Film > Il gobbo di Notre Dame
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Autore: Angelica Cicatrice    13/03/2020    1 recensioni
E se i personaggi del gobbo di Notre Dame si trovassero in un'altra storia del tutto diversa, e con ruoli che non avete mai preso in considerazione? Se Quasimodo fosse il principe scomparso di un lontano paese, come la Russia? Ed Esmeralda è una ragazza truffaldina che spera di trovare un sosia del principe per una bella ricompensa? Sì, è la trama di Anastasia, ma pensateci bene, potrebbe sorprendervi se amate entrambi i mondi e i generi. Perciò se siete curiosi addentratevi in questo racconto crossover.
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claude Frollo, Clopin, Esmeralda, Febo, Quasimodo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                       Un viaggio verso la speranza
     

- Come...come sei entrato...qui? -.
Esmeralda strabuzzò gli occhi color smeraldo, e per un attimo pensò che fosse uno scherzo della sua immaginazione. Ma più osservava quella creatura davanti a se, più si rendeva conto che tutto fosse reale. Avvertiva una strana sensazione che cresceva a dismisura in ogni parte del suo animo. Una sorta di folgorazione. Uno spiraglio di luce lunare, chiara e argentea, filtrava da qualche fessura di una finestra, illuminando il volto del ragazzo dai capelli rossi. Quella grossa verruca sull'occhio sinistro. Quella protuberanza su un lato della schiena. Tutta quella materia che assemblava lo strano individuo sembrava gridare una rivelazione che scosse la mente stessa della gitana. Ma ciò che l'aveva colpita di più, era proprio quel volto deforme, con l'unico occhio spalancato che brillava di un verde che ricordava i prati in primavera. Esmeralda, interpretò quell'incontro come un segno della provvidenza. O semplicemente, come il colpo di fortuna che stava aspettando.
 
Pv Esmeralda
 
- Ehi tu! Chi diamine sei?! - fece la voce di mio fratello, con tono rude. Qualche minuto prima, io e Clopin ci stavamo rilassando nel salotto privato reale, mentre consumavamo una bella zuppa calda davanti al caminetto accesso. Ma la nostra tranquilla cena "clandestina" era stata interrotta da un forte rumore, proveniente proprio al piano terra del palazzo. Avevamo pensato che fosse un guardiano che si aggirasse attorno all'edificio per una perlustrazione di controllo. Ma non era possibile, data l'ora tarda. Con il dubbio perenne che la nostra serenità fosse in pericolo, e per non trascurare un possibile atto di furto, ci eravamo mossi con cautela discendendo le lunghe scalinate. Entrambi eravamo rimasti di stucco scoprendo che si trattava di un intruso, un probabile vagabondo di strada. Anche se non sembrava una reale minaccia, non potevamo lasciarlo libero a gironzolare in giro. Avrebbe potuto fare la spia alle guardie e avremo rischiato di finire in gattabuia. E se c'era una cosa che urtava mio fratello, più di essere disturbato durante la cena, era proprio quello di marcire in prigione. Dopo una corsa sfrenata, armato di pugnale, Clopin mi aveva appena raggiunta. Avvertendo la sua ira, non persi tempo nel fermarlo. Con un sorriso e un po’ di fermezza, mi misi davanti a lui per calmarlo e spiegargli la situazione.
- Clò! - dissi, bisbigliando al suo orecchio per non farmi sentire dal nostro ospite - Calma i tuoi istinti minacciosi. Credo proprio che ci siamo -.
Mio fratello rimase per un secondo confuso, come se non avesse capito bene le mie parole. Alzò un sopracciglio e sbirciò dietro le mie spalle.
- Eh? Di cosa stai parlando? - chiese il gitano, aggrottando la fronte. Allora tornai vicino al suo orecchio e precisai:
- E' lui..."quello" che stavamo cercando -.
Solo in quel momento l'espressione di Clopin mutò: i suoi occhi si spalancarono vispi e le sue labbra si curvarono in un largo sorriso.
