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Autore: VenoM_S    07/03/2020    0 recensioni
Un uomo si ritrova a fissare un mondo buio e freddo. Cosa gli è capitato? E qual'è il suo destino?
Genere: Sovrannaturale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia partecipa al COWT di Lande di Fandom
Settimana: quarta
Missione: M1
Prompt: colpo di scena
N° parole: 2325
 

Tutto intorno a lui c’era solo oscurità. Ma non solo intorno, era in alto e in basso e in tutte le direzioni, densa quasi come se allungando una mano avesse potuto toccarla. E forse lo stava facendo, non poteva esserne sicuro dato che non riusciva a vedersi le mani, né i piedi, né le gambe. Non era certo nemmeno di avere un viso dato che non poteva sentirlo.

«Strano, è quasi come se esistessi ma non fisicamente.»

C’erano tante cose che poteva pensare, che fosse un sogno prima di tutto. Alla fine la gente sogna sempre cose strane, persino lui aveva fatto sogni degni di un pazzo. Ricordava di una volta in cui si era ritrovato in un campo d’erba verde sconfinato puntellato di fiorellini gialli e bianchi, con un limpido cielo azzurro adornato di candide nuvolette sopra la sua testa e un tenue profumo che inondava l’aria, annunciando l’arrivo della primavera. A prima vista si era sentito felice, ma poi si era accorto di aver iniziato a correre per qualche motivo, anzi ad un’analisi più attenta più che semplicemente correndo stava proprio scappando da qualcosa. Voltandosi per capire cosa fosse ad inseguirlo, si era ritrovato a fissare gli occhietti rossi ed inquietanti di un gigantesco coniglio che correva a grandi falcate verso di lui, con il pelo bianco candido che ondeggiava al vento ed il preciso intento di fargli del male.
Aveva sognato una specie di coniglio mannaro, davvero non era possibile che stesse sognando di “non esistere”?

«No, non è così banale.»

C’era qualcos’altro che gli frullava per la mente, qualcosa di molto meno divertente di un coniglio assassino.
La Morte.
La sua non era mai stata una vita particolarmente degna di nota. Non era diventato famoso, né ricco, non aveva hobby estremi e pericolosi, non aveva sposato una modella di Victoria’s Secret con cui aveva messo al mondo figli meravigliosi che avrebbero reso invidioso persino lui stesso. Era un impiegato come ce n’erano tanti nel mondo, ed il suo picco di adrenalina al lavoro lo aveva avuto quando una mattina era entrato un piccione dalla finestra lasciata aperta e tutti erano andati nel panico mentre quel dannato coso volante faceva volare fascicoli e defecava sui capelli della donna vicina a lui. Una mattinata movimentata, questo sì, ma ben lontana dall’essere in qualche modo pericolosa.
C’era anche da dire che lui per primo non aveva mai pensato troppo alla morte come eventualità. Non che credesse che non sarebbe mai arrivata, questo no, semplicemente aveva continuato a vivere senza essere schiavo della paura di morire. Mangiava o beveva quel che desiderava, se aveva fretta superava il limite di velocità in auto, asciugava i capelli ogni sera senza preoccuparsi troppo di quanto fosse bagnato il pavimento sotto i suoi piedi. E c’era da dire che se l’era sempre cavata bene. Mai un incidente, né un giorno di malattia al lavoro. Se fosse stato uno superstizioso, avrebbe potuto pensare di essere nato sotto una buona stella o che una qualche forze superiore e sovrannaturale guidasse i suoi passi verso lidi sicuri.
Ma forse non era andato tutto così bene come pensava. C’era qualcosa, nei meandri della sua mente, qualcosa che gli diceva di essere più che addormentato.
Si mise a pensare, cercando di ricomporre mattone per mattone la sua vita nel tentativo di indovinare il suo destino.
Ed eccolo lì, nell’angolo più remoto, il ricordo che cercava.

**********

Era un martedì, per la precisione martedì 17 ottobre 2017, e lui era seduto sulla sua scrivania intento a riporre le ultime scartoffie in una pila perfettamente ordinata. Era più tardi del solito, e il sole era già sparito da tempo dietro le pesanti nuvole cariche di pioggia, ma per una volta aveva deciso di fare qualche ora di straordinario in vista delle prossime ferie.

«Così non dovrò mettermi le mani nei capelli al mio ritorno», aveva pensato.

