lavoro?»
«Be’,
ecco…» Anna esitò, chiedendosi se il
posto di lavoro all’ospedale fosse
veramente l’unica ragione per cui aveva deciso di tornare a
Lanzate.
«Principalmente sì, sono tornata perché
avevo bisogno di lavorare. Poi, certo,
ho sempre pensato a Lanzate come a casa mia. A Villanuova mi sono
trovata bene,
però mi sono sempre sentita un po’ una straniera:
non so se riuscite a
capirmi.»
Esther
le
rivolse un sorriso storto. «Sì, credo proprio di
riuscire a capirti.»
La
ragazza bruna si sentì arrossire. «Oh…
be’, certo, in effetti…» Ho
fatto una
gaffe? Si chiese.
«E
quindi
sei qui da sola?» la interrogò ancora Sabrina,
cambiando argomento e chiudendo
quella parentesi leggermente imbarazzante.
«Ho
le
mie due gatte» scherzò Anna.
«Nessun
fidanzato?» chiese Esther, insinuante.
«E
che
palle!» sbottò scherzosamente la ragazza bionda.
«Non è che perché tu sei
sposata con l’uomo dei tuoi sogni, allora devono essere tutte
accasate!»
«Chiedo
solo!» si difese l’altra giovane. «Sono
curiosa!»
«Niente
ragazzo» ridacchiò Anna, prima di incupirsi.
«In realtà ce l’avevo fino a poco
tempo fa. Siamo stati insieme per diversi anni e avevamo anche
intenzione di
andare a vivere insieme. Poi, però, è saltato
fuori questo lavoro qui a Lanzate
e lui ha deciso di non seguirmi.»
«Ah…
mi
dispiace» mormorò Esther. «Non potevate
provare ad avere una relazione a distanza?
A volte funzionano…»
Anna
scosse amaramente la testa. «Non eravamo nella situazione per
tentare di
restare insieme nonostante la distanza. Prima lui sembrava
d’accordo sul fatto
che io venissi qui, poi ha cambiato idea all’ultimo minuto.
La sera in cui ci
siamo lasciati ci siamo detti delle cose pesanti e… non
credo che potremo
aggiustare le cose.»
«Ma
tu
vorresti farlo?» le chiese Sabrina.
Anna
esitò. Non era certa di sentirsela di condividere dei
dettagli così intimi
della sua vita con delle persone che non vedeva da tanti anni, ma forse
quella
era l’occasione giusta per affrontare un argomento che la
turbava più di quanto
lei stessa volesse ammettere. Forse parlarne con qualcuno mi
farà bene,
decise. «Non lo so. A volte mi manca, però non sto
davvero male per lui. Mi
sento sola, ma forse è una cosa che non è tanto
legata alla rottura con
Lorenzo, quanto al fatto che questo trasferimento ha sconvolto la mia
vita. E,
comunque, ormai sono diversi giorni che nemmeno lui mi cerca
più.»
«Prima
ti
cercava?» fece ancora la ragazza bionda.
Anna
sbuffò. «Sì. Mi tempestava di chiamate
e di messaggi che nemmeno leggevo. E
poi, di punto in bianco… puff,
è svanito nel nulla.»
Esther
arricciò il naso. «Eh, be’, magari non
ha nemmeno tutti i torti: se tu non lo
filavi di striscio…»
«Ma
sì,
infatti non sto dicendo che ha fatto male. La cosa mi ha lasciato un
po’ così,
ma ormai è acqua passata: si guarda avanti!»
«Ben
detto!» esclamò Esther, battendo un palmo sul
tavolo e facendo sussultare la
cameriera che si stava avvicinando con le loro ordinazioni.
«Sarà scontato, ma
quando si chiude una porta, si apre un portone.»
«Sì?»
sorrise Anna.
«Ma
certo. Fino a un paio di anni fa io stavo insieme a un bastardo.
Proprio un
soggetto pessimo, credimi» disse l’altra,
giocherellando con una treccina blu.
