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Autore: evil 65    07/03/2020    12 recensioni
( Sequel di So Wrong )
Quando vengono assegnati ad una missione congiunta, Peter Parker e Carol Danvers si ritrovano costretti a ad affrontare sentimenti che credevano ormai soppressi da tempo.
A peggiorare ulteriormente la situazione già molto tesa, i problemi per la coppia di Avengers sembrano appena cominciati. Perché ad Harpswell, cittadina natale della stessa Carol, cominciano ad avvenire numerose sparizioni che coinvolgono bambini…
( Crossover Avengers x IT's Stephen King )
Genere: Fantasy, Horror, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Carol Danvers/Captain Marvel, Peter Parker/Spider-Man
Note: AU, Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Avengers Assemble'
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Ecco un nuovissimo aggiornamento!
Ad alcuni potrà sembrare un capitolo di transazione, ma vi assicuro che sarà molto importante per il proseguire della trama.
Vi auguro una buona lettura!

 


Memories
 
Dicono che gli incidenti non esistano.
A volte la realtà si abbatte contro di noi, altre volte cala su di noi lentamente, malgrado tutti i nostri sforzi per ignorarla. Ma gli incidenti capitano. Annientano il nostro senso di controllo... Se non addirittura le nostre vite.
Dopo la caduta nello strapiombo, Carol e Peter erano usciti dalla macchina quasi completamente illesi, il risultato di tutte quelle migliorie genetiche che aveva potenziato i loro corpi dopo i rispettivi “incidenti”.
Ma Joe Junior non aveva ricevuto alcun tipo di miglioramento. Joe si era schiantato dal posto di guida di un veicolo a quattro ruote da un’altezza di quasi venti metri. Il colpo alla testa subito, sebbene in parte attutito dall’airbag, aveva provocato lesioni cerebrali che, se Carol non fosse stata presente e non lo avesse portato subito all’ospedale, ne avrebbero causato la morte entro un massimo di 15 minuti.
E ora, dopo 32 ore di cure, l’uomo sedeva completamente immobile su una sedia a rotelle, il volto adornato da occhi vacui e impassibili, quasi morti, mentre parte della testa era avvolta da una fascia di bende.
Carol trattenne le lacrime e accarezzò dolcemente le spalle del fratello, mentre una sensazione di rabbia incontrollata cominciò a farsi strada nel suo cuore.
Il clown…quel mostro…era colpa sua. Aveva fatto del male alla sua famiglia per ferirla. Un monito per aver interferito durante quello che sarebbe stato il suo ultimo omicidio.
Avrebbe pagato. Non si sarebbe data pace fino a quando non lo avrebbe trascinato fuori dal buco in cui si nascondeva e ridotto ad una massa informa e singhiozzante.
Scosse la testa da quei macabri pensieri, mentre faceva scorrere la sedia a rotelle attraverso il giardino di casa Danvers. Ora non era certo il momento per soffermarsi sulla propria vendetta, aveva qualcuno di cui prendersi cura.
<< Eccoci qui >> disse Carol, mentre aiutava il fratello a superare gli ultimi gradini del portico. << Ti senti bene qui, eh, JJ? Senti la brezza che viene dal Sound. E da tanti altri canali… >>
L’uomo, tuttavia, non rispose. Non diede nemmeno alcun segno di averla sentita e si limitò a fissare davanti a sé, con uno sguardo perso nel vuoto.
La supereroina strinse i pugni, cercando di trattenere un’altra onta di rabbia.
Peter le posò una mano sulla spalla, dandole una stretta rassicurante. Il gesto fu sufficiente a calmarla.
<< Forse dovrei restare qui >> disse il vigilante con tono gentile.
Carol gli sorrise appena e scosse la testa. << No, abbiamo ancora una caso a cui lavorare, e quell’uomo con cui hai appuntamento potrebbe essere l’unica persona in città a sapere cosa diavolo sta succedendo. Vai pure, io…starò bene. >>
L’adolescente la scrutò incerto per qualche altro secondo. Poi, le porse un cenno del capo e cominciò ad allontanarsi dall’abitazione.
Carol rilasciò un sospiro stanco e condusse la sedia a rotelle del fratello dentro casa. Le sue narici vennero subito invase da un profumo familiare.
<< Senti questo odore, JJ? Sarà quel che penso che sia? >> disse con tono cospiratorio. Ma JJ rimase in silenzio anche questa volta.
Carol lo fissò tristemente e si diresse verso la cucina, dove trovò la madre intenta a mescolare il contenuto di una pentola sul fuoco.
 << Wow, il tuo sugo alla marinara? È il compleanno di qualcuno? >> chiese la bionda, dopo aver dato un’occhiata all’interno della stoviglia. << Hai dimenticato che al momento non può mangiare cibo solido? >>
<< Non lo deve mangiare. Volevo solo che sentisse l’odore di casa >> rispose Marie, con una scrollata di spalle. Carol annuì comprensiva, per poi rimanere in silenzio.
Lanciò un’occhiata laterale al genitore.
<< Mamma… >> iniziò con voce incerta. << Sai che…sai che potrebbe non tornare se stesso, vero? >>
La donna si fermò di colpo. Per un momento, Carol temette di aver affrontato l’argomento troppo presto. Ma l’ultima cosa che voleva era che sua madre si facesse illusioni sulla gravità della situazione.
Dopo quasi un minuto buono, Marie tornò a girare il sugo nella pentola.
<< Niente è mai lo stesso, cara. Il mondo continua a girare…e si accetta la vita come viene >> borbottò freddamente.
La bionda inarcò un sopracciglio.
<< Sì? È questo che ti dicevi quando eri con papà? >> domandò beffarda. Si pentì all’istante di aver pronunciato quella parole.
Marie si voltò verso di lei con uno sguardo così furente che, per un attimo, l’Avenger fu tentata di compiere un passo all’indietro. Il genitore, tuttavia, non aprì nemmeno bocca. Semplicemente si voltò e tornò a cucinare.
 << …Credo che sposterò le mie cose in camera di Joe, sarà più facile controllarlo >> mormorò Carol, per poi fuoriuscire dalla cucina.

