Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: sunonthesea    09/03/2020    0 recensioni
Irene, questa sera la faccia te la strapperei via
Così faresti paura al mondo ma resteresti sempre mia
In questa notte di buio pesto, che forse era buio pomodoro
Le mie mani Brigate Rosse accarezzano te che sei Aldo Moro
Gli effetti delle nuove date del concerto dei Pinguini Tattici Nucleari oltre al pianto selvaggio sono le songfic smielate sulla propria otp intorno ad un falò
Genere: Fluff, Slice of life, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Gyro Zeppeli, Johnny Joestar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Irene, questa sera la faccia te la strapperei via
Così faresti paura al mondo ma resteresti sempre mia
In questa notte di buio pesto, che forse era buio pomodoro
Le mie mani Brigate Rosse accarezzano te che sei Aldo Moro
Il fuoco doveva essere alimentato, doveva essere nutrito ancora affinché spargesse le sue stelle brillanti a morire sulla terra, dei sussulti di fiamma che inevitabilmente si spegnevano sul terreno duro.
Era probabilmente il turno di Gyro, facevano sempre una volta a testa, però in quel momento era occupato in un angolo del loro piccolo accampamento di fortuna assieme a Johnny. Non guardava il fuoco morire lentamente sul suo nido di ceppi, guardava le stelle negli occhi del più piccolo, le galassie nelle sue pupille. Le osservava, le contemplava.
-Il fuoco si sta spegnendo- il tono di Johnny era flebile, il suo capo che tentava di alzarsi per vedere meglio la fiamma vicino ai suoi pochi bagagli.
-L’avrei spento lo stesso a breve, non è un gran problema- Gyro era sdraiato a pochi centimetri da lui, le grandi mani che passavano attraverso i capelli di grano dell’altro, una gioia silenziosa che per ovvi motivi si riservava per la sera.
-Ma io ho freddo!- Johnny ribelle era un Johnny che si poteva vedere non così raramente, il suo modo di voltarsi verso l’altro con una docile ferocia, i suoi occhi azzurri che prendevano sfumature di fiamma, il suo volto così agognato dalle dita di Gyro.
E l'hai letto nelle stelle che la musica ci darà il pane
Il realismo l'avrai lasciato a qualche mercatino equosolidale
Irene, non ci credere poi tanto allo zodiaco
Che la musica il pane quotidiano lo dà solo a chi è celiaco
L’odore aspro della campagna ed il frinire dei grilli, la scomodità della terra sotto le loro schiene che tuttavia sembrava il migliore dei letti, in confronto alle selle dei loro cavalli, ferree nella sabbia alzata dagli altri concorrenti della gara.
Gara.
Era meglio definirla missione suicida, mattatoio alla ricerca di un cadavere. Il peso della morte era sopra di loro ogni momento, ogni istante. Non li lasciava mai stare. Sia di giorno, quando qualche pazzo provava ad ucciderli, sia la notte, quando le ansie prendevano la forma di incubi orribili che si cibavano della loro sanità.
-C’è la coperta, non ti basta?- borbottò il più grande in una risatina, afferrando il cappello dalla terra e posandoselo sugli occhi. La coperta pesante che li copriva entrambi li univa in un certo senso. Erano lì, solo loro due, fianco contro fianco e guancia contro guancia. Si riscaldavano a vicenda. Gyro gli donava il calore, non gli bastava? Voleva il fuoco, non gli bastava?
-Uh, va bene. Me la farò bastare- Johnny sbuffò, per poi dare un buffetto sulla visiera bucata –mi canti una canzone? Una di quelle...quelle...-
-Sul formaggio? Sulla pizza?-
-Sul formaggio. Mi piacciono- Johnny era tornato a guardare le stelle, gli occhi sgranati nel guardare l’infinito del vuoto.
-E perché ti piacciono?- Gyro si levò il cappello dagli occhi verdi, incuriosito. Johnny amava le sue canzoni, lo incitava sempre a cantarle. Ma non aveva mai capito il perché di ciò. In patria nessuno amava le sue stupide, sciocche canzoni sul formaggio e sulla pizza.
-Perché mi divertono. Sono leggere...carine-
-Oh, il complimento più bello che abbia mai ricevuto sulle mie canzoni!- esclamò ironico, per poi alzare il busto –parto con la gorgonzola o con la mozzarella?-
-La mozzarella! la mozzarella!- come un bambino gioioso Johnny diede la sua preferenza, uno dei suoi rari sorrisi che brillavano come esplosioni galattiche.
