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Autore: Ookami_96    11/03/2020    1 recensioni
Piccola storia ambientata durante l'assenza di Sasuke dal villaggio, in cui Sakura deve ancora capire le conseguenze che la lontananza del padre hanno sulla piccola Sarada.
Tratto dal testo:
La giovane donna sorrise alla maestra responsabile della classe; a quanto pareva, la sua piccola, dolce e adorabile bambina, aveva affrontato la sua prima “discussione animata” (così l’aveva definita la maestra) con un compagno di classe.
[...]
Le spiaceva sempre sgridarla o rimproverarla; aveva paura che tutto quello che facesse lo facesse per attirare l’attenzione o perché lei non era in grado di sopperire alla mancanza di un padre. Allo stesso modo temeva di essere troppo indulgente e di permetterle troppe cose, col rischio di viziarla.
Insomma, era un cane che si mordeva la coda.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sakura Haruno, Sarada Uchiha, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la serie
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Tutta Suo Padre

Si era appena congedata da uno dei suoi pazienti, un ragazzo ormai adolescente che seguiva da anni. I genitori ormai la consideravano una di famiglia e, tutte le volte che avevano un incontro per parlare dei progressi del figlio, la trattenevano per quasi un’ora, interessati si al percorso del ragazzo, ma anche alla sua vita privata.

Quella volta però, si era trattenuta ancora più del solito. Il giovane aveva finalmente concluso la riabilitazione e poteva vivere la sua vita serenamente; avrebbe sempre occupato un posto speciale nel cuore di Sakura e, soprattutto, avrebbe sempre trovato appoggio al centro, se ne avesse avuto bisogno.
Mentre si avviava verso l’ufficio non poteva non pensare a quanto fosse contenta per lui e, inconsciamente, un pensiero andò alla sua piccola.

Sarada cresceva velocemente, più di quanto si fosse mai aspettata.
“Forse troppo velocemente”
Le sembrava ieri che l’aveva data alla luce, con Karin e Sasuke ad assisterla… In un battito di ciglia aveva mosso i primi passi, detto le sue prime parole, imparato a correre, a scrivere e ora, a poco più di sei anni dalla sua nascita, frequentava l’accademia con i suoi coetanei.

Con la mano ormai sulla maniglia fu fermata dal vibrare ritmico del suo cercapersone; era da poco passato mezzogiorno e vedere quel numero la colse di sorpresa.
Entrò nella piccola stanza e, con in mano la cornetta del telefono, compose il numero dell’accademia della figlia.
Dopo pochi minuti stava già uscendo dall’ospedale, con Ino all’ingresso già pronta a darle il cambio per il giro delle visite.
 
*
 
«Ci scusi Sakura-san, purtroppo non sapevamo chi altro chiamare»
«Nessun problema!»
La giovane donna sorrise alla maestra responsabile della classe; a quanto pareva la sua piccola, dolce e adorabile bambina, aveva affrontato la sua prima “discussione animata” (così l’aveva definita la maestra) con un compagno di classe.

Sarada prese la mano della madre nella sua, cercando conforto; bastò uno sguardo da parte di quest’ultima, calmo ma autoritario, perché lei chinasse la testa e chiedesse subito scusa alla maestra per l’accaduto.
Aveva ancora qualche lacrima che le scendeva lungo le guance, cadute forse più per la rabbia che per il ginocchio sbucciato e leggermente sanguinante.
Oltre al ginocchio non sembrava avere altre ferite; la gonnellina bianca era sporca di terriccio, ma a parte questo era come Sakura l’aveva accompagnata a scuola poche ore prima.

Stando alla ricostruzione la bambina e un coetaneo avevano litigato e, durante la ricreazione, si erano spintonati più del dovuto.
Sakura ringraziò la ragazza per averla chiamata e, con la figlia per mano, si avviò verso casa.

Non le disse niente sul subito, preferiva arrivare a casa e sfruttare il tragitto per pensare a qualcosa di efficace da dirle.
Le spiaceva sempre sgridarla o rimproverarla; aveva paura che tutto quello che facesse lo facesse per attirare l’attenzione o perché lei non era in grado di sopperire alla mancanza di un padre. Allo stesso modo temeva di essere troppo indulgente e di permetterle troppe cose, col rischio di viziarla.

Insomma, era un cane che si mordeva la coda.