                                                                                                                                             * * * 
 
In un certo senso…sua madre aveva ragione: ci si può abituare a quasi tutto. Mamma con il disastro che era suo padre, lei con i poteri avuti per caso da Mar-Vel. Joe con l’incidente…i suoi danni celebrali…
Carol trattenne ancora una volta le lacrime, mentre entrava nella stanza del fratello.
Venne subito accolto da Nox, il gatto di famiglia. Una piccola palla di pelo nera con grandi occhi verdi, i quali la fissarono con curiosità e sospetto mischiati assieme.
Carol restituì lo sguardo. Sua madre le aveva detto di averlo comprato circa dieci anni fa, quindi questa era la prima volta che il felino e la supereroina si incontravano. Tuttavia, l’animale sembrò riconoscere in lei la fragranza familiare di un membro della famiglia Danvers e si avvicinò alla donna con passo furtivo.
Carol sorrise e gli accarezzò dolcemente la schiena, suscitando fusa compiaciute da parte del felino.
Poi, diede una rapida occhiata alla stanza del fratello e arricciò il volto in una smorfia. C’era molta più roba di quanto avesse inizialmente previsto.
<< Che accumulatore. L’abbiamo ereditato da papà, eh, Sox? >> domandò retoricamente, ricevendo in cambio solo un debole miagolio.
La donna si limitò a roteare gli occhi e cominciò ad aprire un cassetto dopo l’altro per togliere la roba in eccesso. Poster, vecchie riviste, giornali, vecchi vestiti…tutto ciò che poteva essere messo in un ripostiglio.
Dopo quasi mezz’ora di lavoro, fu il turno degli armadi.
Sox la seguì a ruota, zampettando vicino alle sue gambe.
<< Attento, ragazzo, questo è l’armadio dove vengono a morire le vecchie t-shirt >> lo avvertì Carol, aprendo le porte del mobile e venendo investita all’istante da un odore piuttosto sgradevole.
Cercando di ignorarlo, la donna cominciò a togliere le magliette più vecchie o logore, fino a quando non trovò una scatola impolverita che era stata sommersa sotto decine di vestiti.
Carol inarcò un sopracciglio.
<< E questo cos’è? Altra roba di Junior? >> borbottò a se stessa, inginocchiandosi sul pavimento e ispezionando attentamente il contenitore.
Aprì il portaoggetti. Era pieno di foglii spiegazzati, foto consumate e ami da pesca racchiusi all’interno di bustine di plastica ammuffite.
“Sembra troppo vecchia per essere di J.J o di Steve…o mia. La mamma deve aver svuotato la soffitta” pensò con un cipiglio.
Afferrò uno dei fogli e lo aprì, sollevando una nuvola di polvere. E quando i suoi occhi si posarono sul contenuto scritto di quel pezzo di carta…sentì il cuore mancarle un battito.
 << Ma cosa…>> borbottò a se stessa, le pupille dilatate e lo sguardo completamente concentrato su quello che stava leggendo.
Il foglio recitava:
 
