Fumetti/Cartoni americani > Voltron: Legendary Defender
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Autore: Taylortot    15/03/2020    2 recensioni
La paura gli si inerpicò in bocca, amara sulla lingua. “Chi sei?” Gli ci volle un momento per registrare il suono della sua stessa voce.
Lei lo fissò e sbatté le palpebre. “Lance, per favore. Non è il momento per una delle tue battute-”
Lui aggrottò le sopracciglia e si mise a sedere a fatica per sfuggire alle braccia di lei. “Non sto- non sto…scherzando.”
*
Dopo essersi sacrificato per salvare Allura, Lance si sveglia in un mondo strano e nuovo dove l’unica cosa che sente è un profondo legame con un ragazzo che non ricorda.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kogane Keith, Krolia, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note della traduttrice: In questo momento di quarantena forzata per tutta Italia, spero che questo nuovo capitolo possa tenervi un po' di compagnia in questa giornata.

Buona lettura e un grandissimo abbraccio a distanza a tutti voi <3


Il collo di Lance scrocchiò quando si sveglio in una strana posizione il mattino seguente, con le gambe e le braccia a penzoloni dalla sedia del pilota. Rimase disorientato per un momento con la bocca all’ingiù mentre si strofinava un punto dolente vicino al collo e all’improvviso mise a fuoco tutto con precisione millimetrica.

Keith.

Emise un grugnito e girò la testa per nascondere il volto contro lo schienale del sedile.

Keith. Dio, era tornato. Era sano e salvo ed era tornato

E come avrebbe potuto guardarlo in faccia dopo la scorsa notte? Gli aveva pianto sulla maglietta e gli aveva nascosto la sua situazione anche se c’erano state così tante occasioni per menzionarla. Che fosse un idiota fatto e finito? Più si trascinava dietro questa cosa e peggio era, quindi perché? Perché voleva farsi questo? Perché a Keith? Non era giusto. Non era giusto. Lo sapeva.

Ma…

Ripensò al modo in cui Keith lo aveva guardato. Come se lo conoscesse, come se avessero avuto una storia, lunga e costellata di prove, ma che era comunque lì. Anche se per Keith erano passato due anni da quando se n’era andato, il suo sguardo era ancora pieno di consapevolezza. Dopo mesi in cui aveva sperato che il resto del team non si comportasse come se Lance fosse stato il diverso, che non sarebbe più stato lo stesso dopo la sua morte, eccolo lì. Aggrappato disperatamente al fantasma di se stesso solo per mantenere quella familiarità con Keith. Era ipocrita ed era sbagliato.

Gemette di nuovo, questa volta con più forza, e premette ancora di più il viso contro lo schienale. La parte peggiore della scorsa notte era che aveva imparato così tanto della persona che era stata solo dal modo in cui Keith reagiva.

Quel Lance era stato follemente innamorato di Keith, ma non ne aveva mai fatto parola. Nemmeno una volta. Nemmeno una volta. Aveva nascosto i suoi sentimenti a tal punto da tenere Keith a distanza, come se stargli vicino fosse una prospettiva terrificante. Quel Lance aveva costruito dei muri e lasciava intravedere uno spiraglio di sé solo con una penna in mano, incapace di scrivere più del nome di Keith prima che il tutto diventasse insopportabile. Ora Lance poteva comprendere quella reazione in modo più intimo; la paura di perdere Keith superava di gran lunga il desiderio di dischiudergli i suoi sentimenti.

Eppure, dopo quella sua patetica scenata della sera prima, iniziava a pensare che la sua unica opzione fosse di parlarne con Keith. Una volta messo a conoscenza del fatto che Lance non si ricordava di lui, avrebbe voluto sapere perché si era aggrappato a lui come a un salvagente. Non nutriva alcuna speranza che Keith potesse ricambiare i suoi sentimenti – era probabile che l’averlo tagliato fuori unito a una sparizione di due anni fossero stati sufficienti a cancellare gran parte dei ricordi di Lance dalla sua memoria. Ma era la cosa giusta da fare. Lo era.

Il suo stupido cuore perse un battito al ricordo di come si era sentito quando aveva visto il volto di Keith per la prima volta, e poi alla sensazione che aveva provato quando lo aveva tenuto vicino a sé. Era stato come tornare a casa; in poche parole, quando Keith se n’era andato, era stato lo stesso anche per Lance. Era stato così bello. Come se tutto nella sua vita lo avesse guidato fino al momento in cui Keith sarebbe tornato, e il fatto che avesse avuto una seconda possibilità nella vita ebbe immediatamente un senso.

Nonostante il modo in cui le cose erano andate la scorsa notte, sentiva un desiderio così bruciante di rivedere Keith da provare quasi dolore. Si guardò le cosce e aprì la lettera spiegazzata, gli occhi che vagavano sul nome di Keith nell’angolo del foglio.

Probabilmente Hunk aveva detto a Keith della sua perdita di memoria. Era inevitabile. Aveva beccato Lance nel bel mezzo di una crisi – cosa che aveva cercato disperatamente di nascondere a tutti su quella nave per mesi – con Keith piegato sopra di lui con un’espressione impenetrabile che riusciva a stento a nascondere il panico, che era evidente nella sua voce. Sicuramente Keith aveva parecchie domande e Hunk aveva la maggior parte delle risposte. Lance gemette di nuovo. Per l’ultima volta, per buona misura. Non poteva nasconderlo per sempre, a prescindere da qualunque conseguenza che avrebbe potuto avere la scorsa notte, perché non era realistico e perché poi… perché voleva tanto vedere Keith di nuovo. Non sapeva di avere un che di masochista, ma quel ragazzo aveva una certa abilità di riportare alla luce tutte le abitudini di Lance che erano rimaste seppellite da tempo. Non ne era poi così sorpreso.

