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Autore: LysandraBlack    15/03/2020    2 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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CAPITOLO 27 
Beloved



 

Sollevò di nuovo il boccale, inclinandolo del tutto e trovandolo vuoto. Con un gesto stizzito, lo sgrullò facendo cadere le ultime gocce sulla barba sfatta, buttandolo sul tavolo in malo modo. Sollevò il braccio, richiamando l'attenzione del nano con un occhio solo dietro il bancone.

«Se mi vomiti per terra, ti sbatto a fare un bagno giù dal molo.» Ringhiò quello, uscendo comunque a versargli altra birra scura. Era di scarsa qualità, gli stava procurando un mal di testa allucinante ed era amara quanto la sua vita. “Spero più che altro di svenire, almeno avrei qualche ora di pace”.

Una luce penetrante illuminò improvvisamente l'angusto locale, entrando dalla porta aperta.

Si sfregò gli occhi arrossati con il dorso della mano, voltandosi dal lato opposto. «Cazzo, spegni quella roba, c'è qualcuno che sta cercando di sbronzarsi qui.»

«Non ho capito nulla nel tuo biascicare, Scheggia, ma direi che ti sei pianto addosso a sufficienza.»

Nascose il naso nel boccale di nuovo pieno. «Lasciami stare, sono appena arrivato.»

Ci fu un attimo di silenzio. «Sono quasi le tre del pomeriggio.»

«L'orario è solo una convenzione per organizzare i rapporti sociali, e dato che non sono interessato, posso ignorarne l'esistenza.»

Varric gli si avvicinò, arricciando il naso e fermandosi ad un paio di metri da lui. «È anche un modo per vedere quanto è passato dall'ultima volta che ti sei dato una lavata, puzzi come un mabari in salamoia.»

Garrett gli lanciò un'occhiataccia. Sollevò di poco il gomito, dando un'annusata all'ascella. L'odore acre gli fece strizzare le palpebre, ma scrollò le spalle come se nulla fosse. Bevve d'un fiato la metà della birra, ruttando sonoramente e trattenendosi dal rimettere tutti i liquidi che aveva nello stomaco.

«Garrett, per i dannatissimi Antenati e quel cerino di Andraste, non puoi continuare così.»

Fece per rispondergli, ma un nuovo conato gli mozzò le parole in gola. Si premette una mano sulla bocca, sollevando l'altra per fermare l'amico dal commentare. Deglutì un paio di volte, per poi bere qualche altro sorso per ricacciare giù la bile. «Devo dissentire.»

Varric sospirò profondamente. «D'accordo, le buone non funzionano.» Si voltò verso l'ingresso, sollevando la voce. «Junior!»

La porta si spalancò di nuovo, e la figura massiccia del fratello minore si stagliò sulla soglia. Fece una smorfia schifata quando il tanfo della lurida taverna gli entrò nelle narici, avanzando verso il fondo del locale. Lo guardò dall'alto in basso. «Sei patetico.»

«E tu sempre molto gentile.»

Senza nemmeno degnarsi di rispondergli, lo afferrò bruscamente, tirandolo su di peso con un grugnito di sforzo. «Appena sarai sobrio,» disse dopo aver storto il naso «questa me la paghi.»

Garrett voleva rispondergli a tono, ma l'unica cosa che gli uscì fu una via di mezzo tra un rutto, una risata e un gemito, accasciandosi contro di lui mentre la testa prendeva a girargli vorticosamente.

Confusamente, si ritrovò ad inciampare sull'acciottolato gelato del molo, il vento che soffiava impetuoso e la luce che gli feriva gli occhi. «È sempre così soleggiato qui?»

Carver borbottò una serie di ingiurie a denti stretti.

Faticosamente, un metro per volta, riuscirono ad arrivare all'Impiccato.

Norah, la cameriera, si parò loro davanti con le mani puntate sui fianchi. «Io a quello non gli servo altro, puzza come sterco in una distilleria.»

«Non preoccuparti, lo portiamo su da me e gli diamo una sistemata. In un paio d'ore sarà profumato come un baronetto orlesiano!» La rassicurò Varric, dando una mano come poteva a Carver per riuscire a trascinare Garrett sulla rampa di scale.

Lo adagiarono sul pavimento del bagno. Il vapore gli fece di nuovo girare la testa, e fu solo grazie ai riflessi pronti del fratello, che gli mise lesto un secchio tra le braccia, che non si vomitò addosso.

«Vai a chiamare quel mago, magari ha una soluzione più rapida per fargli passare la sbornia.»