Amore mio.
Devo farti una confessione...sono distrutto quando non sono con te, ma sono devastato quando lo sono. Ho paura di te e ho paura di perderti. E nessuno al mondo tranne te sa cosa provo.
Sono un idiota. So che non è possibile che finisca bene, per nessuno dei due. So cosa dirà la gente se lo scoprirà. Forse hai ragione, dovremmo smettere di vederci...ma forse ti sbagli, perchè anche se smettiamo di vederci, non smetterò mai di provare qualcosa, che io abbia una famiglia e che tu abbia o no una famiglia.
C'è un motivo per cui ci siamo trovati, amore mio, ed è questo: se la mia anima gemella. Non posso rinunciare a te, e tu non puoi chiedermi di farlo.


Carol rilesse il tutto con un’espressione incredula stampata in volto.
<< Cos’è questa? Chi l’ha scritta? >> sussurrò a bassa voce. << La calligrafia è familiare. Papà? Mamma? Non riesco a immaginare che… >>
Si bloccò di colpo, mentre una rivelazione scioccante cominciò a farsi strada nella sua mente.
<< Oddio…papà aveva una relazione?! >> esclamò incredula.
L’urlo sembrò spaventare Sox, il quale la sorpassò con un balzo e colpì la scatola nel processo, rovesciandone il contenuto.
<< Attento, Sox! >> lo rimproverò Carol. Ma il gatto non si fermò e corse fuori dalla stanza, lasciandosi dietro una donna visibilmente stizzita. << Ugh, guarda cos’hai combinato. >>
Con un sospiro rassegnato, cominciò a raccogliere la roba caduta, fino a quando il suo sguardo non si posò su un oggetto dalla forma bizzarra. Sembrava quasi un cucchiaio d’argento, ma molto più spesso, con uno strano globo di luce azzurro sulla cima.
Gli occhi di Carol si spalancarono per la sorpresa.
<< Non può essere…un disco esterno? >> sussurrò incredula, riconoscendo all’istante uno dei dispositivi Kree più familiari di sempre.
Erano macchinari di dimensioni variabili utilizzati per immagazzinare dati ed effettuare chiamate a onde radio isotoniche, praticamente dei cellulari glorificati per telefonate spaziali.
Carol cominciò a passarselo fra le mani.
“ Che ci faceva papà con un affare del genere?” pensò con un pizzico di meraviglia, ancora scioccata dal fatto che un simile dispositivo si trovasse in possesso della sua famiglia. Forse lo aveva lasciato lei durante una delle sue visite, senza accorgersene? No,non pensava di essere così sbadata. Ma…quale altra spiegazione logica c’era? O forse…
<< Carol, ho bisogno che mi aiuti a portare Joe in camera! >> urlò la voce di sua madre, distogliendola da quei pensieri.
Carol sussultò per la sorpresa e scosse la testa, nel tentativo di schiarirsi le idee.
Lanciò un’ultima occhiata al disco e lo posò sul letto. Ci avrebbe pensato dopo, ora la priorità era suo fratello.
<< Arrivo, mamma! >> rispose mentre usciva dalla camera.
Per un attimo la stanza rimase nel più completo silenzio. Pochi secondi dopo, tuttavia, il dispositivo iniziò a lampeggiare, producendo un PING! basso e ritmato.
 