E con quello, ripiegò con cura la lettera e se la rimise in tasca per poi scendere dalla poltrona, riluttante. La presenza di Rosso gli canticchiava sulla pelle, confortante, consapevole dei suoi pensieri e delle sue incertezze, e Lance lasciò che lo investisse completamente. Prese un respiro profondo, ficcando tutte le sue emozioni sparpagliate della scorsa notte in una piccola capsula nel suo cuore, e uscì dal leone.

Non incontrò nessuno mentre si dirigeva verso la sua stanza per farsi una doccia e ne fu davvero grato. Il suo stomaco sembrava aver preso vita per il nervoso e il conforto delle fusa di Rosso si era perso lungo gli angoli appuntiti del castello alteano. I suoi passi rimbombavano rumorosi, ma camminava solo veloce, senza correre, per non attirare su di sé l’attenzione di qualcuno che poteva essere nelle stanze.

Avrebbe dovuto sapere che non sarebbe stato così facile.

Hunk era seduto sul suo letto quando entrò nella stanza. Il suo amico alzò lo sguardo da una qualche sorta di manuale che teneva sulle ginocchia e Lance si congelò sulla porta, gli occhi spalancati e il cuore che gli martellava nel petto, scomodo. La porta si richiuse alle sue spalle con un suono ovattato e Lance sentì il bisogno di scappare perché sapeva di non avere più difese. Era stato tutto così scuro, più facile, la scorsa notte nonostante le sue lacrime, quando il corridoio era illuminato solo da quelle fioche luci di energia alteane.

In quel momento, invece, era tutto più netto. Non c’era modo di fingere che non c’era niente che non andava. Hunk poteva vedere tutto.

“Speravo che tornassi.” Disse Hunk gentilmente e fece un orecchio all’angolo della pagina per poi mettere il libro da parte. Il suo volto era calmo, e Lance poté sentire figurativamente il pelo rizzarsi a mo’ di difesa, pronto a schivare qualunque tipo di accusa che Hunk gli avrebbe rivolto, ma non ce ne fu bisogno. “Dove sei stato?”

Lance non voleva certo svelare il suo nascondiglio dato che nessuno l’aveva mai trovato, ma… “Rosso.” Disse semplicemente, e la sua maledetta voce si spezzò. Dio.

Hunk annuì e poi, dopo una pausa, diede un colpetto sul letto di Lance, nello spazio di fianco a lui. “Parliamone, ti va?”

Non che avesse una scelta, no? Lance esitò solo un momento per poi sospirare in modo tremulo e insicuro, e quella orribile vulnerabilità si fece più grande dentro di lui e la odiava. Ma non poteva scappare; si era ripromesso di non farlo. Perciò si sedette.

“Che succede?” Chiese Lance fingendo indifferenza, come se non lo sapesse. Fu probabilmente la cosa più stupida che avesse mai detto a memoria e fece una smorfia, ma ormai l’aveva detto. Buona la prima.

Hunk gli rivolse uno sguardo che sembrava divertito. “Non saprei, vuoi dirmelo tu?”

Lance espirò piano e lentamente, un po’ tremante, ma poté sentire le sue spalle tese che si rilassavano quando si rese conto che Hunk gli stava lasciando il suo spazio anche in una conversazione a cui non poteva sfuggire. Lo stava lasciando procedere con i suoi tempi e, wow, non riusciva a capacitarsi del perché fosse così gentile con lui. Non credeva di meritarlo.

“Che… che cosa vuoi sapere?” Chiese Lance piano, lo sguardo fisso su un angolo della stanza, sconfortato, le mani aperte sulle ginocchia.

“Forse potresti cominciare da quello che ho visto la scorsa notte?” Suggerì Hunk, ma con tatto, senza esigere una risposta. “Perché non so se dovrei essere più o meno confuso di Keith.”

Lance sentì il suo stomaco annodarsi e il respiro raschiargli la gola. Il petto gli faceva male. Ripensò all’espressione di Keith – in un primo momento piena di un qualcosa di oscuro e illeggibile, e poi di quello stupore dissimulato malamente. Ripensò a Keith e alle sue sopracciglia e alla gentilezza nella sua voce, al tenero ed esitante movimento della sua mano sulla sua schiena e, per un momento, sentì di poter piangere di nuovo.

Dio, era… era proprio un disastro.

“Gliel’hai detto?” La sua voce si fece controllata. Intensa. Calma.

Hunk si irrigidì, notando quel cambio improvviso. “Parli della tua memoria?” Specificò, anche se sapeva perfettamente che cosa intendesse Lance.

Lance si costrinse a respirare normalmente. Dentro e fuori. “Sì.”

Il silenzio che calò tra di loro sembrò durare un’eternità e Lance vi ci si aggrappò temendo la risposta, con la consapevolezza che quello che avrebbe detto Hunk avrebbe dato il via a una girandola di emozioni che non era… non era del tutto preparato a gestire. Il cuore gli batteva a mille nel petto, troppo veloce, troppo veloce, e si sentì un po’ la testa girare. Era tutto così stupido. Pensava di averci dormito su la scorsa notte.

