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Autore: Elaine Chan    13/03/2020    0 recensioni
piccoli pezzi di vita tra Jimin e Yoongi, dal loro primo incontro, all'ultimo. frammenti di ciò che il minore aveva provato, sentito, vissuto.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jung Hoseok/ J-Hope, Kim Taehyung/ V, Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Iniziò tutto il 15 Marzo, ti vidi per la prima volta in un giorno grigio e freddo, a discapito della stagione, mentre tornavo a casa dalla scuola di ballo. Eri seduto lì, in mezzo al parco, sull'unica panchina rotta, intento a formare una sigaretta. Ricordo che le tue mani tremavano, probabilmente dal freddo, così come tutto il tuo corpo, e l'aria che, ad intervalli corti ma regolari, esportavi dalla tua piccola bocca e che risaliva formando una piccola nuvoletta che, ancora devo capire come, si dissolveva sempre sul tuo viso, arrossato e infreddolito. Mi fermai, incerto tra il continuare per la mia strada o il cambiare totalmente rotta e fare una pazzia: quella di andare da te. Quando avevo quasi totalmente deciso di lasciare quel posto, i tuoi occhi si posarono su di me, ne sono certo, e per qualche minuto ci osservammo immobili. I tuoi occhi erano freddi, più freddi di quella insolita giornata di primavera. Strinsi la manica del mio zaino con forza e, facendomi mentalmente coraggio, mi mossi probabilmente troppo bruscamente, cominciando poi a camminare a passo spedito verso di te. Quando fui abbastanza vicino, notai tutti i mozziconi di sigaretta gettati a terra, tutti intorno a te, che ti circondavano, come uno strato di protezione. Per un secondo il pensiero di tornare indietro varcò la soglia della mia mente, allora in uno stato confusionale, ma qualcosa mi trattenne: la tua voce. Avevi una voce così bassa, roca, che sentii il mio respiro spezzarsi a quel suono, così peccatore ed invitante. "Cosa vuoi?" mi chiesi, quasi innervosito dalla mia presenza, guardandomi dritto negli occhi, come in una silenziosa sfida. Deglutii a vuoto, senza fiatare, dato che ero troppo occupato a far risuonare la tua voce nella mia mente. Il mio sguardo passò poi sulla panchina, vittorioso quando notai lo spazio sufficiente per me per sedermi, e così feci. Mi guardasti con sguardo misto tra sorpresa e irascibilità "il gatto ti ha mangiato la lingua?" dicesti poco dopo, ancora nell'attesa della domanda precedente, alla quale però non sapevo come rispondere. Il mio sguardo cadde nuovamente sulle tue mani, costatando la finitura di quell'oggetto omicida, che poi accendesti e ti portasti alle labbra. Accenderla però, devi ammettere che fu una cosa difficile, dato che la tua pelle bruciava a contatto con i tuoi pantaloni, lo capii dalla tua espressione. Ispirasti ed espirasti la nicotina e, voltandoti nuovamente verso di me, parlasti "se non hai niente da dire vattene" che sembrò più un ordine che una richiesta, anzi, probabilmente era davvero un ordine. Quando però, capisti che non mi sarei mosso, ti alzasti tu per andartene, e lì capii che non potevo restare solamente in silenzio, a godermi la tua voce, senza darti qualcosa in cambio. "Park Jimin" feci quindi, alzando il volto ed incrociando i tuoi occhi, allora totalmente spalancati "il mio nome è Park Jimin" ripetei, come se non mi avessi sentito "quindi sai parlare" affermasti, più a te che a me, immobilizzandoti lì in piedi "resta" continuai, anche se più che una richiesta uscì come supplica, abbassando finalmente il mio sguardo a terra, osservando fintemente interessato il leggero strato di neve a terra, ora sovrastata dai mozziconi che, forse con rabbia, erano stati gettati via. "Perché dovrei?" chiedesti quindi, facendo un altro tiro dalla sigaretta e passandoti la mano libera tra i capelli, bagnati dall'umidità. "Perché mi piace ascoltare la tua voce" dissi questa frase d'istinto, dato che ragionare su cosa dire non era mai stato il mio forte, ma quando me ne resi conto era già troppo tardi. Tutti e due eravamo immobili, uno ad aspettare l'intervento dell'altro. Il silenzio calò tra noi e, nel mentre, tu ne approfittasti per tornare al tuo posto "Min Yoongi" mormorasti poco dopo, guardando dritto davanti a te. Le mie labbra, lo ricordo perfettamente, si aprirono in una "o" di sorpresa, dato che mi aspettavo di tutto tranne che saresti rimasto qui, con me, con così tanta facilità. "Come mai stai qui, Yoongi?" ti domandai, beccandomi però una tua occhiataccia, un vizio che non ti sei mai riuscito a togliere, ma che ho sempre amato. "Usa la onorifico" borbottasti tutto serio, confondendomi e non poco "pei più piccolo di me, devi portare rispetto" mi spiegasti poi, capendo il mio disorientamento, sbuffando poi indignato "e come fai a saperlo? Chiesi, scrutandoti con lo sguardo "dal viso, quanti anni hai?" e anche questa, anche se formulata come una domanda, rientra nella categorie degli ordini. "23" risposi semplicemente, seguito da un'alzata di spalle, voltando lo sguardo al cielo, quasi interamente coperto da scure e giganti nuvole. "25" ribattesti, orgoglioso del tuo intuito "quindi devi chiamarmi Hyung" e, dopo ciò, fu il silenzio a regnare tra noi.