                                                                                                                                         * * * 
 
Il segnale di riattivazione del disco rigido attraversò il globo ad una velocità di circa 3000 km al secondo, invisibile a qualunque apparecchiatura terrestre. In un qualsiasi altro giorno sarebbe stato completamente ignorato, o al massimo percepito come una semplice variazione nelle onde radio della contea. Ma non quel giorno.
Cetanu sedeva in attesa al di sopra di un trespolo, incurante dei curiosi animali che ogni tanto mettevano il muso fuori dalla boscaglia per osservare quella creatura sconosciuta che puzzava di sangue e morte.  Attorno a lui volteggiavano un paio di sfere metalliche, da cui riceveva aggiornamenti costanti sulle attività di ricerca delle loro compagne sparse per tutto il continente nordamericano.
Improvvisamente, uno dei dispositivo emise un sonoro BIP! Accompagnato da una luce lampeggiante di colore rosso.
<< Energia Kree rilevata! >> esclamò la sfera nell’idioma della razza Yaujta.
Il Predator si drizzò di colpo.
Senza perdere tempo, afferrò il dispositivo e lo collegò al braccio destro con un piccolo cavo. Pochi secondi dopo, alcune coordinate si materializzarono al di sopra dell’arto sotto forma di ologrammi.
L’alieno annuì soddisfatto e cominciò a incamminarsi verso la propria astronave. Al contempo, tutte le sfere cambiarono direzione e puntarono sul Maine.
 
                                                                                                                                          * * *    
 
Ci sono delle ragioni per cui un adulto non vive quasi mai con i genitori.
L’assassino non dovrebbe mai tornare sul luogo del delitto: ci sono ancora tutte le prove. I tuoi vecchi poster, le vecchie action figures… le vecchie lettere d’amore che non sapevi tuo padre avesse scritto a una donna misteriosa.
Tornare a casa è come imparare ad atterrare quando sai già volare. Credete che sfrecciare nell’atmosfera faccia paura? Provate a tornare sulla terra: terrificante. E Carol ora ne era convinta al 100%.
<< Respira, Carol. Questo…è troppo >> borbottò, accasciandosi sul divano del salotto. << La mia famiglia mi manda fuori di testa, Sox. >>
Affianco a lei, il gatto miagolò pigramente e strofino la testa contro quella della donna.
Lei sorrise teneramente e cominciò ad accarezzare la pancia del felino.
<< Carol, ti sei persa? >> arrivò la voce della madre, facendola sospirare.
<< Arrivo,mamma >> rispose con il tono più naturale che riuscì a trovare. Cosa che si rivelò molto più difficile del previsto, considerando tutto quello che le stava passando per la testa in quel momento.
Facendosi forza, lasciò la stanza e tornò nella camera da letto di JJ, dove trovò il fratello già adagiato sul letto.
<< Beh, ho già girato Joe >> disse la madre, accogliendola con un roteare degli occhi. << E ho cambiato le lenzuola. E ho fatto il caffè. Forse non sei l’unica con la superforza >>
<< Lo comunicherò agli Avegers. Aspettati un loro messaggio entra la fine della settimana. >>
Jessica ridacchiò, mentre le porgeva alcune lenzuola. Senza perdere tempo, Carol cominciò a piegarle in silenzio, il volto adornato da un’espressione contemplativa. La cosa non passò certo inosservata agli occhi della madre.
Prendendo un respiro profondo, si avvicinò alla figlia e le posò una mano sulla spalla, attirando le sua attenzione.
<< Che sta succedendo, Carol? Ti comporti in modo strano da quando sei andata in camera di Joe >> affermò preoccupata.
La bionda inarcò un sopracciglio. << Forse sono solo preoccupata per mio fratello. Sai, quello con una lesione celebrale >>
<< Forse potrei aiutarti… >>
<< Forse sei un neurochirurgo? >> ribattè freddamente Carol, facendola sussultare.
<< Sono tua madre >> rispose l’altra, portandosi una mano al cuore.
Rendendosi conto di essere stata un po’ ingiusta, la figlia distolse lo sguardo con aria colpevole.
<< Lo so >>> borbottò amaramente. “Ed è proprio per questo che non posso dirti che papà sta  ancora rovinando la nostra famiglia dalla tomba…anche se vorrei tanto.”
Marie rimase in silenzio, continuando ad osservare la figlia. Quando questa ebbe finito di piegare le lenzuola, le offrì un sorriso incerto.
<< Vuoi darmi una mano con il giardino? >> domandò timidamente.
Carol incontrò ancora una volta i suoi occhi, fissandola sorpresa.
<< …Certo >> rispose dopo un momento di esitazione.
 