-E mozzarella sia- si schiarì la voce, per poi iniziare a cantare.
Iniziò a cantare la sua canzoncina sulla mozzarella, sentendo per un attimo l’erba sotto i suoi piedi infantili e le risate dei suoi fratelli che lo seguivano come i ratti dietro il pifferaio magico. Continuava a ripetere quella parola senza una fine, accompagnato dal battito di mani del biondo. Per un attimo si sentivano liberi, salvi. La morte si era spaventata nel sentire le loro urla di guerra, un grido di speranza. Uccidere la morte con una canzone sul formaggio. Andarono avanti così per minuti che sembrarono ore, gli scalpitii degli zoccoli dei cavalli a pochi passi da loro. Cantavano, cantavano e cantavano. Anche Johnny si era unito al canto della mozzarella, nonostante lui la mozzarella non sapeva nemmeno di cosa fosse fatta. Però cantava pure lui, la sua voce acuta che si fondeva con quella profonda dell’altra. Batteva le mani a ritmo, le risate di entrambi si innalzavano fino al cielo.
A mozzarella si unì inaspettatamente gorgonzola, per una manovra di Johnny. Gyro stette un secondo in silenzio, nell’ascoltare il tono infantile dell’altro che si impegnava nel fare il suo show sotto le stelle. Il sorriso sul suo volto fece un attimo dubitare della sobrietà del più giovane, nonostante entrambi non avessero toccato nemmeno una goccia d’alcool negli ultimi giorni.
Non lo aveva mai visto sorridere così tanto in tutto l’arco di tempo che lo conosceva, che non era poco, e non lo aveva mai visto così...vivo.
Vivo.
Vivo come una stella che pulsa nel cielo, come i raggi del sole la mattina che li accompagnava nella loro avanzata e come la luna pallida che faceva loro da guida e da madre durante le ore notturne, brillante nel suo riflettere e non infiammarsi.
I suoi occhi colore del cielo primaverile erano socchiusi nella loro concentrazione, mentre la sua voce incominciava a cantare una vecchia canzone in inglese senza nemmeno accorgersene. L’italiano si fondeva con l’inglese come se nulla fosse, facendo perdere il filo totalmente al maggiore, che lo fissava come un cieco che vedeva per la prima volta un quadro meraviglioso. Le parole le capiva, più o meno, ed era arrivato alla conclusione che quella che stava cantando era una canzone su un pastore e sulle sue pecore fuggite.
Una canzone che non conosceva che presto si fermò assieme al suo cantante, finito nuovamente in orizzontale sulla terra dalla sua posizione seduta.
-Non pensavo fossi così bravo a cantare- lo complimentò Gyro, sfiorandogli la guancia con una tenerezza immensa. Una tenerezza che non mostrava molto spesso, se non con lui. Sentì la pelle dell’altro farsi più calda, stava arrossendo.
-Non lo faccio molto spesso, non sono allenato- mormorò con un sorrisetto timido per poi impossessarsi del cappellaccio dell’altro, calcandoselo sulla testa –posso?-
-Ovvio che puoi. Io ti rubo sempre un sacco di cose, è normale una ripicca- anche Gyro si distese, i capelli sabbiosi che gli circondavano la testa come un’aureola e le braccia incrociate al petto.
-E tu sai altre canzoni oltre a quella del formaggio?- chiese infantile il più piccolo, appoggiando la testa alla mano con interesse. Gyro ci pensò un attimo, pensando che fosse giunto il momento.
-Una, sì- ammise in una risatina, rialzandosi –è una canzone che cantava sempre mia mamma quando ero triste-.
Il futuro che ti potevo dare
L'ho barattato per i vinili che ho in soffitta
Te li regalerò quando avrai perso le speranze
E ti sentirai sconfitta
La sua voce vibrava di potenza e ricordo, mentre la storia dell’amore perduto usciva dalle sue labbra. Un canto di speranza che non cessava, si alzava e si abbassava come le onde del mare che vedeva sempre dalla finestra appena si svegliava. Una canzone segreta che non cantava mai a nessuno, un segreto tra lui e sua madre come il suo nome, sussurrato dai suoi genitori e conosciuto da pochi eletti, tra cui Johnny.