«Il fatto è che ero talmente condizionata da lui
che nemmeno riuscivo a
lasciarlo, benché non ne potessi davvero più
delle sue stronzate. Poi un giorno
sono andata in banca per lavoro e ho conosciuto Michele. Abbiamo
iniziato a frequentarci
e nel giro di un mese ho trovato il coraggio di lasciare il mio ex. E
dopo sei
mesi eravamo sposati.»
«E
adesso
hai un bimbo» commentò Anna con una punta di
ammirazione mista a invidia.
«Una
bimba»
la corresse la sua amica. «Frida. Eccola qui!»
Così
dicendo, Esther le allungò il cellulare. Sullo schermo
faceva bella mostra di
sé la foto di una bimbetta di un anno o poco più,
con la pelle color
caffellatte, un cespo di capelli scuri e brillanti occhi neri. Rideva
felice
con la faccia impiastrata con un’inquietante poltiglia beige.
«Che carina!»
esclamò Anna, sincera.
«Già»
convenne Esther col volto splendente d’orgoglio.
«Comunque era solo per dire
che secondo me fai bene a non continuare a tormentarti per quel tipo,
se sei
convinta di voler andare avanti: se ti guardi in giro, nel giro di poco
troverai qualcun altro.»
«O
magari
hai già messo gli occhi su qualcuno?» si intromise
Sabrina. «Magari un
collega?»
Anna
sbuffò. «Non direi proprio: negli uffici in
ospedale siamo praticamente tutte donne.
E i pochi uomini che ci sono hanno almeno
cinquant’anni.»
«Allora
forse un vicino di casa?» tentò ancora la ragazza
bionda. «O qualcuno che viene
in palestra con te, se vai in palestra?»
Anna
alzò
gli occhi al cielo. «Non vado in palestra e il mio vicinato
lascia piuttosto a
desiderare: annoveriamo un cinquantenne con la pancia, due adolescenti
disagiati, un ultraottantenne e uno stronzo con il macchinone. Ci
sarebbe un
tipo caruccio, ma è sposato e c’ha pure una
figlia. In poche parole, la desolazione
totale.»
«Mh»
commentarono all’unisono le altre due ragazze.
«In
ogni
caso», continuò Anna, «al momento sento
di star bene anche da sola. È vero,
tornare a casa e trovare l’appartamento vuoto è un
po’ triste, ma ora come ora
non ho proprio la forza di iniziare una nuova storia con qualcuno che
non sia
Lorenzo: mi ci vuole un periodo di calma e
tranquillità.»
«Ma
sì»
approvò Sabrina. «Pure io sono single; e ci sto
benissimo!»
Esther
le
rivolse un’occhiata in tralice. «Sei
single?» le chiese con un mezzo sorriso.
«Sicura-sicura?»
La
ragazza bionda aspirò una generosa quantità di
mojito. «Diamine!» sbottò poi.
«Penso proprio che me ne accorgerei, se mi vedessi con
qualcuno.»
L’amica
si sporse verso di lei. «E che mi dici di tutti quei
messaggini che continui a
ricevere da un paio di settimane a questa parte? Credi che non me ne
sia
accorta?»
Sabrina
arrossì e Anna si reclinò contro lo schienale
della sedia, osservando le due
ragazze. Un tempo erano state un terzetto, ma ora c’era
innegabilmente un legame
speciale tra Esther e Sabrina: era una relazione a due dalla quale lei
era
esclusa. Almeno per ora, si disse, determinata a
non perdersi d’animo.
Ora che le aveva ritrovate, aveva tutte le intenzioni di tornare a
frequentarle: grazie a loro, sarebbe riuscita e mettere nuove radici in
quella
città. O almeno intendo fare del mio meglio
perché questo avvenga.
