Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh
Segui la storia  |       
Autore: 92Rosaspina    15/03/2020    1 recensioni
"Il battito delle ali di una farfalla in Brasile, può provocare una tromba d’aria nel Texas". Così il fisico Edward Lorenz spiegò, in una conferenza del lontano 1979, la Teoria del Caos, secondo cui il minimo cambiamento può significare una storia del tutto diversa. Da un’azione svolta o non svolta, oppure svolta in modo diverso, possono nascere futuri ed eventi imprevedibili.
Contrariamente al pensiero comune, però, Caos non è disordine. Caos è un ordine così complesso da sfuggire ad ogni tentativo di comprensione dell'uomo. Una sequenza ben definita ma così piena di variabili da risultare imprevedibile.
E se è vero che il minimo cambiamento può condizionare l'epilogo di una storia, e che la vita è fatta di scelte e ogni scelta ha le sue conseguenze, allora le possibilità diventano infinite.
Tutto però ha un inizio ben definito, una comune origine. Un lounge bar nel mezzo di Nuova Domino. E tutto passa sotto lo sguardo indagatore di un occhio carico di conoscenza.
Genere: Generale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri personaggi, Atemu, Mana, Seto Kaiba, Yuugi Mouto
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Pharaoh's Kingdom 16


14- Falle nel sistema - parte 1.


La Scienza dei Computer non riguarda i computer più di quanto l'astronomia riguardi i telescopi.
Esdger Wybe Dijkstra






    -    Quindi erano loro?- domandò Aki, stupita – I tanto decantati Jack Atlas e Crow Hogan?-
Vide Yusei annuire senza metterci troppo entusiasmo, mentre sistemava diligentemente bottiglie e bicchieri nelle mensole del piano di sotto. La rossa lo scrutò brevemente, incerta su che stato d'animo attribuirgli.
Il ragazzo del Satellite era stato pervaso da un malumore che si era impossessato di lui fino a fine serata. Jack Atlas e Crow Hogan erano rimasti lì fin quasi all'orario di chiusura, e quando si erano allontanati e l'avevano salutato aveva risposto loro con qualcosa di paragonabile un grugnito. Perfino Yuya sembrava aver notato la cosa e aveva fatto molte meno battute del solito, quasi non volesse infastidire troppo il capobar o distrarlo dal suo stato pensieroso.
Aki, di sua spontanea volontà, aveva scelto di non tempestarlo subito di domande. Era davvero curiosa a riguardo della faccenda, ma l'ultima cosa che voleva era indispettire o far arrabbiare Yusei più di quanto già non lo fosse: l'improvvisa apparizione di quelli che erano suoi vecchi compagni sembrava averlo davvero turbato.
Non era bello vederlo con quell'aria accigliata.

    -    In carne ed ossa- lo sentì rispondere poi – Le ultime persone che mi sarei aspettato di rivedere, soprattutto dopo tutto questo tempo passato-
    -    Quasi sette anni, davvero?-
    -    Incredibile, eh? E ora si fanno avanti per risolvere i loro comodacci...figuriamoci-
Aki non aveva capito molto dai loro discorsi,  ma sembrava che volessero coinvolgere Yusei in qualcosa di davvero grosso e importante, almeno per loro, e il capobar si era bruscamente tirato indietro dalla questione. In un certo senso, Aki comprendeva il suo punto di vista: dopo sette anni, o quasi, di silenzio, nessuno poteva farsi avanti e chiederti un favore in nome di un'amicizia che sembrava essere stata cancellata dagli eventi, tanto meno chiamando in causa qualche favore fatto in precedenza; come Yusei sembrava pensare, non aveva chiesto aiuto a nessuno, ma si era fatto di proposito carcerare per aiutare un amico.
Che poi le cose fossero finite così male, era un altro conto.
D'altra parte, la rossa non riusciva a togliersi dalla testa l'idea che quell'improvvisa difesa non fosse altro che, di fatto, una facciata, una muraglia eretta quasi a dispetto.
Quei due gli erano mancati, glielo leggeva negli occhi; quegli stessi occhi che, molto spesso nell'arco della serata, si erano alzati verso quel tavolo dove i due conversavano amabilmente e dove avevano firmato anche qualche autografo, riconosciuti da alcuni appassionati del mondo delle corse. Lui stesso aveva ammesso di pensare spesso a loro, più di quanto desse a vedere, e lei aveva notato la malinconia nel suo sguardo quando, quel passato pomeriggio in spiaggia, le aveva raccontato di loro.
Yusei era felice di rivederli e constatare che stessero bene. Ma quello che era successo in passato era davvero troppo, per non esserne condizionato e cambiare il suo umore di conseguenza.

    -    Che cosa pensi di fare con loro?- domandò Aki, strofinandosi le mani sul grembiule, appena terminato di mettere tutto a posto. Yusei si strinse nelle spalle.
    -    Li ignorerò- rispose poi – Come loro hanno fatto con me per tutto questo tempo. Se davvero hanno bisogno di un pilota, se lo andassero a cercare da qualche altra parte. Ho chiuso con le corse. Ho altre priorità ora. Devo studiare, ho da preparare una tesi-
    -    Fammi indovinare...sulle stelle?-
Aki provò a cambiare direzione del discorso, desiderosa di vederlo senza più quello sguardo cupo ad adombrargli il volto. E sembrò funzionare: Yusei si voltò verso di lei, gli occhi fattisi improvvisamente più vispi. Aki sorrise a sua volta, contenta di aver risvegliato il suo interesse.
    -    Non proprio le stelle!- esclamò lui, alzando perfino un dito indice con fare professionale – Ma sulle galassie nane! O meglio, su un buco nero sviluppatosi all'interno di una di esse!-
    -    Un buco nero dentro una galassia nana?!-
    -    Già! È molto più frequente di quello che pensi, Aki, non pensare. Di buchi neri ne sono stati scoperti a centinaia di migliaia, veri e propri mostri che fagocitano tutto ciò che incontrano, con una massa di oltre dieci miliardi di volte quella del nostro Sole. Nell'ammasso galattico della Chioma, a 300 milioni di anni luce da noi, c'è un buco nero di 21 miliardi di masse solari-
    -    Io non so neanche come si scrive, 21 miliardi...-
    -    Ahahah! Capisci ora cosa abbiamo per le mani? Il fatto è proprio questo! I buchi neri si trovano sempre in zone dell'universo molto affollate, regioni popolate da migliaia e migliaia di galassie: è come entrare in una megalopoli e cercare un bar, ovunque ti giri ne sei circondato. Ma questo che ho per le mani, Aki...questo potrebbe davvero rivoluzionare il concetto di studio applicato fino ad ora-
    -    Cioè? Vuoi parlarmene? Sempre che non sia top secret...-
    -    Lo è più o meno, ma non so quanto ti interessi l'astronomia...-

Le interessava invece. Tanto quanto piaceva a lui: non capiva molto di quello che diceva a volte, usava dei termini tecnici e faceva dei ragionamenti troppo complicati per lei che era un aspirante medico, ma a lei andava bene anche solo sentirlo parlare di questo. Quando discuteva della sua materia di studio sembrava...illuminarsi. Il bambino che era in lui, quello a caccia di stelle col suo telescopio, saltava fuori e raccontava meraviglie di quel cielo stellato su di loro.
    -    Dimmi allora! Cosa si è scoperto?- domandò Aki, sorridente, mentre Yusei si slacciava il grembiule.
    -    Attraverso una serie di lunghe osservazioni e con l'aiuto di di strutture avanzate che ci hanno messo a disposizione gli strumenti, e a caro prezzo aggiungerei, è saltato fuori un buco nero supergigante rinvenuto nel centro di una galassia ellittica- spiegò Yusei, allargando le braccia con enfasi – E questa galassia fa parte di un ammasso di solo venti galassie nella costellazione di Eridano! Capisci? Un buco nero con una massa di 17 miliardi di volte quella del Sole, al centro di una galassia di una regione spaziale che è semivuota!-
    -    ...Non credo di capire- borbottò Aki, grattandosi una guancia incerta. Si stava infilando in un tortuoso budello, stava per pagare cara la sua curiosità... – Quindi c'è questo gigantesco buco nero rinvenuto in una galassia piccola...perdonami, ma la grandezza di un buco nero non sarebbe legata alla grandezza della galassia che lo contiene?-
Per quanto avesse tirato ad indovinare, pareva proprio che ci avesse preso: Yusei le afferrò le mani con impeto, stringendogliele e facendola sobbalzare.
    -    Esatto!- esclamò poi: Aki aveva ragione, gli occhi gli brillavano! - E proprio questa è la scoperta! Finora si era ritenuto che la massa dei buchi neri fosse legata alla grandezza della galassia o degli ammassi di galassie che li ospitano...ma quello che stiamo studiando è talmente grande che da solo supera di gran lunga la massa dell'intera galassia che lo contiene! Molto probabilmente è nato dalla collisione di due o più galassie i cui buchi neri si sono uniti, questo non lo sappiamo con certezza ma è l'ipotesi più plausibile-
    -    E una cosa del genere è possibile?-
    -    Possibilissima! Le galassie viaggiano nello spazio, e quando una di queste passa troppo vicino al centro di una galassia ancora più grande, questa le “strappa” le sue stelle. Un caso del genere è stato osservato da uno studio dell'osservatorio di Mauna Kea nelle Hawaii: quella che è attualmente la più piccola galassia conosciuta è passata accanto ad una immensa nel cui centro si trova un buco nero super massiccio, con il quale finirà poi per fondersi in seguito. Ma la galassia in questione si trova in una regione spaziale super popolata, e le collisioni in questi punti sono molto frequenti...quello che abbiamo per le mani è un evento più unico che raro! Potrebbe rivoluzionare completamente il nostro modo di studiare i buchi neri e le galassie tutt'intorno!-