Girato l’angolo della strada Sarada la trattenne.
Sakura la guardò e notò subito che l’attenzione della figlia era focalizzata su un bambino seduto con la madre su una panchina non molto lontano da loro.

«Mamma piantala! Mi fai male e brucia!»
Il piccolo era un vero terremoto, urlava e si dimenava come un ossesso, non lasciandosi medicare dalla madre.
Non ci mise molto a riconoscerlo: quella chioma bionda e quel chiasso potevano appartenere a un solo bambino.
«Insomma Boruto, è solo un cerotto. Stai fermo»

Lui stava sicuramente per replicare che no, non era solo un cerotto (sua madre brandiva anche un fazzoletto con del disinfettante, che bruciava da far paura), quando intravide Sarada che lo fissava.
Come un lampo saltò giù dalla panchina e corse verso di loro.

Sakura non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo e rimase a dir poco stupita quando Sarada le lasciò la mano per fare due passi avanti.
In pochi secondi Boruto la raggiunse e con una mano la prese per il collo della maglietta, facendole cadere gli occhiali.
La sua “avversaria” fece lo stesso e si guardarono in cagnesco finché le madri non intervennero.

Hinata prese il figlio e si scusò con Sakura, la quale aveva preso in braccio la figlia, nel tentativo di calmarla. L’Uzumaki raccolse gli occhiali della bambina e, delicatamente, glieli mise al loro posto sul viso.
Notando che la madre simpatizzava per la nemica, Boruto decise che doveva far sapere a tutti che era colpa sua se si era fatto male e iniziò a urlare a gran voce.
«Ha cominciato lei a scuola! Mi ha spinto e mi sono difeso!»
«Bugiardo!»
«Femminuccia!»
«Piagnucolone!»

La rosa intervenne, cercando di calmare le due furie: a quanto pareva era in corso una vera e propria lotta tra i due.
Nonostante la situazione sorrise, vedere quei due litigare le riportava alla mente vecchi ricordi… Vecchissimi, ormai. Doveva aver avuto lo stesso effetto su Hinata, infatti anche l’amica li guardava con occhi dolci, come se fosse tornata indietro nel tempo, quando quella per Naruto non era di più che la cottarella di una bambina timida e silenziosa.

Approfittando della situazione Sakura propose una merenda assieme, magari un gelato o un buon dolce del nuovo negozio che aveva aperto sulla via principale. Aveva una gran voglia di chiacchierare con la coetanea e, chiedendosi come mai non l’avessero mai fatto prima, si scoprì vogliosa di vedere quei due terremoti fare amicizia.

Inutile dirlo, quei due non ne volevano sapere.
Si guardavano in cagnesco e, non appena una delle due si distraeva, provavano a mettersi le mani addosso.

La Uzumaki e l’Uchiha scambiarono poche parole, entrambe confuse da quel bisticcio; si salutarono quindi, con la promessa di prendere un caffè insieme nei giorni seguenti.
Non lo avevano fatto intendere ai figli, ma avrebbero di sicuro indagato sul motivo del litigio e ne avrebbero parlato assieme.

Arrivate a casa, Sakura medicò il ginocchio alla figlia e preparò la cena.
Sarada era stranamente taciturna; era una bambina tutto sommato solare e pacifica, che rideva e scherzava. Spesso si chiedeva a chi assomigliasse di più, se a lei o a Sasuke.
Sapeva che il marito in giovane età aveva avuto un carattere espansivo e gioviale, quindi non le sarebbe sembrato strano che il carattere lo avesse ereditato proprio da lui. Oltretutto lei da piccola era molto introversa e timida… Era assurdo come fossero cambiati entrambi da allora.

Nonostante avesse solo sei anni e fosse al primo anno dell’accademia, la loro figlioletta era una bambina matura e giudiziosa; per questo l’azzuffata del pomeriggio l’aveva sorpresa e, ancora di più, l’aveva colpita il loro incontro con Boruto.
A questo punto poteva affermare che Sasuke doveva averle sicuramente trasmesso il suo sangue caldo e il suo orgoglio.