«Prometti di non annegarlo nella vasca da bagno?» Scherzò Varric.

Carver annuì. «Solo per oggi.»

Un pensiero relativamente cosciente si fece strada nella sua testa. “Non voglio che Anders mi veda così.” Cercò di esprimerlo a parole, ma tutto quello che uscì fu altra birra mista a qualsiasi altra cosa si fosse bevuto in quei giorni.

«Creatore, dammi la forza.» Commentò schifato il fratello, allungandogli una pezza umida e ricordandogli tremendamente Marian.

L'idea che la sorella potesse venire a sapere in che stato si era ridotto lo fece ridere. Stavolta era stata lei a fallire, nessuno avrebbe potuto incolparlo, non avrebbe potuto farci nulla. La tanto perfetta Marian non era perfetta per un cazzo, aveva mandato tutto a puttane. E contro un mago, gran bella templare, sì. Una tenente modello.

Si sentì immediatamente male per averlo anche solo pensato, eppure una parte di lui godeva segretamente del fatto che quella volta era la sorella a doversi addossare il senso di colpa di non aver fatto abbastanza.

Un altro conato lo distolse da quelle cattiverie.

«Quanto cazzo hai bevuto?!» Lo insultò Carver, che nel frattempo stava trafficando con le leve che tiravano su l'acqua calda e fredda dalle cisterne al piano di sotto per riempire la vasca.

«Non abbastanza.»

«Potevi scegliere un modo più dignitoso di suicidarti. E meno lurido.»

Ridacchiò amaramente. «Ho pensato che non mi volessi a rubarti la scena coi tuoi nuovi amici.»

«Non potresti essere un Custode Grigio nemmeno se lo volessi.» Ribattè sprezzante l'altro, allungandogli una ciotola piena d'acqua per sciacquarsi la bocca.

La accettò di buon grado, sputando nel secchio maleodorante. «Forse hai ragione. Sono inutile.»

Il fratello non rispose, prendendogli il secchio di mano e andando a svuotarlo nella latrina. Quando sembrava che non avesse più nulla da rimettere, lo aiutò a svestirsi, sollevandolo di peso non senza ulteriori commenti disgustati e immergendolo nella vasca piena d'acqua.

«Non penso tu sia inutile.»

Sgranò gli occhi, voltandosi a guardarlo boccheggiando. Era forse una delle frasi più gentili che gli avesse mai rivolto.

«Ora arrangiati.» Tagliò corto Carver, per poi lanciargli due pezze e una saponetta e lasciarlo solo nella stanza.

Garrett appoggiò la testa sul bordo della vasca, lasciandosi sfuggire un gemito.

Lo svegliò un tocco fresco sulle tempie, mentre dita delicate gli districavano i capelli insaponati, massaggiandogli la cute in piccoli movimenti circolari.

Anders si immobilizzò, allontanando le mani. «Scusa, non volevo svegliarti.»

Tirò su col naso, in bocca un saporaccio amaro. «E io non volevo che mi vedessi così...»

Il guaritore gli versò un po' d'acqua sulla testa, passandogli le dita tra i capelli per sciacquarli dalla schiuma. «Ho affrontato di peggio.»

Non aveva il coraggio di guardarlo. L'aveva evitato per tutta la settimana, infognandosi nei postacci più luridi e malfamati che aveva trovato, cacciato da uno all'altro dopo aver provocato risse o essere svenuto al suolo nella sua stessa melma. Ad un certo punto si era bure beccato una secchiata d'acqua addosso da uno dei lavoratori del porto, che Garrett poteva giurare lavorasse per la sua compagnia di spedizioni, ma in quello stato l'uomo non l'aveva nemmeno riconosciuto. Per non parlare del fatto che non era nemmeno andato al funerale: si era fermato a metà strada, lo sguardo vacuo puntato sull'acciottolato innevato, e aveva girato i tacchi tornando in città bassa.

Ora la vergogna di tutto quanto gli stava gravando addosso come una rete di pesce marcio. Aveva pure lo stesso odore.

Anders rimase in silenzio, finendo di lavargli i capelli e intingendo una pezza di stoffa morbida in un po' d'acqua e sapone per poi passargliela sulle spalle e sulla schiena.

Si sentì arrossire. «Posso farlo da solo.» Bofonchiò.

L'altro accennò un sorriso. «Per una volta, posso prendermi io cura di te.» Rispose candidamente. Gli tastò un livido doloroso sullo zigomo, lanciando un piccolo incantesimo di guarigione sulla guancia. «Se non ti dà fastidio, ovviamente.»