Ma quanto era bello sentirlo parlare di stelle, pianeti, galassie e buchi neri? Era bello sentirlo parlare a prescindere, con quella bella voce calda e vibrante, ma ascoltarlo mentre discuteva della sua materia di studio era fantastico: sembrava pervaso da un'euforia che aveva visto solo nei bambini quando finivano di vedere un film particolarmente avvincente, il volto disteso e sorridente come mai. In pochi attimi sembrava aver dimenticato la faccenda di Jack e Crow, e per quanto fosse difficile stargli dietro mentre snocciolava nozioni scientifiche non intendeva fermarlo: rimase ad ascoltarlo per interminabili minuti, concentrata unicamente sulla sua voce fattasi allegra e sul volto illuminato di gioia e passione per i suoi studi.
    -    Allora andiamo?-
La domanda la colse alla sprovvista. Aki sbatté rapidamente gli occhi, osservandolo lievemente confusa.
    -    A-andiamo dove?- gli domandò.
    -    A farci un bagno! L'hai portato il costume vero?-
    -    Eh? Ah, certo! Ah, quel bagno! Vado a cambiarmi, ci rivediamo sopra!-
    -    Sopra?-
    -    ...Non credo stiamo parlando della stessa cosa-
    -    No, neanche io! Ehi, indossa i tuoi vestiti che spero siano comodi e raggiungimi al parcheggio!-
Aki annuì senza dire altro, uscendo dal bancone e dirigendosi verso i camerini.

    -    Seriamente, Yusei...- disse la voce di Judai a poca distanza – Sei l'unico capace di far innamorare una ragazza parlando di buchi neri-
    -    ...Che diavolo dici, anche tu!- sbuffò poi il capobar, uscendo a sua volta dal bancone – Mi ha chiesto qualcosa dei miei studi e le ho risposto!-
    -    Aha, e lei ti ha guardato tutto il tempo come se le stessi improvvisando uno spogliarello-
    -    Lo so, me ne sono reso conto-
    -    L'hai cotta davvero bene...-
    -    Non era mia intenzione-
    -    Cosa pensi di fare?-
    -    In che senso?-
    -    Come in che senso? Con lei!-
Yusei si mordicchiò il labbro inferiore, dubbioso, non capendo dove il suo collega volesse arrivare.
    -    Judai, se stai prendendo la palla al balzo per rigirarti il coltello dalla parte del manico...-
    -    Ma che stai dicendo! Voglio solo sapere come va tra voi due! Non eri interessato a lei?-
    -    Certo che lo sono!-
Solo quando si accorse della birbona espressione di Judai si rese conto del madornale errore commesso. Yusei imprecò a mezza bocca, scuotendo il capo e, tuttavia, non riuscendo a reprimere un sorriso.
    -    Tu sei uno stronzo- sibilò poi -  Mi fai anche ammettere le cose ad alta voce-
    -    Lo so! Io lo trovo divertente!-
    -    Io ti ammazzerei volentieri...-
    -    Aaaah, non lo faresti mai! Sono il tuo migliore amico dopotutto!-
    -    Conosci molto bene la tua posizione...-
    -    Ehi, a proposito di amici...Yuya? Che fine ha fatto?-
    -    Se n'è andato poco prima della chiusura. Ha detto di non sentirsi bene-
    -    ...Il suo solito?-
    -    Temo di sì-
Judai annuì, arricciando il naso.



****



Succedeva sempre più di rado, ma quando capitava Yuya si ritrovava sempre senza difese. Completamente inerme in balia dei mostri. Scosse il capo, mise il cavalletto alla motocicletta e si sfilò casco e occhialetti, prendendo l'uscita del garage. Si stropicciò gli occhi, stanco, assonnato e quasi arrabbiato con sé stesso, il cuore stretto e un groppo alla gola che non voleva saperne di scendere giù.
Era tutto iniziato a metà serata, senza un apparente motivo come spesso accadeva: di colpo il suo umore cambiava totalmente, facendogli perdere interesse nella sua attività preferita e proiettandolo in una dimensione quasi a parte, completamente estranea a quella terrazza piena di gente. Aveva provato a convincersi che fosse per l'assenza di Yuma, con scarso risultato: lavorare insieme ad Aki gli piaceva da morire, era una ragazza gentile e sapeva essere anche divertente, e poi vederla mentre si perdeva in voli pindarici su Yusei (perché era palese che provasse attrazione per quel ragazzo...) gli suscitava una tenerezza indescrivibile, forse perché in qualche modo gli ricordava Yuzu. Ecco, Yuzu: aveva provato a ripetersi anche che era per la sua assenza, rimasta a casa quella sera per portarsi un po' avanti con gli studi. Ma no, c'era ben altro sotto, e lo sapeva, lo sentiva eppure si rifiutava di accettarlo.

Non ne poteva più. Era perfettamente cosciente di quegli sbalzi di umore, e sebbene fossero diminuiti col tempo, quando tornavano sembrava sempre più difficile contrastarli. Il mostro diventava sempre più grande e sembrava possederlo con sempre più facilità.

Provava rabbia quando sentiva le persone intorno a sé usare un termine come depressione con invidiabile scioltezza. La gente tendeva a minimizzare, quasi ridicolizzare l'impatto di quel brusco cambiamento emotivo: ogni scusa era buona per proclamarsi tristi o depressi, il più piccolo stress quotidiano faceva scattare vere e proprie reazioni di panico. Essere tristi perché il capo aveva chiesto due ore di straordinari in più e bisognava rinunciare ad una serata, o perché i saldi erano iniziati e non c'era più quella fighissima giacca esposta in vetrina, non aveva nulla a che fare con la depressione.
E quando Yuya sentiva gli altri sminuire un simile stato d'animo diventava furioso.
Sentirsi spossato, privo d'interesse, avaro di desideri capaci di accendere le proprie giornate; sentire l'energia vitale cominciare a mancare e, poco a poco, assistere impotenti al morire di qualsiasi pulsione che l'aveva fatto avanzare fino a quel momento. Ecco, quella era depressione. Quel senso di inadeguatezza a ciò che lo circondava, che lo attanagliava fin da quella terribile perdita.

Yuzu si sarebbe arrabbiata da morire a saperlo, ma Yuya non poteva fare a meno di continuare a mortificarsi per la morte del padre, addossarsene la piena colpa. Aveva sempre sostenuto che, fosse stato più forte e capace di difendersi da solo, suo padre non avrebbe trovato necessità di intervenire e non sarebbe mai uscito di casa; non avrebbe mai preso l'auto, non avrebbe mai attraversato quel dannato incrocio.
Suo padre sarebbe stato ancora vivo. Vivo, e pronto a guidarlo e consigliarlo, con saggezza e amore come l'aveva abituato.
Ritrovarsi senza di lui di punto in bianco aveva avuto effetti catastrofici. C'era voluto del tempo perché uscisse da quel suo guscio, e per quanto si sforzasse non ne era mai stato fuori del tutto. E quei cambi repentini d'umore ne erano la prova.
Aveva bisogno di aiuto. Qualcosa che gli desse quel definitivo calcio per rimettersi a posto.

Schiuse dolcemente la porta di casa, richiudendosela alle spalle. L'appartamento era immerso nel silenzio totale, ma la finestra della camera da letto era rimasta semiaperta, a giudicare dalla luce che entrava. Lasciò il casco e la giacca sull'appendiabiti dietro la porta, sfilandosi gli occhialetti dalla testa mentre varcava la soglia della stanza.
Yuzu era lì. Tutta raggomitolata su un fianco come un gatto, aveva intorno a sé libri, quaderni e penne, e il cellulare stretto nella mano sinistra. Ecco perché non aveva più risposto ai suoi messaggi: aveva immaginato si fosse addormentata di colpo, e ci aveva preso. Con delicatezza e quanto più silenziosamente possibile gli riusciva raggruppò libri, quaderni e dispense e li posò sulla sua scrivania; recuperò penne e matite, riponendole con cura nell'astuccio e mettendolo in cima ai libri impilati sul ripiano. Le sfilò con dolcezza il telefono dalla mano, posandolo sul comodino, prima di sedersi accanto a lei, scalciando per liberarsi delle scarpe ed incrociare i piedi sotto di sé.

