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Autore: Sheep01    08/03/2020    2 recensioni
[IT, Fix-It fic]
Aveva fatto i conti con la possibilità che avrebbe potuto restare intrappolato in quelle fogne per sempre. Il suo corpo, le sue ossa, a sgretolarsi nel ventre di Derry. Per sempre.
Ma non era stata Beverly a metterli al corrente che chi moriva a Derry era destinato a non morire mai veramente? Doveva essere vero perché, in qualche universo alternativo a quello, nessun Eddie avrebbe mai potuto sopravvivere a una ferita del genere...
Eppure... eppure...
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 9

 

A New York nevicava.

Il grigio dicembre della costa orientale si era assicurato di ricordare a Eddie quanto il sole della California fosse ingannevole, sotto molti punti di vista. E di quanto persino il suo soggiorno laggiù fosse stato una piacevole parentesi di un inverno che era solo all'inizio.

Si sentiva esausto, un po' per il viaggio, un po' per i calmanti che aveva preso per superare un volo altrimenti troppo lungo da sostenere, mentre il cielo grigio e l'aria gelida gli avevano dato la sferzata finale.

Grossi fiocchi di neve vorticavano e sfrecciavano come moscerini impazziti al finestrino del taxi che aveva preso per tornare a casa.

Casa, un concetto che ora aveva un significato piuttosto confuso.

Quella che aveva chiamato casa gli ultimi anni della sua vita ora non era più da considerarsi tale. Un posto dove tornare per un ultimo sopralluogo, per recuperare le ultime cose che Myra non aveva gettato (presumibilmente) fuori dalla finestra. Un posto che, in ogni caso, non aveva mai sentito veramente suo. Nemmeno la scelta dell'arredamento. Sempre accondiscendente nelle scelte della moglie, per evitare il contrasto. Per evitare di dare in escandescenze. Una terribile abitudine che aveva sviluppato nel corso degli anni. Castrare i suoi sbalzi d'umore con la moglie, lasciarli esplodere fuori, a lavoro o altrove, senza suscitare particolari simpatie nell'ambiente. Per quello aveva cominciato a correre. Ripreso... a correre. Una volta assodato che i suoi problemi con l'asma non erano poi così realistici e dopo la morte di sua madre in particolar modo, aveva intrapreso un piccolo, minuscolo passo verso la libertà, armato di scarpe di gomma e tessuto tecnico sportivo.

Anche ora gli sembrava di correre, lontano dalla sua vita di prima, lontano da quella casa che non era mai stata veramente, esclusivamente sua.

Le cose sembravano così diverse ora. La città stessa e l'atmosfera che respirava, gli sembrava quella di una vita fa. Eppure non era passato che poco più di un mese.

Un mese che gli aveva cambiato la vita in un modo che non avrebbe mai creduto possibile.

Avrebbe alloggiato in un appartamento poco fuori Manhattan. Richie lo aveva aiutato a selezionare un monolocale su uno di quei siti a breve permanenza, con possibilità di prolungare il soggiorno ce ne fosse stato bisogno. Eddie si era augurato di non doverlo fare, Richie gli aveva implorato di non renderlo necessario.

Cercò di capire se la linea del suo cellulare fosse tornata attiva. Era da quanto era sceso dall'aereo che il segnale era assente, come fosse stato inghiottito in una realtà alternativa che aveva tagliato fuori tutto il resto del mondo.

Provò comunque a chiamare Richie, indispettendosi alla voce pre-registrata dell'operatore telefonico che gli rispondeva, assente, dall'altra parte della cornetta.

«Ma che diavolo...» tronfiò a mezza bocca, troncando la comunicazione.

«È colpa del maltempo.»

«Come, prego?» Eddie aveva rivolto lo sguardo al tassista che lo stava adocchiando dallo specchietto retrovisore.

«Il segnale debole. È così da un paio di giorni. È colpa del maltempo. Questa neve è arrivata inaspettata, sono sorpreso che non abbiano chiuso gli aeroporti ancora.»

«Grazie al cielo, no. Un minuto di più su quel trabiccolo volante e avrei dato di matto.»

Lo sentì sbuffare una risata comprensiva.

«Nemmeno io amo volare. Anche se statisticamente sono più frequenti gli incidenti d'auto.»

Eddie gli rivolse un'occhiata fra il perplesso e il divertito.

«Ma non mi dica...» finse sincero interesse, e trovò del tutto superfluo raccontare a un perfetto sconosciuto che lavoro facesse per vivere.

«Ma non si preoccupi. In trent'anni che faccio questo lavoro, non ho mai avuto un incidente. Sono un autista prudente. Mio marito dice che sono fin troppo prudente, il che non è esattamente una caratteristica ideale per fare il tassista ma...»

Eddie inarcò un sopracciglio. L'uomo, che di tanto in tanto ancora lo sbirciava a bruciapelo dallo specchietto retrovisore, sembrò capire la sua domanda inespressa e indicò una fotografia sbiadita, agganciata al cruscotto del taxi: un uomo latino, di mezza età, dall'aria pacifica, gli sorrideva da dietro una pellicola traslucida.

«Gabriel. Mio marito.»

Il tono confidenziale ma leggero aveva colpito Eddie più dell'informazione in sé. La facilità con cui aveva elargito la confidenza, senza malizia, senza timore di essere giudicato o offeso. Senza lo stesso allarmismo con cui, lui stesso, aveva finto di essere il marito di Richie, solo qualche settimana prima, nella sala d'attesa del pronto soccorso di una città sconosciuta.

Avvertì qualcosa, in fondo allo stomaco, un senso d'accettazione del quale non aveva ancora mai capito di sentire il bisogno, fino a quel momento.

«Da quanto siete sposati?» si ritrovò a chiedere, cercando di rincorrere quella sensazione di sollievo e familiarità alla quale non era avvezzo. Non per argomenti simili, almeno.

«Quasi cinque anni, praticamente da quando è diventato legale, nello stato di New York.»

«Un bel traguardo...» sorrise.