Scosse il capo, ormai rosso fino alle orecchie. Chiuse gli occhi, lasciandolo fare, immergendosi nella sensazione delle mani dell'altro sulla sua pelle, del profumo di pulito che invadeva la stanza.



 

Il giorno dopo, era fermo nel vialetto di casa, cercando il coraggio di varcare la soglia.

Fece un respiro profondo, ricacciando indietro la voglia di tornare ad ubriacarsi o gettarsi a mare, o entrambe le cose, e aprì la porta.

Lumia, l'elfa minuta che li aiutava a tenere la casa, si affacciò dal salotto, un enorme cesto di frutta esotica tra le braccia. «Ah, Serah Hawke!» sbiancò, rischiando di farlo cadere e riacciuffandolo dal manico per un soffio. Lo appoggiò su un ripiano anch'esso strapieno di vasi di fiori, cesti di cibo e una grossa pila di lettere fermata da uno spago, chinando la testa al punto che i capelli le ricaddero sul volto, le orecchie appuntite che tendevano verso il basso. «Vi faccio le mie condoglianze, Serah, mi dispiace moltissimo.»

Il fratello, Seth, comparve dalla stanza accanto, salutandolo ossequiosamente. «Vostra madre mancherà a tutti noi, Serah. Se avete bisogno di qualsiasi cosa...»

«Grazie, a tutti e due.» Si sforzò di sorridere, quando l'unica cosa che voleva fare era dare loro una settimana di vacanza e dare fuoco all'intera casa, con tutti quei doni dentro. Ne afferrò uno a caso, un biglietto di condoglianze scritto in una calligrafia svolazzante. “I Selbrech. Mi chiedo se sappiano che è stata colpa loro se nostra madre ha incontrato quel maledetto bastardo.” Era un amico in comune, dopotutto, Leandra non aveva avuto motivo di diffidare dei suoi corteggiamenti. Nessuno sapeva che per anni sotto la maschera di Orlesiano in esilio si celava uno schifosissimo necromante, che aveva agito indisturbato uccidendo più di trenta persone per il suo folle piano.

«Incantamento?»

Si voltò verso Sandal, che lo guardava affranto. Chissà se capiva quello che era successo. «Se riuscissi a farne uno che rimetta le cose a posto, saresti più bravo del Creatore in persona.»

Il padre gli passò un braccio attorno alle spalle, conducendolo via. «Vieni, ragazzo mio, torniamo di là... Lasciamo un po' di spazio a Serah Hawke.»

Trovarono Varric nello studio, immerso nella lettura di alcune carte.

«Quando finisci quelle, giù di sotto ce n'è un altro pacco.»

Il nano sollevò lo sguardo, un piccolo oggetto di metallo tra le mani. «Dubito che qualsiasi scritto della carampana dietro la siepe sia interessante la metà di questo.» Gli sventolò una lettera sotto il naso, compiaciuto. «Il Carta ti ha confermato il suo supporto.»

Garrett lesse brevemente le poche righe, le frasi scarne e le lettere spigolose. Il Carta si impegnava a riallacciare i contatti con la Resistenza, fornendo mezzi, contatti e denaro per contrastare i templari nei Liberi Confini, a patto che lui raddoppiasse i loro carichi sulle sue navi.

“Se ci scotti un'altra volta, spilungone, sarai tu a rimetterci le chiappe. In modo permanente questa volta”, c'era scritto su una postilla in fondo alla lettera. Non aveva alcuna firma.

Varric gli mostrò soddisfatto un sigillo di ferro con l'effige dell'organizzazione criminale. «Come pegno della loro parola.»

Guardandolo meglio, si accorse del baffo scarlatto dipinto sopra di esso, simbolo della Resistenza.

«Lo appenderò in camera.» Scherzò debolmente, tuttavia era sollevato. Almeno quello era andato per il verso giusto. La sua vita era di nuovo andata in merda, ma avrebbe potuto ancora fare qualcosa di buono. Si rigirò il piccolo oggetto tra le dita, rimuginando e sedendosi sfinito accanto all'amico. «C'era tanta gente al suo funerale?» Sussurrò, la voce a malapena udibile.

Varric annuì, appoggiandogli una mano sulla spalla. «La Chiesa era piena zeppa di persone.»

«Non pensavo fosse così popolare.»

