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Autore: T612    08/03/2020    1 recensioni
È scientificamente provato che anche l’organismo apparentemente più perfetto al mondo – con tutte le contraddizioni del caso e le implicazioni scomode delle singole parti – può raggiungere il collasso, basta trascurare un singolo tassello infinitesimale per far strada ad un’infezione così ramificata da poter raggiungere ogni singolo centimetro dell’ospite, spingendo l’anima a ribellarsi ad un corpo asmatico, psicotico e tachicardico.
È semplice, è basilare… è Anatomia, per risolvere il problema basta solo sapere dovere incidere ed intervenire. L’unico dilemma è il chi tiene il bisturi dalla parte del manico.
[Avvertenze: cinematograficamente canonico fino a TWS, Civil War (Comic Verse // Fix-it), “Infinity War/Endgame” sono un miraggio lontano lontano che non scriverò mai.]
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments, Otherverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'M.T.U. (Marvel T612 Universe)'
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PRIMA PARTE - CUORE 

 

TACHICARDIA: Sintomi
Palpitazioni, sensazione di peso e dolore al torace, vertigini, sensazione di stordimento, sincope.



 

Praga aveva l'incredibile capacità di far perdere il senno a Natasha, vantando il fascino malato di una repulsione frammentata persa nei recessi sconnessi della propria mente, ricoprendosi soggetta al venire influenzata più da quelle emozioni che fingeva di non avere, che dal proprio codice morale o dalla logica fine a sé stessa… era un sentimento indefinito e destabilizzante che le dava l'impressione di camminare in punta di piedi sul bordo di una lama affilata, sforzandosi di restare presente a sé stessa distraendosi da quella sensazione opprimente intavolando le conversazioni più disparate con Sharon nel tentativo di riempire completamente la decina di ore di volo aereo – uno spettro molto ampio che spaziava da catastrofi mondiali, passando per le verifiche di Ross sull'operato delle nuove reclute tra le fila degli Avengers, fino ad approdare al dilemma esistenziale sul perché fossero finite per cedere decidendo di trascorrere il resto della loro vita con gli altri due piantagrane. 

«Perché non hai voluto Bucky in missione?» si arrischia a chiederle la donna di punto in bianco, dissociandosi dalle chiacchiere banali in corso d'opera, decidendo che fosse ormai giunto il momento di interpellarla su quel tabú costruito nelle ultime ore, scoccandole uno sguardo confuso dal sedile del copilota. «Non parlo russo bene quanto voi due, ma me la cavo… e fammi il favore di risparmiarmi la cazzata del dover monitorare Yelena, uno qualunque di noi avrebbe potuto tranquillamente sostituirvi senza informare Ross della cosa.»

Natasha spezza bruscamente il respiro entrando in stato di allerta, biasimandosi per essersi dimenticata per una frazione di secondo che Sharon Carter condivideva la sua stessa deformazione professionale, eclissando l'indole da spia traducendo le sue parole in mera apprensione… nonostante gli anni trascorsi al di qua del Muro le faceva ancora uno strano effetto che qualcuno potesse preoccuparsi per lei, a discapito della famiglia allargata che le copriva le spalle ignorando i suoi taciti ordini di tenersi a distanza. Si prende comunque qualche secondo per rispondere, in istanti che si protraggono più del dovuto al punto che Sharon sembra voglia aprir bocca per ritrattare la considerazione espressa e fingere di non aver mai proferito parola, bloccandola socchiudendo le labbra in un preludio di spiegazione che tarda sempre più ad arrivare. 

«A Praga non c'è nulla da spartire con lui, non ha senso farsi del male in due.» ammette restia dopo un rapida valutazione dei pro e dei contro nel stratificare una menzogna, mantenendo le pupille rigorosamente incollate al parabrezza ed optando per la condivisione di un'accurata selezione di brandelli di verità sparse. 

«Ma non vuole nemmeno che tu sia da sola.» obietta Sharon con tono incolore, armandosi di pazienza per aprire una breccia tra le spine del roseto soffocante che assedia le pareti del suo cuore, sbuffando dal naso nel vano tentativo di allentare la pressione nella gabbia toracica. 

«Paranoia.» riassume facendo compiere alle sue pupille un giro completo della cavità orbitale, strappando un sorriso consapevole alla donna, grata che non le abbia chiesto esplicitamente a cosa si riferiva la loro discussione lasciandole la libertà di condividere o meno certi dettagli, sentendosi in dovere di ripagare tale fiducia con un spiraglio di verità autentica. «Certi fantasmi sono più spaventosi di altri, tutto qui.»

«Non mi devi nessuna spiegazione Nat, davvero.» la rassicura Sharon con una scrollata di spalle, iniziando a mangiucchiarsi le unghie fissando il parabrezza permettendole di tornare nella sua bolla confortevole composta da ombre e frammenti di ricordi caotici, concedendole i suoi tempi per avviare di sua sponte la conversazione successiva. 

Natasha respira, sigillando la propria mente a camera stagna, svuotandola totalmente per istinto di autoconservazione e riempiendola di informazioni inutili e fini a sé stesse, ritornando a stilare liste ed incastrare impegni riempiendo nuovamente l'abitacolo di chiacchiere… fino a quando non parcheggia il Quinjet nella radura a fianco alla casa abbandonata a pomeriggio inoltrato, trattenendo il fiato di fronte a quel paesaggio spettrale, temendo un agguato dietro l'angolo che tuttavia non si verifica. 

«C'è qualcosa che non mi torna.» sente Sharon bisbigliare alle sue spalle, ignorandola aprendo la porta su un ampio soggiorno ricolmo di schedari e archivi impolverati. «Nat?» 

«Qualcuno ci sta dando una mano, ecco cosa non ti torna.» afferma con un tono di voce normale dopo un rapido sopralluogo di stanze tutte uguali, accendendo i quadri elettrici illuminando l'intero stabile. «Qualcuno che è stato qui di recente, a quanto pare.»

«Perché la polvere è mal distribuita?» la interroga ripulendo il bordo di una mensola sporcandosi l'indice di nero, osservando pensierosa le assi del pavimento tirate a lucido. «Hanno cancellato tutte le impronte.»

«Hanno anche aggiustato il quadro elettrico.» conferma soprapensiero, scorrendo con lo sguardo sulle diciture dei fascicoli, cercando di dedurre uno schema di catalogazione decifrando le targhette che contrassegnavano gli schedari, illuminando il cervello a giorno sfilando dalla pila a colpo sicuro uno dei tanti taccuini accatastati sui vari ripiani e mensole. 

