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Autore: zorrorosso    14/03/2020    1 recensioni
la mia rivisitazione personale delle avventure di D’Artagnan in capitoli liberamente ispirati alle avventure dell’anime e alle novelle (e un po’ di tutto).
Genere: Avventura, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aramis, Athos, Duca di Buckingam, Porthos
Note: Missing Moments, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2

Parigi


Con il sorgere del sole, il ragazzo aveva già abbandonato Batz e la tenuta.

L’orizzonte delle montagne si fece sempre più tenue e bianco, fino a sparire e lasciare spazio alle nubi, talvolta grigie, di un inverno ventoso e piogge tenui o torrenziali, fango che ricopriva il suo povero animale fin sopra la punta delle orecchie.

 

Vi fu una sosta a Tolosa e una dei pressi di Clermont, prima che le montagne cominciassero a farsi più rade ed al loro bianco si sostituì il verde delle vallate e delle colline più lievi di Bourges e Orleans.

 

Altre città e villaggi sconosciuti accolsero D’Artagnan in brevi soste notturne, sempre pronto a ripartire all’alba con il desiderio pulsante di arrivare il più in fretta a Parigi e vedere il suo sogno finalmente avverato.

Il sole tramontò poco distante dalla meta, ma quella notte non c’era tempo per addormentarsi, sarebbe arrivato al cospetto del Re l’indomani mattina.

Cercò di restare sveglio fino al giungere dell’alba, ma arrivato ad una locanda poco distante il Palazzo del Louvre, si sedette su una panca con un bicchiere di vino e cercò di rimanere sveglio senza successo.

 

Poche ore dopo si risvegliò nelle stalle del locale, il proprietario lo aveva buttato fuori. Riscaldato dall’umido della lingua spessa e l’alito erboso del suo puledro, aprì gli occhi ed una strana vista gli si parò davanti. 

Un militare sorrideva alla scena dall’alto del suo cavallo. Sfoggiava emblemi sia reali che ecclesiastici nella sua uniforme: sembrava un moschettiere e sicuramente non poteva essere descritto in altro modo, ma la sua uniforme aveva poco a che vedere con le descrizioni e le voci che giravano in Guascogna.

 

“Che bell’equino cavalcate! É un asino?”- chiese l’uomo in un accento che prima di quel momento non aveva mai udito.

 

“É un ronzino, ma che dico ronzino, è avanti a tutti i suoi ronzini. Dunque è Ronzinante...”- rispose D’Artagnan con fierezza.

 

“Cosa vi porta a Parigi?”- chiese l’uomo, come se non avesse ascoltato le parole del ragazzo. Dimostrava una certa età, forse l’età che avrebbe potuto avere suo padre, se fosse stato ancora in vita, e sembrava dimostrare altrettanta esperienza sul campo: cicatrici rigavano il suo volto, anche se i capelli non erano ancora sbiancati. Aveva un occhio coperto, forse il segno di una sventura più seria di tutte le altre.

 

“Ho una lettera di raccomandazioni da presentare al Capitano de Treville. Voglio diventare un moschettiere della guardia reale!”- esclamò il ragazzo senza paura.

 

Il militare in alta uniforme rise in modo sguaiato, ma si ricompose poco dopo.

 

“Oh, è un gesto molto nobile da parte vostra. Si dá il caso che conosca personalmente il Capitano de Treville. Se volete posso consegnare io stesso la vostra lettera di raccomandazioni”- rispose lui, asciugando una lacrima e ridendo ancora divertito.

 

“Non importa, vi ringrazio immensamente, ma desidererei consegnargliela da solo, di persona. Sapete dove lo posso trovare?”- chiese di nuovo D’Artagnan, stranamente incuriosito dal divertimento del militare.

L’uomo rise ancora, talmente tanto che alcune lacrime continuavano a sgorgare dall’angolo dell’occhio stretto, dovette strofinarsi il naso e riprendere fiato.

 

“Certamente! Recatevi alle caserme reali a palazzo del Louvre”- disse dopo una lunga pausa.

 

“Con molto piacere! Vi ringrazio del vostro aiuto e a buon rendere!”- esclamò il ragazzo, montando in sella a Ronzinante e scambiando con il militare un breve cenno di saluto.

 

Presto il giovane capì la ragione di tanto divertimento: la sola lettera di raccomandazioni non lo avrebbe mai fatto entrare a Corte, il Capitano avrebbe dovuto invitarlo. 

D’Artagnan attese di fronte ai cancelli del palazzo reale quasi un’intera giornata senza che le guardie trovassero il Capitano de Treville e ricevessero da lui l’autorizzazione per farlo entrare. Non trovando risposte, se non quelle di facce impassibili e indifferenti alle sue attese, quando il crepuscolo rapì le ultime luci del tramonto ed il freddo della sera si fece insopportabile, il ragazzo si arrese a quella triste evidenza ed abbandonò i cancelli del palazzo per ritornare alla locanda.

 

Qui un’altra realtà si fece avanti nella successione di cose capitate quel triste giorno: i soldi spesi nel bicchiere di vino bevuto la mattina erano gli ultimi dei suoi risparmi. Il lungo viaggio aveva portato via la maggior parte dei pochi guadagni di quei mesi invernali e forse soltanto in primavera i de Batz avrebbero potuto guadagnare di più. 

Come loro, tuttavia, anche i locandieri erano affamati del denaro e viveri che scarseggiavano alla fine del lungo inverno e così non gli fu concesso dal locandiere né credito, né clemenza.

 

Ritornò sulla strada buia, dalla quale si poteva scorgere una bella luna, non del tutto piena, e gli sembrò immensamente ricca e grande sulla linea di un orizzonte privo delle sue tanto amate montagne. 