E mentre cantava pensava alla sua disgrazia, al suo destino che sapeva sarebbe stato disastroso, una vera e propria tragedia. Però continuava a cantare, senza paura e senza rimorso. Immaginava il suo trionfo in quella vita o in un’altra, il volto di quel bambino felice fuori dalla galera. Gli applausi di tutto il mondo, i soldi. La sua Napoli ancora più bella con Johnny al suo fianco.
Johnny.
Chissà che fine avrebbe fatto, dopo la grande corsa. Sarebbe tornato a camminare? Si sarebbe riappacificato con i suoi genitori? Chi poteva saperlo. Lui sperava in un futuro insieme, magari una casa in qualche lato del mondo con i loro vecchi ronzini, i falò così per altri cento anni. Le carezze. Gli abbracci. Altre cose proibite.
Irene, i cantautori dicono che l'importante
Non è quante volte cadi, ma se hai il coraggio di rialzarti
Ma dopo mille cadute roventi
Non ci resta che imparare a vivere come i serpenti
La canzone continuava, e Johnny lo guardava estasiato. Seguiva i movimenti delle sue labbra come incantato, ipotizzando nella sua mente quale sapore potessero avere. Fruttato, come quello della sua cotta delle medie? Di alcool, come quello della donna che lo portò ad essere quello che era? Qual’era? Qual’era la cosa che soprattutto gli impediva di scoprirlo? Voleva strattonarlo a sé, baciarlo fino a consumare le sue labbra. Voleva consumarlo. Voleva assorbirlo.
Come una garza con il sangue di una ferita aperta.
In un movimento rapido gli strinse il colletto della maglia, trascinandolo a sé. Le sue labbra sapevano di buono. Niente di particolare, solo buono.
Irene non fidarti mai
Dei testi delle mie canzoni
Soprattutto di quelle da parafrasare
Che sono le peggiori
Fidati del pane fresco
Nelle mattine d'inverno
E del paradiso solo se
Solo se visto dall'inferno
Gyro non riuscì a nascondere la sua sorpresa, arrossendo di colpo e poi lasciando che tutti i pensieri uscissero liquidi dal suo cervello. Cosa diavolo era successo? Non lo sapeva nemmeno lui. Johnny lo aveva baciato. Non era una cosa lecita. Per niente. Non lo era. C’era la galera per quelli così. La galera o la morte.
Ma a lui, che era stato cresciuto dalla morte stessa, importava davvero qualcosa? -Se non ti piaceva la canzone bastava dirmi di stare zitto- rise di gusto per scacciare quell’eccitazione che gli stava facendo vibrare come la pelle di un tamburo.
Johnny, dal canto suo, era un peperone. Aveva fatto la cazzata, ora si beccava le conseguenze. -Scusa- mormorò, spostandosi i capelli dal volto –era...è stato...è stato uno sbaglio. Un impulso. Scusa. Scusa tantissimo. Non...scusa- cercò di scusarsi, quando lo sguardo stranito di Gyro lo fece fermare.
Quello noncurante si raccapezzava in merito ad un presunto sbaglio mentre quello che aveva sempre dovuto calcolare tutto aveva la testa altrove.
-Fallo ancora- il sussurro dell’altro gli arrivò forte e chiaro alle orecchie, mentre i due corpi iniziavano a farsi sempre più vicini. Era questo che volevano entrambi? Forse sì. Decisamente sì.
Il futuro che ti potevo dare
L'ho barattato per i vinili che ho in soffitta
Te li regalerò quando avrai perso le speranze
E ti sentirai sconfitta
Dopo una serie infinita di baci e di tocchi Johnny si era addormentato sul petto del più grande, che come un dolce peso sentiva il capo dell’altro, sentiva i loro respiri farsi vicini. I loro cuori farsi vicini. Vedeva le palpebre chiuse e vibranti che aveva sfiorato molte volte con le labbra nelle ultime ore, il suo fiato contro la sua pelle. Passava le dita nei suoi capelli ancora e ancora, per poi dargli un bacio sul capo -io ti proteggerò, Johnny- sussurrò sperando di non interrompere i suoi sogni – io proteggerò il tuo canto, te lo prometto- e dopo aver detto queste ultime parole, scivolò anche lui nel mondo dei sogni.
   
 
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