Allungò una mano e le sfiorò delicatamente i capelli che le ricadevano sulla fronte, riportandoli dietro l'orecchio sinistro. Era ancora vestita con la sua maglietta dei Bad Religion, i capelli rosa erano lasciati sciolti.
L'unica persona che era stata in grado di sostenerlo. L'unica che avesse visto davvero il vuoto, il buio che portava con sé e l'aveva accettato. Yuya a volte si scervellava, si chiedeva cosa mai avesse fatto per meritarsi una simile ragazza al suo fianco; quand'era così Yuzu era molto lesta a fargli recuperare il senno in mille modi, uno più divertente e piacevole dell'altro. L'ultima volta l'aveva trascinato nell'impresa, a dire del ragazzo assurda, di creare una torta arcobaleno. Impresa definita appunto assurda perché vederla cucinare gli scatenava sempre qualcosa che Yuzu soprannominava scherzosamente come “ben altro tipo di mostro”. Nove su dieci finivano con l'arrangiarsi tra il pianerottolo della cucina e il tavolo su cui stavano cucinando, perché arrivare in stanza era troppo complicato e dispendioso in termini di tempo; restavano digiuni ma sazi e appagati in ben altro modo.
Solo lei sembrava in grado di dissipare quella coltre nera che gli stringeva il cuore.
Le si accovacciò accanto, studiandole il volto disteso e rilassato, prendendole una mano e portandosela alle labbra. Era stanco, sudato, aveva bisogno di una doccia, ma abbandonare il suo fianco era l'ultima cosa che voleva adesso.

Il movimento sembrò ridestarla. Yuya scorse il lieve tremolio delle palpebre e il loro lento dischiudersi: quegli occhi blu che ogni volta facevano capitolare le sue difese si aprirono per osservarlo. Le labbra di Yuzu si curvarono in un dolce sorriso, la mano sinistra si sollevò per accarezzargli il volto.
    -    Yuya- lo chiamò, la voce ridotta ad un soffio – Sei tornato-
Yuya annuì, sorridendo a sua volta. Accorciò le distanze, la strinse in un forte abbraccio e la baciò, prima di nascondere il volto tra i suoi capelli.
Passarono pochi secondi prima che Yuzu sentì la sua schiena scossa dal primo singhiozzo. Gli prese rapidamente il volto tra le mani, lo osservò con sguardo contrito: le lacrime gli stavano già scendendo lungo le guance, un pianto silenzioso e non per questo meno carico di sofferenza. La giovane lo chiamò, pizzicandogli le guance, raccogliendo con le labbra le lacrime salate; Yuya alzò una mano e asciugò una scia luminosa con il gesto di un bambino.
    -    Yuya...-
    -    Mi-mi dispiace...io ci provo a-a non farmi trascinare ma...è più forte di me. Io-io non credo di riuscire a superarlo mai!-
    -    Yuya, vieni qui-
La giovane se lo strinse al petto con forza, soffocando i suoi singhiozzi e ignorando le sue mani aggrappatesi alle sue braccia. Pose un bacio sulla fronte, tra i capelli umidicci; Yuya mollò la presa sulle braccia per incrociarle alla vita di lei.
    -    Scusami- lo sentì mormorare – Mi-mi ritorna ancora tutto, a volte. Non so più cosa fare, Yuzu-
    -    Non scusarti. Non devi. E non devi arrenderti-
    -    Non posso andare avanti ancora a lungo-
    -    Ci sono io con te-

Gli prese di nuovo il volto tra le mani, posandogli un bacio sulle labbra.
    -    Sei sempre dell'idea di non voler andare a vederlo?- gli domandò.
Yuya scosse con forza il capo.
    -    Sai che stai rimandando l'inevitabile, Yuya. Sono sei anni ormai-
    -    Lo so. Ma non riesco. Il solo pensiero mi fa...mi fa...-
    -    Ehi, basta ora-
Lo scrollò lievemente, prima di sfiorargli il naso con il suo.
    -    Non vuoi? Va bene- gli disse – E allora non parliamone più. Facciamo che adesso ci spogliamo e facciamo una doccia insieme? Ne ho bisogno anche io-
Yuya non rispose verbalmente, ma si stropicciò un occhio sempre con quel gesto un po' infantile e annuì con la testa.
Fu lui il primo ad afferrare i lembi della maglietta di lei e ad alzargliela sulla testa, sfilandogliela con un unico gesto. Non aveva altro sotto, il caldo l'aveva portata a coprirsi il minimo indispensabile. Yuya lasciò che lei gli sfilasse la t-shirt replicando il movimento, prima di spingerla sul materasso ed incastrarla su di esso col suo corpo. Yuzu non si tirò indietro, lasciando che le baciasse il volto, le labbra, il collo, ovunque riuscisse a raggiungerla.
    -    Yuya...Yuya la doc--
Quando sentì la sua mano chiudersi sulla coscia sinistra le mancò il fiato di colpo.
    -    Possiamo farla anche dopo. Stammi vicino, ti prego-
    -    Non pregarmi, lo sai che non c'è bisogno-
Certo che lo sapeva, Yuya; lo sapeva eccome, eppure non trovava altro modo per ribadire il suo desiderio, la sua irrefrenabile voglia di starle vicino.
In quei momenti di buio totale, Yuzu era la luce in fondo al tunnel.



****



Quando la Bimota si arrestò accanto al muretto che separava il marciapiede dalla strada, ad Aki fu finalmente chiaro cosa Yusei avesse in mente, per bagno.
Con i costumi da bagno indossati sotto i loro abiti normali, avevano lasciato velocemente il Pharaoh's Kingdom, salutando tutti e montando in sella mentre Judai entrava nell'auto di Alexis. Li avevano superati con un lampeggio di fanali e una mano alzata, Aki già stretta con sicurezza al ragazzo.
Avevano passeggiato tranquillamente per le vie della città, come se avessero avuto tutto il tempo del mondo a disposizione, la moto che borbottava quieta sotto le loro gambe. Aki aveva sorriso, osservando il sole che sorgeva dal mare.
Poi si erano fermati accanto al muretto e Yusei le aveva fatto cenno di scendere. Ed era stato tutto più chiaro.

Scavalcarono agilmente il muretto, i caschi in mano e Yusei che portava con sé lo zaino, sostenendo fosse più pesante del solito. Ne cavò due grossi teli da mare, uno blu e uno rosso, piuttosto vecchi a giudicare dai colori stinti: li stese con cura sulla sabbia, lasciò lo zaino proprio nel mezzo.
    -    Direi che è ora di farsi questo bagno, no?-
Le sue parole suonarono lontane come un eco indistinto; momentaneamente inginocchiata sul telo rosso, a controllare se sul cellulare le fossero arrivate delle chiamate o messaggi, Aki sollevò gli occhi su Yusei, in piedi accanto al telo blu. Lo osservò liberarsi degli stivaletti da moto e armeggiare sulla cintura, sfilandosi i pantaloni con un paio di scalciate.
Non riuscì a distogliere lo sguardo in alcun modo, non che ci avesse seriamente provato...gli occhi osservarono le sue mani tirare lievemente verso l'alto i lembi della maglietta: le cicatrici sul ventre biancheggiarono al sole. Si scoprì con un unico, veloce gesto, il profilo che si stagliava contro il sole nascente e i capelli lievemente scompigliati, prima di stiracchiarsi con le braccia alzate e avere la mirabolante e ammirevole idea di mettere tutti i muscoli in tensione. La rossa trattenne il fiato.
Benissimo Aki, contenta? Ti ha fatto anche lo spogliarello, cosa vuoi di più?!, si disse, deglutendo e mordicchiandosi il labbro inferiore. Direi che sia il caso di recuperare la lingua che ti è indegnamente cascata a terra, eh?

Osservò Yusei accovacciarsi per qualche attimo, il tempo di ripiegare accuratamente i suoi vestiti sotto i suoi occhi sorpresi, prima di rimettersi in piedi e osservarla con sguardo divertito, le mani sui fianchi. Seriamente, ma si rendeva conto dell'effetto che le faceva?!
    -    Allora? Non vieni?- le domandò poi, sorridendole.
Aki prese un respiro, consapevole di avere le guance dello stesso colore dei capelli.
    -    Dopo- si limitò a rispondere poi – Voglio scaldarmi un po', prima-
    -    Come preferisci! Ma non metterci troppo, altrimenti sarà peggio dopo! Io mi tuffo!-
E lo fece davvero. Le rivolse un ultimo sorriso prima di incamminarsi verso l'acqua, regalandole una bella vista della schiena tornita. Aki si lasciò sfuggire un sospiro senza preoccuparsi di essere udita: a quel punto non faceva più alcuna differenza.
Lo seguì con lo sguardo entrare in acqua con fare sicuro, senza mai voltarsi, e tuffarsi di testa sparendo nell'acqua. Riemerse poco più in là, agitando un braccio per richiamare la sua attenzione ed invitarla in acqua.
Aki sorrise: sembrava davvero aver dimenticato tutta la faccenda di Jack e Crow. Per un attimo ne fu orgogliosa.

    -    Dai! Non è così fredda come pensi!- esclamò Yusei, in piedi lì dove l'acqua era più bassa.
    -    E va bene, arrivo!-
Yusei si mise fieramente le mani sui fianchi, osservandola togliersi velocemente le scarpe e svestirsi pezzo dopo pezzo. La maglietta fu la prima cosa ad andare via, lasciata cadere sul telo con una noncuranza che, nella sua mente, fu tutta studiata. Uscì dai pantaloni con un veloce gesto, chinandosi quel che bastava per facilitare l'operazione e lasciarli lì, accanto alla maglietta.
Lo sta facendo apposta?!
Yusei scosse il capo costernato e si sedette nell'acqua, lasciando che spuntasse fuori dalle spalle in su. Fin troppo carina in quel due pezzi arancione, Aki quasi zampettò (sì, gli venne in mente proprio quel termine...!) fino alla riva, lasciando che le onde gentili della risacca le bagnassero i piedi; prevedibile, un gesto così vezzoso e tipico di una ragazza, Aki si lasciò sfuggire un gemito e si ritrasse un poco, stringendosi nelle braccia.
Doveva forse ringraziarla per mettere meglio in evidenza il bel seno così?! La vista di quella pelle candida gli bastava.
    -    Non è fredda dici?!- gli gridò dietro dalla riva – Hai una percezione totalmente sballata delle temperature, caro mio!-
    -    Oh andiamo! Buttati e basta e non tergiversare, sarà peggio altrimenti!-
Aki sembrò accogliere il suggerimento: la giovane si avvicinò risoluta alla riva ed entrò in acqua, raggiungendolo a grandi passi, le braccia lievemente alzate quasi avesse paura di toccare l'acqua per lei fredda. Yusei si alzò dolcemente in piedi, sorridendole contento, osservandola restituire il sorriso.
Poteva uccidere per uno sguardo simile.