«Considerato che stiamo insieme da quasi il triplo degli anni, direi che non è poi una cosa tanto straordinaria. Straordinario che ancora ci sopportiamo, dopo tutto questo tempo, quello sicuramente.»

Il pensiero di Eddie corse rapidamente a Richie. Da quanto tempo era concesso calcolare gli anni in cui loro si sopportavano? Era legittimo tener conto di quegli anni in cui avevano perso coscienza, l'uno dell'altro? O potevano benissimo ottenere un bonus per quello?

«Lei non è sposato?» si sentì domandare e, per un attimo, fraintese la domanda, perché fu sul punto di rispondere che no, lui e Richie non erano sposati; ma poi tutto assunse le tinte fosche di New York e lo riportò con i piedi per terra. Il volto della ex moglie a materializzarsi nella sua testa, come un monito.

«Lo ero», rispose asciutto, senza aggiungere molto alla conversazione.

«Oh, mi spiace...»

«A me no», sorrise per fargli capire che la scelta, per quanto dolorosa, era solo stata il trampolino di lancio per qualcosa di meglio.

Il telefono prese a squillare, strappandolo da elucubrazioni infelici.

«Tecnologia e meteo, fatalmente imprevedibili», commentò il tassista, mentre svoltava in un una via meno trafficata.

Eddie cercò rapidamente il cellulare che aveva infilato così a fondo nella tasca del cappotto che si maledì di non averlo tenuto a portata di mano.

Quando riuscì a recuperarlo il nome di Richie comparve sullo schermo e se ne sentì sollevato.

«Ehi, Richie... ho cercato di chiamarti prima ma non... ehi. Che succede? Frena, frena! Non sto capendo un bel niente, respira a dimmi che diavolo è successo. Sono via da meno di ventiquattr'ore e sei già entrato nel panico?»

Proprio sul più bello, la comunicazione cadde di nuovo.

«Ma che cazzo...» esalò, fissando lo schermo come se potesse rianimarlo seduta stante.

«Imprevedibili», commentò di nuovo il tassista con un sorriso sornione, «roba di lavoro?»

Eddie restò in silenzio valutando la risposta. Cosa sarebbe stato corretto dire o non dire, mentire o tacere semplicemente. Poi ricordò la sensazione colloquiale di pochi istanti prima e si ritrovò a scuotere la testa.

«No, ho solo un compagno paranoico... o almeno spero», rispose, cercando di non farne una questione di stato, nonostante quelle parole gli avessero vibrato sulle labbra come una frusta. E si sorprese a trattenere il fiato, come se il tassista fosse incaricato di sollevarlo dalla spada di Damocle sulla testa o il mondo pronto a crollare per via della scandalosa confessione.

«Le conviene chiamarlo da un telefono fisso, sono sicuro che avrà più fortuna...» gli rispose.

Il mondo era ancora al suo posto, la spada di Damocle era stata felicemente rimossa.

Eddie si rilassò sul sedile posteriore, guardando fuori dal finestrino: ancora quei fiocchi di neve molesti che sembrano dividerlo anni luce dal sole caldo della California.

Tutto qui? Si disse.

Avrebbe voluto abbassare il finestrino e urlarlo ai quattro venti.

Tutto qui.

 

***

 

Eddie odiava la scuola nuova.

Odiava i suoi compagni di classe che sembravano non capire affatto la natura di tutte le sue patologie. Odiava, più di ogni altra cosa, di quanto gli fosse ostile la natura dei ragazzi dell'ultimo anno, poco inclini a stringere nuove amicizie.

Si chiedeva spesso come avesse fatto a sopravvivere tutti gli anni delle scuole medie, giù a Derry. Aveva ricordi confusi di quegli anni, sapeva di aver avuto degli amici, certo. Se si sforzava davvero a fondo, forse poteva ricordarne persino i nomi, solo che la mente giocava strani scherzi. Come se più lanciasse lontano il sasso, più questo gli tornasse indietro con forza, respingendo anche il poco dei ricordi che era riuscito a collezionare negli ultimi minuti.

Perciò si era arreso alla triste realtà che probabilmente era sempre stato un ragazzino destinato alla solitudine. A non stringere amicizie più significative di brevi scambi scolastici.

Sua madre non era d'aiuto in questo senso, sembrava compiacersi del fatto che, terminate le lezioni, il suo Eddie tornasse a casa, finisse i compiti che gli erano stati assegnati e poi prendesse posto, silenziosamente, ubbidientemente al suo fianco, per guardare uno di quei programmi che a lei piacevano tanto.

Fu solo verso la fine dell'ultimo semestre, uno degli ultimi giorni della tormentata storia che lo avrebbe finalmente strappato a quelle maledette scuole medie, che Eddie strinse amicizia con il suo primo vero amico, dopo Derry.

Il suo nome era Gary. Un ragazzetto rosso di capelli, dall'aria dinoccolata e l'occhio pigro. Eddie era finito in infermeria a causa di un epistassi dovuta probabilmente al sole caldo sulla pista di atletica. Gary ci era finito perché era stato preso a calci negli stinchi dal bullo della scuola. La sua gamba si stava gonfiando in modo abbastanza inquietante.

«E non è nemmeno la cosa peggiore che mi sia capitata...» esordì questi, notando l'interesse di Eddie per la questione, «una volta sono finito in ospedale per sospetto trauma cranico. Non ero mai stato su un'ambulanza. È stato veramente fichissimo.»

Eddie gli rivolse una smorfia, un po' perplessa. Non avrebbe mai definito fichissima una corsa in ambulanza.

«Cos'è, non ci credi?»

«No, mi domando solo se non sia stato il trauma cranico a darti le allucinazioni su quanto sia stato figo.»

Gary lo fissò perplesso e Eddie ebbe l'immediato terrore di aver detto qualcosa di tremendamente sbagliato. Di aver osato troppo. Da dove gli era uscita una stupidaggine simile?

Era già pronto a chiedere scusa per la mancanza di tatto, quando Gary, che lo aveva osservato con aria distratta fino a quel momento, scoppiò a ridere.