- Ehm...scusami. Sei tu Esmeralda? -.
La voce di quel ragazzo mi arrivò alle orecchie chiara e pacata. Un tono piuttosto delicato per un tipo come lui, dovevo ammetterlo. Solitamente non davo nulla per scontato, ma mi aspettavo un timbro di voce più rauco e grottesco. Intanto, la capretta che lo accompagnava si era avvicinata a me e a Clopin. Una bestiolina insolita come animale domestico, ma alquanto graziosa. Chissà, forse quel ragazzo era un pastore o un contadino.
- Dipende. Tu chi sei? - fu la mia risposta mentre facevo qualche passo verso di lui. Solo in quel momento, dopo aver sfumato l'entusiasmo iniziale, mi concentrai su quel soggetto. Per via della gobba che gli curvava la schiena, risultava basso, mentre braccia e gambe erano scolpite dai muscoli che gli donavano un'aria da lottatore. Nonostante quei dettagli, che potevano intimorire, vedevo in lui uno spirito mansueto e genuino. 
- Mi chiamo Kazy - si presentò con aria timida. Mentre mi parlava, ebbi l'impressione che non riuscisse a guardarmi direttamente negli occhi. Una ciocca folta dei suoi cappelli, di colore rosso vivo, gli nascondeva metà volto, e lui sembrava non curarsene.
- Ho un problema con i documenti di viaggio. Qualcuno mi ha consigliato di rivolgermi a te, ma non posso dirti altro - continuava a parlare con calma. Mentre quel ragazzo uscito fuori dal nulla parlava, io ero troppo occupata a studiare il suo corpo e la sua fisionomia. Ma ciò che mi interessava di più era scrutare meglio il suo volto. Lui se ne accorse e arrossì vistosamente. Con le sue grosse mani si coprì il viso in maniera nervosa.
- M-ma, ma perché mi fissi in quel modo? - disse lui, come se volesse supplicarmi. Mi resi conto che in effetti stavo esagerando.
- Scusami, Kavi - dissi, cercando di fare la disinvolta per spezzare la tensione.
- Mi chiamo Kazy! - mi corresse lui, e finalmente si scoprì il viso. Nonostante la timidezza di poco prima, notai una lieve nota di determinazione in lui. Lo avevo capito dalla luce che splendeva in quell'occhio marcato dal sopracciglio bruno.
- Certo, Kazy. Comunque, tornando alla tua situazione, stavi parlando di documenti di viaggio, o sbaglio? - gli chiesi, curiosa di saperne di più.
- Ehm, sì. Vorrei andare a Parigi - mi rispose quel ragazzo di nome Kazy. La sua risposta mi lasciò incredula, ma anche estasiata. Questa sì che è fortuna, pensai. Era incredibile come certi eventi potessero ribaltarsi in un solo giorno. Avevamo iniziato l'impresa in quel pomeriggio nevoso, convinti che la svolta decisiva ci avrebbe fatto attendere chissà per quanto. E invece, la Dea Fortuna si era strappata il velo che la rendeva cieca, e si stava gettando completamente tra le nostre esili braccia. Mentre sentivo già i primi frutti della vittoria, un suono sordo di zoccoli e di passi frenetici mi fecero voltare indietro.
- Guarda, Esme! - mi richiamò ad alta voce Clopin. Lo zingaro aveva riposto il pugnale nell'incavo dello stivale e il suo istinto selvaggio si era placato.
La capretta dal mantello argenteo stava saltellando e roteando su se stessa, come se si stesse esibendo in una danza. Il mio fratellone la stava accompagnando con passi e battiti di mano.
- Guarda, che brava! Le piace il flamenco! - aggiunse poi, sorridendo divertito senza smettere di ballare. Fantastico! Clopin aveva appena trovato una nuova compagna di merende, o meglio dire, di danze. Ma dovevo ammettere che per essere una capretta, era davvero in gamba. Distogliendo lo sguardo, tornai a rivolgermi a Kazy.