Un forte tuono lo aveva poi riscosso dai suoi pensieri: fuori dal palazzo aveva iniziato a diluviare. Si era maledetto per non aver portato con sé l’ombrello quella mattina - dopotutto il meteo aveva previsto la pioggia - ma lui si era ritrovato a guardare il sole alto sopra la sua testa appena aperta la porta di casa e, facendo spallucce, aveva riappeso l’ombrello all’attaccapanni ed era uscito senza pensarci ulteriormente.
Con un sospiro aveva sistemato l’ultimo foglio di carta, aggiustando gli angoli per farlo combaciare alla perfezione con quelli sottostanti, e poi si era alzato in piedi lentamente raccogliendo le sue cose e riponendole con cura nella piccola borsa che si portava sempre dietro. Aveva dato un ultimo sguardo alla sua scrivania, il cui unico tocco personale era rappresentato da una tazza nera con stampato in bianco il suo nome regalatagli qualche anno prima dai colleghi per il suo compleanno e che usava come porta penne, e poi si era diretto verso l’ascensore infilandosi la giacca pesante. Per lo meno non avrebbe sentito freddo fino alla macchina, aveva pensato.
Il viaggio fino a casa era stato lento, noioso e scandito da continue frenate e ripartenze a causa del forte traffico, cosa per cui si era maledetto un’altra volta: di solito non faceva così tardi e questo gli permetteva di evitare la maggior parte delle file e delle persone dal pessimo carattere che vi rimaneva bloccata.
La pioggia era sempre fitta intorno a lui, e forti fulmini si abbattevano chissà dove nei dintorni a intervalli regolari, seguiti dal poderoso suono dei tuoni che rimbombavano con forza fin dentro l’abitacolo.


«Che razza di tempo! Come è possibile che cambi così velocemente?»

Non aveva trovato parcheggio vicino casa, e purtroppo non aveva ancora ricevuto abbastanza aumenti di stipendio per potersi permettere la costruzione di un garage, quindi si era dovuto rassegnare a posteggiare nel primo posto libero a circa quattrocento metri dal suo vialetto d’ingresso. Una volta spenta la macchina, era rimasto alcuni minuti ad aspettare speranzoso che la pioggia potesse quantomeno diminuire d’intensità, almeno correndo verso la porta di casa si sarebbe inzuppato un po’ meno. Ma più rimaneva seduto lì, più il tempo sembrava invece peggiorare. Si era ritrovato a pensare con un sorriso che tutto in quel momento sembrava remargli contro, una serata davvero sfortunata. Ma aveva ricacciato indietro quel pensiero stupido con una risata.

«La sfortuna non esiste.»

Raccogliendo il coraggio a due mani, finalmente si era stretto addosso la giacca, tirandosi su il cappuccio, ed aveva aperto lo sportello. Era uscito in mezzo a quel delirio di pioggia, e dopo aver chiuso la macchina con il telecomando si era messo a correre come un forsennato. Intorno a lui non c’era nemmeno un albero, a quanto pareva tutti i residenti avevano deciso di farli abbattere per ragioni di sicurezza, dopo che il comune aveva decretato tutte quelle piante vecchie e pericolanti. Se ci fossero ancora stati, per lo meno avrebbe avuto un minimo di riparo durante la corsa. Un lampo accecante lo aveva colto alla sprovvista, e dopo nemmeno un secondo era seguito un tuono incredibilmente forte. Questo era stato vicino, troppo vicino.
Aveva alzato un poco lo sguardo e, con sua somma felicità, aveva adocchiato l’unico albero rimasto ancora in piedi: quello di fronte casa sua. In barba al volere del comune, infatti, lui aveva voluto tenere la pianta proprio lì dove si trovava, convinto che fosse solo un modo per scucire ai residenti un po’ di soldi per un abbattimento inutile. Aveva sorriso, con il fiato corto, mentre pensava alla lunga e rilassante doccia calda che si sarebbe fatto non appena rientrato, seguita dalla cena a base di maccheroni al formaggio sapientemente riscaldati al microonde gustata di fronte alla televisione durante la visione della partita di football.


Poi era successo tutto, in maniera talmente veloce che quasi non se ne era reso conto: l’ennesimo fulmine aveva rischiarato il cielo nero, ma questa volta era caduto terribilmente vicino. Per la precisione, aveva centrato in pieno l’unico albero della strada, spaccando il grande tronco vicino alla base e mandando in fiamme le foglie secche ancora attaccate ai rami. Lui aveva appena fatto in tempo a sobbalzare per la sorpresa, alzando inutilmente le braccia davanti a lui, quando l’albero gli era rovinato addosso con uno schianto.

Poi, il buio.