    -    Non ti tuffi?- le domandò poi, le mani sui fianchi.
Ebbe l'impressione che Aki fosse più propensa a guardarlo per bene che altro, ma fu solo un'impressione. Yusei reclinò il capo, divertito.
    -    Nnnon subito- rispose lei – La trovo ancora fredda-
    -    Fidati, una volta tuffata sarà meglio, ti ci abitui-
    -    E grazie al...ooooh...-
Il giovane reclinò il capo all'indietro e scoppiò a ridere, come poche volte Aki l'aveva visto.
    -    Giuro Aki, quando ti agiti sei davvero troppo carina!-
La giovane spalancò gli occhi. Carina aveva detto? Perfino quando si agitava?!
Prima che potesse totalizzare ciò che aveva sentito, il giovane allungò una mano su di lei e la spinse all'indietro; colta di sorpresa, Aki perse l'equilibrio e cadde a sedere nell'acqua, tra urla e grandi schizzi. Il freddo la investì di colpo, facendola rimettere immediatamente in piedi, imprecando tra i denti.
Alle orecchie le giunse la risata di Yusei.
Okay, si stava divertendo un po' troppo per i suoi gusti!
Senza perdere tempo, e favorita dall'effetto sorpresa visto che il ragazzo sembrava più preso dal ridere che guardarsi intorno, Aki gli si avventò letteralmente addosso. Non aveva la sua stessa forza e non poteva sperare di scagliarlo in acqua con una spintarella come lui aveva fatto, doveva per forza usare il suo stesso corpo come aiuto.
Ebbe il tempo di registrare la compattezza di braccia e petto, prima che entrambi finissero in acqua.
    -    Eheh, immagino di essermelo meritato!- ridacchiò Yusei, una volta riemerso, mentre si stropicciava gli occhi.
    -    Te lo sei meritato eccome!- sbottò Aki – Non potevi aspettare che mi tuffassi di mia spontanea volontà vero?-
    -    Aaaah insomma quanto borbotti!-
    -    Disse il musone patentato!-

Le risate li scossero nell'acqua, divertiti come ragazzini. Yusei si prese qualche attimo per osservarla, i capelli umidi e il volto gioioso.
Sempre più bella ogni giorno che passava.
    -    Come stai?- le domandò lei, reclinando dolcemente il capo di lato, quasi a volerlo osservare meglio. Per Yusei fu subito chiaro a cosa si riferisse; fece spallucce, lo sguardo lontano.
    -    Meglio- rispose poi – Ancora un po' amareggiato, ma non come prima. Eh...immagino che dovessi prevederlo, che le nostre strade si incrociassero di nuovo-
    -    Ti sono mancati, dì la verità-
    -    Mortalmente. Forse è per questo che non accetto che si siano fatti vivi per questa motivazione-
Lo disse con tono sincero, autentico. Aki si mordicchiò il labbro inferiore: era un gesto che Yusei le vedeva fare spesso e, neanche a dirlo, gli piaceva da morire.
    -    Perché non ne riparlate a mente più fredda?- domandò la giovane – Detta così su due piedi può dare effettivamente fastidio...magari aspetta un paio di giorni e riparlatene no? Non credo ci sia solo quello a spingerli-
    -    E cosa allora? Sono in battaglia per il titolo di campioni e gli manca un pilota, e hanno pensato a me. Dopo sette anni di silenzio-
    -    Ma ti hanno pensato! Già solo questo vuol dire che non ti hanno dimenticato, che ti considerano ancora uno di loro!...Più o meno-
    -    Brava, è quel più o meno che non mi convince-
  -    Ehi, che ne sai? Magari Jack e Crow non hanno potuto mettersi in contatto con te per tanti motivi...sai come funziona con gli ambienti professionisti...devi essere iperconcentrato su quello che fai e non permetterti distrazioni-
    -    E non mostrarti in pubblico con ex galeotti-
    -    Questa è una stronzata-

Yusei si voltò di scatto verso la ragazza, sorpreso. Non la sentiva imprecare spesso.
Il fatto era che riusciva a trovarla carina anche quando scaricava insulti ed improperi...la cosa stava davvero degenerando.
    -    Anche Crow è stato nella Struttura, vero?- domandò la rossa. Yusei annuì.
    -    Quando era più giovane, più di una volta-
    -    Esatto! Eppure lui mostra i suoi segni in mondovisione!-
    -    ...Non so quanto conti ma credo di aver capito cosa intendi. Possiamo non discutere di questo, Aki? Per favore-
Aki schiuse le labbra, quasi a voler dire qualcos'altro, poi annuì.
    -    Come preferisci Yusei- rispose poi – Parliamo di qualcos'altro allora...non so, delle tue galassie magari, ragazzo delle stelle?-
    -    Come mi hai chiamato?!-
    -    Non ti piace?-
    -    Al contrario! È solo che è la prima volta che lo sento-
    -    Mi piace, trovo che ti stia bene! In fondo sei un aspirante astronomo no? E conosci tutte le stelle del firmamento!-
    -    Non tutte, magari...-
    -    Beh, quasi tutte! Ecco, per me sei il ragazzo delle stelle! Che ti piaccia o no-
Il sorriso che le rivolse sarebbe bastato da solo a illuminare l'intera Nuova Domino per le prossime due notti a venire.
    -    Mi piace- le rispose poi – Mi piace davvero, ragazza delle rose-
    -    ...E questa da dove viene?!- domandò Aki, stupita.
    -    Da quando ti ho vista nel giardino di casa tua, accanto al roseto. Penso che come fiore ti rappresenti davvero bene!-
Le sfiorò il volto con una mano bagnata, facendola sobbalzare.
    -    Bella e con un caratterino...- commentò Yusei.
    -    ...Un caratterino eh? E che caratterino avrei io? Ah! Sentiamo un po'!-
Prima che lo decidesse davvero, Aki colmò la distanza tra loro e gli saltò di nuovo addosso, trascinandolo ancora in acqua. Tra onde, schizzi d'acqua e risate, Aki sentì il proprio cuore farsi più leggero ed abbandonare le preoccupazioni quotidiane.





    -    ...Io non ho mai provato istinti omicidi-
Il silenzio li circondò improvvisamente. Seduti tutti quanti allo stesso tavolo, a turno appena ultimato e con il sole che albeggiava, Yugi osservò uno per uno i suoi compagni, sbattendo un paio di volte gli occhi ametista: Honda e Jonouchi sembravano mandarsi saette con gli occhi, mentre Anzu li osservava a metà tra il divertito e il pensieroso, e Bakura studiava con grande attenzione la sua bottiglia di birra.
    -    Che voi sappiate il vetro è commestibile?- domandò poi il ragazzo – Ho una gran voglia di mordere qualcosa...-
    -    Sarebbe preferibile di no!- esclamò Yugi, stropicciandosi gli occhi e ridacchiando insieme agli altri – Honda, tocca a te-
    -    Allora vediamo...io non ho maaaaaai provato attrazione, di qualsiasi tipo, per una persona del mio stesso sesso. Jonouchi?!-
Con la mano ferma e chiusa sulla bottiglia, il biondino sollevò lo sguardo sui suoi amici, deglutendo nervosamente.
    -    Posso spiegare!- esclamò poi, un attimo prima che Bakura scoppiasse a ridere come un'idiota, dondolandosi sulla poltroncina – Posso spiegare e tu smettila di ridere! Non sapevo fosse un uomo!-
    -    MA COSA VUOL DIRE?!- sbottò Yugi, ridendo a sua volta.
    -    Vuol dire che mi ha confuso le idee! Era decisamente troppo effeminato! E le luci del locale non hanno aiutato!-
    -    Uahahah! Yugi, cosa ti sei perso quella volta...!- esclamò Bakura, tenendosi la pancia – La serata più divertente della mia vita, giuro!-
    -    Per te sicuramente! A me son spuntati i capelli bianchi dopo quella!-
    -    Eh, come ti capisco...è un grosso problema!-

Jonouchi sbatté rapidamente gli occhi prima di posarli sulla figura di Bakura, che ghignava dietro il dorso della mano destra; il sole che nasceva gli striava di scie luminose i capelli candidi, da sempre poco inclini a lasciarsi disciplinare da un pettine. Il biondino strinse gli occhi in una smorfia, scuotendo il capo.
Il gioco era, in sé, molto semplice e stupido, ma come tutte le cose semplici e stupide risultava mortalmente divertente, oltre che inesauribile fonte di fesserie dalle più sceme alle più scabrose: quella che Yugi stava bevendo, a differenza dei compagni, era semplice acqua liscia, eppure si sentiva allegro e con il cuore leggero, come quella sera quando Yuma gli aveva allungato il bicchiere di Vodka Lemon a stomaco vuoto. Jonouchi e Honda avevano già vuotato due bottiglie, Bakura era ancora alla prima; Anzu, invece, si era tirata indietro da quel gioco strano e si dilettava a fotografare i suoi compagni.
Atem sembrava sparito, dileguatosi poco dopo la chiusura. Aveva lasciato a Yugi le chiavi del locale, raccomandandosi di non “lasciare casino in giro”; il ragazzo ne aveva approfittato per godersi l'alba con i suoi amici a bordo piscina, prima di tornare tutti quanti a casa.
Il come ci sarebbero tornati, però, stava tutto in quel giochino idiota.
Dei tre, quello che meglio reggeva l'alcol era proprio Jonouchi: un paio di birre non bastavano per mandargli in tilt reattività e cervello. Bakura, invece, possedeva minore resistenza, ed era infatti lui quello che si ritrovava a ridacchiare più spesso per le fesserie. Honda era la perfetta via di mezzo, eppure anche lui stava cominciando a mostrare segni di cedimento.