«Sai che non ci avevo mai pensato? Potresti avere ragione! Cavolo, potresti davvero!»

Da quel giorno Eddie e Gary diventarono inseparabili.

Anche lui non sembrava avere molti amici, ma era piuttosto fiducioso che iniziare il liceo avrebbe cambiato il loro status di asociali-non-per-scelta e nonostante Eddie avesse, a prescindere, ben poche speranze che la sua esistenza mutasse tanto solo perché avrebbe cambiato scuola e compagni di corso, quando Gary lo urlava ai quattro venti riusciva quasi a crederci.

Si perché Gary era rumoroso ed esuberante (probabilmente il principale motivo che lo rendeva così attraente agli occhi dei bulli della scuola) e nonostante Eddie non avrebbe mai detto potesse andare d'accordo con qualcuno tanto diverso da lui, Gary gli piaceva. Gli piaceva molto. E gli piaceva in un modo che ancora non riusciva a comprendere, ma che gli faceva pensare a lui tanto spesso quanto si pensa a un dolce che non ti è permesso assaggiare.

Di tanto in tanto aveva come la sensazione gli ricordasse qualcuno. Qualcuno che molto probabilmente aveva conosciuto a Derry, ma quando era a un passo dal ricordare esattamente chi gli ricordasse, e perché la sensazione fosse tanto familiare quando confortante, l'impressione svaniva in un alone di nebbia.

Ben presto accantonò anche solo l'idea di doverlo associare a qualcuno del suo passato e si godette la nuova amicizia come un dono gradito.

Che lo accompagnò al liceo. Durante il primo, travagliato anno. E poi a seguire, mentre nuove amicizie si susseguivano e i primi turbamenti romantici cominciavano a sconvolgere le loro giovani esistenze. Eddie non riusciva a trovare nessuna delle ragazze del suo anno sufficientemente attraenti da comprendere tutto quell'insensato subbuglio ormonale, mentre si ingelosiva facilmente per tutti gli interessi che invece Gary sembrava rivolgere a quel gentil sesso che per lui aveva ancora poca attrattiva.

Gary lo rassicurava che un giorno avrebbe capito.

Eddie era così terrorizzato dall'idea che non lo avrebbe capito mai che si sforzò di essere come tutti gli altri.

Lasciò alla sua fase onirica tutti quelle insensate fantasie e si preoccupò di correre dietro a qualcuna di quelle ragazze che Gary si ostinava a presentargli.

Prima che potesse anche solo realizzarlo, era rimasto ingabbiato in una convenzione che poco aveva a che fare con la sua felicità.

 

***

 

Aveva appena sistemato il trolley accanto all'armadio del monolocale, quando il telefono prese a squillare di nuovo.

«Richie!» esclamò, muovendosi per casa, cercando un segnale più agile per intraprendere una conversazione senza troppi singhiozzi.

Si avvicinò a una delle finestre, che davano su un vicolo piuttosto squallido.

«Eddie? Eds, grazie al cielo. Sei più introvabile di Carmen San Diego.»

«Di chi?»

«Lascia perdere.»

«Ho cercato di chiamarti, ma il tempo qui fa schifo.»

«Ho visto al telegiornale. Non avresti potuto trovare un periodo più di merda per tornare a New York. Eddie Spaghetti e il Tempismo Maledetto.»

Eddie sorrise, mentre si metteva seduto sull'ampio davanzale e osservava refoli di neve volteggiare di fronte alla finestra.

«Mi spieghi che diavolo stavi cercando di dirmi prima?» gli domandò di nuovo, molto meno allarmato di quando sentiva la sua voce affettata dalle interferenze, forse più concitata di quanto non fosse realmente.

Ma il sospiro di Richie dall'altra parte della cornetta non sembrava preannunciare alcuna tregua.

«Eddie, mi dispiace così tanto...»

Una frase che decisamente non era preparato a sentirsi dire. Con un tono che non lasciava trasparire il solito umorismo spiccio di boccaccia.

Restò in silenzio per qualche istante, la testa che cominciava a macinare teorie, una più astrusa dell'altra.

«Hai intenzione di girarci intorno finché la linea non cade di nuovo o vuoi dirmi che succede?» si risolse a chiedere, evitando battute che si erano susseguite piuttosto rapidamente nella sua testa.

«Faccio prima a fartelo vedere.»

Eddie si ritrovò a fissare il proprio riflesso nel vetro, l'espressione perplessa di chi non riesce più a raccapezzarsi. L'istante successivo sentì la vibrazione del telefono che gli suggeriva l'arrivo di un messaggio. Mise in viva voce, per poter parlare con Richie e guardare i messaggi in arrivo.

«Spero non sia una foto del tuo pisello o metto giù», cercò di stemperare, osservando con perplessità il link inviato. Decisamente poco realistico gli avesse inviato un link per mostrare le sue parti intime.

«Maltese risponde in latino alla sua padrona: guarda lo sconvolgente video?» domandò non appena esplose il pop up sullo schermo del cellulare.

«Come?»

«Uomo vestito da Joker sventa una rapina in banca, guarda le immagini?»

«No, ma che cazzo, guarda più in basso! Non le vedi le foto?»

«Vedo un sacco di foto, Rich. Peeling del viso a cinque dollari, super offerta.»

«Oh, Cristo santo...»

Eddie sentì arrivargli un nuovo messaggio e questa volta era solo una foto.

Un'immagine sgranata dove si poteva comunque chiaramente riconoscere Richie che teneva le mani e guardava teneramente un altro uomo, voltato di spalle.

«Cos'è, volevi vantarti di esserti trovato un fidanzato?»

«Spaghetti, eddai, vienimi incontro!»

«Non capisco cosa sto guardando.»

«Capisco che probabilmente fra tutte le patologie che hai c'è pure la cataratta, ma almeno il tuo culo dovresti saperlo riconoscere!»

«Il mio... ?»

Ed effettivamente. No, non si riconobbe per le natiche, ma per i vestiti che indossava, sì. Una maglietta che Richie gli aveva prestato e un paio di pantaloni che indossava di rado a New York, ma leggeri e freschi per il clima di Los Angeles.