- Dimmi un po’, Kazy, qual è il tuo cognome? - gli chiesi, e in quell'istante vidi il suo volto deforme cambiare. Un velo di tristezza e confusione aveva offuscato quella luce piena di vita che avevo visto qualche minuto prima.
- Beh...se devo essere sincero - cominciò mentre si rigirava le grossi mani, una sull'altra - io non conosco il mio cognome...-.
Quella rivelazione mi lasciò spiazzata. Aggrottai la fronte e rimasi in attesa. Lui mi diede una rapida occhiata, e notando la mia perplessità aggiunse:
- Tanto tempo fa, quando ero ancora un ragazzino, vagavo per strada da solo. Finché non mi sono ritrovato all'orfanotrofio -.
Ascoltai in silenzio quella breve spiegazione, ma non mi bastò. Dovevo sapere di più di quel misterioso ragazzo.
- Capisco. E non sai dirmi altro, tipo prima di quell'evento? - gli chiesi senza mezzi termini. Lui si passò una mano tra i capelli e mi sembrò turbato.
- Io...davvero, non riesco a ricordare... - disse infine, e allora decisi di non insistere. Dovevo cercare di portarlo dalla nostra parte, e non di innervosirlo e rischiare così di perdere quella grande occasione. Dopo averlo scrutato attentamente, avevo realizzato che quel ragazzo era davvero colui che cercavo. La nostra gallina dalle uova d'oro. Il sosia perfetto del principe Kvazimodo. Sarebbe stato un disastro se non fossimo riusciti nel nostro intento e portare a termine la truffa del secolo.
- Una sola cosa mi è certa: andare a Parigi - disse poi il ragazzo dai capelli rossi - Quindi, voi potete davvero aiutarmi? -.
Era il momento che stavo aspettando per agire. Mi voltai subito verso Clopin, che intanto aveva finalmente smesso di giocare con quella capretta prodigio. Gli feci l'occhiolino e lui fece altrettanto, come segno d'intesa.
- Certo, saremo ben felici di aiutarti. Inoltre devi sapere che anche noi andiamo a Parigi - informai Kazy, mentre con una mano dietro la schiena afferravo alcuni pezzi di carta. Uff, Clopin era riuscito a borseggiare quei biglietti per il circo che tanto avevo atteso, e dovevamo rinunciarci. Beh, pazienza.
- Ecco, questi sono i biglietti per il treno, e ne sono giusto tre - gli spiegai, facendo sventolare i falsi biglietti davanti al suo naso. Kazy spalancò l'unico occhio sano, e seguì quei foglietti come una falena ammaliata dalla luce di una lanterna.
- Peccato che il terzo è riservato al principe Kvazimodo - aggiunsi allontanando sempre di più i biglietti dalla visuale del gobbo.

Pv Kazy

Il principe Kvazimodo? Chi era costui?
- Hola, mi amigo! - fece una voce allegra alla mia sinistra. Il ragazzo che poco prima stava ballando con Djali, mi prese per un braccio, e lo stesso fece Esmeralda dall'altro lato. Senza rendermene conto mi stavano trascinando su per le scalinate coperte dai tappeti.
- Io sono Clopin Trouillefou, fratello maggiore di Esmeralda - riprese quel bizzarro tizio - Noi stiamo cercando il principe Kvazimodo per farlo riunire con suo padre, l'ex zar Henri Belstov -.
Osservandolo da vicino, in effetti notai che Clopin ed Esmeralda avevano in comune la stessa pelle ambrata e lo stesso colore nero corvino dei capelli. Non ero un esperto in materia, ma sospettavo che quei due non fossero abitanti russi. Probabilmente erano stranieri, immigrati che si erano trasferiti in Russia.
- Sai, tu assomigli molto al principe - mi informò a un certo punto la fanciulla, e da quella frase ne susseguirono altre, un botta e risposta tra i due fratelli.
- Un esempio, sono i tuoi capelli -.
- Già, i capelli rossi dei Belstov! -.