 
 
Carol aveva sempre amato il giardino di casa Danvers.
Confinava direttamente con il canale che scorreva sul retro dell’abitazione e sfociava nella baia della cittadina, mentre su lato ovest del loggiato vi era il boschetto di Arspwell, in cui lei e i suoi fratelli erano soliti giocare a nascondino.
L’odore di salsedine che permeava quel luogo riusciva sempre a donarle una sorta di pace mentale. Ma in quel momento, con tutto ciò che era successo negli ultimi giorni, anche i ricordi di un’infanzia ormai perduta si rivelarono nient’altro che ulteriore combustibile per la rabbia che provava.
Volse la propria attenzione nei confronti della madre. La donna era in ginocchio, attualmente impegnata a potare le rose di una delle molte aiuole realizzate attorno alla casa.
<< Mamma, posso chiederti una cosa? >> chiese all’improvviso, attirando l’attenzione del genitore.
Jessica non alzò gli occhi dal lavoro che stava facendo e indicò un angolo del giardino.
<< Solo se mi prendi quell’innaffiatoio >> disse giocosamente.
Con un roteare degli occhi, Carol si alzò da terra e afferrò l’oggetto, per poi posarlo affianco alla madre. << Sai che prendo quest’innaffiatoio da quando ho cinque anni? >>
<< Tre anni. Ed eri tu quella che innaffiava i fiori >>
<< E i sassi >>
<< No, quelli te li mangiavi, assieme alle lumache >> continuò l’altra, ridacchiando divertita. Carol, tuttavia, mantenne un’espressione impassibile.
Prese un respiro profondo e disse: << Volevi sapere cos’è che mi turba? >>
<< A parte il fatto che tua madre non sia un neurochirurgo? >>
<< …A parte questo >> confermò la bionda, cercando di mantenere un tono di voce calmo e raccolto.
A quel punto, Marie abbandonò l’innaffiatoio e si voltò verso di lei.
<< So cosa ti turba, stavo solo aspettando che ti decidessi a dirmelo >> rivelò con tono di fatto, sorprendendo la figlia.
<< Lo sai? >> domandò questa, il volto adornato da un’espressione incerta. La madre annuì con un sorriso.
<< Non c’è nulla di male ad uscire con ragazzi più giovani >> disse con una scrollata di spalle, mentre si rialzava da terra.
Per un attimo, Carol credette di aver sentito male.
<< Perdonami, sono confusa >> disse dopo qualche attimo di silenzio.
Marie le inviò un sorriso impertinente.
<< Carol, sono tua madre, non puoi nascondere nulla da me. Ho visto come te e quel ragazzo vi guardate >> affermò con tono di fatto. << State uscendo insieme, non è vero? >>
In risposta a quella domanda, le guance della bionda si tinsero di rosso. Contò mentalmente fino a cinque e prese un respiro profondo.
<< Mamma, non è questo. Si tratta di papà >> disse seriamente, attirando lo sguardo del genitore ancora una volta.
Poi, mise una mano nella tasca dei pantaloni…e ne estrasse la lettera che aveva trovato appena un’ora prima nella camera di Joe.
Gli occhi di Marie si spalancarono come piatti, quasi come se avesse riconosciuto il foglio spiegazzato.
<< Ho trovate le sue lettere, mamma. Lettere d’amore a un’altra donna. Mi dispiace, non potevo…non posso continuare a fingere che tutto vada bene, non più >> disse con tono freddo, porgendo il pezzo di carta nei confronti del genitore. << Ho bisogno di sapere la verità. >>
Ma Marie non rispose. Rimase completamente ferma e immobile, come pietrificata.