«Non sapevo ci fossero dei fotografi nei paraggi...» Richie con una voce che sembrava chiedere scusa ad ogni sillaba, come se fosse colpa sua.

Eddie esaminò la fotografia, senza sapere esattamente che pensare. Sebbene il problema, man mano che i secondi passavano, si palesava in maniera piuttosto chiara. Li avevano scoperti. O meglio, avevano cercato di catturare su pellicola il volto della nuova fiamma di Richie Tozier, comico abbastanza famoso, non esageratamente mondano, ma comunque meritevole di un succoso gossip casalingo. Non ci erano riusciti granché. Ma la foto sembrava aver sconvolto abbastanza Richie per costringerlo a chiedere scusa almeno un altro paio di volte, durante la conversazione. Una caratterizzazione decisamente fuori personaggio.

«Eds, mi disp...»

«Se dici un'altra volta: Eds, o mi dispiace, riattacco. Non è colpa tua», gli disse, ma lo sguardo continuava a cercare dettagli che permettessero, in qualche modo, di venir riconosciuto: la postura, il taglio di capelli, la linea del viso, preso appena di sbieco. E in ogni caso non stavano facendo nulla di male, si tenevano solo per mano. Perché tutta quell'agitazione, allora?

«Lo so, ma... è colpa mia se ti hanno messo sotto i riflettori. Dovevo essere più cauto.»

«Richie...» sospirò Eddie, cercando di accantonare il proprio disagio per mettere lui al sicuro, «so che è nella tua natura atteggiarti da prima donna, ma se vogliamo dirla tutta dovevamo essere in due ad essere cauti, perciò... Non mi si vede nemmeno. Sfido chiunque a riconoscermi in quella foto.»

«Bev ti ha riconosciuto.»

Eddie sgranò gli occhi.

«Scusa?»

«Bev... ti ha riconosciuto.»

«Non pensavo che frequentasse siti con Maltesi che parlano latino e bonus per la pulizia del viso o sa il cavolo...»

«Gliel'ho mandata io.»

«Cosa?»

«La foto... gliel'ho mandata io.»

«Perché le hai mandato la foto?»

«Perché sono andato nel panico! Tu eri in volo e poi non rispondevi, io avevo bisogno di un riscontro immediato. Il mio manager che mi ciarlava di cose da un lato e io che non sapevo che pesci pigliare dall'altro. Avevo paura di aver fatto un altro casino e mandato tutto a puttane! Io ho fatto coming out ma tu no, nessuno sa che sei il mio...»

«Bev, ora sì...»

«Bev... n-no?»

«Le hai mandato la foto. Mi ha riconosciuto. Beverly lo sa.»

«Non le ho detto niente di...»

«Oh, cazzo, Richard! Ha visto la foto, mi ha riconosciuto e le hai detto: okay, magnifico, ci sentiamo presto, grazie della consulenza?» cercò di farlo ragionare, senza dovergli tirare fuori le cose con le pinze.

«Okay, sì, io credo... cioè sì, sì, Beverly lo sa.»

«E anche Ben.»

«E... no! Perché dovrebbe saperlo anche Ben?»

«Oltre che negazionista ti è pure scoppiata una pustola nel cervello?!»

«Oh...»

Già... oh. Beverly e Ben che vivevano in simbiosi da mesi ormai, che parlavano e agivano come una coppia consolidata da ere geologiche? Che presumibilmente si dicevano anche cosa avevano mangiato per pranzo, e la telecronaca delle loro giornate minuto per minuto? Beverly sapeva. Ben sapeva. E forse...

«Mi dispiac-»

«Dì che ti dispiace un'altra volta e-»

«Mi spari in faccia come Samuel L. Jackson in Pulp Fiction?»

«Ma che cazzo stai dicendo?» Eddie era convinto gli si stesse intasando la vena.

«Scusami, okay? Ma sono Beverly e Ben, insomma, sapevano che eri venuto a trovarmi, si saranno fatti delle domande e sono i nostri migliori amici e...»

«Sì, ma non volevo...»

«... il problema essenziale è che nessuno là fuori possa riconoscerti, dobbiamo mantenere intatta la tua privacy per...»

«... che lo scoprissero così! Non era compito tuo farglielo sapere, cazzone!» riuscì a interrompere bruscamente e con un certo successo il suo flusso di parole. Magari il cazzone finale avrebbe potuto evitarlo ma gli era scivolato tra le labbra, così come gli scoppi d'ira che, a dire il vero, era un po' di tempo che non sperimentava.

Si rese conto di star ansimando e di essere andato in ebollizione come una pentola a pressione.

«Eddie...»

«No, niente Eddie, niente... altro», disse, avvertendo ancora qualcosa di feroce e bollente in fondo allo stomaco, «non era compito tuo dire o fare proprio niente. Hai avuto quarant'anni di tempo per decidere come e quando farlo sapere a qualcuno, chi ti ha dato il diritto di farlo per me, ah?»

Il silenzio di Richie, se non altro, sembrò consapevole.

«Dio, Eddie, io non...»

«Lascia perdere. Adesso non ho voglia di parlarne.»

«Eddie, aspetta-»

L'istante successivo aveva interrotto la comunicazione. O forse era caduta da sola, vittima di quel provvidenziale maltempo.

L'agitazione in corpo e le mani che gli tremavano. Non un solo istante per valutare razionalmente la cosa, solo il sapore acidulo di frustrata umiliazione nello stomaco.

 

***

 

La prima volta che Eddie si era confrontato con le sue più torbide paure era stato il giorno in cui IT gli aveva mostrato il lebbroso.

La paura delle malattie, delle infezioni, dei germi, di qualsiasi altra cosa che, la morte di cancro del padre prima e Sonia Kaspbrak con le sue esagerate, asfissianti raccomandazioni poi, tutto riassunto in un unico, disgustoso organismo fatto di carne marcescente e vomito.

Non contento però, si era accertato di aggiungere qualcosa che Eddie ancora non aveva considerato, qualcosa che sarebbe tornato a tormentarlo, molto più in là con gli anni.