- Il verde degli occhi delle sorelle -.
- Il mento della zarina -.
- Oh, ma guarda, ha perfino gli stessi incisivi del padre! - disse infine Clopin, tirandomi le guance per allargarmi la bocca. Quella esasperata altalena di commenti mi diede tanto fastidio. Cosa avevano quei due? Mi svincolai e riuscì a liberarmi per riprendere un po’ di calma.
- Aspettate un attimo! - dissi a un certo punto - state forse dicendo che pensiate che io sia questo Kvazimodo? -.
Ero frastornato. Avevo iniziato quel viaggio per trovare delle certezze alla mia esistenza, sperando magari nell'aiuto di qualcuno. E invece, incredibile ma vero, avevo trovato solo altra confusione che mi stava mandando fuori di testa. E poi, chi era questo Kvazimodo? Mentre cercavo di fare luce in quella stramba situazione in cui mi ero cacciato, la ragazza dagli occhi smeraldo si avvicinò con aria decisa.
- Stiamo cercando di dirti che abbiamo visto una marea di persone in tutto il paese. Neanche uno di loro assomiglia al principe quanto te -.
Rimasi un attimo sorpreso dalla fermezza di Esmeralda. Sembrava proprio una persona determinata e sicura di sé. Ma tutto mi sembrava ancora assurdo.
- Non è possibile...- dissi, girando la faccia altrove - non posso essere il principe. Sono solo un orfanello -.
Come potevano quei due pensare che io potessi essere una persona di sangue reale? Proprio io, un ragazzo deforme e brutto cresciuto a pane e minestra; che aveva dormito sui pavimenti duri e freddi; che a malapena sapeva reggersi dritto, anzi, non poteva minimamente farlo. Cercai allora di allontanarmi da quella coppia di squinternati, ma la cosa fu alquanto difficile.
- Ne sei davvero sicuro? Pensaci! - insistette la ragazza dai capelli mossi, seguendomi a ruota - Tu non ricordi cosa ti è successo, giusto? -.
- Mi permetto di aggiungere che, guarda caso, nessuno sa cosa sia successo al principe scomparso - si intromise l'altro, alzando le spalle platealmente.
- Tu cerchi dei parenti, a Parigi - mi fece poi notare Esmeralda.
- E, mi ripermetto, gli unici parenti rimasti del principe sono proprio a Parigi - disse infine Clopin.
No, vi prego, non di nuovo! Ma per quella volta, i loro commenti su quella faccenda mi fecero riflettere. Quindi, se avevo capito bene, questo Kvazimodo era il principe scomparso, unico superstite della grande rivoluzione. E a quanto pare anche lui era un ragazzo con la mia stessa condizione. Oh, se solo fosse vero, pensai tra me. Per un attimo cercai di immaginare un possibile incontro con quel principe; sarebbe stato come trovarsi di fronte a un proprio simile, che potesse capire le tue stesse sofferenze patite per l'aspetto ignobile. Sarei stato più felice in tale situazione, in un certo senso.
- Allora, che ne pensi? - mi chiese poi la bella ragazza, scrutandomi con i suoi occhioni brillanti. Cercai di non arrossire, e mi concentrai sul mio pensiero.
- Essere un membro della famiglia reale? - pensai ad alta voce, mentre gli altri due annuirono. Feci vagare il mio sguardo sul soffitto, così alto e maestoso, e cercai di tornare a quei sogni ad occhi aperti che spesso facevo in passato. Nella fantasia quel ruolo mi sembrava accettabile, proprio perché ero l'unico partecipante della stessa situazione. Ma nella realtà, dove tutti gli altri potevano osservare e giudicare, mi sembrava qualcosa di impossibile. O semplicemente, qualcosa che nessuno avrebbe voluto vedere. Già era un miracolo che uno come me vivesse nella società come un reietto. Alla fine, risposi.
- Beh, non saprei. Ma forse...beh sì, certamente è un sogno che ogni persona fa una volta nella vita; essere un principe -.