“No.” Disse Hunk infine, anche se non poteva averlo detto che qualche momento dopo. Il sollievo, terribile, investì Lance come uno tsunami e non sapeva come, ma stava annegando e respirando di nuovo insieme, stringendosi il petto con una mano, le spalle rilassate. Oddio. Cazzo. I suoi pensieri erano così frammentati – così tanto frammentati – ma quel nodo che aveva in gola si era sciolto e al momento si sentiva meglio.

“Io…” La voce di Hunk si spense, ma poi il ragazzo si girò verso Lance e richiamò la sua attenzione fino a quando non fu concentrato su di lui e solo su di lui. “Senti, Lance, se c’è qualcosa che non va me lo puoi dire. Capisco che adesso le cose sono diverse ma, cioè, la scorsa notte non era qualcosa di normale, capisci? Non per il te del passato e sicuramente non per la persona che sei ora. E immagino… di essere preoccupato per te? Stai bene?”

Lance lo guardò e la sincerità spiazzante sul volto di Hunk gli fece sentire il cuore pesante per i sensi di colpa. Li ricacciò indietro, le sopracciglia inarcate. “C-certo.” Borbottò. “Certo. Va… va tutto bene.”

Hunk annuì, ma c’era sollievo nel suo sguardo, accoccolato nei suoi occhi gentili. “Okay, bene. Voglio solo che tu sappia che io ci sono per te. Non ti forzerò mai a parlarne, ma c’è chiaramente qualcosa qui e… ecco, non è che tu ne debba parlare con me, ma penso che tu debba dirlo a Keith. Sai. Dirglielo? Lo hai mandato in palla ieri notte.”

Ecco i sensi di colpa. Che gli premevano dolorosamente contro il petto. Non riusciva a sopportarli. “Perché non gliel’hai detto tu?” Chiese.

Hunk ci pensò su un momento prima di rispondere. “Beh, credo che dovrebbe sentirselo dire da te, penso. Non saprei. Non… non mi sembrava giusto che lo sapesse da me?”

Lance chiuse gli occhi a quelle parole. “Perché?”

“Ha cercato di correrti dietro, sai.”

Aprì gli occhi di scatto e il suo cuore, ancora pesante, fece una capriola nel petto come una piccola cheerleader entusiasta. “Che cosa?”

Hunk registrò la sua reazione con palese interesse e inarcò un sopracciglio. “Già… Gli ho detto di lasciarti andare. Ho fatto male?”

“No.” Disse Lance, ma porca troia. Quella notizia fece impazzire il suo cuore. Continuava a battere e battere e battere. “No, avevo bisogno di stare da solo.”

“Okay, perfetto.” Hunk sembrò sollevato. “Il punto è, hai bisogno di parlargli. Non posso garantirti che non lo verrà a sapere da qualcun altro e penso proprio che debba sentirselo dire da te.” Soprattutto dopo ieri notte. Non lo aggiunse, ma Lance lo sentì comunque, non detto e sospeso nell’aria tra loro. “Sei fortunato che non se lo sia ancora lasciato scappare nessuno.”

Lance annuì, “Lo farò. Io…” Riuscì a sorridere. “Grazie, Hunk.”

Hunk sventolò una mano. “Nahhh, ma di che, amico.”

“No, sei… sei stato davvero grande.” Mormorò Lance, unendo le mani sulle cosce. “So che sono stato-” Difficile, pensò, ma quella parola gli lasciò un sapore aspro sulla lingua perché odiava quanto gli calzasse bene. “-distante. E so- so che non dev’essere stato facile guardare il tuo migliore amico e tipo, sapere che non si ricorda di te, ma sei stato davvero grande.” Lance prese un respiro profondo. “Mi dispiace, e-e… e grazie.”

Inaspettatamente, Hunk gli passò un braccio attorno alle spalle e lo tirò a sé in un mezzo abbraccio. Lance si irrigidì per un momento, ma si ritrovò a rivolgergli un sorriso da un orecchio all’altro. “Amico, come ti ho già detto non devi ringraziarmi. Ci sarò sempre per te, Lance. Altrimenti che siamo migliori amici a fare?”

Lance si sciolse dall’abbraccio senza fretta e il suo non era un sorriso forzato.

Hunk si alzò, il libro in mano. “Okay, ti lascio solo per ora.” Fece un passo per poi girarsi. “Ricordati che puoi venire a parlarmi se ne hai bisogno.”

Lance annuì. “Certo. Me ne ricorderò.”

“Ottimo.” Hunk fece un altro paio di passi, ed era quasi alla porta, prima di girarsi di nuovo, il dito puntato verso l’alto. “E parlane con Keith.”

Il cuore di Lance batté forte. “Lo farò.”

“Tipo, oggi. Adesso.”

Lance alzò gli occhi al cielo scherzosamente. “Okay, ho capito, Hunk. Grazie.”

Hunk annuì, soddisfatto, e lo salutò con la mano. “Bene. Ci si vede.”

E così rimase da solo con i suoi pensieri che lo spingevano verso Keith e il fatto che avesse provato a rincorrerlo la notte prima, ma Lance li accantonò.

“Prima la doccia.” Disse ad alta voce, borbottando, e si diede un colpetto alle ginocchia mentre si alzava. “Prima la doccia, prima la doccia, prima la doccia.”