Quel lebbroso in decomposizione, privo di naso e una disgustosa lingua che si srotolava dalle sue labbra, che si offriva, implorante, di succhiarlo gratis al piccolo Kaspbrak.

Eddie si era interrogato a lungo sulla natura di quelle parole. Il suo terrore più grande era quello delle dannate infezioni, perciò perché solo quella richiesta tanto esplicita, cruda e definitiva era stata la spinta finale che lo aveva fatto scappare a gambe levate? Richie si era preoccupato di spiegargli in modo colorito e fantasioso cosa succedeva a uomini e donne quando scopavano. E di come sifilide e HIV fossero malattie facilmente trasmissibili di quei tempi.

Ma poco più tardi la vera risposta l'aveva trovata il giorno in cui aveva baciato il suo migliore amico, prima di relegarlo in una scatola chiusa, dentro la sua memoria, per ventisette anni. E poi più avanti, durante gli anni del college, quando aveva capito che forse non era poi così insensibile al fascino maschile, sebbene certo fosse attratto anche dalle donne.

Un dualismo che non era riuscito ad accettare, finendo ingabbiato in un matrimonio del tutto inadeguato alle sue esigenze, ai suoi desideri. Una scappatoia definitiva a una realtà che non voleva vedere. A un lebbroso che gli aveva rivelato la sua natura ancora prima che lui stesso potesse capirne il significato.

Solo l'anno prima della sua fuga da New York, costretto a sedute del tutto necessarie dallo psicologo, era riuscito di nuovo a riportare a galla anni di frustrazione.

E a capire perché sentiva, così infinito e profondo, il desiderio di rivedere Richie.

Richie che aveva confessato di averlo amato. Richie che si era preoccupato di incidere di nuovo, nel legno, una promessa fatta più di trent'anni prima. Richie che aveva confessato al mondo la sua paura più grande, Richie al quale non riusciva a non dedicare un pensiero quando si svegliava al mattino e quando si coricava la sera.

Richie... che non si aspettava davvero lo avrebbe trascinato fuori dal suo guscio di ipocondrie, sessuali o meno, ma che desiderava rivedere, col quale desiderava parlare, per capire come avesse fatto a convivere con una cosa simile per così tanto tempo.

Il suo divorzio con Myra era stato deciso prima ancora che partisse per il viaggio verso Philadelphia. Il resto, ormai, era storia.

 

***

 

«Se questa non è una fortunata coincidenza!»

Bill Denbrough gli era praticamente volato fra le braccia, appena Eddie era entrato nella caffetteria.

Aveva ricevuto un messaggio, meno di ventiquattr'ore prima, dove Bill gli comunicava di essere stato praticamente costretto a rimandare di almeno un paio di giorni il volo da New York per Los Angeles, per via del maltempo. E quando aveva scoperto che entrambi erano nella Grande Mela, aveva insistito a tutti costi per una rapida reunion in pieno stile Perdenti.

Eddie aveva accolto quel diversivo con sollievo. Ancora irritato dalla brusca chiusura della telefonata con Richie, indeciso e tormentato su come affrontare il primo vero litigio che avevano avuto da anni.

Aveva rifiutato parecchie telefonate e messaggi dopo quello, deciso a schiarire la mente, godersi Big Bill per una colazione in santa pace.

«Fortunata non lo so, ma felice, sì», si sentiva sempre al sicuro con Bill. Ancora, dopo tanti anni, sebbene avesse perso, in parte, quella sua aura che lo aveva reso un gigante indistruttibile agli occhi di tutti i Perdenti, durante gli anni di quella lunga, orrorifica estate.

«Non sai quanto mi faccia piacere trovare una faccia amica, in una città tanto caotica. Come tu faccia a viverci, ancora non riesco a spiegarmelo», gli aveva indicato il posto in cui si era già sistemato, accanto a una delle finestre che davano sulla strada e permetteva di avere una visione del traffico cittadino e del turbine della neve.

«Ci sono tante cose che anche io non riesco ancora a spiegarmi, ma eccoci qui.»

Bill sorrise, prendendo posto di fronte a lui, richiamando la cameriera per un rapido ordine.

Eddie non aveva molta fame ma accettò con gratitudine del caffè.

«Allora, che mi racconti? Come ti sta andando?»

Eddie aveva già raccontato a Bill i fatti salienti della sua esistenza delle ultime settimane, degli ultimi mesi, prima della sua partenza per Philadelphia. Era stato il primo, ancora prima di Richie, ad essere messo al corrente del suo divorzio. E il primo a sapere che sarebbe volato a Philadelphia per andare a uno spettacolo del comico Tozier a teatro, dopo aver chiesto una lunga aspettativa dal lavoro. Da lì in poi solo vaghi accenni alla convivenza con Richie a Los Angeles. Una questione che tutti i Perdenti avevano considerato solo come una lunga, meritata vacanza.

«Sei ancora tutto intero, quindi suppongo che Boccaccia non ti abbia fatto a pezzi.»

Sebbene il suo interesse fosse genuino e informale, Eddie non riuscì ad accettarlo con la leggerezza con cui avrebbe dovuto.

«Dovresti preoccuparti per lui, non per me.»

«Oh, cazzo. Hai bisogno di aiuto per occultare il cadavere?»

«Servirebbe un miracolo per occultare una presenza tanto ingombrante, credimi.»

Bill scoppiò a ridere e persino Eddie si trovò, suo malgrado, a sorridere. Una conversazione che avrebbe potuto essere ricalcata pari pari da una delle tante della loro infanzia.

Dio, quanto gli mancavano quei giorni. Da quando i ricordi gli erano tornati, si trovava così spesso a rimpiangere alcuni aspetti della sua giovinezza. Una su tutte la quasi totale mancanza di reali preoccupazioni. Infanticidi a opera di un alieno mutaforma spaziale a parte.