- Ben detto, ragazzo! - esclamò Clopin, mentre sua sorella tornò a darmi la sua attenzione.
- Ascolta, ci piacerebbe davvero aiutarti. Sarebbe tutto più facile se avessimo un biglietto in più - cominciò a giustificarsi Esmeralda, come se stesse per darmi una brutta notizia - ma ti ripeto, il terzo biglietto è per il principe Kvazimodo. E dato che sei così incerto sulla questione, non possiamo certo costringerti a seguirci. Quindi ti auguriamo buona fortuna, noi dobbiamo affrettarci -.
Detto ciò, la bella ragazza dalla pelle ambrata prese sottobraccio suo fratello, e si allontanarono insieme per la lunga scalinata, diretti verso l'uscita del palazzo. In quel momento il silenzio era tornato sovrano, sia nello spazio che nel mio animo. Come facevo spesso quando ero nervoso o immerso nei pensieri, mi sfregai le mani, una sull'altra, nel frattempo il mio sguardo si posò su un quadro enorme, proprio lì sulla parete. Strano, che non lo avessi notato prima. Il soggetto era un uomo alto, dalla corporatura robusta, distinto nel suo uniforme blu con la fascia rossa. Aveva capelli rossi legati in una coda corta e rivolgeva allo spettatore gli occhi di un verde profondo. Doveva avere più o meno la mia età, con l'unica differenza che il suo viso era bellissimo, dai lineamenti fieri e perfetti. Oh, se fossi nato con un aspetto normale, magari potevo essere io quello splendido ragazzo in posa. Ma quel viso, non saprei come spiegarlo, ma mi era familiare. Avevo già visto quella faccia, nei miei sogni di fanciullo, o forse nella mia fantasia più sfrenata. Quello, come avrei appreso in futuro, altro non era che lo zar Henri Belstov da giovane. Intanto mi ritornarono in mente le parole di Esmeralda. E se avesse ragione? pensai per un secondo. Mentre ci riflettevo, Djali strofinò la testa sulle mie ginocchia, come se stesse cercando di aiutarmi a sciogliere i miei dubbi. Osservandola, ricordai come avessi preso la decisione di tuffarmi in quel viaggio. Era stato un segno, quello di Djali, a mostrarmi la via. E così come avevo avuto la dritta da parte di quell'indovino nel momento del bisogno, avevo trovato Esmeralda che mi aveva a sua volta proposto un'altra strada da proseguire. Insomma, potevo considerare quell'occasione come un altro segno per poter continuare il mio viaggio per scoprire chi fossi. Era una possibilità che non potevo perdere. Sì, ora sapevo cosa fare.
- Esmeralda! - gridai, voltandomi indietro e zoppicando verso la scalinata. Meno male che i due fratelli erano ancora nel palazzo, proprio al centro della sala, che mi davano le spalle. Udendo la mia voce e il belare di Djali, la coppia si girò verso di me.
- Sì, dimmi - rispose lei, mentre si sistemava una ciocca di capelli fuori posto. Scesi i scalini con cautela per avvicinarmi.
- Ascolta, ho riflettuto sulle tue parole - cominciai - E ho realizzato: se non ricordo chi sono, perché allora non posso essere un principe o comunque un membro della famiglia reale? -.
- Giusto. Ebbene? - fece lei, osservandomi con aria curiosa. Mi accorsi che avevo smesso di avvertire quella spiacevole soggezione quando lei mi guardava.
- Insomma, se nel caso non fossi Kvazimodo, l'unico che può dircelo è proprio lo zar in persona. Almeno ne varrà la pena il tentativo e l'errore, e io potrò ritornare sui miei passi senza rimpianti -.
Dopo aver spiegato il mio punto di vista, Esme sembrava essere d’accordo con me, intanto Clopin fece una ruota acrobatica, e con entusiasmo si avvicinò a me. Che agilità! Era proprio un personaggio insolito quel tipo.