«Fatti
gli affari tuoi» borbottò Sabrina, rispondendo
alla frecciatina dell’amica. «È
un tizio che ho conosciuto attraverso certi giri di mio cugino. Ci
sentiamo
solo ed esclusivamente perché gli servono certe
informazioni…»
«Uh,
che
cosa misteriosa» commentò sarcastica Esther,
punzecchiando con la punta della
cannuccia la fettina di arancia che il barista aveva infilato nel suo
bicchiere.
La
giovane
bionda le puntò addossò uno sguardo fintamente
minaccioso e indicò con un dito
il drink che Esther non aveva ancora toccato.
«Bevi, va’!» le intimò.
«E
smettila di ficcare il naso negli affari altrui.»
Per
tutta
risposta, l’altra si lasciò andare a una risatina
che non prometteva niente di
buono e si rovesciò in bocca una manciata di noccioline.
♥♥♥
Quando
parcheggiò di fronte a casa – a una distanza di
sicurezza dall’odiata Audi nera
– erano ormai quasi le undici. Quello che avrebbe dovuto
essere solo un
aperitivo si era trasformato poi in una pizza e poi in un dopo-cena in
un
barettino dalla deliziosa atmosfera bohème.
Solo lei e Sabrina, però,
perché Esther era ben presto dovuta scappare a casa da
marito e figlioletta,
della quale sentiva già la mancanza.
La
maternità rincoglionisce le persone,
si disse, ricordando la telefonata che l’amica aveva fatto a
una
bambina che quasi certamente non era nemmeno in grado di capire che la
voce
della madre proveniva dal telefono.
Barcollando
leggermente, Anna rotolò fuori dal Panda, cercando di
trovare il proprio
equilibrio sui tacchi che fino a una mezz’oretta prima non le
erano sembrati
così alti. Porca vacca, mi sa che ho un
po’ esagerato con gli alcolici.
L’ultimo giro me lo potevo anche evitare.
Che
poi, lei
non era più abituata a bere. Quando usciva con Lorenzo, si
concedeva al più una
birra (che era anche la cosa che più le piaceva) o al
massimo un cocktail non
troppo forte. Ma non so perché, ho come
l’impressione che Sabry mi condurrà
sulla cattiva strada, se glielo permetto.
Giunta
di
fronte al cancello d’ingresso, la ragazza iniziò a
frugare nella borsetta. Dove
cavolo sono finite le chiavi di casa? Scuotendo
l’intera borsa le sentiva
tintinnare, ma quel maledetto affare era un dedalo di tasche, taschine
e
rientranze e trovare qualcosa al suo interno era meno facile di quanto
si
potesse pensare. Mi servirebbe una luce…
Proprio
mentre formulava quel pensiero, il cancello si aprì davanti
ai suoi occhi. Miracolo!
Pensò Anna, prima di realizzare che di miracolo non si
trattava. Il
cane-coccodrillo! Comprese, immobilizzandosi
nell’atto di infilare una mano
nell’ennesimo taschino laterale della borsa. Il muso bianco
di Yaroslav le
arrivava all’altezza dell’ombelico e lei era
terribilmente consapevole che, se
avesse deciso di alzarsi sulle zampe posteriori, il cane avrebbe in
tutta
tranquillità potuto morderle il naso. O anche le
orecchie.
«Ehm.»
Deglutendo, la ragazza retrocedette di mezzo passo, a malapena
consapevole che
dietro all’animale era comparso anche il padrone –
colui che, evidentemente,
aveva aperto il cancello al posto suo. Yaroslav la seguì
come in trance e poi
le spinse il naso nella pancia, annusandola come se la trovasse
qualcosa di
estremamente interessante. «Ehi, ehi!»
protestò lei, portano istintivamente le
mani sulla testa dell’animale. Solo allora ricordò
che era buona regola non
toccare il capo di un cane sconosciuto, ma Yaroslav non parve
prendersela. Le
sue orecchie ebbero un fremito e il cane prese ad annusarla, mentre la
lunga
coda vaporosa iniziava a ondeggiare.