Non era che fosse una decisione impossibile da prendere. Era solo che avrebbe fatto di tutto per rimandare l’inevitabile, anche se… Dio, anche se Keith gli mancava.

Gli mancava davvero, davvero tanto. L’avevo visto la sera prima, l’aveva tenuto stretto a sé e gli mancava comunque nello stesso modo pungente di quando aveva appreso della sua esistenza e della sua scomparsa subito dopo. Mentre entrava sotto il getto caldo della doccia, si chiese se quella sensazione sarebbe mai scomparsa. Se si sarebbe almeno acquietata. Sarebbe stato un toccasana per la sua mente se gli avesse dato un po’ di tregua, ma il suo cuore, nonostante il dolore, la voleva. La bramava.

Rimase in doccia più tempo del necessario, immaginandosi diverse scene nella testa. Pensò a quello che gli avrebbe detto perché non c’era un modo semplice di dirlo, ma non trovò niente di adatto. L’ansia gli si annidò nello stomaco e lo strinse come un nodo, rimbalzandovici dentro come una maledetta pallina da pingpong. E se Keith si fosse arrabbiato? O offeso? O peggio… se lo avesse evitato?

Quello, beh… Lance non voleva che ricambiasse i suoi sentimenti, ma davvero, quello lo avrebbe ucciso.

Rimase sotto la doccia fino a quando l’acqua non divenne fredda e poi ne uscì con riluttanza, asciugandosi e infilandosi dei vestiti. Fissò per un po’ la giacca di Keith, appesa nell’armadio dove l’aveva nascosta, e ne toccò con gentilezza la manica, domandandosi se doveva restituirgliela. Beh, sicuramente gliel’avrebbe dovuta ridare, ma forse non… ora. Richiuse l’armadio con le guance in fiamme. Sì. Più tardi.

Lance si sorprese a pettinarsi i capelli nello specchio attaccato al muro, sistemandosi i vestiti perché gli cadessero alla perfezione, e si sentì un po’ stupido. Ma la sera prima avrà avuto un aspetto orribile; era forse un crimine voler essere presentabili dopo quello che era successo? Anche se era inevitabile che la sua faccia sarebbe stata un disastro di nuovo, voleva… Si guardò allo specchio, il volto in fiamme, gli occhi luminosi anche se oscurati dalle sopracciglia corrugate. Okay, si sentiva davvero stupido. Cioè. Che cosa mai ne poteva sapere Keith, poi?

Era tutto così stupido. Stava temporeggiando e lo sapeva.

Il che non lo fermò di certo dal sistemarsi il cappuccio della giacca un milione di volte o dal passarsi le dita tra i capelli fino a quando non gli sembrarono scompigliati nel modo giusto. Alla fine fu soddisfatto di quello che vide nello specchio, anche se non riuscì a liberarsi del tutto dell’ansia che gli tirava lo sguardo. Non c’era niente che ci potesse fare.

Il suo respiro si era fatto leggermente più pesante quando lasciò la stanza e si mise alla ricerca di Keith. Il sollievo fece a botte con il disappunto mentre controllava tutti luoghi comuni per non trovarlo da nessuna parte. Si imbatté in Shiro, però, che si stava prendendo una delle sue rare pause con Coran nella lounge.

“Lance?” Disse Shiro, notandolo prima che potesse filarsela senza farsi notare. “Cerchi qualcosa?”

Lance esitò sulla porta. “Uh…”

“Allura e Hunk sono in cucina e penso che Pidge abbia detto qualcosa a proposito del leone verde.” Gli spiegò.

“Uh… Keith?” Disse con un suono strozzato. Dio.

Shiro sollevò entrambe le sopracciglia, che quasi gli toccarono l’attaccatura dei capelli. “Keith?”

“Credo che sia nella stanza degli allenamenti.” Intonò Coran. “L’avevo visto quando ci sono passato davanti non molto tempo fa.”

Lance gli rivolse un piccolo sorriso e fece per andarsene. “Grazie, Coran.”

Shiro si drizzò a sedere, notando con facilità il suo desiderio di fuga. “Stai bene?”

“Benissimo!” Disse Lance, forse con troppa foga. “Io- uh, non conosco Keith, immagino? Q-quindi ho pensato di presentarmi… sapete… di nuovo…” La sua voce si spense, chiedendosi se suonava stupido. Ma il volto di Shiro si illuminò quando collegò i pezzi.

“Oh, giusto. Non lo sa ancora, vero?”

Era ovvio che si stesse riferendo alla memoria di Lance. Alla sua morte. Lance scosse la testa. “Ah, no…”

“Buona idea, Lance.” Disse Coran. Niente di quello che gli dissero aiutò Lance a capire che tipo di reazione avrebbe potuto avere Keith.

Annuì e sollevò due dita a mo’ di saluto per poi sgusciare via, vergognandosi da morire. Che cavolo, non aveva ancora la più pallia idea di come interagire con Shiro. Cos’aveva Shiro da metterlo così a disagio? Scosse la testa, scosse i suoi pensieri e si diresse verso la stanza degli allenamenti. Shiro non era importante in quel momento; doveva trovare Keith prima che lui scoprisse della sua memoria. O prima che Hunk scoprisse che Lance non gli aveva ancora parlato.