- Ma se tu fossi il principe - mi spiegò lui, allargando un sorriso smagliante - allora finalmente scopriresti chi sei e ritroveresti la tua famiglia -.
La mia famiglia? pensai. Sarebbe meraviglioso...Non mi importava se avessi scoperto di essere un membro reale, non era quello il punto. Volevo solo trovare la persona che mi aveva donato quel ciondolo così unico " Insieme a Parigi". Famiglia reale o no, era tutto ciò che desideravo.
- Clopin ha ragione - aggiunse poi Esme, sorridendo compiaciuta - inoltre, ciò che conta è che tu arrivi a Parigi -.
Quelle parole mi accesero di una nuova luce, una speranza che mi stava incoraggiando ad accettare quella proposta e appena Clopin mi offrì la mano con un "affare fatto?", io non persi un secondo di più.
- Ci sto! - risposi, e afferrai la sua mano con sicurezza. Ma avevo dimenticato la mia forza e come conseguenza udii scroccare le dita sottili del mio nuovo compare, seguito da un gemito di dolore.
- Ops! Scusami - dissi dispiaciuto, mentre Clopin ritirava la mano e lanciandomi un'occhiataccia. Invece Esmeralda ci guardò ridacchiando. Infine, la vidi volteggiare in mezzo alla sala; la gonna viola, costellata dalle toppe di vari colori, si allargò come una ruota, mostrando le sue gambe snelle.
- Madame e Messier, ecco a voi il principe scomparso, sua altezza reale Kvazimodo Belstov! -

Pv Febo

Accucciato dietro la balconata, al piano più superiore del palazzo, osservavo esterrefatto la scena. Le mie orecchie avevano sentito bene? Il principe Kvazimodo? Allora era ancora vivo? Come un avvoltoio appollaiato su un ramo morto, stavo scrutando attraverso un binocolo quei tre individui. La mia attenzione si era fermata su quella creatura deforme e orrenda. Da quando si era sparsa la voce, in quella stessa mattinata, mi ero mobilitato all'istante e avevo cominciato a fare ricerche. Se era vero che ci fosse una possibilità che il principe Kvazimodo fosse sopravvissuto, dovevo assolutamente esserne certo.
- Questa storia non piacerà al padrone - dissi a bassa voce, evitando di farmi udire. Già, il padrone...   Mentre riflettevo notai che i tre si stavano accordando per lasciare la Russia e giungere così a Parigi, e quella notizia mi fece scattare. Non potevo essere sicuro al 100%, ma dovevo informare il mio padrone. Così, facendo attenzione a non essere udito o visto, striscia via lungo la ringhiera, e dopo aver superato un cunicolo che portava a un passaggio segreto, mi ritrovai all'aperto, al gelo e al buio. Il mio cavallo, Achille, mi aspettava al di là di un cancello secondario. Appena mi vide nitrii contento. Anche lui non vedeva l'ora di andare via da quel posto e tornare al suo giaciglio nella stalla. Saltai in sella e spronai il destriero al galoppo, mentre la nebbia della notte ricopriva le strade e le vie di San Pietroburgo. Senza perdere un secondo di più, mi diressi verso il quartier generale dell'Unione Rossa, l'organizzazione alleata con Lenin, nonché la vera potenza che manteneva le redini della situazione in Russia. Appena arrivai a destinazione, scesi dalla sella e mi avvicinai all'uscio di una porta in legno massiccio. Il posto in cui mi trovavo era isolato e circondato da semplici mura, dove l'oscurità regnava sovrana insieme alla neve. Neanche la luce della luna osava penetrare in quella coltre oscura. Battei con decisione sulla porta, e una fessura si spalancò rivelando due occhi dall'espressione fredda, mentre una voce profonda mi chiedeva chi fossi. Allora scoprì un braccio e mostrai il tatuaggio al mio interlocutore; una croce rossa in stile gotico. A quel punto, la porta si aprì e io potei entrare senza problemi. Anche se ero la spia personale del capo di quella organizzazione, le regole per il riconoscimento erano uguali per tutti. Mi liberai del mantello e del cappello, e a passo svelto mi avviai verso la scala a chiocciola che portava a un piano sotterraneo. Appena mi trovai lì sotto, le mie narici avvertirono un odore acre e pungente. Non saprei come descriverlo, ma era così forte che dovetti usare un lembo della sciarpa per coprirmi il naso. In quel luogo, che poteva sembrare una cantina troppo grande, vi era un'atmosfera lugubre e surreale. Nonostante non fosse la prima volta che ci mettessi piede, quel seminterrato mi procurava una sensazione sgradevole. Per palesare la mia presenza, emisi un colpo di tosse, e allora, dalla penombra di un angolo, si alzò una voce che avrebbe fatto accapponare la pelle a chiunque.