Le mise davanti della carne e un piattino con dell’insalata, rigorosamente senza pomodori.
Già, perché tra tutte le cose, l’unica che Sarada sembrava non aver ereditato dal padre era proprio l’amore incondizionato per quell’ortaggio rosso così succoso.
Una volta, non poco tempo prima, aveva provato a farglieli mangiare, dicendole che era proprio quello il cibo preferito del suo papà.
Tutta contenta e con gli occhi che brillavano, la bambina si era infilata in bocca ben tre pomodorini, mordendoli voracemente.
Se dovevano piacere al suo papà dovevano essere squisiti, no?
E invece, appena il primo le scoppiò in bocca, liberando il suo succo, lei aveva fatto una faccia al limite tra lo schifato e il disgustato, correndo al lavandino della cucina.
Da quella sera, i pomodori erano banditi in casa Uchiha.

Durante la cena aveva più volte chiesto a Sarada cosa fosse successo a scuola con Boruto, e le aveva spiegato che era sbagliato picchiare gli altri bambini al di fuori delle lezioni di combattimento (era pur sempre un’accademia ninja).
Sarada la ascoltava attenta, ma non sembrava pentita e, tantomeno, aveva intenzione di chiedere scusa al compagno.

La rosa sperava che fosse solo una fase passeggera, ma si dovette ricredere quando, il giorno dopo, la figlia si rifiutò di entrare all’accademia.
Erano a pochi minuti a piedi da lì, ma Sarada aveva puntato i piedi e non voleva saperne di andare a lezione.
«Sarada, per favore… La mamma deve andare a lavorare»
Praticamente la stava implorando, ma niente, la piccola Uchiha era irremovibile.
Testarda.
Caratteristica che poteva aver preso da entrambi, purtroppo.

«Sakura, tutto bene?»
Sentendosi chiamare si girò, riconoscendo la voce gentile che l’aveva chiamata.
«Buongiorno Choji! Diciamo… Dovrei andare a lavorare, ma qualcuno non vuole saperne di andare all’accademia»
Lanciò un’occhiata accusatoria alla figlia, ma continuando a sorridere; si rese conto che non doveva sembrare così autoritaria ai suoi occhi.

L’uomo si avvicinò, inginocchiandosi all’altezza di Sarada e mettendole una mano sulla testa.
Da qualche tempo lei e Chocho erano diventate buone amiche e capitava spesso che lui e Karui ospitassero a giocare l’amica della figlioletta.
«Che ne dici se stai con me finché Chocho è a lezione? Poi la andiamo a prendere e dopo un gelato ti porto a casa dalla mamma»
Sentendo quelle parole Sakura si sentì in dovere di rifiutare, non poteva dare un disturbo così grande all’amico, soprattutto visto che il novanta per cento delle volte erano loro a badare alle bambine quando erano assieme: visti i suoi turni non aveva molte occasioni per ricambiare.
«Non ti preoccupare, sono tornato da poco da una missione e per qualche giorno me ne starò a casa, e a Karui non dispiacerà avere Sarada come ospite»
«Per favore mamma!»
Sentendo quelle parole e vedendo il sorriso della figlia si decise ad assecondare quel capriccio, puntualizzando però che non sarebbe dovuto capitare più.

Una volta che Sakura si fu allontanata la bizzarra coppia si diresse al parco.
Passarono lì gran parte della mattinata: si rincorsero, risero, lei andò sull’altalena e Choji la guardò paziente mentre giocava sullo scivolo; andarono poi a casa Akimichi, dove Karui servì loro un pranzo con i fiocchi.
Sarada iniziò a capire come mai l’amica si lamentasse tanto del pranzo servito alla mensa dell’accademia: paragonato ai manicaretti della madre non reggeva il confronto!
Sulla tavola c’erano talmente tante portate che l’Uchiha non aveva ancora imparato un numero abbastanza alto da poterle contare.
Fecero un pisolino dopo pranzo e rimasero in casa fino all’orario in cui le lezioni all’accademia sarebbero terminate a breve.

Sarada e Choji uscirono di casa e aspettarono Chocho alla gelateria dove lei e il padre si davano sempre appuntamento dopo la scuola.
I due Akimichi presero un gelato enorme a testa, con 8 palline ciascuno, di quelli che hanno bisogno di una cialda diversa da quelle normali per essere mangiati; Sarada si accontentò di una coppetta con due gusti, ancora appesantita dal pranzo.
Chocho era molto curiosa sul perché non fosse andata a lezione e sul perché si trovasse con suo padre; fortunatamente Choji le spiegò che l’aveva incontrata con Sakura sulla strada per l’accademia e che si sentiva poco bene, così si era offerto di badare a lei.
In tutta la mattinata l’uomo non aveva indagato sul perché si fosse comportata così e Sarada non poteva chiedere di meglio.