"Hyung, non dovresti andare a casa?" chiesi, gettando un'occhiata veloce al display del telefonino che, per tutto il pomeriggio, era rimasto bloccato nella tasca dei miei pantaloni. Un po' come il tuo accendino. "Non sono cose che ti riguardano" dicesti, a voce fredda, spegnendo l'ennesima sigaretta "tu invece? I tuoi saranno sicuramente preoccupati" ma cambiare argomento non funzionava mai con me, non ricordi? "Non torneranno prima del mese prossimo, quindi non ho problemi, dimmi invece perché tu non vuoi tornare a casa" feci, alzando le spalle e stringendomi di più nel giubbotto, dato che la sera faceva molto più freddo rispetto al giorno. "Dovresti andare invece, stai tremando tutto" la tua voce era più calorosa di prima, quasi compassionevole, ma avevi ignorato la mia domanda "no, se non ci vai anche te" dissi quindi deciso, mettendo poi il broncio. Mi guardasti in silenzio, alzandoti poco dopo "vieni" mi dicesti, anzi, ordinasti, prendendomi dal polso e trascinandomi verso il punto dalla quale ero arrivato quel pomeriggio. "Dove stiamo andando?" domandai, confuso e agitato, sentendo un piccolo rossore sulle guance crescere ogni momento di più "ti accompagno a casa" affermasti deciso, fermandoti e facendomi segno di andare avanti "e dopo cosa farai?" le tue labbra, secche e screpolate, si schiusero "andrò a casa" sussurrasti, rendendo così la tua voce più roca e, di conseguenza, più sexy. "Me lo prometti?" e, seguito da quella richiesta, il mio mignolo si avvicinò a te. Ti vidi sorridere e, in quel preciso instante, le mie guance ripresero colore. "Va bene, piccoletto" e, così, ti condussi a casa mia. Ricordi? Quando arrivammo io non volemo entrare perché, anche se lo avevi promesso, avevo paura che potessi andare chissà dove prima di quella tua misteriosa casa e non volevo. Non volevo perché, di notte, la città è un luogo pericoloso, pieno di ubriachi pericolosi e, perché, durante la notte la gente si rivela sempre per ciò che è in verità. "Vuoi" iniziai, sentendo l'ansia cresce e bloccare le mie parole in gola. Ti voltasti verso di me, con sguardo addolcito rispetto a quando, quel pomeriggio, ti avevo visto per la prima volta. Uno sorriso si formò sulle mie labbra, rilassando i nervi che, fino a poco prima, erano tesi come le corde d'un violino. "Ti va di fermarti da me, questa notte?" e, tutto il silenzio che si formò gli attimi dopo, ricadde sulle mie spalle, come una cruda realtà. Tu, però, iniziasti a camminare verso quello che era la mia porta di casa e, fermandoti proprio davanti, mi dicesti "fammi entrare prima che cambi idea" facendomi tornare il sorriso sulle labbra.