Il nano sospirò. «Non l'ho conosciuta abbastanza da dare un giudizio, Scheggia, ma la maggior parte di loro non erano lì per lei, né per le altre donne a cui è stato dato l'ultimo saluto. Sono venuti per voi. C'erano molti nobili, è vero, ma dai un'occhiata alle lettere al piano di sotto, troverai quasi tutti i tuoi impiegati del porto, quelli della miniera a cui hai salvato il culo innumerevoli volte, le ragazze della forneria, gli uomini di Aveline a cui offri sempre una birra dopo il loro turno. Persino le signorine della Rosa hanno mandato un grosso bouquet di fiori, per averle aiutate qualche mese fa a scacciare quella banda di coglioni che le stava minacciando. E altrettanti erano lì per tua sorella, gente che ha salvato o aiutato in questi anni, persone che sono rimaste colpite dal vostro coraggio ai Satinalia e dalle vostre azioni per tutta la città. Il Visconte era in prima fila, e persino il figlio Seamus era lì, nonostante si vociferi da un po' che non creda più nel Creatore, solo per il rispetto che portano alla vostra famiglia. Il Comandante Adrien ha passato la torcia a tuo fratello per accendere la pira funebre, e Meredith ha fatto lo stesso con Marian.»

Ascoltò sorpreso, stentando a credere di essere arrivato fin lì. Se pensava che solo quattro anni prima si era più o meno dovuto vendere in schiavitù per pagarsi l'ingresso in città e un pasto caldo al giorno per la sua famiglia... «Dovrei andare a trovare Marian.»

«Non si è fermata un attimo. Credo sia il suo modo per superare la cosa.»

Annuì. «Vado a cercarla.»

Rifiutò l'offerta di Varric di accompagnarlo.

Uscì di casa con una sensazione di sollievo, lo stare tra quelle mura gli toglieva il fiato come se fosse rinchiuso in una cella. Non aveva nemmeno percorso metà del tragitto fino alla Forca, che una mole di peso gli si gettò addosso guaendo, facendolo scivolare a terra. Si ritrovò Bu a leccargli la faccia, le grosse zampe della mabari, piene di fango, ad inzaccherargli la giacca pulita.

Abbracciò l'animale, stringendola a sé. «Ciao bella.»

Quella scodinzolò debolmente. Anche lei doveva essere triste. «Lo so, Bu, lo so.»

«Garrett.»

Alzò lo sguardo, trovando Aveline che accennava un sorriso verso di lui.

«Le mie condoglianze. Di nuovo.» Gli disse a disagio, tendendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi. «Leandra era una donna straordinaria, mancherà a tutti.»

Il sorriso che gli comparve sulle labbra fu facile da fingere. «No, non lo era.» Afferrò la sua mano, tirandosi in piedi e accarezzando Bu per un attimo. «Ma mi mancherà lo stesso.» Riportò lo sguardo sulla donna, che sembrava non sapere come reagire. «Grazie, Aveline. Per le belle parole, e per essere sempre stata vicino a Marian.»

«È mia amica, quasi di famiglia. Ci sarò sempre per lei. E per te, Garrett, se ne avessi bisogno.»

Annuì. «Sai dove...?»

«Se stai cercando tua sorella, è alla Chiesa. Ci passa tutto il suo tempo libero, anche se a dire la verità se ne concede molto poco in questi giorni.» Si battè una mano sulla coscia, richiamando l'attenzione della mabari, che drizzò le orecchie. «Vieni Bu, ti riporto a casa»

Seguì le indicazioni della donna, salendo i gradini che portavano alla Chiesa. I pesanti battenti decorati erano socchiusi, e scivolò all'interno senza quasi fare rumore. Il profumo di cera e incenso gli riempì le narici, mentre tra le navate echeggiavano le voci di un coro. Riconobbe alcuni versi, ma non era sicuro si trattasse del Cantico delle Esaltazioni o quello di Andraste.

Trovò la sorella affacciata da una delle balaustre, lo sguardo perso sui riflessi delle numerose candele scarlatte sulla statua dorata della Profetessa. Marian lo notò solo quando sentì i suoi passi rimbombare sul marmo, salutandolo con un cenno del capo.

Si appoggiò al corrimano accanto a lei, in silenzio, ascoltando le suppliche di Andraste al Creatore per concedere un'altra possibilità agli uomini. Gran bene che le aveva fatto, intercedere per loro.

La sentì tirare su col naso. Ebbe l'impulso di stringerle il braccio per confortarla, ma si bloccò a mezz'aria, afferrando invece il corrimano. Un odore strano gli pizzicava le narici, diverso dal solito sentore dolciastro della cera calda. «Marian...»

Si girò finalmente verso di lui. Aveva gli occhi lucidi e arrossati. «Avanti. Dillo. Senza fare troppi giri di parole, me lo merito.»