«Non sarà perché hai litigato con Boruto vero? Quel moccioso oggi si vantava di averti spaventata a morte»
«Assolutamente no!» Si sentì punta sul vivo, aveva un orgoglio da difendere, lei.
Certo, era l’orgoglio di una bambina di sei anni, ma era comunque un qualcosa che ci teneva a difendere.

Ancora immersa nei suoi discorsi con Chocho si accorse troppo tardi che Choji stava già bussando alla porta di casa sua.
Senza dire niente lasciò cadere la coppetta di carta e corse via, verso il centro della città.

*

Choji si era già scusato almeno una decina di volte, dicendole che fino a pochi secondi prima Sarada era proprio lì, dietro di lui.
Ovviamente Sakura non dava la colpa all’amico, dopotutto era stata sua figlia a scappare.
Non ricordava quante volte le avesse detto di non allontanarsi, di stare sempre vicino ad un adulto…

Persino Chocho non capiva perché Sarada fosse scappata e, men che meno, dove fosse diretta.
Stando alle parole di Choji era stata brava e ubbidiente tutto il giorno, senza fare il minimo capriccio o altro.
Non se ne capacitava.

Pensava e ripensava a tutto quello successo in quei giorni mentre correva per le vie della città e sui tetti, alla ricerca di un suo segno qualsiasi.
Se non fosse stata un ninja addestrato probabilmente sarebbe andata nel panico già da un pezzo e avrebbe dato ascolto alla vocina che nella testa le diceva di recarsi a casa Uzumaki a chiedere aiuto al Byakugan di Hinata o alla modalità eremitica di Naruto.
Non era nel panico, ma incominciava a non sapere più dove cercare la figlia.

E poi, quando pensava di aver guardato ovunque, eccola lì, su un ponte di legno sul fiume che attraversava il villaggio.
Corse fino a lì, per poi fermarsi a un paio di metri da lei.
Sarada, seduta con i piedi a penzoloni, si era tolta il giacchetto leggero che portava sempre con sé e passava le dita sul simbolo a forma di ventaglio cucito sul bavero sinistro; si accorse della presenza della madre e si alzò, alzando lo sguardo verso di lei.

Sakura si abbassò e allargò le braccia.
A quel gesto la piccola le corse incontro piangendo.
Avrebbe dato di tutto per sapere quali pensieri attanagliavano la mente della figlia e, ancora di più, per poter alleviare quella tristezza.

«Sarada, cosa ti è saltato in mente? Ero molto preoccupata»
Quando però pronunciò quelle parole si accorse che quella domanda era solo retorica. Aveva pensato per tutto il tempo al perché di quel gesto, e solo in quel momento trovò una risposta plausibile: per la prima volta (o meglio, per la prima volta da quando ne aveva memoria) Sarada aveva sperimentato cosa voleva dire per i suoi coetanei avere un papà, che giocasse con lei, che le desse attenzione e la accompagnasse a fare merenda dopo scuola.
Per questo non se la sentì di sgridare la figlia per aver avuto paura. Si, paura: di non provare mai più quella sensazione, della fine di una giornata durata troppo poco.

Sarada non rispose, quasi percependo che non ce n’era più bisogno. Si asciugò le lacrime e si decise invece a domandare alla madre quello che si portava dentro dal giorno precedente.

«Mamma… il papà è morto, vero?»

Sakura si sentì mancare un battito.

Come le era venuta in mente una cosa del genere? Le parlava sempre di Sasuke, le diceva che era in missione, che sarebbe tornato…
«Boruto ha detto… ha detto che suo papà torna sempre dopo le missioni, e che gioca con lui… E soprattutto che lo accompagna all’accademia»
Gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime, pungendole gli occhi.
«Che nessun papà sta via così tanto… e che, e che se non torna dev’essere morto…»

Fu la donna ora a dover ricacciare indietro le lacrime; come poteva spiegare a una figlia in tenera età una cosa così complessa?
«Tesoro, papà ha una missione molto, molto importante»
«Lo dici sempre!»
Sarada la allontanò, spingendola con la mano.
«Non ci credo più! Sono grande e non dovresti dirmi bugie!»

 All’improvviso quel piccolo dolore pungente agli occhi diventò fortissimo, costringendola a chinarsi a terra e a portarsi le mani al volto e a sfregarsi gli occhi sotto la montatura.
Subito la madre, preoccupata, le fu vicina per aiutarla; di nuovo, però, Sarada la allontanò.