Però,
che
pelo morbido,
pensò la
ragazza, tastando con le dita la pelliccia setosa che copriva le
orecchie
dell’animale. Improvvisamente, la situazione non le pareva
più tanto
pericolosa. «Un grattino?» gli propose, piegando le
dita all’attaccatura
dell’orecchio sinistro. Per tutta risposta, Yaroslav
inclinò il capo verso la
sua mano, socchiudendo gli occhi con aria chiaramente soddisfatta.
L’idillio
venne spezzato da un tossicchiare impaziente. «Possiamo
andare?» chiese
Oleksander, tirando appena il guinzaglio collegato al collare
dell’animale.
A
malincuore, il cane si staccò da Anna e voltò il
muso per osservare il padrone.
Se non fosse stato impossibile, la ragazza avrebbe giurato che sui suoi
lineamenti canini fosse comparsa un’espressione di
rimprovero. Sentendosi
stranamente leggera, la giovane si appoggiò al muro accanto
al cancelletto e
inclinò il capo all’indietro per incontrare lo
sguardo dell’uomo. «E dove
andate a quest’ora?»
«Il
cane
deve fare la pipì» la informò lui.
«Non gliela faccio fare in giardino.»
«Ah»
commentò Anna, trovando l’informazione stranamente
affascinante. E dove lo
portava? Nelle aiuole praticamente inesistenti? Nei boschi poco
distanti? O
magari lo fa pisciare sulle macchine? Sulla mia, scommetto!
La
ragazza fece per staccarsi dal muro, ma l’equilibrio la
tradì e lei barcollò
più del dovuto. Oleksander, che si stava allontanando, si
fermò e le lanciò
un’occhiata sospettosa. «E tu cosa ci fai in giro a
quest’ora, invece?»
Anna
si
produsse in una risatina sprezzante. «A quest’ora?»
gli rifece il verso.
«Sono appena le undici! Sono uscita con un paio di amiche che
non vedevo da un
sacco di tempo.»
Sul
volto
dell’uomo comparve un’espressione di sufficienza.
«Sei ubriaca, vero?»
Lei
fece
le spallucce. «Forse un pochetto» ammise.
«Anzi, no: sono solo un pochino
alticcia.»
«Quindi
hai guidato in queste condizioni?» fece lui, guardandola con
sdegno. «Dov’è che
hai lasciato il tuo macinino? Lontano dalla mia macchina,
spero.»
«In
realtà l’ho messa vicina vicina alla
tua» sghignazzò Anna, trovando la
conversazione estremante divertente. «Mentre parcheggiavo ho
sentito un
rumoraccio: controlla un po’, va’, che non vorrei
aver fatto qualche danno.»
«Ridi
pure» ribatté lui tra i denti. «Se la
trovo rigata, so a chi chiedere i danni.
Buona serata.» Così dicendo, tirò di
nuovo il guinzaglio di Yaroslav,
convincendolo a muoversi in direzione del parcheggio.
Anna
non
trattenne un gran sorriso. «Ciao, ciao»
ridacchiò. Stava andando veramente a
controllare, l’idiota!
Soddisfatta
per il modo in cui si era conclusa la sua serata, la ragazza fece per
dirigersi
verso il suo appartamento, quando la voce di Oleksander, ormai fuori
dalla sua
portata visiva, la raggiunse per l’ultima volta.
«Dimenticavo: complimenti per
il vestito!»
Allarmata
da quell’osservazione, Anna abbassò lo sguardo sul
proprio corpo e vide che il
tubino che indossava sembrava assai più corto di quanto non
ricordasse. Doveva
essere risalito attorno a i fianchi quando si era faticosamente issata
fuori
dall’auto e adesso non era più lungo di una
maglietta oversize. Eh, be’!
Pensò stizzita. Cos’ha da guardare,
‘sto porco?
Strattonando
la stoffa elasticizzata sopra le cosce, la ragazza rinunciò
a ribattere e tornò
a dirigersi verso la porta di casa. Dopotutto, devo ancora
trovare le
dannatissime chiavi!