Quando raggiunse la stanza degli allenamenti, la porta era chiusa. La sua mano tremava quando la passò di fronte al sensore, preparandosi a quello a cui sarebbe andato incontro. Pensò che forse Keith stava rivedendo delle strategie o qualcosa del genere. Che stesse osservando qualcosa. Magari usando quel collegamento mentale che Lance aveva cercato di evitare nel modo più assoluto nelle settimane precedenti.

Quello che non si aspettava certo di vedere era Keith che scivolava lontano con fare languido dalla veloce punta di un bastone impugnato da Krolia, che era scattato nella sua direzione con precisione letale. Lance rischiò di fare un fottuto infarto, il suo cuore ebbe un singulto e si avvitò su se stesso mentre un fuoco ruggiva dentro di lui, rendendogli la faccia bollente, come ustionata, e il petto alla stregua di una fornace. Strinse i pugni lungo i fianchi per cercare di calmare il tremore e pensò che forse avrebbe dovuto passare più tardi, ma lo sguardo di Krolia fu subito su di lui e interruppe il combattimento.

Fu quello il momento in cui Keith seguì lo sguardo di sua madre e Lance, lui- merda, credeva di essere preparato al modo in cui Keith lo avrebbe guardato, ma non fu così. Non lo era per niente. Il suo cuore continuò a tremare. Tentò di estinguere quel fuoco, di evitare il fumo che erano le parole incastrate in gola, ma era tutto inutile.

“Ehi.” Disse Keith, e la sua voce era guardinga e senza fiato, ma c’era qualcos’altro sul suo volto che Lance non riuscì a cogliere. Seppe solo che lo metteva un po’ più a suo agio, anche se Krolia lo stava fissando dalla testa ai piedi senza battere le palpebre, con espressione neutra. Keith era così… era così bello. Ommioddio, “Posso… aiutarti in qualche modo?”

Lance si convinse di non sentire il fremito che gli percorse la spina dorsale. Del fatto che non gli si era appiccicato nel petto come un’ostinata gomma da masticare. “Io…”

Keith corrugò le sopracciglia, ma fu Krolia a parlare. “Credo che accetterò il pranzo che mi voleva offrire Hunk.” Disse, appoggiando il bastone al muro.

“Krolia-” Disse Keith, e anche lì ci fu un qualcosa che Lance non riuscì a decifrare.

“Ho fame.” Disse lei. Riservò un’altra lunga occhiata a Lance per poi dirigersi verso l’uscita, la porta che si richiudeva alle sue spalle. Era da solo con Keith ora. Lance riuscì subito a sentirla, la solitudine, ed era davvero spaventosa. Terrificante. Si morse il labbro nervosamente, fremendo per stringere la lettera nella sua tasca per trovare un po’ di conforto, ma non si mosse di un millimetro.

Il respiro di Keith stava tornando regolare e la spada che impugnava mutò in un pugnale, che il ragazzo rinfoderò in un qualche posto dietro la schiena. Lance dovette costringersi a battere gli occhi e a fissarlo con meno intensità quando Keith si asciugò il volto con il bordo della maglietta per poi avvicinarsi alla panchina doveva aveva lasciato la sua bottiglietta d’acqua. E il suo enorme lupo spaziale.

Dopo aver mandato giù un sorso, Keith sollevò un sopracciglio e appoggiò la mano su un fianco. “…Lance?”

Sentire il suono del suo nome gli fece lo stesso effetto che venire risucchiato fuori da una camera stagna. Sentì il suo respiro che gli trafiggeva il petto, improvvisamente conscio dell’aria che inspirava come mai prima. “Ciao.” Riuscì a dire. In un modo così stupido. Era a corto di fiato, perfino più di un ragazzo che si stava allenando con un’avversaria molto più grande di lui da chissà quanto. Come, come aveva fatto a nascondere i suoi sentimenti quando invece li sentiva a quel modo?

Nonostante quel saluto così corto e fuori luogo, le labbra di Keith ebbero un fremito e Lance riuscì a vederlo chiaramente in quella luce intensa, che non lasciava spazio al dubbio. Non si era ingannato. “Ciao.” Rispose Keith, ma non aggiunse altro. Suonava altrettanto fuori luogo. Completamente perso.

Lance inghiottì la sua trepidazione e fece un passo avanti, scoprendo che più tempo passava con Keith più si sentiva meglio e gli riusciva più facile rimanere in quel posto. Si fermò a qualche passo di distanza, resistendo all’impulso travolgente di lanciarsi tra le sue braccia e di non lasciarlo più andare. “Io volevo solo- Io, uh, volevo chiederti scusa.” Disse a scatti. “Per ieri notte.”

L’espressione quasi divertita di Keith si intenerì, e Lance notò un lampo di preoccupazione nei suoi occhi. “Mi dispiace non essere riuscito ad aiutarti. Non sono… bravo in quel tipo di cose, lo sai.”

No. Lance non lo sapeva, ma prese nota per trascriverlo nel suo quaderno più tardi. “No, no, no, no, no.” Disse, e dovette interrompersi per impedirsi di ripetere quella parola all’infinito. “No. Non hai fatto niente di sbagliato. Io- è colpa mia.”

E Lance si domandò se Keith si ricordava di quelle parole così bene come se le ricordava lui.

Il mio cazzo di posto è dove io voglio che sia.
E quindi? Vuoi che quel posto sia con me?

Lance ebbe un fremito e si ripromise di non piangere.