Rimase spiazzato, non sapendo bene cosa rispondere.

«Fallo.»

«Cosa stai-»

«È colpa mia.» Sputò fuori, serrando i pugni e abbassando lo sguardo. «Quei maledetti fiori. Se avessi passato più tempo a casa, se fossi andata a trovarvi più spesso, li avrei notati. Bodahn... mi ha detto che erano settimane che le mandava fiori bianchi, e io non-» un singhiozzo le troncò le parole in gola, mentre serrava la mascella e si sfregava gli occhi. «Avrei potuto impedirlo. Non faccio altro che pensarci, avrei potuto fare qualcosa.»

Garrett si immobilizzò sul posto. Non poteva dirle che non ci aveva pensato, che non l'avesse accusata di qualcosa, qualsiasi cosa pur di dare la colpa della morte della loro madre a qualcuno, rimuginando per ore su i “se” e sui “ma”.

«Per anni ti abbiamo trattato come se avessi ammazzato tu papà, e dopo Bethany...» tirò su violentemente col naso, coprendosi la bocca con una mano. «Creatore, ti ho detto cose terribili.»

Le prese una mano tra le sue, stringendola con forza. «Non importa. Ti sei già scusata. Non...»

Marian si divincolò dalla sua presa con uno strattone, spingendolo un passo indietro. «Dì qualcosa, cazzo! Urlami addosso, colpiscimi, incazzati! Almeno-»

Incrociò il suo sguardo, gli occhi blu più scuri dei propri, così simili a quelli di loro padre e di Carver, ora pieni di lacrime. Gli parve di vedervi un guizzo azzurro chiaro. Scosse la testa. «Non ce la faccio. Devo raccogliere le forze per alzarmi dal letto alla mattina e non andare ad affogarmi in un barile, non ne ho abbastanza per arrabbiarmi con te o con chiunque altro. Sono solo...» Si sforzò di dare un nome a quel senso di vuoto, quel silenzio orrendo che lo attanagliava e rischiava di trascinarlo giù ogni volta che si lasciava andare al dolore. Portò lo sguardo sulla torcia accanto a loro, la fiamma che baluginava arzilla. «Siamo rimasti solo noi tre. Non ce la faccio.»

«Se solo avessi trascorso più tempo a casa-»

«Avrei potuto anch'io tenerla d'occhio, andare a conoscere il fantomatico spasimante, fare qualche domanda. Ma ero troppo preso dalla mia vita e dal mio lavoro, e così anche tu. Non ha senso continuare a rinfacciarci tutto quello che avremmo potuto o dovuto fare.»

Marian estrasse dalla tasca un fazzoletto di stoffa, asciugandosi il volto e soffiandosi poi rumorosamente il naso. «Avrei preferito mi prendessi a pugni, e invece proprio ora mi diventi ragionevole.»

Si indicò lo zigomo, dove ancora spiccava un alone bluastro. «Ho già provato, credimi, non aiuta.»

Gli rivolse un sorriso triste. «E io avrei potuto dirti di evitare di affogarti in un barile, ma non me la sono sentita di dare lezioni di vita.» Vide la mano della sorella scivolare istintivamente sulla sacchetta di pelle che portava legata alla cintura. Improvvisamente, realizzò cos'era quello strano odore che le aleggiava attorno, quella luce sinistra negli occhi.

«Marian... hai aumentato le dosi di lyrium?» Le chiese a bruciapelo.

La sorella si irrigidì immediatamente, ritirando la mano e riportandola sulla balaustra, sfuggendo al suo sguardo inquisitorio. «Sono affari dell'Ordine, lo sai.»

«So anche che non dovresti puzzare in questo modo.»

La vide mordersi il labbro inferiore, alla ricerca di qualche scusa. «Tutti i Templari stanno aumentando le solite dosi, la Comandante-»

«Non posso credere che Meredith voglia spingervi tutti verso la fossa!»

«Non dire scemenze. Ci tiene ai suoi uomini.» Lo zittì lei con un sibilo. «Ma stiamo perdendo, Garrett. Quel necromante ne è la prova, ci sono maghi del sangue, assassini, traditori e fottuti stronzi dietro ogni angolo.» Sembrava volesse aggiungere qualcos'altro, aprì la bocca per parlare ma la richiuse dopo un attimo, serrando le palpebre. «Sto solo cercando di fare del mio meglio, ma sembra non sia mai abbastanza. Ne ho bisogno.»

Non era abituato a vederla così fragile. Le posò una mano sul polso, stringendo delicatamente. «Scusami. È che sono solo preoccupato per te.»

