Qualcuno ricorderà (te)
«Sono passati duemilacentoventinove anni da quando è morto Tolomeo» disse. «Aveva quattordici anni. Da allora sono sorti e caduti otto imperi mondiali, e io ancora porto la sua faccia. E tu dici che sono fortunato?»
Kitty non rispose. Dopo un lungo silenzio, chiese: «Perché lo fai? Prendere le sue sembianze, voglio dire».
«Perché l’ho promesso a me stesso. Lo mostro per com’era. Prima che cambiasse».
Kitty non rispose. Dopo un lungo silenzio, chiese: «Perché lo fai? Prendere le sue sembianze, voglio dire».
«Perché l’ho promesso a me stesso. Lo mostro per com’era. Prima che cambiasse».
Il primo mago che mi convocò dopo Tolomeo era un romano. Ovviamente. La cosa in sé era abbastanza prevedibile: Roma era in rapidissima ascesa, tutti i maghi con un briciolo di ambizione e potere si stavano radunando lì, cercando di entrare nelle grazie di qualche magistrato o, se ne avevano l’inclinazione, diventare loro stessi magistrati.
Non tirai in lungo quell’incarico; non volevo restare a Roma un minuto più del necessario, volevo solo tornare a casa, dove quantomeno sarei stato libero di ricordare Tolomeo nel vortice infinito dell’Altro Luogo. A lui sarebbe piaciuto.
Naturalmente, dopo quella prima convocazione a Roma ce ne fu una seconda, e una terza, e di nessuna mi ricordo i particolari. Non ero interessato. Roma era caotica e puzzolente come qualunque altra città e ne avevo già abbastanza. Mi mancava il deserto, il sole accecante e il blu limpido del cielo che ti faceva lacrimare gli occhi, il vento secco che mi portava in alto quando da falco volavo lontano…
Il gatto si stiracchiò, senza staccare gli occhi dal suo obiettivo, un tizio ossessionato dall’agricoltura. Sì, insomma, era un magistrato di qualche tipo che stava tentando di migliorare le condizioni di vita per tutti, quindi ovviamente un soggetto pericoloso. Non ero molto interessato alla faccenda: che lo ammazzassero e la facessero finita.[1]
Il gatto è sempre stato una delle forme migliori per compiti di spionaggio nelle città: è versatile, e nessuno ci fa troppo caso. A Roma, poi, i gatti affollano ogni via e ogni foro.
Zampettai dietro la mia preda, la quale sembrava fin troppo spensierata per un uomo che va in giro a fare discorsi pericolosi in Senato.[2]
Le strade erano affollate, come al solito, e brulicavano di bambini e ragazzini che giocavano, si rincorrevano, allungavano le mani. Nessuno badava molto a loro.
Esitai. In fondo, che male c’era? Un ragazzino è pur sempre un ragazzino, ovunque sia. Chiunque sia. Sarebbe stata una forma come le altre, ma… be’. Era l’unica cosa che potevo fare, dopotutto: portare con me la sua immagine, luminosa e giovane come ricordavo lui.
Alle calcagna del tribuno ora non c’era più un gatto, ma un bambino dalla pelle scura, vestito semplicemente, con grandi occhi neri. Incrociò per un attimo il proprio sguardo riflesso in una pozzanghera e, in fretta, distolse gli occhi.