Fissò il foglio per quello che sembrò un tempo interminabile. Poi, si voltò e cominciò a camminare verso il pontile.
Carol rilasciò un sonoro sospiro.
<< Mamma >> chiamò, non ricevendo alcuna parola dal genitore. << Mamma, per una volta dobbiamo parlare di questo.  Non devi più proteggerlo. >>
Cominciò a seguire la madre, fino a quando questa non si fermò ai piedi del pontile. La brezza del canale trasportò un odore si salsedine che investì i loro sensi, mentre una mano fantasma sembrò scendere al di sopra della proprietà, facendola calare in un cupo silenzio.
<< Carol…Non volevo che lo scoprissi così. Te l’avrei detto quando fossi stata pronta >> sussurrò Marie, sorprendendo la figlia.
<< Un momento…tu lo sapevi? >> domandò la bionda con tono incredulo.
La madre sospirò e si voltò verso di lei. << Non capisci. E non pretendo che tu lo faccia >>
<< Non capisco? Certo che non capisco! Come hai potuto lasciare che ti trattasse così? Che CI trattasse così?! >> esclamò l’altra, pervasa da un’improvvisa onta di rabbia.
Questo…questo era troppo. Tutti i sentimenti di odio e rancore che aveva cercato di seppellire stavano ora tentando di uscire allo scoperto con violenza.
  << Come hai potuto passare la vita a difendere qualcuno che non lo meritava…invece di proteggere le persone che lo meritavano ? >> mormorò con voce strozzata, sentendo lacrime amare che cominciarono a inumidirle gli occhi.
Marie sospirò una seconda volta. << Me lo sono chiesta mille volte, tesoro. Quasi quante volte ho chiesto a tuo padre di smettere di bere. Posso solo dire che mi dispiace, Carol. Per tutto, e anche se vorrei che tu mi perdonassi…non sono sicura che lo farai. >>
Si voltò verso il canale che sboccava nell’oceano, ove i raggi del sole ne illuminavano la superficie cristallina. Era quasi come se stesse cercando di trovare un briciolo di conforto in quella bellezza idilliaca.
<< Amavo mio marito. Non era perfetto, ma lo amavo >> riprese dopo quasi un minuto di silenzio. << Incolpo Joe per molte cose…non solo per quello che pensi. Non posso incolparlo perché era infelice o perché desiderava…di più >>
<< ?! >>
Il tempo parve fermarsi.
Carol rimase ferma e immobile, incapace di muovere anche solo un muscolo. Non reagì nemmeno quando la madre la superò, tornando dentro casa.
Dopo quello che le sembrò un tempo interminabile, quasi senza rendersene conto, la bionda cominciò a camminare verso il lato opposto del giardino, proprio dove cominciava il boschetto. E lì vi rimase piantata.
<< Di più >> sussurrò, stringendo ambe le mani in pugni serrati. Il suo corpo stava tremando.
 << Di Più ?! >> ripetè ad alta voce, spaventandolo alcuni corvi tra gli abeti. << Ora basta, papà…hai fatto abbastanza! >>
E, dopo aver pronunciato tali parole, colpì con forza il primo albero che le capitò a tira.
Il tronco della pianta venne sradicato all’istante, rimanendo sospeso in aria per qualche secondo, prima di schiantarsi sulla superficie del canale e produrre uno spruzzo d’acqua alto diversi metri.
Carol cadde in ginocchio e affondò un pugno nel terreno, mentre lacrime amare cominciarono a fuoriuscirle dagli occhi. E poi…tutto cessò.
Rimase semplicemente in quella posizione, ansimando pesantemente. Inconsapevole che era stata osservata per tutta la durata di quella scena.