«E credi che io non lo sia? Lo sento, ogni volta che ne bevo un sorso, e ho visto come si riducono i miei colleghi più anziani. Cazzo, alcuni non sono anziani per niente.» Sospirò profondamente, ricacciandosi dietro un orecchio una ciocca di capelli castani che le era scivolata sul volto. «Un giorno mi sveglierò senza avere nemmeno idea di chi io sia. È inevitabile, a meno che qualcuno non mi ammazzi prima, quindi voglio lasciare qualcosa di buono prima di dimenticarmi il motivo per cui ho intrapreso questa strada.»

«Perché vuoi sempre addossarti il peso del mondo?»

Marian si lasciò sfuggire una risatina. «Sai, se me l'avessi chiesto qualche anno fa non mi sarei sorpresa affatto, ma ora... non è quello che stai facendo anche tu?»

«Io non mi sto dimezzando l'aspettativa di vita solo per immolarmi alla causa.» Rispose sulla difensiva, distogliendo lo sguardo e puntandolo sull'altare sotto di loro.

«Eppure, rischi tutti i giorni di essere ucciso, o peggio ancora di cadere preda di qualche demone o catturato dai Templari.» Abbassò ulteriormente la voce, per non farsi sentire da nessun altro. «Per combattere per qualcosa in cui credi, no?»

«È diverso. Io tra vent'anni potrei avere la gran botta di culo di essere ancora vivo, e tu a stento ti ricorderai chi sono.»

«Promettimi una cosa, allora.» Si voltò verso di lui, poggiando la schiena contro il parapetto, i riflessi dorati sulla grande statua ad incorniciarle la figura e metterle in ombra il viso. «Se dovessi dimenticarmi chi sono, e perché ho scelto di essere un Templare... Uccidimi.»

Rimase a fissarla, basito. «Ma sei scema?!» Esclamò, afferrandola per le spalle, l'eco di una richiesta simile, giù nelle gallerie persi chissà dove sottoterra, ancora impresso a fuoco nella mente. «Come ti viene in mente di chiedermi una cosa del genere?!»

Marian sostenne il suo sguardo, impassibile. «So benissimo cosa ti sto chiedendo. Ma lo faccio perché di te mi fido. Sei l'unica persona di cui mi fidi abbastanza per farlo.»

Scosse la testa. «È il lyrium che ti ha dato alla testa, stai straparlando.»

«Garrett...»

«No, “Garrett” un cazzo!» Sbottò, alzando la voce e facendo voltare parecchie teste nella loro direzione. Non se ne curò minimamente. «Perché in famiglia volete sempre che sia io ad uccidervi? Cosa sono, la vostra via di fuga?! Che cazzo di richiesta è ad un fratello, ti sembra normale?! Prima Carver, ora tu. No, scordatevelo, me ne tiro fuori. Mi rifiuto.»

Il cipiglio di Marian gli ricordò con una fitta al petto quello del padre, quando da bambini si lanciavano in qualche capriccio. «Non ti sto chiedendo di farlo adesso, scemo. Ma non voglio essere usata per compiere atti di cui nel pieno delle mie facoltà mentali non approverei mai. Preferisco morire mentre sono ancora me stessa. Carver è un Custode Grigio, credi che non voglia lo stesso?»

Al pensiero che li avrebbe inevitabilmente persi entrambi, un giorno, dovette mordersi l'interno della guancia per contenersi. Non voleva restare solo.

La sorella sembrò leggergli nel pensiero. «Hei, non ce ne andiamo domani. Con la sfiga che hai, ti starò col fiato sul collo ancora per parecchi anni, e Carver continuerà a ricordarti di quanto sei un grandissimo scansafatiche ubriacone, mentre sarà preso a salvare il mondo.»

Gli sfuggì una risatina, che si interruppe in un singhiozzo. «Sono pur sempre la pecora nera di questa famiglia, devo darvi qualcosa di cui lamentarvi.»

Marian sollevò una mano a scompigliargli i capelli, come faceva da bambina per dargli fastidio. «Andiamo, ti offro da bere. Se hai ancora un fegato.»

Lo stomaco di Garrett si risvegliò con un gorgoglio nauseato che echeggiò per la navata.

Lei scoppiò a ridere, mentre scendevano le scale della Chiesa diretti all'uscita. «Una bella tisana calda, mezza calzetta che non sei altro.»



 

Si ritrovarono all'Impiccato, ordinando con grande stupore e disappunto di Norah due teiere bollenti e sistemandosi in un angolo del locale, il cicaleccio vivace e l'odore di fumo, di alcol e della zuppa del giorno che riempivano l'aria.