«Non c'è nemmeno un computer, solo cartaceo… è strano.» ragiona Sharon ad alta voce dopo un secondo sopralluogo, corrucciando le sopracciglia di fronte ai caratteri in cirillico tracciati a penna. «Tu hai una vaga idea di cosa sia questo posto?» 

«Un Archivio molto vecchio e molto pericoloso da tenere, di quelli che si possono ridurre facilmente in cenere con un bel incendio.» spiega sfogliando le pagine del taccuino fugando ogni dubbio, mancando un battito quando riconosce le informazioni e le date disperse tra le righe identificando la mano dietro a quell'opera di proporzioni colossali, illudendosi che il suo improvviso sguardo lucido sia causato da uno dei tanti granelli di polvere che saturano l'aria. «Sono le Fondamenta, alla fine Tania Belinsky le ha costruite al posto mio.»

«Io non ti leggo nel pensiero, Nat.» esordisce la bionda con un tono che lascia intendere una richiesta di delucidazioni, avvicinandosi di mezzo passo allarmata dopo aver visto una piccola increspatura nella sua solita facciata insondabile.

Sei fatta di marmo, ricomponiti. Ricordati che sei fatta di marmo, Natalia. 

«Era una delle mie sorelle, la prima che ho addestrato di persona. È morta proteggendo tutti i miei segreti.» confessa atona alzando lo sguardo granitico sulla donna, indicando con un ampio gesto la quantità esorbitante di taccuini che riempivano la stanza… la sua volontà sarà anche fatta di marmo, ma il suo corpo di carne è tristemente friabile, tradendola causandole un giramento di testa, desiderando di darsela a gambe e fingere che quell'intera parentesi di debolezza non si sia mai verificata, non riuscendo tuttavia a staccare gli occhi dalla pagina o frenare la lingua prima di combinare altri danni. «Soprattutto quelli abominevoli e da pena capitale…»

«Tipo James?» 

«Tipo James…» si morde la lingua prima di terminare la frase, scrollando le spalle come a scacciare la sensazione appiccicosa del rimpianto dovuto alla perdita che le si incolla addosso come una seconda pelle, liberando un sospiro che le accartoccia il petto in una morsa soffocante, grata che Sharon finga palesemente di non vedere e non sentire ciò che le sta accadendo. 

Non pensarci. Non pensarci. Non pensarci. 

«Nat… vuoi prenderti una boccata d'aria fresca?» chiede la donna titubante qualche secondo più tardi, avvicinandosi di un altro mezzo passo per assicurarsi delle sue reali condizioni, temendo un collasso imminente portando istintivamente una mano al transponder. 

«No, sto bene… sto…» serra la mascella con forza, ricomponendosi, raddrizzando le spalle affrontando la situazione di petto senza paura alcuna… nonostante l'ansia le stia distruggendo lentamente le viscere, stringendo il taccuino tra le dita con forza e desiderando di fuggire nel bosco per espiare tutti quei dubbi che avevano iniziato ad agitarsi nella sua scatola cranica come un fiume in piena, generando una quantità esorbitante di dettagli caotici che le affollano la testa. «Qui c'è materiale per incriminare ogni singolo affiliato della Stanza Rossa… fino al '91 almeno, non possiamo lasciarlo incustodito.»

«Chiamo qualcuno, faccio arrivare il primo dei nostri che è in zona…» la rassicura Sharon decidendosi a sfilare il transponder dalla tasca della tenuta per contattare una squadra tattica, indicandole la porta con un cenno del capo fornendole una via di fuga. «Non c'è bisogno che tu resti qui, aspettami fuori… io resto dentro e riordino un po'.»

Natasha non se lo fa ripetere due volte, girando i tacchi incespicando fino alla balaustra nel portico, aggrappandosi ad essa per riprendere fiato, chiudendo gli occhi respirando a fondo per ricomporsi… ma quando solleva lo sguardo vede la neve macchiata di sangue, sente le urla e i latrati dei cani portati dal vento, mentre un abisso sconfinato e vuoto germoglia dalla bocca del suo stomaco e minaccia di inghiottire lei e il suo orgoglio del cazzo. Non sarebbe mai dovuta tornare… non da sola, non senza James. 

I suoi piedi iniziano a muoversi ben prima che il suo cervello detti l'impulso, impuntandosi nel esorcizzare i propri demoni seguendo alla lettera la mappa approssimativa tracciata sulle pagine ingiallite, addentrandosi nei boschi con un passo vagamente malfermo. Sapeva di essere stata a malapena una ragazzina quando era successo, la reminiscenza originale era andata persa insieme ai vari reset subíti, ma all'epoca James aveva rubato per lei il suo fascicolo dall'ufficio di Petrovich, riuscendo a ricostruire a posteriori un ricordo verosimile del perché fosse stato necessario anticipare la Cerimonia di Laurea di un paio d'anni rispetto alle sue sorelle, raggiungendo un verdetto che aveva solamente contribuito a sedimentare la consapevolezza di non voler mai più mettere piede a Praga finché era in vita… e puntualmente era lì a seguire le direttive di un fantasma per trovarne altri, pronta a venir meno al limite imposto da sé stessa. 

«Non sapevo fossero entrambe qui…» afferma con voce sepolcrale quando avverte la presenza di Sharon alle sue spalle, completamente ignara del tempo trascorso da quando si era lasciata cadere in ginocchio in mezzo alla neve assecondando un crollo emotivo concesso, notando appena il cielo stellato trapuntato sopra la sua testa, asciugando i resti delle lacrime silenziose cristallizzate sulle sue guance con il dorso della mano, ricomponendosi per l'ennesima volta nel corso di quell'interminabile giornata e sentendosi in dovere di riempire il silenzio protratto con una qualche giustifica al suo imprevedibile stato d'animo, mostrandole il taccuino che stringeva tra le mani. «Me lo sono sempre chiesta, il dove Tania avesse seppellito la seconda… l'ha spostata qui con la sorella appena ha potuto, me l'ha lasciato scritto.»