E poi c'era Yugi che non aveva bisogno di una bottiglia di birra per ridursi il cervello a una pappina molle.
Anzu girava loro intorno come un'ape intorno ad un mazzo di fiori, scattando foto con il cellulare: chissà perché, ma trovava divertente l'idea di vederli tutti quanti riuniti ad un tavolo neanche fosse un consiglio di guerra. Più volte lo scatto fotografico era suonato in direzione di Yugi, facendogli sollevare lo sguardo.
Era troppo chiederle di non ripararsi dietro quel maledetto smartphone?
Era stata una delle serate più lunghe e difficili della sua vita: la visita dei suoi tre amici, e le esibizioni di Anzu ai cerchi, era stata la combo perfetta per fargli perdere compostezza e farlo sentire come un novellino alla sua prima giornata di lavoro. Si era perfino scordato quale scheda aprire sul palmare per segnare gli alcolici! Era stato costretto a chiedere aiuto ad Aki per ricordarsene!
E ovviamente la rossa aveva capito. Il come fosse stato possibile, Yugi non sapeva come spiegarselo: forse era grazie a quell'intuito tipicamente femminile, o probabilmente l'aveva reso lui palese lanciando spesso e volentieri sguardi in direzione di Anzu, chi lo sa. Fatto stava che Aki aveva ridacchiato e aveva fatto un commento che non ricordava benissimo, qualcosa sul come potevano essere una bella coppietta; era stato più preso a fulminare con lo sguardo i suoi tre amici che se la ridevano come idioti, mentre si divertivano ad indirizzargli cuoricini disegnati nell'aria.
E ancora non riusciva a trovare il coraggio necessario per parlarne direttamente con lei.

A volte si ritrovava ad invidiare la sicurezza che Atem infondeva in qualunque sua azione; che fosse stato il preparare una bevanda, scrivere una mail a un rifornitore o avvicinarsi a una donna, sembrava non conoscere timidezza o apprensione. Il maggiore gli ripeteva spesso che si trattava di affrontare le cose un po' come una danza: non poteva certo entrare in una pista da ballo guardandosi le scarpe, nessuno l'avrebbe preso sul serio anzi, probabilmente sarebbe stato ignorato dalla stragrande maggioranza di chi aveva intorno. Allo stesso modo non poteva certo farsi largo a spintoni e gomitate, a meno di volersi creare subito una folta schiera di nemici. Semplicemente si mischiava in mezzo alla folla e lasciava che le cose seguissero il loro corso.
E detta in questo modo sembrava così dannatamente semplice da apparire stupida, come cosa, e Yugi sapeva che c'era ben altro sotto, qualcosa che non riusciva a definire con chiarezza. Non era più il ragazzino impacciato al punto da sembrare quasi imbranato, anzi: crescendo aveva aperto gli occhi e si era dimostrato molto più scaltro di quanto sembrasse in apparenza, pur senza perdere quella gentilezza con cui trattava esseri viventi e non sulla faccia della Terra.
Eppure con Anzu perdeva quel poco di spigliatezza che aveva in un colpo solo.

Erano amici da tanto tempo: la giovane aveva subito simpatizzato per quel ragazzino timido e appassionato di videogiochi e fumetti, assurdamente diligente a scuola e silenzioso al punto da risultare quasi inesistente agli occhi degli altri, se non per chiedere aiuto durante verifiche ed interrogazioni; il come fosse diventato così amico di quei tre scalmanati era un vero mistero. Bakura era il più calmo e riflessivo di loro, quindi l'affinità tra i due era giustificabile, ma Honda e Jonouchi facevano casino come i fuochi d'artificio di Capodanno: entrambi grossi, chiassosi, sempre lì a fare scherzosamente a botte, con Honda che sembrava divertirsi fin troppo a punzecchiare il biondino e scatenare così le sue reazioni fulminee. Anzu aveva provato un'innata simpatia e tenerezza per Yugi, e avvicinarsi a lui l'aveva irrimediabilmente messa a contatto anche con quei fenomeni dei suoi compagni.
La giovane gli sorrise da dietro lo smartphone, attirando la sua attenzione alle spalle di Jonouchi. Yugi sorrise a sua volta, preparandosi per l'ennesima foto mentre il compagno continuava a sacramentare senza freno.
Sapeva che, prima o poi, avrebbe dovuto prendere il coraggio a piene mani e farsi avanti. Almeno per cavarsi quel dente e capire come lei la pensava a riguardo.
Col rischio, ovviamente, di guastare tutto quanto il loro rapporto, perché quante probabilità aveva che Anzu corrispondesse quel sentimento? Forse si stava lasciando trasportare troppo dal lieto fine di Judai con Alexis...
Forse era meglio lasciar stare le cose così com'erano: sicuramente non avrebbe sbagliato e non avrebbe rovinato nulla.
Forse.

I riverberi metallici in lontananza si fecero sempre più forti ed insistenti, fino a diventare assordanti e impossibili da ignorare. Yugi si voltò in direzione del suono, imitato dai suoi compagni; Bakura disse qualcosa con voce colma di stupore, parole che Yugi non si curò di registrare.
La torre sede della Kaiba Corporation svettava su tutti i grattacieli di Nuova Domino: inconfondibile nella sua lucida superficie a specchio, al suo interno celava tutti i segreti del mondo videoludico attualmente conosciuto. Durante la notte era illuminata da fasci luminosi che partivano dal basso, rendendola un gigantesco parallelepipedo infuso di luce. Quel mattino, tuttavia, sembrava essere diventata il polo di attrazione di mille e più oggetti che, in quell'esatto momento, stavano sorvolando la città per convergere tutti sulla sommità della torre: Yugi riconobbe lamiere di ferro, vecchi televisori, piccoli elettrodomestici e beni di ogni tipo sfrecciare tra le costruzioni. La cacofonia di clacson e urla gli confermò che sì, l'intera cittadinanza si era accorta di quello strano fenomeno e si era fermata, come un sol uomo, ad osservare il volo di oggetti inanimati verso la torre, circondandone la cima in decine di cerchi come gli anelli di asteroidi di un pianeta ancora sconosciuto.
Yugi conosceva una sola persona capace di spiegare un simile fenomeno.


    -    Mh, davvero coreografico-
Mokuba alzò i vispi occhi blu sul fratello, osservandolo dubbioso mentre Seto manteneva lo sguardo fisso sulla cima della torre, seguendo il movimento ellittico delle decine di oggetti volanti che ora la circondavano. Le mani strette sulla maniglia della sua valigetta metallica, il ragazzino si lasciò sfuggire un'esclamazione di stupore, affiancando velocemente il fratello maggiore.
    -    Questa è opera del tuo amico mago, vero?- gli chiese poi, con un filo di voce: sapeva che Seto preferiva mantenere il massimo silenzio, su quella faccenda, quando era intorno ai suoi lavoratori.
    -    E chi altri?- lo sentì borbottare – Vedo che stavolta non ha perso tempo a rispondere...credo che l'idea di punzecchiarlo nel suo territorio non gli sia piaciuta molto-
Non gli era piaciuta davvero: Seto aveva notato la scintilla nel suo sguardo, quel lampo che gli aveva attraversato le iridi ametista in uno sguardo sorpreso, divertito e infastidito tutto insieme. Il CEO della Kaiba Corporation aveva iniziato a sfoderare l'artiglieria pesante, e Atem aveva subito risposto mettendo in gioco i suoi pezzi da novanta.
La sfida si faceva sempre più intensa e divertente. Seto non poteva essere più stimolato di così.
Qualche applauso isolato partì dalla folla quando gli oggetti volanti sparirono così com'erano apparsi. Seto si lasciò sfuggire un ghigno divertito, ripercorrendo le scale di accesso della torre, seguito da Mokuba.
    -    E adesso cosa farai?- gli domandò il fratellino, curioso.
    -    Al momento nulla Mokuba, ho del lavoro da fare- rispose lui, con un'alzata di spalle – Risponderò, ma più tardi. Ho delle questioni urgenti da sistemare-