Nel corso della mattinata, Bill aveva preso a raccontargli dei suoi impegni letterari in giro per gli Stati Uniti, delle presentazioni, del nuovo libro con il finale più soddisfacente che la stampa avesse mai avuto modo di recensire, di come fosse rimasto bloccato a New York dopo una tre giorni pazzesca di convegni e ospitate televisive e radiofoniche. Della moglie Audra, di come il loro rapporto si fosse finalmente ripreso, con impennate più o meno felici e di cui Eddie non riuscì a non rallegrarsi.

Eddie rispondeva evasivamente alle domande, cercando di spostare il focus sempre verso l'amico, verso Beverly e Ben, le notizie che riguardavano Mike. Si era sbilanciato sulla gita fatta ad Atlanta per omaggiare Stan e si era sorpreso del rammarico di Bill per non essere stato invitato.

Una classica mattinata fra amici che non hanno occasione per vedersi tanto spesso e che hanno un viscerale bisogno di connettersi.

«E tu, hai già ripreso a lavorare, Eddie?»

La domanda, casuale quanto caustica, gli venne in aiuto come pretesto ideale per portare la conversazione, fin'ora gradevole e spensierata, su un altro livello.

Per quanto tempo ancora avrebbe potuto tacere a Bill, uno dei suoi migliori amici, ciò che quella boccaccia di Richie aveva già in parte rivelato, altrove? Solo a pensarci, ancora sentiva lo stomaco entrare in ebollizione. Quanto avrebbe ancora potuto sfuggire a una conversazione senza cadere nel tranello di infelici menzogne?

Abbassò lo sguardo sulla tazza di caffè ormai tiepido e la fece ruotare fra le mani, stringendosi casualmente nelle spalle. Stanco di pensare, stanco di essere arrabbiato, stanco di fingere.

«In realtà avrei deciso di... licenziarmi.»

Anche se non aveva rialzato gli occhi poteva sentire su di sé lo sguardo sorpreso dell'amico.

«Dici sul serio?»

«Già. E di cercare un altro lavoro a Los Angeles.»

Puntò uno sguardo su Bill all'improvviso, come a sfidarlo a capire quello che gli passava per la testa. Sperando che Bill, avvalendosi di tutta la fantasia creativa che sfruttava nei suoi romanzi, potesse intuire, anche in minima parte, quello che aveva intenzione di dirgli.

Ma Bill se ne restava lì, serio e immobile, aspettando che fosse Eddie, in prima linea e senza appigli, a spiegare, una volta per tutte, ciò che non gli sarebbe stato imboccato.

E si rese conto di quanto in ogni caso, Richie con la sua sconsiderata confessione, gli avessi già di molto facilitato il compito. Un vaso di Pandora ormai destinato a traboccare.

«Ho... intenzione di restare a vivere a Los Angels. Con... con Richie.»

Un'informazione che poteva dire tutto e niente a dire il vero, ma che, se non altro, aveva gettato l'amo per qualcosa di più grosso o così almeno Eddie si augurò.

«Oh, dai, ma è una splendida notizia. Vivremmo molto più vicini di quanto non abbiamo fatto negli ultimi trent'anni.»

Eddie si ritrovò a sorridere. A questo non aveva mai davvero pensato. Ma la prospettiva cominciò a insinuarglisi dentro come un balsamo benefico di coraggio. Eddie Kaspbrak e Bill Denbrough, riuniti di nuovo sotto lo stesso cielo.

«Immagino che partire per Philadelphia sia stata una decisione saggia, dopotutto», Bill gli aveva sorriso di rimando, incoraggiante.

Aveva già capito? O era solo una sua stupida impressione?

«La migliore che abbia avuto da trent'anni, Bill.»

Lo guardò annuire pacificato e soddisfatto da quella risposta. A Eddie tremavano un po' le mani, sebbene non avesse ancora detto niente di davvero compromettente, e il cuore gli pompava nel petto come avesse appena fatto una rapida corsa attorno al locale. Avesse ancora creduto a quella stronzata dell'asma, avrebbe già messo mano al suo inalatore per placare una crisi respiratoria in arrivo.

Ma Bill sorrideva, gli stava seduto di fronte, ed era il suo migliore amico.

«Volare a Philadelphia e scoprire di essere innamorato di Richie Tozier. Assolutamente patetico, no?»

Si ritrovò a trattenere il fiato.

Perché finalmente lo aveva detto, pronunciato ad alta voce, chiaro e limpido più delle acque dei Barren in cui facevano il bagno da ragazzini. Scivolato dalle labbra, come una redenzione, priva di fraintendimenti.

Trasalì quando la mano di Bill afferrò la sua e, rialzando lo sguardo, si trovò a leggergli dentro il fatto che in qualche assurdo modo Bill sapeva, che aveva sempre saputo. Che aspettava, con la grazia e la perseveranza che lo aveva sempre contraddistinto, che Eddie glielo confessasse.

Eddie serrò le labbra e piegò la testa per nascondere il viso, gli occhi che altrimenti avrebbe visto inumidirsi, restituendo con forza la presa della mano dell'amico, tornando a respirare, per la prima volta dopo molto tempo, dopo molti, troppi anni di apnea.

«Farà bene a trattarti con tutti i crismi, quel disgraziato, perché non ci metterò molto a raggiungerlo per prenderlo a calci nel culo.»

Eddie sbuffò una risata liberatoria, sganciandosi da quella costipazione emotiva che altrimenti lo avrebbe trattenuto con lo sguardo a fissare quel tavolo ancora per troppo tempo.

«Mi sottovaluti troppo Big Bill», tornò a guardarlo, ancora rosso il volto, ma grato di quel momento, «temo di essere io a maltrattarlo più di quanto si meriterebbe.»

Il ricordo della telefonata del giorno prima e del trattamento che gli aveva riservato: le ore successive di silenzio passivo aggressivo. Si rese conto di essere stato uno stronzo di proporzioni cosmiche.

«Hai ragione. È che così grande e grosso, alle volte ci si dimentica che razza di palla emotiva sia, Boccaccia.»

«Oh, non ne hai idea... proprio no.»

Risero entrambi, l'aria alleggerita da una confessione che gravava sulla conversazione da troppo tempo.