«Non volevi saperlo?» chiede la donna alle sue spalle in un sussurro appena udibile, incapace di staccare gli occhi dalle due croci bianche in legno di betulla – contrassegnate dalle diciture “1946” e “1956”, incise rozzamente sul basamento del tronco verticale ed appena visibili alla luce della luna – che si ergevano ai lati di un cespuglio di rose selvatiche, timorosa di compiere un gesto troppo avventato e vederla cadere definitivamente in mille pezzi. [1] 

«Era un'informazione in meno da dimenticare.» scrolla le spalle noncurante, ascoltando una voce che stenta a riconoscere come propria. 

Sharon la raggiunge a terra, sfiorandole un gomito per essere sicura di non vederla scattare, abbracciandola trasmettendole un po' di calore umano… la donna non parla, non chiede nemmeno, aspetta semplicemente in silenzio e Natasha si ritrova a seguirla quando all'alba Sharon la trascina in piedi e la porta lontano dalle due tombe, aggirando di proposito la squadra tattica ancora al lavoro ed obbligandola a mangiare qualcosa appena risalgono sul Quinjet per tornare a casa. 

«L’hai appena chiamato immagino...» Natasha spezza il silenzio con voce rauca una volta terminata a fatica la propria razione di cibo, assottigliando lo sguardo accusandola istintivamente per essersi macchiata del crimine del buon senso quando la vede nascondere goffamente il transponder dietro la schiena.

«Tu non l’avresti mai fatto… e francamente hai più bisogno di lui che di me.» replica Sharon con una scrollata di spalle trasmettendole una strana sensazione rassicurante, proteggendola da un giudizio che si astiene per la semplice incapacità di trovare un parametro… Natasha sapeva che era inutile fingere, ormai aveva bruciato le sue carte, e per deformazione professionale Sharon doveva aver già collegato tutti i suoi brandelli veritieri espressi nelle ultime ore.

«Non mi hai ancora chiesto chi sia sepolto lì sotto.» concede Natasha titubante sfiorando il taccuino nascosto nella tasca interna della tenuta, preparandosi psicologicamente ad intavolare una spiegazione che era in grado di scarinificarla una parola alla volta, sorprendendosi quando Sharon le fa cenno con la testa di non voler sapere nulla.

«Non serve, me l’hai detto prima… un Abominio ed una Pena Capitale.» liquida l’argomento prendendo posto ai comandi costringendola al sedile del copilota, facendo sfoggio di sensibilità nel non toccare volutamente quei tasti dolenti messi a nudo, accartocciando un paio di domande sulla lingua cercando la formulazione corretta prima di proferire nuovamente parola chiedendo l’unica conferma che non poteva fare a meno di ignorare. «Bucky lo sa?»

«Della prima si, era annotato nel mio fascicolo del KGB.»

«E della seconda?» chiede allora la bionda con voce appena udibile, intuendo già la risposta prima di vederla negare con un cenno del capo.

«No, non saprebbe come gestirlo.» conferma atona eludendo lo sguardo della donna, rannicchiandosi sul sedile in posizione di difesa da quelle parole potenzialmente affilate come coltelli… ma Sharon non infierisce, anzi, sembra comprendere fin troppo bene.

«E tu invece? Hai saputo gestirlo?» la sorprende toccando un nervo sensibile.

«All'epoca avevo richiesto delle Fondamenta… e poi l’ho dimenticato insieme a tutto il resto per troppo tempo, con gli anni ha semplicemente smesso di fare male.» cede, usando un tono di voce che desiderava concludere quel discorso anomalo al più presto.

«Ha smesso davvero o ti sei abituata al punto da conviverci?» si arrischia a chiederle, sfidandola apertamente a replicare con sincerità, ottenendo prevedibilmente un’occhiata di fuoco in risposta. «Come non detto… torniamo a casa.»

Sharon avvia il motore del velivolo facendo definitivamente calare il sipario sull’argomento, ma ciononostante l’interruzione verbale non placa in automatico anche la sua mente, iniziando a chiedersi quanta verità si celasse in realtà nelle proprie affermazioni, interrogandosi se l’aver sempre evitato di parlarne con James si traduceva anche nella reale ignoranza di quest’ultimo. 

Quello che era iniziato come un sospetto diventa velocemente un dubbio fastidioso, trasformandosi in tarlo massacrante nel giro di poco, scardinando con prepotenza la porta della camera stagna istituita nel suo cervello… e Natasha finisce irrimediabilmente per perdersi nel proprio labirinto mentale senza via d'uscita.

 

Mosca, 1956: una verità negata

 

Natalia gli stava dando le spalle ma riusciva a percepirlo lo stesso, continuando a spazzolarsi i capelli ignorando forzatamente lo sguardo azzurro ghiaccio dell’uomo, covando la speranza vana che se ne stia in silenzio ed eviti di ripescare conversazioni scomode ad un passo dal lasciarsi per un tempo indefinito.

«Cosa c’è Natalia?» irrompe la voce di James con tempismo irritante, decidendosi a parlare per fugare ogni dubbio, nascondendo un sottotono preoccupato nella voce.

«Niente.» replica lei prevedibile voltandosi nella sua direzione e distogliendo lo sguardo subito dopo, fissando l’angolo del tappeto in un chiaro consiglio a desistere dal intraprendere conversazioni avventate.

«Lo so che domani Alexei ti trascina ad un’altra commemorazione, galà… qualunque cosa sia.» insiste nel cercare una spiegazione alla sua apatia, fraintendendo, chiamando in causa con tono incurante la sua debole concorrenza, parlando con cautela e sforzandosi di non distogliere lo sguardo a sua volta. 

Da come parlava sembrava quasi rassegnato a perderla… o peggio, aveva lo sguardo di chi sapeva di averla già persa. Natalia intuiva il cosa dovevano aver visto i suoi occhi nell'ultimo paio di giorni, sentendosi lei per prima un involucro vuoto e fragile da quando era tornata da Berlino, vantando l'aspetto di chi aveva visto la morte in faccia e desiderava solamente cercare con lui tra le lenzuola un appiglio per sentirsi di nuovo viva. In quei due giorni James l'aveva assecondata in tutto, senza mai battere ciglio o insistere con qualche domanda… perché forse aveva già intuito qualcosa, o peggio, forse sapeva ed aveva deciso che non gliene importava. 

«Accetti la cosa così? Niente scenata di gelosia? Nessun comportamento lunatico?» lo accusa furente leggendo nei suoi occhi la confusione più totale, tradendosi instillandogli involontariamente la scintilla di un sospetto che ancora non aveva. 