                                                                                                                                                  * * * 
 
A circa cento metri dall’abitazione dei Danvers vi era una casa abbandonata. Lo stabilimento era stato una delle prime vittime dell’ondata di disoccupazione che aveva preso luogo nell’ormai lontano 2008 a causa del crollo della borsa di Wall Street, ed era rimasto invenduto da allora.
In poche parole, era il posto perfetto per stabilire una base d’osservazione sicura e libera da potenziali interferenze.
Nel salotto della casa, Phineas Mason aveva installato un complesso di telecamera a lungo raggio collegate direttamente a dispositivi di rilevamento termico posizionati entro un raggio di 20 metri da casa Danvers, un sistema di sorveglianza perfettamente camuffato e capace di eludere anche l’occhio più attento.
<< Gesù, cosa l’avrà fatta arrabbiare in questo modo? >> borbottò l’uomo, mentre osservava lo schermo di fronte a sé con un’espressione intimorita.
Affianco a lui, Herman Schultz si strinse nelle spalle. << Magari è quel periodo del mese >>
<< Eh, buona questa…auch! >>
Sable colpì il tecnico alla testa prima potesse completare la frase, mantenendo uno sguardo impassibile.
<< Niente battute sessiste >> ordinò freddamente, ricevendo un rapida cenno del capo da parte del sottoposto. Dio, quella donna gli dava i brividi.
Pochi metri più in la, con le braccia incrociate e la schiena poggiata sul muro, Electro rilasciò un sospiro visibilmente irritato.
<< Perché diavolo non li abbiamo ancora attaccati? >> ringhiò attraverso i denti, mentre il suo corpo emetteva deboli scariche di natura elettrica.
Octavius alzò gli occhi dal computer su sui stava lavorando e lo fissò intensamente.
<< Perché dobbiamo prima essere consapevoli dei loro punti di forza e debolezza, nonché del terreno su cui li combatteremo. Affrontare un avversario senza prima conoscere questi fattori può portare solo alla sconfitta >> affermò con tono di fatto.
Dillon sembrò valutare attentamente le parole dello scienziato. Dopo qualche attimo di silenzio, sospirò una seconda volte e borbottò: << Continuo a pensare che sia una perdita di tempo >>
<< Il tuo reclamo è stato notato e prettamente ignorato >> ribattè impassibile Octavius, mentre riprendeva ad armeggiare con il computer.
Dopo qualche altro minuto, Phineas sembrò decidere che il guardare Capitan Marvel dare di matto aveva perso il suo fascino.
Volse la propria attenzione nei confronti di Mac Gargan, il quale era impegnato a provare la nuova tuta che Ocativius aveva progettato per lui. Si trattava di un esoscheletro di titano alimentato dal prototipo di un reattore Ark, lo stesso utilizzato dai droni delle Stark Industries e ricreato dopo che uno di quegli affari era stato messo fuori gioco a Sokovia nell’ormai lontano 2014.
Per qualche strana ragione, Gargan aveva chiesto specificatamente Octavius di modellare l’armatura con le caratteristiche fisiche di uno scorpione, coda compresa.
<< Scusa se te lo chiedo, ma…perché questa ossessione per gli scorpioni? >> domandò il tecnico, mentre osservava l’arto in questione con nervosismo appena celato. Quella cosa sarebbe stata capace di trapassare un uomo da parte a parte come se fosse un foglio di carta.
Mac si voltò verso di lui e cominciò a soppesarlo con lo sguardo. Per un attimo, Phineas fu assai tentato di allontanarsi - temendo di aver offeso l’ex trafficante - ma facendo appello a tutto il suo autocontrollo riuscì a mantenere una posizione ferma.
Poi, dopo quello che sembrò un tempo interminabile, Gargan iniziò a parlare.
<< Da bambino io e la mia famiglia vivevamo in Messico, a circa trenta chilometri dalla città più vicina. Eravamo poveri e non potevamo permetterci l’assistenza sanitaria >> spiegò con un ghigno ironico. << Un giorno, mentre io e mio fratello giocavamo in giardino, venni punto da uno scorpione. E non uno di quelli che si trovano sotto il tappeto di casa qui in America, ma uno di quelli grossi, potenzialmente letale. Solo una persona su dieci sopravvive ad una loro puntura. >>
Scoppiò in una risata bassa e gutturale.
<< I miei genitori non potevano pagare per le cure. Pensavano che sarei morto. Rimasi steso nel letto per tre giorni, incapace di bere o mangiare. Eppure…il mio corpo riuscì a resistere al veleno >> continuò con un ghigno che fece rabbrividire Phineas.
Indossò gli ultimi pezzi della tuta e questa sembrò attivarsi quasi in automatico.
Un bagliore verde cominciò a diradarsi lungo i punti di congiunzione della placche meccaniche, producendo un ummmm che crebbe e divenne un UMMMMM a tutti gli affetti, attirando l’attenzione del resto della squadra.
 << La mia gente crede che se sopravvivi ad un incontro con un’animale mortale, questi diverrà il tuo totem, il tuo spirito guida…colui che rivelerà la tua vera natura >> disse Gargan, mentre la coda dietro di lui iniziò ad agitarsi, rilasciando sbuffi di vapore e suoni meccanici.
A quel punto, l’ex trafficante di armi volse a Phineas la sua più totale attenzione.
<< E ora, io e il mio totem siamo diventati una cosa sola >> sussurrò freddamente. << Mac era il mio nome da umano. Ora sono…Scorpion. >>
 
 



E anche questa è fatta.
Vi dico già che la trama delle lettere sarà molto importante per il percorso psicologico di Carol e l’esplorazione del suo passato. Chi ha letto i fumetti sa a cosa mi riferisco, ma per coloro che la conoscono solo attraverso i film…eh, eh, ho una bella sorpresa per voi.
Nel mentre, il Predator ha finalmente rintracciato la posizione della sua preda, ovvero Carol stessa. Come mai il padre aveva un dispositivo Kree? Tutto sarà spiegato, non vi preoccupate.
E abbiamo pure assistito alla nascita di Scorpion, uno dei villain più ricorrenti di Spider-Man ( che quasi sicuramente apparirà nel terzo film della saga MCU ).
Il prossimo capitolo si concentrerà su Peter e segnerà il ritorno di Pennywise/IT.
A presto!
  
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