Gli ci volle poco per capire che l'intera torre era precipitata nel caos.
Come uno sciame di api impazzito per la perdita della regina, l'intero personale della Kaiba Corporation sembrava in preda ad una frenesia collettiva. Mokuba si guardò intorno sorpreso da tutta quell'agitazione, Seto strinse gli occhi sospettoso: decine e decine di camici bianchi entravano e uscivano in porte e porticine, qualcuno imprecava a briglia sciolta, altri correvano nei corridoi e davano ordini a destra e a manca. Qualcuno abbatté un pugno decisamente forte sulla scrivania, attirando l'attenzione del CEO che si affacciò nella stanza.
Il motivo di quella follia collettiva fu presto chiaro. Ogni apparecchiatura elettronica al suo interno sembrava impazzita: gli schermi lampeggiavano come luci stroboscopiche di una discoteca al ritmo di una musica inesistente, e qualsiasi comando impartito ai terminali non sortiva alcun effetto.
    -    Signor Kaiba!-
La voce di Ishizu lo fece voltare di scatto: perfino la sua segretaria, ben nota per la sua compostezza e la fredda aura di professionalità che la circondava, sembrava risentire di quell'agitazione collettiva. Il suo fedele tablet mostrava gli stessi sintomi delle altre apparecchiature.
    -    Tutti i nostri terminali sono fuori uso!- esclamò la giovane, sistemandosi velocemente gli occhialetti scivolati sulla punta del naso – E anche le apparecchiature portatili! Non riusciamo a ripristinare i sistemi!-
    -    ...Quando è stata effettuata l'ultima copia di backup?-
    -    Ieri mattina, come ha richiesto-
    -    Mi segua-

Apparentemente indifferente a tutta quella confusione, Seto scattò in avanti per il corridoio, percorrendo a lunghe falcate il liscio pavimento in linoleum che schioccava sotto i tacchi della donna; Mokuba arrancava subito dietro, con la valigetta metallica che sbatteva rumorosamente contro la sua gamba destra.
Il CEO della Kaiba Corporation svoltò per porte e corridoi con la sicurezza navigata di chi viveva le sue giornate in un autentico labirinto; ovunque la situazione sembrava ripetersi, con gli schermi dei terminali che lampeggiavano impazziti. Natale è arrivato in anticipo e non me ne sono accorto, pensò Seto con una smorfia.
Ishizu passò il suo badge personale sul tornello accanto alla porta dell'archivio dati: come prevedibile, il lettore ottico lampeggiò insistentemente in rosso, e lo fece anche una seconda e una terza volta, finché Seto non lo sbloccò manualmente, digitando qualcosa sul tastierino numerico che la donna non comprese e preferì non guardare. Solo Dio sapeva che razza di accordo di segretezza avesse firmato prima di ottenere il posto, roba che avrebbe fatto arrossire i marmittoni di KGB e Area 51 messi insieme: qualsiasi cosa vedeva, Ishizu aveva la sgradevole sensazione di assistere all'esecuzione di qualcosa di proibito e inaccessibile ai comuni mortali.
Quell'azienda era un autentico mistero.
La porta si sbloccò con un sordo clangore e un fischio, scivolando dolcemente di lato. Una corrente di aria fredda li investì di colpo, Ishizu rabbrividì stringendosi nella sua giacchetta: per preservare l'integrità delle apparecchiature elettroniche, la temperatura della stanza era tenuta costantemente sotto i ventidue gradi, giorno e notte, estate e inverno, rendendo lampante lo sbalzo percepito nei corridoi. Le unità olografiche di backup ronzavano apparentemente senza problemi, ognuna racchiusa dal vetro infrangibile di dieci centimetri di spessore dei loro contenitori. Un buon segno, per il momento: se i dati contenuti in duplice copia al loro interno stavano uscendo, come aveva inizialmente temuto, per essere trasferiti su un server a loro sconosciuto, ogni singola torre si sarebbe autonomamente scollegata da ogni tipo di linea, trincerandosi dietro la sua impenetrabile rete di firewall. Seto si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito.

    -    Ci hanno provato- commentò poi, ghignando – Ma non gli è andata molto bene-
    -    Hanno provato a fare quello che penso?- domandò Ishizu – Un attacco hacker?-
    -    Aha. E stavano procedendo anche bene: hai detto che tutte le apparecchiature sono fuori uso, giusto? Che mi dici dei Mainframe?-
    -    Mainframe inutilizzabili. Temo anche i super computer-
    -    Mh. Riporta la situazione a livelli di gestione accettabili. Non siamo sotto attacco informatico-
    -    ...Idea su cosa sia successo?-
   -    Qualcuno ha provato a entrare nei nostri server, è chiaro. Non ha avuto accesso ai dati ma ci sta impedendo il normale svolgimento delle operazioni. E ogni minuto perso è prezioso. La cosa può darci molto fastidio-
    -    Cosa intende fare?-
    -    Risolvere la questione di persona. Mokuba, vuoi vedere qualcosa da grande?-
Il ragazzino annuì con convinzione; a Seto non bastò altro, e gli fece cenno di seguirlo.





Buon cielo, cosa sto facendo? Dove sono finito?
Yusaku Fujiki non aveva mai avuto paura di fare quello che sapeva fare meglio di chiunque altro: infiltrarsi nella gigantesca rete del web e rintracciare server e portali inaccessibili si era trasformata, col tempo, nella sua specialità e principale fonte di sostentamento. Non proprio legale, anzi, ma assai remunerativo, con cifre di ingaggio che contavano tre zeri come minimo. Il rischio che la sua sottile opera di infiltrazione venisse scoperta e che fosse ricondotta direttamente a lui valeva ogni centesimo guadagnato a rubare dati o distruggerli, in base alle richieste fatte.
Eppure si aspettava di tutto fuorché quello.
Terminando il suo hot-dog in pochi morsi, leccando via dalle dita i residui della senape, tornò a digitare freneticamente sulla tastiera del suo laptop: lo schermo gli restituiva immagini su immagini di documenti digitalizzati, stringhe di testo leggibili nascoste da riservatissime bande larghe nere che impedivano la lettura completa dei documenti di fronte a lui, rendendoli di fatto incomprensibili e inutilizzabili da chiunque accedesse da un server esterno. Una prassi molto conosciuta da Yusaku, che molto spesso si era trovato a dover aggirare quella che era una semplice, blanda protezione per evitare violazioni di copyright e furti di dati sensibili.
Violare la sicurezza dei sistemi informatici gli dava una soddisfazione paragonabile solo a quella di un orgasmo creato da mille mani che lo toccavano simultaneamente.

Eppure qualcosa non stava funzionando quella volta, e per quanto non gli creasse virtualmente problema lo insospettiva: non riusciva a risalire all'intera sequenza numerica dell'indirizzo IP, e risalire al nome del dominio sembrava impossibile. Yusaku digitò ancora sulla tastiera, avviando il programma di diagnostica che gli permetteva di individuare la fonte da cui arrivavano tali documenti.
Un'altra finestra si aprì nello schermo alla sua destra, collegato tramite cavo al laptop: in quei casi, quando si ritrovava a lavorare con una grande mole di dati, lavorare su più display era necessario, per evitare di essere tratti in inganno dalla confusione che si creava inevitabilmente con tutte quelle finestre aperte simultaneamente. Inoltre, uno di quegli schermi poteva fungere tranquillamente come lettore musicale, e ascoltare un vecchio live del 2007 dei Daft Punk si rivelava sempre molto stimolante. Il display alla sua destra gli mostrò una lista di dispositivi di rete che si allungava ogni secondo: gli occhi verdi di Yusaku si posarono sulla lista di router.
Il ragazzo si accigliò qualche secondo dopo, schioccando infastidito la lingua sul palato: la traccia si era interrotta prima di arrivare al server da cui erano partiti quei documenti. Il secondo tentativo andò a vuoto, e anche il terzo e il quarto.
Non ha senso, si ritrovò a pensare. È come se questo indirizzo IP non esistesse...possibile che una semplice azienda produttrice di videogiochi abbia bisogno di tutta questa segretezza? Cosa stanno nascondendo?!
Si concesse un ultimo tentativo, ormai divorato dalla curiosità. La ricerca si bloccò nello stesso punto di tutte le altre. Yusaku sbuffò, passandosi le mani sul volto in segno di frustrazione.