«Gli altri lo sanno?» domandò Bill non appena la cameriera portò loro il conto.

«Beverly e Ben... ma non per volontà mia. Se capisci che intendo.»

«Beep-beep, Richie.»

Eddie scrollò le spalle, lasciando che la cosa si spiegasse da sola.

«A Mike lo dirò presto, promesso.»

Bills scosse la testa, come a sottolineare il fatto che non era una promessa che doveva fare a lui, ma solo a se stesso.

«Avevo una paura fottuta a dirtelo, lo sai?», ora gli veniva più facile anche scherzare o solo mettere su un piatto le emozioni.

«Però lo hai fatto».

Molto più di quanto non avesse mai confessato a chiunque, fino a quel momento. Nemmeno al diretto interessato era mai riuscito a dire a voce come sei sentiva veramente nei suoi confronti.

«Ero convinto che aver ucciso IT ci avrebbe liberato definitivamente da un sacco di inutili paranoie ma...»

Bill si fece serio, con quegli occhi blu che brillavano di una luce particolarmente rassicurante e fiera, da sempre, da quando non era che un moccioso in sella a una bici che sfidava il diavolo. Ancora un ragazzino determinato e coraggioso, dietro quella maschera da uomo adulto.

«Ucciderlo non ci ha liberato per sempre dalla paura, Eddie», lo vide annuire e piegare le labbra all'insù in un'espressione che sempre gli sarebbe stata familiare «... però ci ha insegnato come affrontarla.»

Denbrough che con poche parole sapeva rimettere in sesto interi universi. Infondere saggezza, calore e conforto. Big Bill. Sarebbe stato quello per Eddie, per sempre.

 

Tornò a casa che faceva buio, ormai. L'intera giornata persa fra ufficio, avvocati e trasloco.

Bill si era offerto di dargli una mano, il giorno successivo con quest'ultimo, dacché il suo volo era stato rimandato e non sarebbe partito che il fine settimana.

Eddie si trovò un po' meno solo, un po' meno perso in una città alla quale, inconsciamente, aveva già detto addio.

Si scrollò di dosso la neve che gli si era accumulata addosso dal taxi all'androne del palazzo e si sfilò di dosso scarpe e cappotto, decidendo di mettere sul fuoco una tisana bollente, prima di fare una doccia e andarsene di filato a dormire.

Decise solo allora di controllare lo stato dei suoi messaggi, del suo cellulare.

Aveva ignorato di proposito ogni impegno per tutto il dannato giorno, con la sola intenzione di non lasciarsi distrarre da niente altro che non fosse il motivo per cui era tornato in città.

E sbrigare tutto con la massima efficienza e rapidità.

Non si sorprese affatto di trovare una quantità di messaggi e chiamate perse, molte delle quali da parte di Richie.

Sentì uno sconsiderato moto d'affetto e un crescente senso di colpa per come lo aveva fatto macerare a fuoco lento per l'intera giornata. Non si sarebbe sorpreso di trovare messaggi che gli riversavano addosso maledizioni della peggior specie. Invece l'ultimo messaggio che leggeva nell'anteprima della chat di whatsapp, riservata alle loro conversazioni, pulsava con un enorme cuore rosso che non era convinto di poter meritare.

Aspettò che il bollitore finisse il suo lavoro e si versò la meritata tazza di tisana, rispose a un messaggio di Bill, per confermare l'impegno del giorno successivo, espresso le sue perplessità con Myra che pretendeva di riavere indietro le chiavi del loro vecchio appartamento in un paio di giorni al massimo, prima di decidersi a mettersi comodo sul divano e richiamare, finalmente, Richie.

Il telefono squillò più a lungo del necessario e Eddie non riuscì a fare a meno di rimanerci male, come si aspettasse che Richie si fosse letteralmente incollato il cellulare sul palmo della mano, pregando per una telefonata.

Solo all'ottavo, agonizzante squillo, qualcuno rispose.

«Eddie! Eddie...» la voce trafelata, come di qualcuno che aveva corso come un disperato per arrivare in tempo. Eddie si trovò a sorridere, odiandosi per questo.

«Ti ho chiamato per tutto il giorno, non hai risposto ai miei messaggi, credevo fossi caduto in un tombino e fossi scappato con le tartarughe ninja.»

Eddie scosse la testa, deciso a lasciarlo parlare ancora un po', non perché godesse particolarmente nel sentirlo affannato a stargli dietro con un sacco di stronzate pur di stemperare la tensione, ma perché fondamentalmente gli era mancato, così come gli era mancata la sua voce, persino le sue stronzate senza senso ed era deciso a godersele per un po'.

Sarebbe morto prima di poter davvero tenere il muso a Richie per più di quarantotto ore filate.

«Eddie mi stai ascoltando? Eds... ti prego...»

La sua voce si era affievolita sul finale e quello fu come il segnale per interrompere quel monologo punitivo.

«Purtroppo ti sto ascoltando. Ne hai dette di cazzate in trenta secondi di conversazione...»

«Eddie...» un sospiro di sollievo che un po' riuscì a sciogliere quel suo cuore di pietra.

«Dovresti pensare a fare un lavoro tipo... l'attore comico. Non sei poi così divertente, ma potresti sempre lavorarci su.»

«Sei ancora arrabbiato?» lo sentì chiedere. La voce che aveva perso un po' della sua baldanza. E la cosa gli dispiacque sinceramente.

«Non proprio», si risolse a dire, stanco di tenerlo inutilmente sulle spine, «no.»

«Avevi ragione, Eddie. Non era compito mio fare quello che ho fatto», Richie era partito, come se non gli servisse che un segnale per cominciare finalmente a parlare, «ci ho pensato tutto il santo giorno, ho pensato anche a come rimediare, ma non credo sia una cosa alla quale si può rimediare. Nemmeno chiamando di nuovo Beverly e gridare: scherzone! Buon pesce d'aprile, anche se è Dicembre. Perciò buon pesce di Natale! Che può sembrare una cosa porno, ma davvero non lo è, perché è il mese del Signore e le volgarità vanno messe da parte per una volta tanto, signor Richard Tozier. E ci ho pensato davvero a farlo, eh. A chiamare Beverly e inventarmi una scusa qualunque per ritrattare. Ma... ma non l'ho fatto. Non l'ho fatto!» Eddie poteva quasi immaginarselo a gesticolare forsennatamente dietro la cornetta, mettere le mani avanti con aria atterrita e quasi gli venne da ridere.