- Quante volte vi ho detto che non voglio essere disturbato! -.
Un'ombra nera, più oscura della notte stessa, si mosse, e una candela fu accesa. La luce tenue fu sufficiente per illuminare quella figura che finalmente prese forma. Era il mio padrone, l'illustre e capo Klod Frollo. Appena vidi il suo volto quasi mi scappò un sussulto di spavento.
- Ah, Febo, mia fedele spia, sei tu - disse quella figura, rivestita di una tunica nera - Ne è passato di tempo -.
In effetti erano trascorsi tanti anni dall'ultima volta che lo avevo visto. Esattamente da quando quel giorno, dopo la morte di mio padre, mi aveva nominato vicecapo dei rivoluzionari e suo fidato informatore. Anche se, per essere precisi, il mio era solo un ruolo secondario ridotto a semplice lacchè.
- Padrone...che piacere. Vi trovo in ottima forma - dissi, con un po’ di titubanza. La reale ragione del mio turbamento, e dello spavento di poco prima, era dovuto proprio allo stato di salute ed estetico di quell'uomo. Come era possibile che fosse ancora lo stesso? Eppure ero certo che lo avrei ritrovato in circostanze ben diverse. Insomma, doveva avere più o meno 80 anni, e lui sembrava attivo ed energico come quando lo conobbi. Il suo viso si deformò in una smorfia compiaciuta, e le ombre che plasmavano i suoi lineamenti gli conferivano un'aria inquietante.
- Non ti aspettavo. Come mai sei venuto qui? - chiese il mio padrone, mentre si accingeva ad espandere la luce accendendo altre candele. Finalmente, direi. In quell'istante mi tornò alla mente il motivo per cui mi fossi precipitato fino a lì. Feci un respiro e cercai le parole adatte.
- Padrone, per senso del dovere, dato che mi avete fatto l'onore tempo fa di diventare vostro seguace, sono venuto qui per darvi alcune notizie -.
L'uomo girò intorno, troppo occupato nel mantenere accese le fiammelle, e non sembrava affatto sorpreso o turbato. Solo in quel momento la luce che si stava diffondendo mi diede modo di vedere meglio quel posto; una stanza piena zeppa di libri, manoscritti, pergamene, ampolle e tante altre cianfrusaglie.
- Oh, sono a conoscenza delle voci che girano di recente - mi disse lui - ma saranno le solite chiacchiere di corridoio. Inoltre, se anche fosse vero che Henri Belstov stia cercando quel mostro di suo figlio, dubito che lo troverà. Tutta la sua stirpe è stata decimata -.
Il mio padrone allungò un sorriso malvagio, e quella sua sicurezza mi diede maggiore difficoltà per rivelargli la vera notizia.
- Non c'è alcun bisogno di allarmarsi. Tutta la Russia è ormai sotto il nostro controllo - terminò Klod Frollo, con una punta di orgoglio nella voce.

Pv Frollo

- Veramente...c'è altro che dobbiate sapere, signore -.
La voce della mia spia si fece titubante, quasi tremante. Cosa stava succedendo? Ero sul punto di chiedere spiegazioni, ma il ragazzo mi bruciò sul tempo.