Era chiaro che quell'indirizzo IP appartenesse ad un protocollo reso non accessibile al pubblico: tuttavia trovava strano che un'azienda video ludica utilizzasse gli stessi, rigidissimi protocolli di sicurezza di un'agenzia governativa o militare.
La Kaiba Corporation era un'azienda specializzata nella produzione di armamenti bellici prima di darsi ai videogiochi, ragionò Yusaku, accarezzandosi lievemente il mento. Capisco la segretezza aziendale, molte imprese hanno una rete di firewall da fare invidia al Pentagono...ma questa?! Questa è roba che ha davvero del fantascientifico. Mai vista prima d'ora.
Con pochi tasti fece partire un programma di indagine diagnostica.
Devo assolutamente saperne di più.
A lungo andare, la faccenda rischiava sempre di diventare personale: Yusaku non accettava mai di non terminare il suo lavoro, e questa era una di quelle volte; poco importava il reale rischio che si celava dietro l'angolo. Sgranò gli occhi quando il programma di diagnostica gli mostrò le impostazioni del firewall usato come protezione dei dati.
Roba seria, molto seria. Troppo seria, che non giustificava tutti quei soldi che gli avevano offerto. Yusaku si mordicchiò il labbro inferiore, le dita sospese sulla tastiera, incerto se continuare o meno.
Gli avevano offerto una fortuna per un lavoro apparentemente facilissimo, e già questo era bastato per metterlo all'erta; ma quando era stata nominata la Kaiba Corporation era stato tentato dal rifiutare. Troppi soldi tutti insieme per spiare un'azienda video ludica, c'era qualcosa di strano. Ma la metà del compenso pattuito era stata già ripartita equamente su ciascuno dei cinque conti bancari da lui gestiti, ovviamente tutti con nomi diversi per sviare le normali indagini di sicurezza, e la voce sconosciuta al telefono non sembrava accettare tentennamenti o domande.
La posta in gioco sta cambiando, qui.
E stava davvero diventando tutto troppo rischioso anche per lui. Con sgomento si accorse che il programma di diagnostica continuava ad infrangersi contro firewall e protezioni, rimbalzando indietro in nodi sempre diversi, sempre più vicini al punto di partenza delle sue ricerche; Yusaku digrignò i denti, mettendo rapidamente fine alla ricerca: qualcuno gli stava manualmente sbattendo le porte dei server in faccia!
Non ne vale la pena.
Il cellulare squillò accanto alla sua gamba sinistra. Yusaku sbuffò frustrato, osservando lo schermo dell'apparecchio lampeggiare sotto la dicitura di “numero sconosciuto”. Quanta impazienza, e meno male che avevo detto che li avrei ricontattati io. Abbassò il volume della musica e rispose alla chiamata.
    -    Esci immediatamente dai miei server-

La voce dall'altra parte era molto diversa da quella con cui aveva dialogato la sera prima: maschile e profonda, limpida, non distorta da quel lieve riverbero metallico che gli aveva perforato i timpani durante tutta la chiamata. Qualcosa gli fece ugualmente capire che non centrava nulla con la persona messasi in contatto in precedenza.
Chiuse la telefonata nell'esatto momento in cui la porta dell'ingresso si spalancò e un frenetico scalpicciare lo fece voltare in direzione del corridoio.
Oh. Merda.
Affiancato da un paio di guardie in tenuta d'assalto, l'uomo entrò nella stanza mentre allontanava lo smartphone dall'orecchio e lo riponeva in tasca, mentre con la mano destra consegnava un piccolo laptop al ragazzino accanto a lui. Alto abbastanza da svettare sulla folla, vestito di nero come a volersi confondere con le ombre, gli occhi blu erano arpionati su di lui, attirati come due calamite su un gigantesco polo. Il volto contratto in una gelida smorfia contrastava in modo inquietante con quello del ragazzino che lo seguiva, con i suoi stessi occhi blu fattisi grandi alla vista degli schermi e delle torrette, come un bambino dentro un negozio di giocattoli.
    -    Yusaku Fujiki, giusto?- sibilò l'uomo, senza distogliere lo sguardo da lui per un secondo. Il ragazzo non lo vide mai sbattere le palpebre.
    -    Non credo di aver vinto una vacanza alle Barbados, vero?-
Fare lo spiritoso non gli riusciva granché bene.



****


    -    ...Stiamo scherzando?!-
Con gli occhi carichi di sgomento e, in un certo senso, rabbia, Yusei alzò il volume del televisore, continuando ad osservare le immagini al televisore quasi fosse di fronte ad un film dell'orrore: terribile, ma impossibile da non guardare. Seduto al tavolo della cucina a poca distanza da lui, Judai sembrava aver perso ogni traccia di sonno.
Le immagini del notiziario mostravano una grossa colonna di fumo alzarsi da un cantiere posto proprio sul ponte Daedalus. I titoli in sovrimpressione parlavano di danni per decine di migliaia di yen, feriti gravi e due morti: l'ordigno era esploso quella mattina, danneggiando gravemente due dei piloni del ponte e coinvolgendo i lavoratori nella deflagrazione, portando danni anche alla conduttura che, un tempo, faceva da scarico per i rifiuti di Nuova Domino. Il ponte Daedalus era stato reso inaccessibile per motivi di sicurezza.
Il Satellite era di nuovo escluso.
Era stato varato un programma di sostegno per la popolazione del Satellite: la cittadinanza aveva messo a disposizione numerosi elicotteri e aerei cargo per il trasporto di beni di prima necessità. Nessuno aveva idea di quanto quella situazione sarebbe durata: il ponte poteva essere reso accessibile il giorno dopo come settimane o mesi, se non addirittura anni. Era stato attivato un numero telefonico a cui inviare delle donazioni per finanziare il progetto di ristrutturazione del ponte Daedalus, e un altro contatto per chiunque volesse, in qualche modo, contribuire alle spese per le esequie delle vittime.
E dire che Yusei aveva sentito quella detonazione...era in moto con Aki, la stava riaccompagnando a casa dopo il bagno in spiaggia all'alba. Tremò al solo ricordo della gioia e serenità che lo aveva posseduto in quel momento, lontano da sguardi indiscreti e accompagnato solo da quella ragazza che stava, pian piano, diventando una presenza fissa nella sua testa.

Judai trasalì sulla sedia quando sentì il pugno di Yusei schiantarsi sul tavolo, e rabbrividì quando lo sentì imprecare furiosamente al telefono che squillava. Il giovane afferrò lo smartphone con un gesto che sottolineava tutto il suo nervosismo e se lo portò all'orecchio.
    -    Pronto?!...No Jack, che diavolo vuoi adesso?! Chi ti ha dato il mio numero?!...LUI?! Ma porcaputtana!-
Judai alzò lo sguardo e sbatté un paio di volte gli occhi, sorpreso da tutto quel nervosismo. Yusei era conosciuto proprio per l'eccezionale sangue freddo che sapeva mantenere nelle situazioni più tragiche e gravi: perfino nelle serate più affollate non perdeva un briciolo di quella sua compostezza che tanto lo caratterizzava, e tutti sapevano che le sue lavate di capo a Yuma e Yuya erano, per lo più, scenate gonfiate di proposito per riportarli velocemente all'ordine. Vederlo così adirato e roso dalla rabbia era un evento più unico che raro: far innervosire Yusei era davvero difficile, e Jack Atlas era il primo e unico in grado di vantare tale primato.
Era dalla sera prima che il capobar non aveva fatto altro che seguire, con lo sguardo, ogni singolo movimento dei suoi due “amici”, se così potevano ancora essere definiti. Li scrutava con sguardo indecifrabile, l'espressione tipica di chi voleva dire qualcosa ma si stava trattenendo per qualche motivo sconosciuto.
Judai conosceva la storia che legava Yusei Fudo a Jack Atlas e Crow Hogan; tutti, al Pharaoh's Kingdom, la conoscevano. E qualcosa gli diceva che anche Aki ne fosse ormai al corrente.
Vedere Yusei avere a che fare con il passato era un triste spettacolo.

    -    Beh, taglia corto allora, cosa diavolo vuoi?...Jack, ho già spiegato il perché del mio risentimento, non farmi ripetere le cose due volte!...Sì, ho visto il notiziario, brutto affare davvero. No, devo ancora sentire Martha, non ho idea-
Martha, l'unico essere umano che poteva permettersi di rifilare a Yusei una sana tirata di orecchie e vivere per raccontarlo in seguito. La donna che, per Yusei, era stata una madre e una confidente era rimasta al Satellite: il giovane la telefonava spesso, e andava a trovarla di persona almeno una volta al mese, favorito dal collegamento creato proprio da quello stesso ponte che era stato chiuso dalla sera alla mattina.
    -    E con que—no no, levatelo dalla testa! Non abbiamo spazio!-
Judai sbatté gli occhi castani incuriosito, posandoli sul suo amico e coinquilino: che stava succedendo tra quei due?!
    -    Non è affare mio! Hai soldi no?! Sei ricco...anzi no, siete ricchi abbastanza per sistemarvi nella suite imperiale di qualche hotel a cinque stelle nei dintorni! Potreste anche noleggiare un aereo per tornarvene al Satellite no?...NO NON SE NE PARLA NEANCHE! QUESTO è davvero TROP-- vecchia amicizia UN CAZZO!-

La chiamata si concluse con il sonoro schianto dello smartphone sul tavolo, e una rabbiosa bestemmia che fece tremare Judai da capo a piedi.
Yusei arrabbiato era davvero un pessimo spettacolo.
    -    ...Tutto bene?!- domandò poi il castano, la voce sottile quasi avesse paura di rivolgergli la parola. Yusei non si voltò.
  -    ...No- rispose poi, abbandonandosi ad un sospiro e tornando a fare zapping al televisore: neanche a dirlo, ogni notiziario riportava la stessa, tremenda notizia.
    -    Chi era al telefono? Jack?-
    -    E chi altri?! Atem gli ha dato il mio numero-
    -    A-Atem?! Ma perché?!-
    -    E che ne so?! Jack gliel'avrà chiesto e...aaah, che mi incazzo a fare?! In fondo non è da Atem farsi domande sul perché di certe cose. Gliel'avrà dato e basta-
    -    Cosa voleva Jack?-
    -    Beh, col ponte Daedalus chiuso non possono fare ritorno al Satellite, apparentemente. Il campionato motociclistico è momentaneamente sospeso, e né lui né Crow hanno un posto dove stare-
    -    E hanno chiesto a te? Cioè, a noi?!-
    -    A-ha. Non gli ho mentito, insomma Jud dove cavolo li mettiamo quei due? A malapena abbiamo spazio io e te qui dentro. Ma io so il vero motivo per cui Jack ci teneva a stare a stretto contatto con me e non intendo lasciarglielo fare-
    -    Non pensi sia un po' esagerato, ora? Ehi! Dove vai?-
    -    A fare qualche esercizio- Yusei spense il televisore e si alzò dal tavolo – Ho bisogno di sbollire, ma se mi metto sulla moto adesso non sono sicuro di ritornare. Non tutto intero almeno. Maledizione...una giornata iniziata così bene...-
    -    Non credi sia il caso di dormire?-
    -    Mi è passato il sonno-