«Mi consolo che una notte del genere...» inizia l’uomo correndo al riparo con una consolazione lusinghiera, indicando loro due, la stanza e di nuovo lei in un unico gesto volto ad avvalorare la tesi espressa. «… Alexei non l’avrà mai. La fuga non è un’opzione, quindi mi accontento di questo.»

«E se scappassimo?» propone elettrizzata nel tentativo disperato di smorzare la scintilla che aveva incautamente scatenato, assecondando l'appiglio fornitore dall'uomo stesso per fortificare la barriera che aveva eretto negli ultimi due giorni per proteggerlo da quella verità orribile conosciuta solamente a lei e a Tania.

«Non possiamo.» replica James con tono ovvio tastando il terreno, scoccandole uno sguardo che tentava di studiare le sue reazioni, fiutando guardingo il depistaggio in corso.

«Perché no? Lasciamo un biglietto e un mazzo di rose come ringraziamento. Vorrei questo...» afferma Natalia imitandolo nei gesti, indicando loro due e la stanza in quel concetto non esprimibile a parole. «… ma lontano da qui

«Vuoi scappare da Ivan?» chiede James con lieve titubanza… e lo vede, il dubbio che divampa in fondo ai ghiacciai naufragati nei suoi occhi, scoprendosi indecisa tra l'essere spaventata per la sua possibile reazione violenta nel scoprire del cadavere sepolto a Berlino e l'urgenza di fuggire insieme dal Cremlino lasciandosi alle spalle le macerie fumanti di Mosca. 

«Si. Da lui, Lukin, Karpov, Dimitri, Madame B… e Alexei.» elenca sottolineando il come quel desiderio di evasione lo coinvolgesse in prima persona, ma guardandosi bene dal condividere con lui il Peccato Capitale causato dalla loro mancata attitudine ai doveri di Macchina, rischiando concretamente la vita per un stupido incidente dettato dall'anima libera che non erano.

«Sai come andrà a finire, vero?» formula James rassegnato, comprendendo fin troppo bene l'intera situazione reputandola folle, ritrovandosi ad assecondarla di nuovo, sentendosi messo all'angolo senza vedere l'ombra di una terza alternativa indolore o meno rischiosa.

«Preferirei la Siberia ad Alexei… passerei solo da una forma di prigionia ad un’altra.» afferma Natalia ricevendo un cenno di assenso in risposta, scorgendo un lampo di consapevolezza al termine dei pozzi neri celati nelle sue pupille… non potendo fare altro se non assistere silenziosa al divampare della sua paura mista a rabbia, tentando di direzionarla in porti più sicuri. «Lui non è te, non abbiamo più nulla da perdere James… tanto vale tentare.»

Natalia si rende perfettamente conto che forse avrebbe dovuto usare parole diverse, ma aveva bisogno di farlo barcollare prima di manipolarlo, dipingendosi un sorriso amaro sulle labbra, consapevole di aver toccato i tasti giusti quando lo sguardo di James si sgrana al punto da riuscire a vedersi riflessa nelle sue pupille, frenandosi dal toccarlo quando boccheggia a vuoto incapace di formulare una frase in grado di fugare tutti i dubbi dei quali non voleva realmente ricevere risposta. Natalia accarezza l'idea di non mentirgli, di confessare così su due piedi che ha avuto un aborto, di farsi abbracciare fino a scomparire tra le braccia di James per sentirsi di nuovo completa… ma allo stesso tempo riesce anche ad immaginare l'altro lato della medaglia, figurandosi la totale disperazione nello sguardo dell'uomo nel vedersi negata una possibilità che non pensava di avere, gestendo a fatica la propria di paura alla sola idea di vederlo crollare, conscia di non avere le forze per fermare il dolore tramutato in furia omicida. Se Natalia chiude gli occhi vede chiaramente il cadavere di James, morto suicida nel tentativo di vendicare il frutto di un amore perduto… e per salvaguardare la sua vita e la propria sanità mentale non può permettere che accada, illudendosi di mentirgli per proteggerlo da azioni avventate non ancora accadute, negandogli egoisticamente il pretesto ed il diritto di disperarsi, trasformandolo nel proprio appiglio inconsapevole per non lasciarsi andare alla deriva. 

Natalia si morde la lingua e tace, ma ha come l'impressione che James riesca comunque a leggerla nel pensiero, afferrandole istintivamente i fianchi impedendo ad entrambi di naufragare in una valle di lacrime, chiudendo gli occhi posando la fronte contro la sua limitandosi a percepirla sotto i polpastrelli, in una prova tangibile di tutto ciò che gli restava al mondo e poteva essergli ancora strappato via dalle braccia. 

«È un’impresa suicida Natalia… è folle, spaventosa…» gracchia James nascondendo l’impellente bisogno di assecondarla, di fuggire seduta stante senza guardarsi indietro.

«Ti spaventa più dell’essere innamorato di me?» chiede con ironia latente attingendo ad una forza di volontà che non sapeva di avere, portando a termine l'omissione ridimensionando l’ondata di paura che gli legge negli occhi, distanziandolo da quel sospetto abominevole spingendolo a credere di sbagliarsi.

«Dal mio punto di vista, la tua morte è una prospettiva decisamente più terrificante, ne avevamo già discusso.» afferma James cercando un punto di ancoraggio nei suoi occhi verde foresta, trovandoci la quiete che manca nel mare in tempesta che si celava nei propri, riuscendo a respirare dopo secondi interminabili di apnea, sfociando in una decisione dettata dall'impulso. «Vada per la Siberia, se devo morire voglio farlo da uomo libero.»

 

Natasha aveva aperto gli occhi di colpo al rumore di un velivolo che atterrava nell'hangar, stroppicciandosi gli occhi ritrovandosi a contemplare il sedile del pilota vuoto e la vista di due Quinjet parcheggiati affianco al proprio, appurando che Sharon doveva essersela data a gambe da un pezzo e che evidentemente in quel lasso di tempo James aveva fatto in tempo a tornare da Madripoor… quando avrebbe fatto meglio ad ignorare i messaggi di Sharon e risparmiare a lei il compito di costruire una facciata imperturbabile che reggesse ad ogni tipo di pressione, cosa che Natasha escludeva categoricamente di poter fare in tempi così brevi. 