Si appoggiò al muro sospirando. 

Avrebbe sempre potuto rinunciare alla sua nobiltà e diventare pastore, oppure provare ad entrare nelle schiere più a Nord, il fronte lontano della Rochelle, dove una guerra annale aveva mietuto già fin troppe vite. Tuttavia non erano quelle le giuste sorti di un moschettiere e non avrebbe voluto arrendersi soltanto al primo giorno.

 

Nel mezzo di quei pensieri, una carrozza si avvicinó al ragazzo stanco.

 

“Che ci fate tutto solo a quest’ora?”- chiese una voce dalla finestrella, si poteva scorgere parte di un volto femminile, labbra rosee e bianco come la luna stessa.

 

“Io... Non posso permettermi una stanza alla locanda, non ho abbastanza denaro”- disse lui, più sincero nel suo rammarico.

 

“Mi spiace. I vostri occhi sono troppo belli, così giovani, non meritano tanta tristezza... Lasciate che paghi io per voi, questa notte!”- dicendo così, la donna allungò nella sua mano un sacchetto abbastanza pesante. D’Artagnan lo aprì: conteneva monete d’oro per pagare un pasto e un letto e forse per alcune successive.

 

“Vi ringrazio! Come potrei mai sdebitare questo vostro favore?”- chiese lui, il suo volto, illuminato di speranza, lasciò sfuggire un sorriso di gratitudine.

 

“Avrei un favore altrettanto importante da chiedervi, dovreste accompagnarmi alla residenza reale, devo consegnare un messaggio urgente alla Regina”- disse la donna, spuntando con la testa e le mani fuori dalla carrozza.

 

“Con molto piacere! Torno appena da lí, non siamo lontani”- rispose lui.

 

Lei annuì soddisfatta e rientrò nell’abitacolo.

 

“Che strano accento che avete! Non siete Francese!”- esclamó D’Artagnan pocoprima di ripartire.

 

“No, vengo dall’altra parte del mare, sono Inglese...”- rispose lei, facendo segno al conduttore di riprendere il viaggio.

 

Il ragazzo seguí la carrozza fino ai pressi del Palazzo Reale. Lì la donna scese dalla sua vettura e salí sul cavallo del giovane. Sotto le indicazioni della dama misteriosa i due si introdussero nel cortile privo di guardie, senza annunciarsi, e continuarono verso un’ala isolata del palazzo. 

Qui la dama misteriosa chiese di aspettarlo e, una volta aiutata a scendere dalla sella, si dileguó nell’ombra di alcune arcate.

Nessuna guardia veglió l’area, nel tempo della sua attesa, ma una voce delicata ruppe la noia del silenzio notturno.

 

“Annunciatevi”- disse un’ombra di fronte a lui. Sembrava essere piuttosto giovane, ma anche spaventata dalla sua presenza. Il giovane raggelo’ e non rispose.

 

“Chi siete? Annunciatevi!”- ripetè la voce. Dal profondo di un mantello scuro, brillava alla luce della luna, la lama di un piccolo pugnale.

 

“Annunciatevi o chiamo le guardie!”- disse la ragazza per la terza volta. 

 

“Il mio nome é D’Artagnan”- rispose lui, senza sentirsi veramente in pericolo.

 

“Siete qui per conto dell’Inglese?”- chiese lei, con voce più sicura.

 

“Sí, ha un messaggio per la Regina...”- rispose lui con sicurezza, cercando di confortare la ragazza.

 

“La Regina?”- disse la ragazza con voce tremante -“credevo che fosse qui per il Cardinale”- sussurrò tra se, lunghi capelli biondi spuntavano dal mantello ed indossava un vestito azzurro.

 

“E voi chi sareste?”- chiese D’Artagnan.

 

“Sono una dama di corte al servizio della Regina Anna. Badate a quello che avete appena detto. Se sventura capiterà al vostro arrivo, vi verrò personalmente a cercare!”- minacciò lei, nascondendo di nuovo l’arnese.

Il ragazzo guardò la sagoma esile della giovane donna sparire nell’ombra e sorrise al suo atteggiamento strano.

 

Dopo qualche momento d’attesa, la nobildonna inglese tornò e montò agilmente in groppa al suo cavallo, i due percorsero lunghi cortili del Louvre all’oscurità notturna, ma presto la luce della lanterna nella carrozza li irradiò di nuovo.

 

Il giovane scese dalla sella e l’aiutò a sua volta, in quegli ultimi minuti di saluto, avrebbe desiderato dilungarsi di più su quella nuova alleanza e le ragioni della signora misteriosa.

D’Artagnan guardó la donna incuriosito. Era minuta, dai capelli chiari e leggermente mossi, indossava vesti che non ricordava aver mai visto prima e che risaltavano parti del corpo femminile che non ricordava aver mai visto prima. 

Arrossí e si inchinó a tanta bellezza.

 

“Alzatevi!”- disse lei prendendo le mani nelle sue. Erano piccole e delicate come quelle di una bambola.

 

“Siete stato di grande aiuto. Spero di incontrare di nuovo i vostri servizi”- continuò nel silenzio del ragazzo.

 

“Perdonate la scortesia, ma non rimarró qui con voi questa notte, una persona mi attende. Addio e buona fortuna a Parigi...”- la donna gli voltò le spalle e la carrozza si dileguò presto dalla sua vista.

 

Quella notte le lenzuola sul letto nella locanda gli sembrarono più profumate, il pasto più sostanzioso ed il sonno arrivò quasi senza volerlo, abbandonandosi alle mondanità di una vita frugale in una città che non dorme mai, neppure dopo il tramonto. 

 

Un tranquillo sorriso si accennò sul suo volto assopito: Parigi era davvero la città dei sogni.

  
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