- Temo che il principe Kvazimodo sia davvero vivo... - disse tutto d'un fiato, e quelle parole mi pietrificarono all'istante.
- Cosa hai detto? - mi rivolsi a lui - Mi stai prendendo in giro, Febo? -.
Ero incredulo e pieno di sgomento. Non potevo credere che quella notizia fosse vera. No, non doveva esserlo, altrimenti tutto ciò che avevo fatto negli ultimi anni sarebbe risultato vano. Scrutai il viso del ragazzo dai capelli dorati e notai che c'era una serietà che mi fece sprofondare nell'agitazione. Senza accorgermene mi fiondai su di lui, schiacciandolo su una parete della stanza, ansioso di saperne di più.
- Mi stai dicendo che quel moccioso, quel ripugnante essere immondo, è sopravvissuto?! Non ci credo! Te lo sei inventato! ... -.
Ero così fuori di me che sarei stato capace di sfoderare il pugnale e tagliare la gola alla mia spia personale, pur di sfogare la rabbia che stava ribollendo dentro le mie viscere. In quel preciso istante pregai addirittura il demonio che quella notizia fosse falsa o semplicemente un pessimo scherzo.
- Io l'ho visto, signore! - proferì il ragazzo, cercando di mantenere le distanze - E si sta mettendo in viaggio diretto proprio a Parigi -.
Cosa!?...
La mia mente si annebbiò e per un attimo ebbi l'impressione che la mia anima stesse lasciando il corpo. Forse la Morte era giunta finalmente a pareggiare i conti con me. Ma non era così.
- Maledizione! - urlai a squarciagola, tanto da far tremare il soffitto e le pareti. Mi voltai e con violenza scaraventai via tutto ciò che c'era sul mio tavolo da lavoro, comprese alcune candele che si spensero in un soffio.
- Tutto quello che ho fatto. Il grande piano di una vita. Non posso permettere che tutto vada in fumo per colpa di un mostriciattolo... - pensai ad alta voce non curandomi di Febo, che aveva visto e udito. Non mi importava di nulla. L'unica cosa che volevo era assicurarmi che quel mostro deforme, che fosse davvero o no Kvazimodo, sparisse dalla faccia della terra. Sì, lo avrei eliminato prima che potesse raggiungere l'ex zar, a Parigi. Ormai, Henri Belstov si trovava esiliato in Francia da diversi anni, e nonostante fosse appoggiato e protetto dai suoi parenti, non avrebbe mai avuto la forza necessaria per tornare nella sua patria per rivendicare il trono. Sarebbe stato come suicidarsi. Ma se con lui ci sarebbe stato anche l'erede legittimo, il suo unico figlio maschio, allora mi sarei dovuto preoccupare sul serio. La maledizione dei Belstov non era ancora giunta al suo termine, a quanto pare.
- Signore, mi dica cosa devo fare, e la farò - disse poi la voce di Febo, e sul mio volto si aprì un sorriso diabolico.

In quella stessa notte molte cose avvennero. Era l'inizio di una grande avventura, fatta di pericoli, intrighi, ma anche di speranza. Kazy, insieme alla sua inseparabile capretta Djali, era già nei pressi del binario dove lo attendeva il treno tanto bramato, che lo avrebbe condotto nella bella Parigi. I suoi compagni di viaggio, Esmeralda e Clopin, lo aiutarono a salire sul treno, a sua insaputa, in maniera furtiva. Un fischio assordante si fece sentire, mentre le prime nuvole nere si dilatarono come mantelli fumosi nel cielo. I primi colori dell'alba stavano nascendo, nel preciso istante in cui il treno si mosse. Kazy guardò dal finestrino vicino dove era seduto, e premendo il naso contro il vetro salutò malinconico il magnifico paesaggio di San Pietroburgo. Forse, un giorno non lontano, lo avrebbe rivisto. Sempre se fosse stato un ritorno felice, e senza alcun rimpianto. " Addio. Parigi mi aspetta!".
                 
   
 
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