Si obbliga a rimettersi in piedi approfittando dell'alibi di ferro che le si palesa davanti quando la squadra tattica convocata a Praga dalla Carter inizia con le operazioni di trasferimento a terra della documentazione raccolta, trascinandosi fino all'alloggio di Hill per buttarla giù dal letto e fare rapporto, consapevole e colpevole di aver mandato all'aria la possibilità di mettere definitivamente un punto alla caccia al topo che dopo più di un anno aveva assunto le sembianze di una guerra di logoramento – chiudendo a chiave i propri sentimenti inopportuni in un cassetto della propria mente per poi gettarla via, non aveva il tempo di piangere, non era più una bambina. 

Sei fatta di marmo, ricomponiti. Ricordati che sei fatta di marmo, Natalia. 

«La smetti di far fare scintille alla mia protesi?» irrompe a tradimento la voce di James dalla cima del laboratorio, spingendo Natasha a bloccarsi sul fondo delle scale, accusando una martellata che fa volare via diverse schegge di marmo dalla propria corazza. 

«Rinvii la diagnostica da mesi e la tratti da cani, ovvio che ora fa scintille.» brontola Stark troncando la discussione con una seconda scarica di sfrigolii, mentre Natasha si schioda dal primo gradino dandosi della stupida, avvertendo la netta sensazione che il taccuino nascosto nella tasca interna della sua tenuta inizi a pesare come un macigno, consapevole di dover per forza passare davanti alla porta a vetri del laboratorio per raggiungere le camerate, rallentando il passo scalino dopo scalino per origliare la conversazione in corso e lasciandosi superare dagli agenti che trasportavano pile e pile di scatoloni fino alla sala comune. «Dato che non hai via di fuga perché tengo in ostaggio il tuo ammasso di ferraglia ipertecnologico, pensi di spiegarmi cosa diavolo sta succedendo?»

«Perchè, sta succedendo qualcosa?» ribatte James spigliato, lasciando all’immaginazione di Natasha l’alzata di occhi al cielo di Tony di fronte a quel blando tentativo di depistaggio.

«Tu e Yelena siete partiti due giorni fa all'alba e nessuno vi aspettava per minimo settantadue ore, sono le due di notte e tu sei qui da solo in un fascio di nervi, mia cugina è atterrata ore fa ed è corsa da Steve senza nemmeno passare a salutarmi e di Romanov non c’è ancora traccia.» elenca Stark impietoso con il rumore di placche metalliche calibrate in sottofondo, facendo incespicare silenziosamente Natasha a ridosso della soglia del laboratorio instillandogli l’obbligo di assecondare qualunque sentenza di dubbia veridicità stia per formulare suo marito. «Qui ho finito, per la cronaca… ed ora ti sfido a mentirmi, Barnes.»

«Succede che qualcuno all'interno della Dark Room ci sta dando una mano.» afferma James lapidario puntando per l’esposizione dei fatti concreti intuibili ai più, mentre Natasha raggiunge il ballatoio del laboratorio sbirciando all'interno del laboratorio, notando per prima la figura di Tony puntellata al bancone da lavoro con il baby-monitor agganciato alla cintura, per poi spingere lo sguardo fino a suo marito che afferrava la protesi dal tavolo, approfittando del clangore dell'arto meccanico che si riattaccava alla placca magnetica per proseguire a passo felpato lungo il corridoio nella speranza di non essere vista. «Le ragazze hanno trovato l’Archivio di Tania Belinsky, a quanto pare siamo entrati in possesso di materiale in grado di incriminare mezza Russia.»

«Questo non spiega il perché tu sia qui senza la piccola siberiana alle costole, né giustifica l'assenza di Natasha.» afferma Tony con un vago scetticismo latente ed una sfuriata in lingua slava che evidentemente gli riecheggiava ancora all'interno della scatola cranica, puntando il dito sulle informazioni omesse mentre James dà il profilo alla porta in risposta e si dipinge un sorriso da schiaffi sul volto. 

«Bentornata amore, com'era la Repubblica Ceca?» elude la richiesta di delucidazioni di Stark, impalandola sulla soglia con una semplice domanda che ostentava nonchalance sconfinata, obbligandola ad affacciarsi alla porta per fronteggiarlo.

«Peggio di come la ricordavo… sono appena tornata con la squadra tattica Tony, ti mancavo per caso?» scherza ottenendo una mezza risata in risposta evitando di fingere di non aver origliato la loro conversazione, scrollando le spalle indicando un punto imprecisato alle proprie spalle. «Io vado, voglio controllare che si siano ricordati di prendere tutto ed iniziare a farmi un'idea da dove iniziare a catalogare i fascicoli domani mattina.»

«'Tasha…» tenta di bloccarla James scendendo dal bancone su cui era seduto, mentre la donna si sforza di dipingersi un sorriso sulle labbra, dissimulando la mancanza di quel paio di battiti persi di fronte allo sguardo ed al tono di voce preoccupato di suo marito. 

«Non saresti dovuto tornare.» lo allontana nel vano tentativo di tenere le proprie emozioni sotto chiave, le quali trovano prontamente una via di fuga alternativa scavandole una voragine nel petto, facendo riaffiorare la rabbia dal tumulto incoerente che le rimescola il sangue in corpo riconoscendola come una emozione familiare e terapeutica. «E pensavo di essere stata abbastanza chiara sul non dover lasciare Yelena da sola a Madripoor.»

«Ho già parlato io con Hill, ha spedito Barton in Asia appena l'ho chiamata per avvisarla del mio rientro anticipato… e fino a prova contraria tu sai tutto della Stanza Rossa, ma non hai mai messo piede nel Dipartimento, ti servirà una mano nei prossimi giorni.» replica l'uomo con logica ineccepibile smorzando sul nascere la scintilla furiosa che la anima, consapevole che Clint era la scelta più adatta per trattare con una Vedova irascibile, sollevando lo sguardo su suo marito permettendogli di intravedere i pozzi neri senza fondo celati nei suoi occhi, scansandosi appena quando accenna un passo nella sua direzione sfilando le chiavi della moto dalla tasca. «Guido io fino a casa?» 

«Va bene.» ribatte atona uscendo dalla stanza, avvertendo i passi di James inseguirla a distanza di qualche secondo richiamandola bloccandola a metà strada dalla rampa che conduceva ai garage, voltandosi a fronteggiare le sue braccia aperte in un abbraccio. «No

«... dai, vieni qui, non mordo.» la contraddice andandole incontro, stringendosela al petto appoggiando il mento sopra la sua testa, mentre Natasha chiude gli occhi respirando a fondo il profumo di tabacco, metallo e polvere da sparo impresso su James come un marchio di fabbrica, attraccando al sicuro placando il mare in tempesta che si agitava sottopelle. «Meglio?»