Carver, che si trovava lì con due dei suoi compagni Custodi, li salutò con un cenno della mano. Rivolse qualche parola sottovoce al nano dai folti baffi rossi al suo fianco, che scoppiò in una fragorosa risata che quasi lo fece cadere all'indietro dalla sedia, e si congedò da gruppo venendo verso di loro.

«Cos'è quella, e cosa ne avete fatto dei miei fratelli?» Li prese in giro, accomodandosi al tavolo ed indicando la teiera.

«Sai, è un'invenzione straordinaria, si chiama “acqua calda”.» Rispose prontamente Garrett. «Praticamente, prendi questa sostanza liquida, assolutamente insapore, e la piazzi sul fuoco. Ha un sacco di usi, pure.»

Carver sbuffò divertito. «E questo l'hai scoperto giusto ieri nella vasca da bagno, immagino.»

«Spero proprio che questa roba abbia un sapore migliore.»

«Sarai il primo a testarlo, in ogni caso.» Decise Marian, versandogli della brodaglia nel boccale.

L'odore amaro che ne sprigionò gli fece storcere il naso. «Non sembra salutare.»

«Tarassaco. La migliore medicina dopo una sbronza.»

«A parte il prenderne subito un'altra.» Commentò Carver scuotendo il capo, ma porgendo il boccale vuoto alla sorella.

«E io che pensavo stessi facendo l'eroe in giro, invece te ne torni con questa saggezza da marinaio.»

«Penso di reggere molto più di te ormai.»

«Non ci contare, ho un sacco di allenamento.»

Carver gli lanciò un sorrisetto di sfida. «Eppure sono dovuto andare io a recuperarti ieri, non il contrario.» Sorseggiò la sua tisana, esibendosi in una serie di espressioni disgustate.

Garrett si sentì punto nell'orgoglio. «Non hai idea di quanto-»

«Dopo la birra speciale di Oghren, credimi, nulla reggerebbe il confronto.» Lo interruppe l'altro con l'aria di chi ha vissuto una serie di terribili peripezie, indicando il nano con cui stava cenando prima.

«Tsk, credi di essere l'unico ad aver provato i loro intrugli?» Gonfiò il petto, ricordandosi del distillato verdognolo di Stök Cadash, che gli aveva dato fuoco alle budella.

«Per le chiappe di Andraste, perché con voi deve sempre essere una competizione?!» Li zittì Marian, agitando minacciosamente il boccale e versando un po' di tisana bollente sul tavolo.

«Solo perché non puoi competere.» Ribattè Carver, impassibile.

Garrett sogghignò. «Non ci conterei, probabilmente Meredith prima di andare a letto mischia il lyrium al gaatlok qunari, solo per rilassarsi un po' e fare dei bei sogni.»

La sorella finse di pensarci su un attimo. «Più che altro, è Cullen che se lo infila nel culo ogni mattina, assieme a tutte le scope della Forca.»

Garrett scoppiò a ridere, bevendo un po' di quella robaccia. «Questo spiegherebbe un sacco di cose.»

«Persino Loghain è più rilassato di lui, e credetemi, vuol dire tanto.»

«A proposito, com'è combattere al fianco di uno degli uomini più discussi di tutto il Ferelden?» Gli chiese Marian, sorseggiando come se niente fosse la sua tisana.

Carver si grattò la barba corta che si stava facendo crescere. «Non saprei. Insomma, non siamo mai tornati nel Ferelden, quindi non so come stiano lì le cose, con Re Alistair e tutto, però nei Liberi Confini a stento sanno chi sia. Ad Orlais, però...» Ridacchiò da solo, prendendo un altro sorso. «Una volta ha pensato bene di guardare il Duca Prosper de Monfort dritto negli occhi e proclamare davanti ad una folla di nobili che un mabari ben addestrato un qualsiasi Fereldiano in grado di reggere una spada avrebbe fatto a fettine sottili “quella sua lucertola troppo cresciuta”, come ha chiamato la viverna da compagnia del Duca. Certo, uscito dalla bocca di qualcuno che ha affrontato un Arcidemone in prima linea, il Duca non ha potuto obiettare. E penso che il Comandante abbia rischiato di strozzarsi col vino pur di non scoppiargli a ridere in faccia.»

Gli altri due si ritrovarono a ridere con lui, immaginandosi la scena.

«Sembra una compagnia interessante.»

Carver annuì. «Mi trovo bene. Sembra assurdo, ma credo di aver trovato la mia strada.»