L’espressione di Keith si fece più rilassata. “Non avrei dovuto prendermela con te. È solo che-” Si passò una mano tra i capelli e, oh, Lance voleva che lo rifacesse ancora. “Ti stavi comportando in maniera così strana.”

Ora o mai più. La sua occasione di spiegarsi. Di ravvedersi. Di ricominciare. Lo odiava. Si mise in lutto per la perdita di quella loro familiarità ancora prima di perderla. I pugni che teneva stretti ai fianchi erano l’unico elemento che lo teneva ancorato al suolo e che trattenevano il pizzicore che sentiva negli occhi o la voce che gli tremava. Oddio, quanto lo odiava.

“Sono morto.” Disse Lance. Pragmatico. Il suo cuore si spezzò.

Keith divenne immobile e lasciò cadere il braccio lungo il fianco; l’espressione di gelo che aveva in volto era indecifrabile. Ci fu un momento pregno di silenzio e Lance guardò Keith con occhi miracolosamente privi di lacrime, la tensione così palpabile da potersi spezzare a metà su un ginocchio. Le sue unghie gli scavavano i palmi delle mani, le nocche doloranti.

“Che cosa?” Chiese Keith, la voce incredibilmente calma, anche se Lance vi percepì qualcosa. Suonava pericolosa da far rizzare i peli, come il terribile momento che precedeva lo schianto di un tuono.

Sbatté le palpebre e prese un respiro tremante. “Io… io sono morto.”

Lo sguardo di Keith si indurì e la linea delle sue labbra rimase inamovibile. “Non capisco.”

Lance annuì, desiderando di poter distogliere lo sguardo per non doversi ritrovare a decifrare quello che Keith stava pensando, ma non ci riuscì. “Stavamo riparando una base galra e ho- ho dato una spinta ad Allura perché non venisse colpita e sono- sono stato colpito io al suo posto.” Continuarono a sostenere l’uno lo sguardo dell’altro. Le mani di Lance presero a tremare violentemente ai suoi fianchi. “Sono morto.”

Keith lo osservò deciso e fece un passo verso di lui. “Ma tu sei qui.”

Il cuore di Lance fece una capriola per la vicinanza. Era troppo vicino. “Più o meno.” Mormorò.

Keith incrociò le braccia al petto e il suo volto già iscurito si accigliò. “Che cosa vuoi dire?”

Lance si schiarì la voce. “Allura- A-Allura mi ha salvato. Ha trattenuto la mia quintessenza o qualcosa del genere dopo che mi hanno colpito ed è riuscita a rimetterla nel mio corpo, ma-” Poteva sentire il panico che gli montava nel petto, ma non sarebbe scappato, non di nuovo.

Lance,” Keith pronunciò il suo nome bruscamente, a voce troppo alta.

Ora o mai più.

“Ho perso i miei ricordi.” Si lasciò sfuggire.

Il suo cuore si spezzò.

Poté vedere Keith chiudersi in se stesso. “Hai perso i tuoi ricordi.” Quelle parole erano pesanti, gravi, sulla lingua di lui. Le stava testando, forse addirittura cercava di crederci.

“S-sì.” Borbottò Lance e finalmente, finalmente, riuscì a trascinare il suo sguardo lontano da lui per fissare il suolo. I suoi occhi rimasero comunque asciutti, anche se gli pizzicavano. Non voleva rialzare lo sguardo perché se lo avesse fatto avrebbe visto che Keith non lo guardava più come la scorsa notte e gli avrebbe fatto male. Se non lo avesse visto forse non sarebbe diventato realtà.

La voce di Lance tremò. “Non mi ricordavo il mio nome quando mi sono svegliato.” Disse. “Non riconoscevo nessuno del team.” Prese un respiro profondo e desiderò così tanto di poter mentire, ma non doveva. Non doveva. Non era giusto e non poteva. Non quando Keith gli aveva parlato a quel modo. “Ma ho sentito il tuo nome e mi sei mancato.” Lance si passò una mano sul petto, sopra il cuore, lentamente, ricordando la prima volta che gli si era annodato lo stomaco, quella sensazione come di caduta nel vuoto, e poi il dolore. “Mi sei mancato così tanto.”

Ci fu un altro lungo, lunghissimo silenzio prima che Keith parlasse di nuovo.

“Ti sono mancato?”

“Mi dispiace.” Sussurrò Lance. “È- è strano, okay? Sono morto e quando mi sono svegliato non sapevo niente – non sapevo neanche che aspetto avessi o chi tu fossi – ma io- io-” Si morse la lingua e scosse la testa. “Mi dispiace, va bene?”

“Avrei dovuto essere lì.”

Quelle parole furono pronunciate piano e così, in un modo del tutto inaspettato, Lance si ritrovò ad alzare lo sguardo a malincuore.

“Cosa?”

Keith aveva distolto lo sguardo, il volto distorto in un’espressione scura che gli era del tutto nuova. “Avrei dovuto essere lì.”

Lance era… ancora confuso. “Lì dove?”

Keith si strinse ancora di più nelle spalle, la voce più alta e piena di disprezzo per sé. “Se non avessi lasciato il team- se solo fossi- se solo ci fossi stato, allora-”

Un momento.

“No.”

“Avrei potuto-”

No.” La voce di Lance era dura e ferma. Non aveva mai pronunciato una parola con altrettanta convinzione.