Si dileguò prima di dargli possibilità di rispondere: Judai sentì la porta che conduceva al garage aprirsi e chiudersi di schianto, facendo dondolare il vecchio lampadario sospeso sul tavolo della cucina. Si passò una mano tra i folti capelli castani, confuso e pensieroso.
Mai Yusei era apparso così turbato come in quel momento: in meno di ventiquattro ore sembrava aver perso tutta la sua compostezza e il proverbiale sangue freddo. Conoscendo tutta la storia che c'era dietro, Judai si era sempre domandato come il ragazzo avesse potuto reagire, se messo di nuovo di fronte agli amici di una vita passata, e doveva ammettere che la risposta non gli piaceva neanche un po'. Tutto si aspettava fuorché quello.
Era pur vero che il risentimento di Yusei era fondato: dopo quasi sette anni di silenzio, in cui avevi letteralmente fatturato miliardi e avevi tagliato i ponti con tutte le tue vecchie amicizie in nome di fama, gloria e successo, non potevi farti avanti come se vi foste lasciati l'altro ieri e chiedere subito un favore, neanche di poco conto.
Si trattava di sostituire un pilota della squadra per una corsa che Yusei aveva definito suicida; tuttavia Judai aveva trovato quella definizione estremamente riduttiva, un eufemismo ridicolo, una volta conosciuta la vera natura di quella competizione.

Jack Atlas, Crow Hogan e il loro team competevano in quella categoria di motociclismo definita Endurance. Le competizioni di quel tipo si svolgevano sulla distanza di più ore e, a differenza delle normali competizioni su due ruote, la motocicletta era condivisa da più di un pilota. I team avevano a disposizione anche un secondo mezzo, con le stesse impostazioni del primo, da utilizzare in caso la prima moto avesse dei problemi di natura tecnica o elettronica o, più frequentemente, fosse coinvolta in qualche incidente.
Altra caratteristica che differenziava l'Endurance da tutte le altre categorie di motociclismo era anche il fatto che durante le gare avvenivano regolari soste ai box, per il rifornimento e il cambio degli pneumatici, oltre che dei piloti.
Suddiviso in più tappe e diversi circuiti, l'Endurance World Cup trovava la sua conclusione proprio nel Satellite. E lì stava il grosso problema.
Il Satellite non possedeva una vera e propria pista: l'isola stessa era la pista su cui si correva. Chilometri e chilometri di strade pubbliche, normalmente aperte alla circolazione, che si snodavano tra case, cantieri e costa, con il manto stradale ridotto a quello che era e nessuna protezione per i piloti in corsa. Settantasette chilometri da percorrere in piena velocità, con il contachilometri che sfiorava tassativamente i trecento all'ora, per dodici ore di corsa in cui i piloti si alternavano alla guida della loro moto.

Un suicidio collettivo. Il campionato precedente la Satellite Tourist Trophy aveva collezionato ben tre decessi in appena ventiquattro ore e tre categorie, eppure nessuno ne aveva fatto un dramma: le corse avevano proseguito normalmente, come se la morte di un  pilota in gara fosse un evento all'ordine del giorno. Nessuno sembrava mai farne troppo una tragedia ed era questa la cosa che metteva Judai in apprensione: quelle curve mietevano vittime annualmente, e prima che il Satellite venisse finalmente incluso tra i collegamenti di Nuova Domino chissà in quanti avevano perso la vita tra quei tornanti.
Chissà quante volte lo stesso Yusei aveva rischiato di venire inghiottito da quella scia di morti inutili, necessarie solo per alimentare spettacolo e turismo.
E Jack Atlas e Crow Hogan rischiavano annualmente la loro vita in quel dedalo di curve. E avevano proposto a Yusei di fare lo stesso. Solo per fare presenza avevano detto, perché avevano iniziato il campionato con tre piloti e dovevano concluderlo allo stesso modo, per scansare una penalizzazione che li avrebbe portati a vedersi sfumare la possibilità di giocarsela per il titolo.
Tuttavia, sembrava tutto davvero troppo rischioso.
E Judai avrebbe mentito, se avesse detto che non riteneva Yusei capace di svegliarsi un mattino, fare armi e bagagli e seguire i suoi ex compagni in quell'assurda avventura.

Conosceva bene il suo inquilino, compagno e collega, e sapeva che il legame che aveva con il Satellite era del tutto particolare. Yusei conosceva a menadito quelle stesse curve su cui, da sette anni, piloti di vari team e nazionalità si sfidavano annualmente: per lui erano la sua vera casa, il suo vero nido.
E Judai sapeva che il richiamo dei motori era davvero forte in lui. Lo sapeva, lo sentiva, lo percepiva in Yusei ogni volta che, insieme sulla moto, ruotava la manopola del gas e faceva balzare la Bimota nel traffico. Per quanto quel ragazzo potesse nasconderlo, il suo cuore si nutriva di quell'adrenalina, quell'eccitazione causata dall'improvvisa spinta del bicilindrico.
Doveva essere una sensazione davvero galvanizzante, a cui Yusei aveva provato a dare una spiegazione anni prima, durante una chiusura del locale: Judai l'aveva guardato stralunato quando l'aveva sentito affermare che fosse un po' come fare del sesso con una bella donna. Ci trovava una certa similitudine nel ricercare i tempi giusti, i momenti in cui poteva lasciarsela sfilare via e quelli in cui era necessario riprenderla con fermezza, quando accelerare, quando rallentare, e tutta quella naturalezza che la faceva dondolare con te fino all'apice. A sentirlo parlare in quel modo, Judai si era automaticamente convinto di un perverso lato nascosto del compagno; e il fatto che Yusei, qualche minuto dopo, fosse corso a vomitare in bagno anche l'anima, grazie all'intruglio alcolico rifilatogli da Yuma, non bastava per farlo desistere dalla sua idea.
L'amore che Yusei provava per i motori era paragonabile solo a quello che lo portava sempre ad osservare le stelle su di loro. E Judai sapeva, quasi temeva che si trattasse solo di questione di tempo, prima che il ragazzo indossasse una tuta integrale.

Quando scese in garage, il castano lo ritrovò sul tappetino in plastica, impegnato in fluide flessioni sulle braccia. Non aveva acceso la musica, forse per concentrarsi meglio: si alzava ed abbassava sulle braccia con ritmo regolare e costante, ma quando si rese conto della sua presenza lo chiamò a sé. Judai si avvicinò quasi timidamente, lo sguardo fisso sulla schiena tornita e i muscoli in tensione.
    -    Siediti- gli ordinò Yusei – Sopra di me- aggiunse poi-
    -    ...Eh?!-
    -    Ho detto...siediti su di me. Come hai fatto...l'altra volta-
    -    ...Okay-
Incapace di dire altro, il castano obbedì. Si accomodò sulla schiena del compagno con insolita delicatezza, appoggiandosi lievemente alle sue spalle. Yusei si voltò appena, osservandolo di traverso.
    -    Non ci siamo capiti- gli disse poi – Siediti davvero. A gambe...incrociate-
    -    Cos...oh-
Judai annuì e obbedì, sfilandosi gli infradito dai piedi e piegando le gambe sotto di sé. Vacillò per un attimo quando sentì Yusei abbassarsi sulle sue braccia, per poi risalire con un movimento fluido e lento.
    -    Posso guardare il cellulare?- gli chiese poi, incerto.
    -    ...Quello che vuoi basta che tu stia zitto-
Il castano annuì e non fiatò più.


_______________________________________________________________________________________

Ho pensato, visto che siamo tutti qui bloccati, perché non tenervi ancora un po' di compagnia?
Visto che la quarantena mi ha messo a disposizione un sacco di tempo libero, ho ripreso in mano questa storia e la sto continuando...insieme alle altre trecentomila cose che mi sono organizzata di fare per tenermi impegnata. Ecco qui un altro aggiornamento per tenervi compagnia! Con una new entry che, in passato, era stata molto richiesta...eccolo qui, Yusaku Fujiki in tutto il suo cibernetico e hackerante splendore!

Come state passando la quarantena? Avete di che tenervi impegnati? Mi raccomando, fate attenzione e limitate le uscite allo stretto necessario: prima usciamo tutti da questa situazione e meglio è! Anche per quelli come me che soffrono a stare chiusi in casa quando fuori ci sono queste belle giornate...ho bisogno di aria fresca, sole e cavalli, chi mi conosce sa xD

Ci sentiamo presto! Teniamoci compagnia in questi giorni così difficili!
92Rosaspina
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh / Vai alla pagina dell'autore: 92Rosaspina