«Dimmelo, devi dirmi se il papà non c’è più!»
Quando alzò lo sguardo, nonostante il dolore, Sakura ne fu pietrificata.
Davanti a lei non trovò quelle pozze nere a cui era abituata; dietro alla lente degli occhiali c’erano due occhi rossi fiammeggianti, con una tomoe nera in un angolo di ciascuna iride.

Solo in quel momento si rese davvero conto di quanto tutta quella situazione stesse stressando la figlia e quanto sentisse la mancanza del padre.
Fece un respiro e si impose di mantenere la calma.

«Hai ragione Sarada, ormai sei grande…»
Si alzò, superandola e andandosi a sedere dove prima c’era lei; le sue gambe, più lunghe di quelle di una bambina, portavano i piedi a sfiorare l’acqua, increspandone la superficie.
Con la mano toccò due volte il legno vicino a lei e aspettò che Sarada si andasse a sederle accanto.
Sua figlia era così: testarda, cocciuta, diretta. 
Se voleva che la ascoltasse le avrebbe detto la verità, anche se secondo lei era troppo piccola per comprenderla.

Dopo qualche attimo di esitazione la figlia si decise e, quando fu accanto a lei, parlò.
«Tuo papà è vivo, sta bene. So che vorresti vederlo e stare con lui, anche io vorrei poterlo fare… Manca molto anche a me»
Sarada osservò l’amaro sorriso che si dipinse sul volto della madre; da che ne aveva memoria, la donna non aveva mai ammesso di sentire la mancanza di Sasuke.
Una volta cresciuta, forse, avrebbe capito che quello era solo uno dei tanti modi per non farle pesare quell’assenza così lunga e logorante.

«Tuo padre è un ninja molto forte e questo lo porta a stare sempre lontano da noi. Ma se non torna è solo per tenerci al sicuro e per proteggerci»
Sarada non era sicura di capire quelle parole: come poteva proteggerle se non c’era mai?
«Lui combatte in giro per tutto il mondo ninja, per evitare che le guerre che abbiamo vissuto da giovani si ripetano; per evitare che tu ne sia vittima e che un giorno sarai chiamata a prenderne parte.»

A mano a mano che la madre parlava lei si sentiva confortata da quelle parole, ma non riusciva ancora a comprenderle del tutto.
«Sasuke sta via così tanto perché sa che tu sei al sicuro, qui con me. Fidati di me, tesoro… Non ti lasceremo mai da sola»
Sakura si girò a guardarla; le sue iridi erano tornate nere come la notte e il respiro era tornato normale.

Le sorrise sinceramente e dolcemente, come solo lei sapeva fare.
«Ti vogliamo entrambi molto bene, Sarada. Non dimenticarlo mai»

Pianse le ultime lacrime e si buttò addosso a lei, scusandosi per tutto quello che aveva fatto, per averla fatta preoccupare, per aver pensato che suo papà fosse morto…
La rosa si limitò ad accarezzarle i capelli e a rincuorarla mentre la stringeva in un abbraccio.
Fu solo dopo un po’ che si allontanarono da quel piccolo ponte, lo stesso che, all’oscuro di entrambe, aveva spesso ospitato Sasuke più volte molti anni prima.
 
*

Il giorno dopo Sakura la accompagnò fino a scuola e, assieme a Hinata, poté vederla correre verso Boruto e mettere la mano davanti a lui con le dita giunte nel segno di pace.
Entrambi sembravano riluttanti a stringersi la mano, ma si fecero coraggio e, osservati dalle madri, si strinsero le dita l’uno in quelle dell’altra.
Entrarono così nella struttura, con una smorfia di insofferenza sul viso, circondati dalle chiacchiere dai compagni e accompagnati dal grido di un falco.

Guardando al cielo Sakura si ritrovò a pensare che sì, Sarada era proprio tutta suo padre.
 

Buongiorno a tutti!
In questa giornata di isolamento forzato mi è venuta l'ispirazione per scrivere una piccola storia autoconclusiva. 
Amo molto Sasuke e Sakura e devo dire che anche il personaggio di Sarada mi intriga molto, da qui il perchè della storia! 
Devo dire che sono abbastanza soddisfatta, ma aspetto i pareri di voi lettori per sapere se ho fatto un buon lavoro con questo secondo, piccolo, progetto.

Grazie a tutti e buona serata :D
  
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