Keith si zittì, ma non lo guardò comunque; gran parte del suo volto era nascosto dai suoi capelli neri.

“Spero bene che tu non ti stia dando la colpa.” Disse Lance, e la rabbia che aveva provato la notte prima ritornò con forza.

La voce di Keith era un ringhio quando gli rispose e i suoi occhi scuri – Lance non era ancora riuscito a capire di che colore fossero, ma erano vibranti a dispetto della loro intensità e lo inchiodavano sul posto – furono di nuovo concentrati su di lui con violenza. “Tu sei morto. Sei fottutamente- sei morto e io non ero- io- io non c’ero! Lance- cazzo!” Si passò entrambe le mani tra i capelli con dita tese.

Quello che colpì Lance fu il fatto che si era stranamente fissato sulla parte della morte perché non era che importasse così tanto in quel momento. Erano le sue memorie quelle che aveva perduto, tutto quello che era stato, tutto quello che Keith sapeva di lui, non esisteva più niente… e quello che gli stava facendo ribollire il sangue era la breve e per niente problematica questione della sua morte?

“Ora non sono morto.” Stranamente, Lance si ritrovò a ripetere alcune delle esatte parole di Keith della notte prima. Una parte della sua rabbia se n’era andata in modo inspiegabile, com’era venuta. Non… non era certo questa la situazione che si era preparato ad affrontare. Era- era terribilmente confuso e aveva bisogno di fare un bel passo indietro per rivalutare tutto quello che pensava di sapere perché che cazzo stava succedendo e perché, tra tutti, era Keith, che non era neanche stato lì, ma che cazzo- perché era Keith che si stava addossando la colpa?

Keith si sedette di peso sulla panca e appoggiò i gomiti sulle ginocchia sostenendo la testa con le mani. “Merda.” Sussurrò, e le sue spalle tremarono per il respiro profondo che prese.

“Ehi, amico.” Mormorò Lance dopo un lungo momento, insicuro su cosa fare, mentre si sedeva sull’altro lato della panca. Era così che si era sentito Keith la scorsa notte? Certo che la situazione si era evoluta in un modo strano. “Mi… mi dispiace.”

Keith fece una risata amara e arrabbiata, e a Lance fece male al cuore. “Ma perché cazzo dovrebbe dispiacerti? Perché sei morto?”

“Per tutto.” Disse Lance. “È solo che- che non volevo che tu non lo sapessi.” Si morse il labbro, la preoccupazione serrata tra i denti. “Pensavo che ti saresti arrabbiato perché non riesco più a ricordare niente. Non perché sono morto.”

La voce di Keith era più calma ora. “Perché mi sarei dovuto arrabbiare per quello?”

“Perché…?” Ma che cazzo stava succedendo? “Perché non mi ricordo di te? E ieri notte-”

Le spalle di Keith si sollevarono a un nuovo respiro; il ragazzo raddrizzò la schiena e i suoi occhi furono di nuovo su Lance, e gli fu difficile respirare. “Lance, non me ne frega un cazzo se ti ricordi o meno di me.”

Lance indietreggiò e si alzò in piedi. Sapeva che gli avrebbe fatto male, ma non così tanto. Il colpo che incassò fu più duro di quello che si aspettava e sentì gli occhi pizzicare e la gola stringersi per le troppe emozioni. Si sentiva come un’unica grande ferita aperta coperta di sale. “Okay, bene, quindi immagino che-”

Ma Keith gli afferrò il polso, il volto leggermente schiarito. “No, merda, no, Lance non è- non è quello che intendevo.”

Lance lo fissò dall’alto, sentendosi fragile. “E allora che cosa intendevi?”

Keith lasciò la presa come se fosse diventato rovente, ma era Lance quello che si sentiva in fiamme. “È solo che- morire è molto peggio.” Girò la testa per evitare il suo sguardo. “È decisamente peggio. Avrei dovuto essere lì.”

Lance si ficcò le mani in tasca. “Sì? Beh, io sono contento che tu non ci fossi.” Disse, ed era in parte la verità. Perché certo, sarebbe stato bello risvegliarsi e vedere Keith ma dio, se Keith avesse provato a- se fosse capitato a lui-

“Senti.” Si schiarì la voce. “Non devi sentirti in colpa o robe simili, e sicuramente non devi compatirmi perché sto bene. È successo e basta ed è finita e ha fatto schifo, ma sto bene. Smettila di rimuginarci sopra e non- non fartene una colpa. Perché è la cosa più stupida che io abbia mai sentito.”

Keith esalò un lungo, lento sospiro dopo essere rimasto in silenzio per un po’ e lanciò un’occhiata furtiva a Lance. Qualcosa di caldo sbocciò nel petto di Lance quando notò quel piccolo sorriso, nascosto nell’angolo della bella bocca di Keith. “Non ci sarei mai arrivato che avevi perso la memoria.” Disse.

“Non ci credo.” Lance non sapeva perché l’avesse detto. Forse perché non aveva senso dopo che aveva passato mesi a guardare le persone che gli erano state più vicine guardarlo storto quando faceva cose che il vecchio Lance non avrebbe fatto. Gli sembrava così improbabile che Keith fosse un’eccezione e non ci credeva. Non ci avrebbe creduto perché, in tutta onestà… quella roba era pericolosa.

Keith distolse lo sguardo e allungò una mano per accarezzare il lupo, che era rimasto seduto e calmo dietro la panca per tutto il tempo. “È la verità. ‘Sto bene’… Lance, non sono un idiota. Ero lì ieri notte.”