I giorni passarono e tu rimanesti in casa mia. Fumavi di meno e sorridevi di più. Ricordo come, in quel poco tempo, avevamo preso uno i ritmi dell'altro e le conversazioni diventarono presto qualcosa di così naturale nelle nostre vite, sebbe tra noi non fosse accaduto niente. Ogni notte, però, ti sentivo parlare nella stanza di fianco alla mia, con voce arrabbiata e, quasi sempre, sentivo il mio nome seguito da delle imprecazioni. Non volevo davvero sapere di cosa parlavi tutte le notti, né con chi, anche se una parte di me veniva lentamente divorata da questa curiosità. Fu così che il 30 Marzo, in piena notte, aprii la porta nella quale ti nascondevi sempre per telefonare e ti chiesi cosa stessi facendo. Vidi il telefono cadere a terra e le tue gambe, tremanti, caddero con lui davanti ai miei occhi. Ci misi un secondo a realizzare l'accaduto ma, fortunatamente, le mie gambe si erano già mosse verso di te, per raggiungerti. Ti strinsi forte tutta la notte. Al mio risveglio, però, non c'eri più. Mi diressi verso il parco dove, due settimane prima, ci eravamo incontrati per la prima volta, sperando di vederti, e così fu. Una sigaretta tra le labbra, il telefono all'orecchio destro, il naso arrossato dal freddo e le gambe che calciavano ferocemente il terreno. Decisi che quello, sicuramente, fosse il momento per scoprire la verità e, così, rimasi nascosto dietro l'albero. "Penso di essermi innamorato di quel moccioso, Hoseok, capisci? Non posso fare cose avventate, ora che ho qualcuno a cui tengo" ma, questa volta, furono le mie gambe a tremare e a minacciare di cadere. Preso dalla foga, corsi indietro verso casa mia, anche se mi dovetti fermare a metà strada. Il fiato corto, il respiro pesante, il cuore che batteva all'impazzata. Non riuscivo a capire se erano dovuti a quello che avevo sentito o alla corsa appena fatta.

Il 4 Aprile ci fu il nostro primo bacio. Avevamo appena finito di cenare, ricordi? Un film che adoravo era proiettato alla televisione e ti pregai di farmi compagnia. Le luci spente, i nostri corpi pericolosamente vicini, i nostri cuori che battevano per conto loro. Mi prendesti la mano, e giurai di aver perso un battito a quel contatto. Ma la situazione peggiorò quando sentii il tuo respiro farsi sempre più vicino, fino ad infrangersi sulla mia guancia. Mi voltai con estrema lentezza, cosciente sulle conseguenze che avrebbe portato quell'azione, ed incontrai i tuoi occhi. Quegli occhi che solo poche settimane prima erano freddi come la neve d'inverno, ora erano caldi come un raggio di sole d'estate. Mi guardasti per un secondo, il tempo necessario per farmi spostare, per poi azzerare la distanza tra noi. Sentii le farfalle allo stomaco e, senza pensarci troppo, ricambiai il bacio. Il nostro primo bacio seppe di vaniglia, come il gelato che avevi scelto come dessert quella sera.

Il giorno dopo mi svegliai sul tuo stesso letto, privo di vestiti. Ci misi qualche secondo a metabolizzare ciò che era accaduto la notte prima e, quando ricordai, sentii le guance accaldarsi ed assumere un colorito porpora. Avevamo fatto l'amore e mi avevi detto che mi amavi. Tu, Min Yoongi, amavi me, Park Jimin. Non potevo crederci. Osservai il tuo viso dormiente, mentre accarezzavo le tue forti braccia che, già dal mio risveglio, mi tenevano stretto a te, come in un tacito timore di potermi perdere. Non sarebbe mai accaduto. Quando ti svegliasti, la prima cosa che feci fu sorridermi e, delicatamente,mi desti un dolce bacio del buon giorno. -sto sognando- fu il mio primo pensiero, arrossendo timidamente "buongiorno piccoletto" la tua voce appena sveglio era così roca, che mi mandò in palla la testa, e te ne rendesti subito conto, sorridendo beffardo. "Ti amo" mi sussurrasti quindi all'orecchio e, senza aspettare risposta, mi detti un altro bacio, questa volta più passionale.