**********
 
Lo stesso buio in cui si ritrovava in quel momento, impossibilitato a percepire il proprio corpo ma comunque conscio della sua esistenza. Era morto, quindi? E questo cosa significava per lui?
Non era mai stato credente, non aveva mai nemmeno pensato a cosa gli sarebbe successo una volta morto. Eppure ora la realtà delle cose era questa.
Iniziò a percepire un freddo strisciante avvolgerglisi intorno, penetrare nel suo cervello - ma lo aveva ancora, un cervello? - e avvinghiarlo in una morsa.
Dove finiva chi non credeva in niente, allora?
Se il suo destino era quello di essere condannato per l’eternità a vagare nel buio, da solo, al freddo, senza sapere dove fosse, allora era davvero fregato. Non sapere le cose lo distruggeva, avrebbe preferito mille volte ammettere di essersi sbagliato, persino ritrovarsi tra le porte fiammeggianti di un inferno in perfetto stile dantesco con persone distrutte dai loro peccati che vagavano nel dolore rincorse da diavoletti rossi con la coda a punta e le ali da pipistrello, piuttosto che ritrovarsi in un eterno limbo oscuro senza nessuno a fargli compagnia. O di fronte ai cancelli dorati del paradiso con un coro di angeli armati di corni che suonavano una marcia trionfale in suo onore mentre un anziano dalla barba bianca gli veniva incontro con un sorriso.
Oppure poteva reincarnarsi. Sì, insomma, forse quella sarebbe stata la cosa migliore di tutte. Tornare sulla terra, in una forma diversa, magari anche in un’epoca diversa, e ricominciare di nuovo la sua vita. Cosa avrebbe voluto essere in una possibile reincarnazione? Un cervo magari, così elegante e libero di vagare per boschi incontaminati. O un grosso orso bruno, in quel caso probabilmente avrebbe passato la sua intera esistenza alla ricerca di favi da cui estrarre il miele e di alberi dalla corteccia spessa su cui grattarsi la poderosa schiena. O magari, questa volta, sarebbe potuto rinascere donna ed essere lui stesso la modella di Victoria’s Secret alta, bionda e scolpita che aveva sempre sognato di sposare.
Mentre rimuginava sul suo destino e si ritrovava con orrore ad immaginare di reincarnarsi in uno stelo d’erba che sarebbe presto stato digerito da una pecora o una mucca, si accorse che intorno a lui iniziavano a vorticare deboli suoni. Era ancora buio però, quindi tornò a disperarsi sugli steli d’erba senza farci troppo caso.

«Ehi!»

«Ehi, amico! Apri gli occhi!»

Aveva occhi da aprire? A quanto pareva sì, perché subito dopo che lo sconosciuto ebbe pronunciato quelle parole, si ritrovò avvolto dalla luce come se fino a quel momento avesse semplicemente tenuto gli occhi serrati. Intorno a lui era tutto sfocato e confuso, come quando si è sott’acqua e si cerca di aprire gli occhi per vedere dove si sta nuotando. C’era qualcosa che si muoveva, figure scure e piccole sotto di lui, strani accostamenti di colori alla sua destra e sinistra, e dalle sue spalle proveniva un’intensa luce bianca che lo accecava ogni volta che cercava di guardarla. Sentì l’inconfondibile suono di pagine che venivano voltate provenire dalla sua destra, e voltandosi si rese conto che a pochi passi da lui si trovava un uomo in piedi che stava leggendo un giornale. Non era né più alto né più basso della media, aveva probabilmente intorno ai cinquant’anni e indossava un paio di blue jeans, scarpe comode e scure e una maglia di lana a quadretti blu e verdi dall’aria vecchia, di quelle che probabilmente avrebbe messo lui da vecchio, se mai ci fosse arrivato. Aveva i capelli brizzolati ma tendenti più al grigio che al nero, parzialmente coperti da un orrendo cappello da baseball bianco che non ci azzeccava nulla con il suo outfit, e occhi azzurri chiarissimi che lo guardavano con aria a metà tra il divertito ed il compassionevole.

«Ah, finalmente sei tornato presente a te stesso. Buongiorno, ragazzo.»

Mentre parlava, chiuse il giornale e lo piegò a metà, e incredibilmente questo scomparve sbiadendo tra le sue mani in una manciata di secondi. Probabilmente doveva avere un’espressione allucinata, perché l’uomo si mise a ridere di gusto.

«Oh, se questo ti sconvolge aspetta di scoprire il resto. Dopotutto, non credo che questa sarà davvero una buona giornata per te.» aggiunse indicando con un gesto della mano la scena che si stava svolgendo attorno a loro.

Osservando più attentamente infatti, gli oggetti iniziavano a prendere forma diventando più nitidi. Sotto di lui si trovava un grande ambiente con mura di marmo bianco, ed il pavimento scuro era coperto da diverse file di panche di legno sulle quali erano sedute poche decine di persone. Il rintocco lento e grave di due campane accompagnava un piccolo gruppo di uomini vestiti di nero che avanzavano tra le due ali di panche, sorreggendo sulle spalle una cassa di legno.
Gli si gelò il sangue nelle vene appena si rese conto di cosa stava osservando.
Alla fine della navata, vicino all’altare, una corona di fiori era stata posata sotto ad un treppiedi sul quale era posata la sua foto, e gli uomini sotto di lui stavano trasportando la sua stessa bara. Seduti ordinatamente sulle prime file della chiesa riconobbe sua madre, le sue due sorelle e, dietro di loro, i suoi colleghi di lavoro. Erano tutti in silenzio e girati verso il centro della navata di quella che doveva essere la chiesa che si trovava nelle vicinanze del suo quartiere, quella con il campanile alto ed il tetto nero e spiovente.
Si girò verso l’uomo alla sua destra, cercando con lo sguardo una risposta o piuttosto una conferma dell’idea che gli era balenata nella mente, per quanto assurda potesse essere. Questo, togliendosi il cappello da baseball dalla testa, annuì.

«Eh sì ragazzo mio, temo proprio di doverti informare che sei appena diventato un fantasma. Benvenuto al tuo funerale.»
  
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