«Ti odio.» brontola aggrappandosi alle sue spalle, tradendo un respiro più brusco degli altri.

«Ti amo anch’io.» mormora posandole le labbra sulla fronte, spingendola inconsciamente a ricomporsi ed impedirsi di lasciarsi andare alla deriva. «Forza, torniamo a casa.»

«звезда моя…» tenta di contestarlo avvertendo il senso di colpa pungolarle lo stomaco, specchiandosi in un mare in tempesta che annega un sospetto malcelato sul fondo delle iridi di James, mordendosi la lingua ritornando sui propri passi. «Niente, torniamo a casa.»

 

***

 

«’Tasha, ora posso sapere che ti prende?» 

Natasha spanna lo sguardo riscuotendosi dall’ennesimo istante di apatia momentanea, attorcigliando lo stomaco di James in una morsa a tratti dolorosa, reprimendo la scintilla di paura che gli attraversa l'anticamera del cervello quando si specchia nei pozzi neri delle pupille di Natasha… le aveva concesso il tragitto fino a Little Ukraine in silenzio, le coccole di Liho mentre lui occupava la doccia ed aveva aspettato pazientemente che lei terminasse tutta l'acqua calda quando era stato il suo turno di lavarsi, ma James aveva deciso che era arrivato il momento di darci un taglio con tutte quelle futili precauzioni per aggirare il campo minato che la moglie gli aveva costruito intorno, consapevole che presto o tardi avrebbe messo male un piede e sarebbe inevitabilmente saltato in aria, rassegnandosi che ormai giunti a quel punto tanto valeva porre le domande giuste a bruciapelo ed accorciare le tempistiche fin da subito.

«Ho i capelli bianchi, guarda.» gli rigira il discorso Natasha afferrando un sottile filo bianco da una delle tante ciocche rosse indomabili che aveva tentato di acconciare maniacalmente nell’ultimo paio di minuti, sbuffando di fronte alla sua espressione scettica, rassegnandosi a raccoglierli in una treccia disordinata.

«Hai novant'anni suonati 'Tasha, non farne una questione di Stato… e non cambiare discorso di nuovo.» la riprende seguendola con lo sguardo mentre si arrampica sul materasso intrufolandosi al suo fianco sotto le lenzuola, allungando una mano per intrecciare le dita tra i suoi capelli ignorando la sua richiesta di delucidazioni.

«Non è giusto che tu non ne abbia nemmeno uno, sembro più vecchia di te adesso [2]

«Come se a me importasse… sono talmente pochi che non si notano nemmeno.» sbuffa assecondandola quel poco che bastava per farle abbassare la guardia, preparandosi il terreno per un nuovo attacco.

«Tu non noti nemmeno quando cambio taglio, звезда моя.» replica incolore leggendo tra le righe le sue reali intenzioni, voltandogli le spalle rotolando verso la sua metà di materasso. «Se provi ad uscirtene con una qualche frase melensa ti defenestro.» 

«Non ho detto niente… non ancora.» si difende debolmente allungando il braccio sinistro verso di lei afferrandole il polso martoriato, mantenendo invariata la loro solita routine facendo cozzare la schiena della donna contro il proprio petto. «Dovremmo parlarne prima o poi, lo sai vero?»

«Parlare di cosa?» Natasha finge di cadere dalle nuvole con scarsi risultati, ostinandosi a dargli le spalle per non tradirsi. 

«Del taccuino che hai nascosto sul fondo dell'armadio al posto delle punte gessate, dato che quelle sono riapparse in salotto… per dirne una.» afferma in un sussurro conciliante stringendo un po' di più la morsa delle sue braccia, consapevole che in quel doppio fondo angusto la compagna seppelliva tutte quelle parti della sua vita che voleva gettare nell'oblio della propria memoria, spingendo James ad agire in forma preventiva impedendole di logorarsi il fisico e soprattutto l'anima in solitudine sulle punte fino allo sfinimento. «Non costringermi ad insistere, non sei in grado di mentirmi troppo a lungo.»

«Potrei sorprenderti.» lo contesta fremendo appena quando le sfiora una spalla in una carezza, schermandosi dietro all’ultima difesa che le era rimasta per metterlo a tacere. «Lo sai che conosco tutti i tuoi punti deboli, vero?»

«Ed io conosco i tuoi.» ribatte allentando la presa togliendole l’appoggio del busto, sollevandosi su un gomito per fronteggiarla. «Credi di essere l’unica a saper usare il sesso per ottenere informazioni?»

«Dovrei interpretarla come una minaccia?» chiede guardinga con lo sguardo di un cerbiatto spaventato di fronte ai fanali di un’auto. 

«Consideralo più un avvertimento.» replica candidamente aspettando in silenzio una replica che non arriva, aprendo bocca prima che la donna possa distogliere lo sguardo. «’Tasha, ti conosco da sempre e ti ho sposata, ormai non esiste più una verità così spaventosa da farmi fuggire via, da respingermi o da ferirmi.»

Natasha si morde un labbro tentennando appena, tradendosi fremendo sul posto… rinunciando a mentire od omettere informazioni che lui ormai potrebbe tranquillamente scoprire frugando nel suo armadio, concedendosi un respiro un po' più profondo degli altri prima di proferire parola, cercandolo in punta di dita stabilendo un contatto ed ancorando lo sguardo al suo. 

«Non c’era solo la tomba di Rose a Praga.» confessa sconsolata, celando in fondo alle pupille un abisso tumultuoso in fase di allagamento… scavando una voragine nel petto di James quando il ricordo ottenebrato del motel di Mosca riaffiora dalle sue sinapsi e si colloca ordinato tra le fila della sua memoria rattoppata alla meno peggio, rendendo lampante il cambio di soggetto. «È questo che Tania ha lasciato scritto nel taccuino. Il come e il quando l’ha riesumata da Berlino e l'ha spostata a Praga con la sorella.»

Non abbiamo più nulla da perdere, James… è morta una bambina, James.

La sentenza si abbatte impietosa su entrambi ripescando reminiscenze di pensieri datati appartenenti ad un altra vita, assumendo contorni definiti ed agghiaccianti incrinando un qualcosa nel petto di James che si traduce fisicamente in uno spasmo doloroso allo sterno, come se il cuore si fosse trasformato improvvisamente in vetro e si fosse sbeccato, lacerando i tessuti spillando microscopiche gocce di sangue. 