«Ho provato a chiamarti e ti ho mandato dei messaggi per proporti delle soluzioni efficaci, che potresti leggere adesso o se preferisci te le illustro ad alta voce. Numero uno: fingersi morti. Emigrare verso un'isola del pacifico e ricominciare una nuova vita, dove nessuno sa che siamo gay.

Numero due: portarti in giro per Los Angeles e citofonare a tutti i campanelli e lasciare che sia tu a dire a tutta la città che sei gay...»

«Bisessuale.»

«... numero tre. Eh?»

«Bisessuale, Richie. Sono piuttosto sicuro di essere bisessuale.»

«Oookay. Bisessuale allora. Oh! Perfetto, questo ci porta alla soluzione quattro, dunque. Che era un'altra nei messaggi, e coinvolgeva dei gattini zombie con la faccia di Nicholas Cage, ma la cambiamo, improvvisando. Chiami Beverly, le dici che io mi sono sbagliato e che tu non sei gay, ma sei bisessuale. Che te ne pare?»

Eddie non riuscì a reprimere una risata. Non perché Richie avesse sfagiolato cose particolarmente divertenti (bè, un po' forse lo erano, dopotutto) ma perché era esausto anche solo per cercare di capire che diavolo stesse dicendo.

«Soluzione numero quattro, andata?» riprese Richie interpretando la sua risata come una tregua, «Numero quattro e uno signori della platea, numero quattro e due e numero quattro e tr...»

«Soluzione numero cinque: ti amo», Eddie interruppe bruscamente il conteggio. Un po' per per evitare gli salisse il mal di testa, un po' perché era davvero l'unica cosa da dire, arrivati a quel punto. L'unica sensazione di cui era stato sicuro da settimane, e che gli era esplosa nel petto, inarrestabile dopo la chiacchierata con Bill, quella stessa mattina.

Sentì Richie farsi silenzioso e solo dopo qualche istante, rilasciare un verso ambiguo che poteva essere qualsiasi cosa.

«Oh dio, Richie, non dirmi che stai piangendo.»

«No!», lo sentì negare con troppa veemenza per essere del tutto sincero, «ma tu devi aver battuto la testa, perché Spaghetti non ce l'ha un cuore.»

«Ce l'ho un cuore, brutto stronzo, solo a volte mi rendi difficile capire come usarlo.»

Lo sentì ridere appena e quel suo cuore un po' stropicciato si ammorbidì davvero un po' di più.

«Avrei dovuto registrare la conversazione, non sono sicuro che me lo dirai ancora, tanto presto, vero, Eds?»

«Non dovresti sfidare in questo modo la fortuna.»

«D'accordo», sembrò arrendersi, «ti ho già detto che mi dispiace?»

«Sì. Tipo un milione di volte», esalò assaggiando un po' della tisana che andava raffreddandosi nella tazza, «quello che invece non ho fatto io. Quindi dispiace a me. Non avrei dovuto reagire in quel modo, non stavi cercando di danneggiarmi.»

«Non lo farei mai, Eds...»

In quelle parole tutto l'amore e la tenerezza che Richie gli aveva sempre trasmesso. Si trovò a pensare a quanto fosse stato fortunato: a vivere. A sopravvivere. A ricordare, prima di tutto, cosa significava perdersi nel caldo abbraccio delle sue attenzioni.

«Lo so», si preoccupò di fargli sapere, «a volte mi scordo di aver a che fare con Boccaccia.»

«Cosa facciamo con la foto di quei paparazzi? Potrebbero uscirne altre...»

«Ci pensiamo quando torno.»

«E con tua moglie? Lo devi dire a Myra, suppongo, prima che lo sappia da qualcun altro. Non ti creerà dei problemi con il divorzio o... ?»

Già. A Myra non aveva pensato davvero. Le condizioni del divorzio erano state praticamente decise, ma che fine avrebbero fatto gli accordi non appena sarebbe saltato fuori tutto quanto? Perché Eddie fu certo, in quel preciso istante, di non avere alcuna intenzione di tenere nascosto tutto ancora a lungo. Di negare se stesso e Richie a un mondo che non era più lo stesso di trent'anni prima. Uscire allo scoperto con i suoi amici non poteva essere che l'inizio e Myra, nonostante tutto, forse, aveva davvero diritto di sapere. Anche se era già stato deciso che la loro separazione era avvenuta per ben altri motivi. Non aveva intenzione di fingere, nemmeno con lei.

«Penserò anche a quello, prima di tornare», si risolse a dire, perché non aveva realmente voglia di pensare, in quel preciso istante, sulle dinamiche della questione.

Sentì Richie sospirare, come se avesse intuito quale altro carico di problemi avrebbero dovuto affrontare.

«E quando torni?»

«Prima di dirti un'altra volta che ti amo.»

Di nuovo quel verso, questa volta un po' agonizzante, costruito ad hoc per lui.

«Dillo che stai cercando di vendicarti con l'arma più pericolosa della storia, Spaghetti.»

«Quale arma?» rispose divertito.

«La tua lingua», fece Richie in un pigro sussurro che sapeva di riappacificazione.

«Allora può darsi.»

«Dimmi qualcosa di sporco con quella tua lingua velenosa.»

Eddie ci pensò su, molto seriamente.

«Fango», disse.

Entrambi scoppiarono a ridere e fuori aveva improvvisamente smesso di nevicare.

Eddie avrebbe affrontato tutto, un passo alla volta.

E presto sarebbe tornato a casa.

 

Continua...

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Nota: per chi se lo stesse chiedendo, il passaggio del lebbroso e le malattie sessualmente trasmissibili è stato preso più dal libro che dal film.

  
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