Il 10 Aprile ricevetti una telefonata dai miei genitori, dove mi avvisarono che, per vari problemi, il loro viaggio si sarebbe prolungato di qualche giorno o, probabilmente, settimana. Ricordo ancora come corsi, tutto felice, per tutta casa alla tua ricerca, per darti quella fantastica notizia. Gli occhi mi brillavano e la mano che reggeva il telefono era tremante per l'emozione. Peccato che non eri a casa. In realtà, erano vari giorni che uscivi il pomeriggio, senza dirmi niente, e tornavi stanco la sera. Non pensavo a cose come "mi sta tradendo" bensì a "spero non si metti nei guai" perché, da ciò che il mio migliore amico, Taehyung, era riuscito a scoprire su di te, eri immischiato in delle faccende losche che, a lungo andare, ti sarebbero potute costare la vita. Non potevo perderti per nessun motivo al mondo.

Il 20 Aprile feci una chiamata dal tuo telefono, scusa per non avertelo detto. Chiamai il tuo amico Hoseok e gli chiesi di farti uscire da quel mondo, ma lui non mi potè promettere nulla. Ero frustrato, dato che volevo solamente vivere una vita con te, Yoongi. Fu così che, quella stessa notte, decisi di seguirti fuori casa. Non avevo idea che quella sarebbe stata una pessima idea perché, se lo avessi saputo, sarei rimasto sotto le calde coperte, inebriandomi del tuo profumo e sparando in un tuo veloce ritorno. Ricordo che ti fermasti in mezzo ai vicoli della città, in quei vicoli dove nessuno andava mai perchè territorio di gente losca, con le mani sporche di sangue e piene di droga. Gente che, sinceramente, speravo di non dover vedere mai in vita mia. Ti seguii e, quando ti chiesero di unirti a loro, uscii allo scoperto e, cogliendo tutto il mio coraggio, gli urlai dic lasciarti libero. Yoongi, io volevo solo il tuo bene, il nostro bene. Quando, però, il ragazzo vicino al capo estrasse la pistola, il mio cervello smise di funzionare. Ricordo ancora i tuoi occhi pieni di paura, mentre mi prendevi il polso e mi trascinavi via, come ricordo ancora perfettamente il suono di quello sparo ed il tuo petto che, poco a poco, si ricopriva di un rosso cremisi. Era sangue, il tuo sangue. Ricordo la mia vista offuscata dalle lacrime mentre mi piegavo a terra e ti prendevo sul mio ventre, premendo sul petto alla disperata prova di poter fermareiol sangue che, come un fiume in piena, usciva dal tuo corpo. Ricordo il tuo sguardo vacillante sul mio, la tua mano tremante che mi accarezzava la guancia e le tue ultime parole: "sono contento di aver detto scusa" che, in un batter d'occhio, mi riportarono a quella sera quando, pronto ad uscire da quella stanza, ti avvicinasti a me mi sussurrasti "scusa" lasciandomi con un bacio sulla fronte. Le lacrime iniziarono a cadere ancora più copiosamente dai miei occhi, alcune finirono sulle labbra che, per via dei singhiozzi, erano aperte, facendomi realizzare quanto fossero salate. L'ultima cosa che ricordo di quella notte sono io che, correndo, mi ripetevo "è solo un sogno" come un disco rotto.

Oggi, 21 Aprile, dopo aver realizzato tutto ciò che accadde la notte scorsa, con il cuore spezzato, il viso coperto di lacrime, la mente piena di lui, sto dicendo addio a questo mondo, il mondo dove tu non sei più con me. io , Park Jimin, tornerò da te, mio amato Min Yoongi, poiché neanche la morte può separarci. 


 

FINE

 

   
 
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