James ricompone il puzzle, incollando i brandelli sparsi della propria memoria frammentata in decenni di ghiaccio e rivolte… naufragando nelle iridi verdi di Natasha rischiando di annegare in esse, sovrapponendoci il fotogramma dello sguardo caleidoscopico della sua piccola ballerina segnato dal ricordo di marchi indelebili e cicatrici mostruose che avevano origine ancora una sessantina d'anni prima. Riporta alla mente quei due giorni all'epoca creduti magnifici in cui si erano rinchiusi a chiave nella camera di un motel negandosi al resto del mondo, cercandosi ed annullandosi l'uno nell'altra per un numero incalcolabile di volte crogiolandosi nell'estasi, come se quella fosse l'ultima occasione che avevano per amarsi prima di salire sul patibolo… filtrando la dinamica attraverso i nuovi dettagli raccolti, reinterpretando la foga in disperazione, rendendosi conto che in quei due giorni le priorità di Natasha erano state ampliate dal mero istinto passionale volto alla ricerca di una gioia effimera, ma piuttosto puntavano al riavere indietro un qualcosa – un chi – che le era stato strappato via e poteva ritrovare solamente dentro di lui. Gli organi interni di James si dilaniano e sanguinano al ricordo che quella era stata anche la prima volta in cui l'aveva sentita piangere, ai suoi spasmi contenuti a fatica che riecheggiavano contro il suo petto come una cassa armonica, alle omissioni che erano seguite alle sue delucidazioni negate, alla richiesta disperata di fuggire dai loro padroni lasciandosi le macerie fumanti di Mosca alle spalle… all’epoca James l’aveva semplicemente intuito, trovando in un secondo momento la vaga conferma di un sospetto fondato nell'aiuto promesso da Tania Belinsky in memoria degli scempi di Berlino, agitando gli abissi torbidi della sua paura rivoltandogli le viscere nonostante all’epoca avesse dimenticato la matrice d’origine.

Il tempo si dilata rallentando i secondi fino allo stremo, ribaltando la clessidra della memoria per antitesi, perché poco importa se siano passati sessant'anni, sessanta ore, minuti o secondi… loro figlia è morta e non gli resta altra soluzione se non quella di aggrapparsi a sua moglie per non annegare nel mare in tempesta che inizia a sconquassargli il petto in respiri rantolanti vuoti e muti, riversando cascate di lacrime all'interno degli occhi allagando la sua gabbia toracica. James ha la netta sensazione di dover implodere da un momento all'altro… ed i centimetri che lo separano da Natasha sono troppi, nascondendo il suo sguardo in tumulto per non gettarla nel panico, stringendosela addosso in un conforto reciproco ed illudendosi che così facendo possa tornare indietro nel tempo e riuscire a percepirla ancora.

«Anastasia.» gracchia a tradimento Natasha contro il suo orecchio scivolando nella lingua madre, artigliandogli le spalle rispondendo all'abbraccio mentre James avverte il cuore schiantarsi in modo definitivo in fondo alla cassa toracica, lasciando che gli occhi si riempiano di lacrime. «Se fosse nata femmina avrei voluto chiamarla Anastasia… deriva dal greco, vuol dire “resurrezione”

James non ha la forza di replicare, limitandosi a stringerla immobile, incapace di versare lacrime o liberare i singhiozzi che gli frantumano le costole soffocandolo pian piano… si impedisce a forza di esplodere, terrorizzato di annientare Natasha per riflesso, concentrandosi sulle unghie della donna conficcate nella carne in un appiglio fastidioso. 

«Puoi piangere, James.» mormora Natasha con tono rassicurante, concedendogli il permesso quando non lo sente reclamare il diritto di provare un qualsiasi sentimento destabilizzante. 

«Anche tu.» replica in un rantolo che demolisce la diga rigandogli le guance, in una concessione reciproca che Natasha si stava negando a sua volta, seguendo la stupida convinzione che almeno uno dei due doveva ergersi a colonna portante dell'altro. 

Depongono le armi facendo crollare ogni barriera a forza di singhiozzi, rassegnandosi a rigettare un veleno salato che scioglie anche le ultime maschere… e l'emozione che resta a tempesta conclusa è così liberatoria da far girare loro la testa, continuando a tenersi stretti galleggiando insieme in un placido mare di lacrime. 

 

***

 

«Lo sai qual è l'arma perfetta per far crollare un Impero?» rompe il silenzio Elisa Sinclair, interrogando Kobik nel mentre che afferra la torre bianca ed elimina un pedone nero dalla scacchiera. 

Alexei Shostakov accusa il colpo storcendo appena le labbra, tentando di riparare al danno subíto spostando il proprio cavallo nella vana speranza di mangiare la regina bianca, fallendo miseramente nel tentativo quando il sorriso della donna si accentua ed elimina la torre nera che il suo cavallo stava proteggendo fino a qualche secondo prima. 

«Si!» esulta Kobik agitando i pugni in aria con un sorriso sfavillante ad incorniciarle le labbra, sollevando lo sguardo luminoso su Elisa. «Stiamo vincendo, vero? Non lo capisco ancora bene questo gioco.» 

«Si, stiamo vincendo piccolina.» sorride la donna con dolcezza infinita e per un istante Alexei riesce a figurarsela come la madre amorevole che doveva essere stata un tempo, con la giusta dose di gentilezza e la pazienza necessaria per spiegare le complesse regole degli scacchi ad un piccolo Helmut Zemo. «Ma non c'è gusto nel esercitarsi con il Guardiano… sei un pessimo giocatore Shostakov, lasciatelo dire.»

«Faccio troppa poca pratica.» si giustifica debolmente con una scrollata di spalle, accennando un sorriso al pensiero che nonostante la poca esperienza sul campo era riuscito a far svaligiare un Archivio con successo senza richiamare attenzioni indesiderate. «Ho imparato qualcosa, ma non sono ai suoi livelli Madame… lei gioca a scacchi da una vita.»

Elisa Sinclair sorride ignara estasiata per il complimento, muovendo pedine e divorando avversari con sfacciata naturalezza senza dar parvenza di ragionare dietro alle mosse attuate, spiegando le scelte fatte solo in un secondo momento sotto gli occhi divertiti della bimba. 