Ci mancò poco che Lance gli rispondesse piccato che non aveva nulla a che fare con i suoi ricordi. Che si era trattato esclusivamente di Keith. Riuscì a mantenere il controllo abbastanza da frenare quelle parole prima che gli sfuggissero, ma si sentì comunque ribollire il sangue.

Il mio cazzo di posto è dove io voglio che sia.
E quindi? Vuoi che quel posto sia con me?

Che Keith avesse… bloccato gran parte della loro conversazione? Ogni parte di quel dialogo gli sembrava così incriminante ora che ci ripensava, ma forse non era stato così romantico come se l’era sentito nel petto. Il che era un sollievo immenso e… una delusione, in parte. Wow. Era vero che non poteva avere entrambe le cose, eppure…

“Sì, beh. Ci sto lavorando.” Si decise a dire, stringendo la lettera nella tasca. E per la prima volta, non si sentì preda delle sue emozioni. Non rimase senza parole né insopportabilmente vulnerabile. Non provava quella paura folle che Keith rifiutasse ogni singola parte di lui. Riusciva a respirare e Keith era ancora lì dopo aver appreso la verità, e non c’era bisogno che Lance gli rivelasse quanto forti fossero i suoi sentimenti perché era troppo presto e andava bene così. Lance non lo conosceva e Keith era sparito per due anni…

Ora era tutto allo scoperto. I fatti. Quanto fossero veri. Ed erano entrambi lì ed erano vivi e potevano ricominciare. Lance vi avvertì una certa speranza e pace che lo avvolse come l’acqua di un bagno caldo. Vi si crogiolò, lasciando che la tensione del suo corpo si sciogliesse per essere rimpiazzata da quella leggera e reale vicinanza che aveva con Keith, che non lo rendeva più così nervoso da non riuscire ad agire. Gli piaceva. Lo faceva sentire bene.

Per la prima volta da quando si era risvegliato mesi prima, Lance si sentì felice. Una felicità vera e incandescente.

“Grazie per avermi ascoltato.” Disse, e la sua voce era diversa e lo notò pure lui. Poteva sentire l’amore sulle sue labbra. Dio, era così palese. Così dannatamente squillante. Perché non se n’era mai accorto nessuno? Com’era possibile che non fossero riusciti a udirlo o vederlo o sentirlo quando era imponente come un’esondazione?

Keith alzò lo sguardo a quelle parole e studiò il volto di Lance prima di rispondere. Piano. Sommesso. C’era ancora una traccia di rabbia nel modo in cui piegava le labbra, ma non era rivolta a Lance. “Beh. Certo che ti avrei ascoltato.”

“Vuoi che ti rimandi qui Krolia?” Chiese Lance.

“Nah.” Keith scosse la testa e fece un’altra carezza al lupo per poi alzarsi a sua volta in piedi. “Ma grazie.”

“Di niente.”

Fu un po’ strano. Ma solo un po’.

“Allora… io vado in cucina.” Disse Lance, sollevando una mano per grattarsi la nuca. “Ho fame. Vuoi unirti?”

Keith si fermò a guardarlo. Tutta la sua persona era così scura e difficile da capire, ma faceva battere il cuore di Lance all’impazzata comunque. Si scolpì nell’anima il modo in cui lo stava fissando in quel momento. Se fosse morto e resuscitato di nuovo, se lo sarebbe ricordato. Era impossibile dimenticarlo.

“Ti sono mancato.” Disse Keith, la sua voce un po’ roca.

Merda. Sperava che si fosse dimenticato di quel piccolo particolare. Sentì il volto in fiamme, ma mantenne lo sguardo su di lui. “Uh… già.”

Keith gli sorrise, ed era un piccolo sorriso, non del tutto felice, ma era il sorriso più grande che gli avesse mai visto fare e gli bastava. “Immagino di poter mangiare qualcosa.”

Lance gli sorrise a sua volta e gli si annodò lo stomaco. Un brivido gli corse lungo la schiena. “Fantastico perché Hunk è un cuoco fenomenale e Shiro mi ha detto che è in cucina con Allura e credo… che forse già lo sapevi di Hunk, uh?”

Keith raccolse l’asciugamano e la bottiglietta d’acqua. Mandò giù un lungo sorso e scrollò le spalle. “Me ne sono andato da un sacco. O meglio, per me è passato un sacco di tempo. Ucciderei per uno dei manicaretti di Hunk.”

Lance fece una smorfia mentre si incamminavano verso la porta. “Oh giusto… che cibo trovi sulla schiena di una- di una balena spaziale?”

L’espressione di Keith si trasformò in una sorta di ghigno. “Non lo vuoi sapere.”

Lance ammirò quello sguardo – lo amava e avrebbe fatto qualunque cosa pur di rivederlo – e pensò che . Certo che lo voleva sapere.


Note dell'autrice: Ho praticamente scritto questo capitolo in una sola tirata, quindi spero che non sia orribile. Grazie a tutti per come avete accolto il capitolo precedente; sono stupita e ammirata da quanti di voi apprezzino questa fic! In ogni caso, penso che ci sia ancora molto da raccontare, quindi questa non è la fine.
Vi mando tanti abbracci e bacini e un milione e mezzo di grazie per tutto il vostro amore!!! <3

   
 
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