«Ne sono contento. Davvero. Nonostante tutto.»

Marian gli rifilò un'occhiata ammonitrice. «Quello che vogliamo dire, è che siamo fieri di te.»

Il fratello minore sbuffò, alzando platealmente gli occhi al cielo. «Non me ne può fregar di meno.»

«Anche Merrill sono sicuro che sia esaltatissima all'idea di avere un eroe nel suo letto.»

«Garrett!» Urlò l'altro, arrossendo di colpo e tirandogli un pugno sulla spalla, facendogli pure male. «Ahio!»

«Smettila di farti i cazzi altrui!»

«Ah, quindi stiamo parlando di cazzi? Davvero? E io che pensavo fossi un tipo a posto.»

«I grandi eroi dovrebbero prendersi più cura della purezza delle fanciulle che li bramano...» Gli diede man forte Marian.

Circondato, Carver si nascose dietro la sua tisana. «Siete due cretini. E comunque non è successo nulla, ovviamente, non dopo-» si interruppe, l'umore di tutti e tre che sprofondava improvvisamente.

«A nostra madre.» Ruppe il silenzio teso Marian, sollevando il boccale in aria.

«Sì, a nostra madre.» Ripetè Garrett, colpendolo con il proprio.

«Sarebbe contenta di vederci tutti e tre qui così.» Sussurrò Carver, unendosi a loro.

Bevvero qualche sorso, ormai arrivando al fondo pieno di erbe residue.

«Parlando di purezza...» Cambiò rapidamente discorso Garrett, lanciando un'occhiata divertita verso la sorella. «Quel bel principe non si è ancora tolto Andraste dalle mutande?»

«Cosa?»

«Ah, Carver, ti sei perso delle belle mentre eri impegnato a salvare il mondo.»

«Garrett, ti avverto.»

«Abbiamo trovato qualcuno in grado di resistere al fascino di nostra sorella, per anni oltretutto!»

«Non fare il cretino-»

«È il partito perfetto, il nostro caro Principe di Starkhaven: bello, aitante, ottimo arciere, un accento esotico e magnetici occhi color del cielo. Noioso come la vecchia Miriam, bisogna ammetterlo, ma nessuno è perfetto, no?»

Carver lo guardava attento, ridacchiando alle spese della sorella. «E come mai non si è ancora buttato ai tuoi piedi? Ha saltato la sponda come lui?» Chiese sardonico, indicando Garrett con un cenno del capo.

«Ah-ah, che ridere. No, comunque, si dia il caso che sia più grave dell'avere un po' di competizione in più. È un devoto Fratello della Chiesa.»

Il fratello minore sputò quello che restava della tisana sulla tavola. «Cosa?!» Scoppiò a ridere a crepapelle, mentre Marian si esibiva in un'espressione offesa.

«Coraggio, vedrai che gli saranno venute le palle così blu che è solo questione di tempo.» Cercò di consolarla Garrett.

Carver dovette riprendere fiato. «Sì, è proprio il tempo che sarà un problema una volta che si decideranno dopo anni di castit-» Venne interrotto da un lancio molto preciso di Marian, che lo colpì sulla zucca con il proprio boccale rovesciando per terra l'intruglio erboso.

«Guai a voi se ne fate parola!» Li sgridò entrambi, ma Garrett poteva giurare che stava cercando anche lei di non ridere, solo per principio. «E comunque siamo solo amici, siete voi che non pensate altro che al sesso.»

«Detto da quella che è finita a letto con la sua migliore amica...»

L'esclamazione di orrore misto a morbosa curiosità di Carver venne soffocato dal gemito di dolore di Garrett, colpito da uno scappellotto di Marian.

«Da che pulpito!»

«Anche tu?!» Sgranò gli occhi Carver, scioccato.

«Speri che voglia fare la tripletta, fratellino?»

«Merrill non ne sarebbe contenta...»

«O forse sì...»

«Lasciala fuori da questo discorso, pervertita!»

Garrett finì la sua tisana mentre i due continuavano a bisticciare, guardandoli di sottecchi e non potendo fare a meno di sorridere.

Erano insieme, per il momento, e tanto bastava.























Note dell'Autrice: l'alcolizzarsi sembra essere la prima risposta a tutti i problemi degli Hawke. Mi è piaciuto far interagire a cuore aperto i tre fratelli (persino quell'acidone di Carver), credo abbia fatto loro un gran bene ritrovare un po' quell'unità che avevano perso e prendersi un momento di pace per ricordare chi non c'è più e chi c'è ancora. 
Alla prossima! :) 

  
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