«Non hai risposto alla domanda Kobik, lo sai qual è l'arma perfetta per far crollare un Impero?» chiede nuovamente la donna, ottenendo una scrollata di capo in risposta, escludendo incautamente Alexei dalla conversazione in corso… come biasimarla, per quanto ne sapeva lo credeva intontito dalle droghe che idealmente Ursus avrebbe dovuto iniettargli giorno per giorno. 

Elisa Sinclair era troppo occupata a preservare ed amministrare il potere guadagnato a Madripoor per vedere al di là del proprio naso, spingendo lo sguardo su una scacchiera su larga scala ed ignorando le anime intrappolate nell'ombra dei vari pedoni, torri e cavalli… aveva preso la squisita abitudine di delegare ai sottoposti gli aspetti più aberranti della sua scalata al trono, ricavandosi una qualche sporadica mezz'ora per plasmare la mente della piccola con quel che bastava per ingannarla ed eseguire gli ordini, rifilando l'istruzione di Kobik ad Alexei e Mikhail convinta che un collare bastasse a controllare un mutante ed illudendosi che quest'ultimo iniettasse regolarmente le sostanze chimiche nelle vene del compagno di prigionia, invece di gettarle giù per lo scarico del lavandino come realmente faceva. 

«Un'idea Kobik, basta instillare nella testa di qualcuno un'idea malata.» spiega la donna con un sorriso dolce impresso sulle labbra quando Kobik annuisce convinta delle sue parole fuorvianti, scompigliando i capelli bianchi della bimba in un gesto affettuoso. «Molto presto potrai giocare all'Allegro Chirurgo con una bambola molto speciale, mia piccola Peter Pan.»

Kobik ride contenta battendo le mani entusiasta, mentre Alexei dissimula egregiamente il micro infarto registrato in sordina nell'apprendere la notizia, vedendo la propria occasione di conoscere il soggetto della frase dissolversi in fumo quando una guardia armata fa irruzione nella cameretta di Kobik richiamando l'attenzione del Leader Supremo. 

«Mi dispiace interrompere la partita a metà, ma il dovere chiama.» annuncia Elisa facendo scendere Kobik dalle proprie ginocchia, spolverando con le mani la gonna del vestito, per poi allungarne una nella direzione di Alexei in un chiaro segno di congedo. «Guardiano Rosso.»

«Avrebbe vinto sicuramente lei, io da solo non ho speranze di batterla ad armi pari.» confessa mascherando la presa in giro con una lusinga stucchevole, afferrando la mano protesa nella sua direzione ed inchinandosi a farle il baciamano. «Madame Hydra.»

La guarda uscire dalla stanza con le guardie armate a seguito, aspettando che la donna si chiuda la porta alle spalle per lasciarsi cadere di peso sulla sedia con aria affranta, osservando come la bimba stesse ancora studiando attentamente la scacchiera, strabuzzando gli occhi allarmato sollevandosi dallo schienale quando Kobik allunga una mano e rovescia la pedina del re nero proclamando il Matto. 

«È giusto vero?» chiede innocente cercando una conferma nel suo volto sollevando gli occhi cerulei su di lui. 

«Sì, è giusto.» ammette Alexei riluttante iniziando a riporre via la scacchiera pezzo per pezzo, sotto lo sguardo nuovamente annoiato della bambina. «Ma almeno ti piace come gioco?» 

«Non proprio, ma Elisa è contenta se imparo le regole… e se è felice mi procura altre bambole.» afferma la bambina con una scrollata di spalle come se avesse appena annunciato una verità assoluta, usando il tono innocente di chi non si rendeva conto delle proprie azioni convinta che gli orrori pianificati tra quelle quattro mura fossero semplicemente l'ennesimo gioco, sorridendogli euforica cambiando argomento. «A cosa giochiamo ora?» 

«A tutto quello che vuoi, Kobik.» replica conciliante alzandosi in piedi riponendo la scatola della scacchiera sul ripiano più alto, illudendosi che relegandola in un punto irraggiungibile possa renderla poco appetibile allo spirito giocoso della bimba, stampandosi un sorriso sulle labbra raccogliendo Kobik dal pavimento stringendola in un abbraccio protettivo. «Ma niente scacchi e bambole, ne ho avuto abbastanza per oggi.»

«Okay.» concede la bimba allacciandogli le manine sul retro della nuca. «A cosa ti va di giocare, Alexei?» 

«A nascondino.» afferma d'impulso, mordendosi la lingua prima di ammettere che vorrebbe vedere Madame Hydra coprirsi il volto con le mani ed iniziare a contare all'infinito, dandogli la possibilità di nascondersi con la bimba e Mikhail in un altro continente. «Oppure possiamo cercare Mikhail e chiedergli se ti legge una favola, così nel mentre io tento di scoprire quale sarà la prossima bambola che Elisa vuole aggiungere alla tua collezione.»

«Così mi rovino la sorpresa però…» riflette la piccola ad alta voce portandosi un indice al mento con fare teatrale, illuminando gli occhi curiosi dipingendosi un sorrisetto furbo sulle labbra scoccandogli uno sguardo d'intesa. «Ma Elisa non deve per forza saperlo, giusto?» 

«Giustissimo.» sorride Alexei a trentadue denti, sistemandosi meglio la bimba sul fianco ed avviandosi a passo sicuro verso la porta. «Forza, cerchiamo Mikhail e poi ci divertiamo.»





 

Note:

  1. Fumettisticamente parlando Natasha nel 1946 ha avuto un aborto al quinto mese di gravidanza, il padre era un tizio di nome Nikolaj di cui si sa poco nulla, mentre la bimba è stata chiamata Rose ed è effettivamente sepolta a Praga. La “Pena Capitale” del '56 è un mio headcanon sviluppato assecondando varie fan-theory che circolano su internet (nome compreso), tutti i retroscena affiorano in quasi tutti i miei "progetti mastodontici" e tratto l'argomento nel dettaglio nello spin-off "We always live in the castle". 

  2. La mia versione di Natasha è fedele ai fumetti (principalmente per motivi di trama), di conseguenza la nostra beniamina annovera sulle spalle una novantina d'anni ed è quindi "normale" che il corpo inizi fisicamente ad invecchiare a ridosso della soglia del secolo, tenendo ovviamente conto degli effetti collaterali causati dal siero della Vedova. Per James vale lo stesso discorso, nonostante gli 11 anni in più segnati all'anagrafe, ma fisicamente la cosa non si nota ancora a causa delle sei decadi in criostasi.

   
 
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