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Autore: Sheep01    15/03/2020    2 recensioni
[IT, Fix-It fic]
Aveva fatto i conti con la possibilità che avrebbe potuto restare intrappolato in quelle fogne per sempre. Il suo corpo, le sue ossa, a sgretolarsi nel ventre di Derry. Per sempre.
Ma non era stata Beverly a metterli al corrente che chi moriva a Derry era destinato a non morire mai veramente? Doveva essere vero perché, in qualche universo alternativo a quello, nessun Eddie avrebbe mai potuto sopravvivere a una ferita del genere...
Eppure... eppure...
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 10

 

«Non male per essere la prima cosa che scrivi in totale autonomia.»

Richie non riuscì a non riservare al suo manager uno sguardo scettico. Seduti in soggiorno, durante una delle più miti giornate invernali di sempre. Piuttosto in contrasto con l'umor nero di Richie che non faceva che sbuffare e sperare in una catastrofe o una buona notizia per scuoterlo a dovere.

«Non male significa che funziona o non male significa: bel tentativo, Tozier, ritenta e sarai più fortunato?»

Neil si strinse nelle spalle, recuperando il suo smartphone per rispondere rapidamente a un messaggio.

«Sono il tuo agente, non un autore.»

«Mi domando perché diavolo te l'abbia fatto leggere», Richie attirò di nuovo a sé il portatile che custodiva tutto il materiale che era riuscito a partorire in quasi due mesi di lavoro costante e ispirato.

Aveva cominciato a lavorarci durante la sua convivenza con Eddie ed era riuscito a dare un'accelerata consistente, quando Eddie era tornato a New York. Un modo come un altro per tenere impegnata la mente. Non aveva mai realizzato un lavoro tanto intimo e personale. Qualcosa che sperava di vendere a qualche emittente televisiva. Nonostante amasse lavorare a teatro, aveva capito di aver necessità di fermarsi un po', di dare una parvenza di normalità a quella sua vita sempre in movimento.

«Possiamo prendere appuntamento con qualche produttore per discutere di questa tua nuova idea.»

«Ma se hai appena detto... ?»

«Ho detto che sono il tuo agente. Il tuo agente che si preoccupa di farti continuare a lavorare.»

Richie scosse la testa, alzando gli occhi al cielo.

Neil era stato la sua ancora di salvezza in diverse occasioni e si era sempre preoccupato di fargli ottenere quello che desiderava. Nonostante la brusca frenata durante il periodo in cui era fuggito a Derry, praticamente senza dare spiegazioni, Neil era riuscito a risollevare la sua carriera con un paio di agganci piuttosto sorprendenti. E a farlo rinascere, in maniera del tutto nuova e inaspettata, il giorno in cui Richie aveva deciso di gridare al mondo il suo sporco, piccolo segreto.

Non si sarebbe sorpreso, dunque, se anche questa volta sarebbe riuscito a fargli ottenere ciò che più gli premeva, per avere una sorta di stabilità, emotiva e casalinga.

Richie non faceva che proiettare la sua vita nel futuro in quei giorni di forzata solitudine. Cercando di restare coi piedi per terra, per quanto possibile. Al giorno in cui Eddie, finalmente, sarebbe ritornato a Los Angeles. E che forse, si sarebbe definitivamente stabilito da lui.

Le cose però non erano andate esattamente come si erano augurati. Come prevedibile, Myra non aveva reagito in modo pacifico alla confessione di Eddie. E la questione del divorzio aveva preso una nuova, inaspettata, complicata piega.

Le due settimane che si erano interiormente augurati erano diventate quasi un mese. Eddie, ingabbiato fra avvocati e questioni burocratiche difficilmente risolvibili in poco tempo, e Richie, chiuso in casa a scrivere, soffrire di solitudine e stordirsi, le sere insonni, con serie tv di ogni tipo.

Per questo ora la necessità di tenersi occupato in altro modo, a convincere Neil a prendere appuntamenti su appuntamenti, riunioni con produttori e registi.

«Inoltre dobbiamo cominciare a discutere quella tua intervista in tv della prossima settimana. Dobbiamo concordare le domande... e le tue eventuali risposte.»

«Oh, Dio... me ne ero completamente dimenticato.»

«A che servo io, altrimenti?» gli rispose, lo sguardo serio, freddo e pratico, affondato nei messaggi del suo cellulare.

«Vorranno affrontare la questione della tua nuova... fiamma. Fin'ora ci siamo limitati a un no comment, come intendi continuare?»

Richie si passò una mano fra i capelli, prima di recuperare la tazza di caffè, che aveva lasciato raffreddarsi sul tavolo del suo soggiorno.

«È una questione di cui preferirei parlare quando avrò chiara la situazione.»

Neil rialzò lo sguardo, inarcando un sopracciglio. Sorprendentemente posò il cellulare e intrecciò le mani sul tavolo, con aria fin troppo professionale.

«Non posso aiutarti se non mi spieghi com'è, questa situazione.»

Richie sollevò lo sguardo con aria colpevole. Non aveva parlato apertamente a Neil di quello che era successo con Eddie, nonostante fosse impossibile che non avesse capito che poteva essere lui, il vero motivo di tutta quella segretezza. Si erano conosciuti il giorno in cui aveva deciso di portarlo a Los Angeles e aveva saputo che lo avrebbe ospitato fino a data da definirsi. Che erano scappati ad Atlanta e poi... e poi le misteriose fotografie.

«Che cosa vuoi che ti dica, Neil... ?»

«La verità? Sono quindici anni che ci conosciamo. So di te più di quanto abbia mai saputo la tua... terapista...»

Richie sapeva che era vero. Neil era stato il primo e forse l'unico (a parte i suoi amanti occasionali) ad aver saputo, prima del resto del mondo delle sue tendenze sessuali. Lo aveva tirato fuori da situazioni al limite dell'imbarazzante, aveva risolto casini che, da solo, Richie non sarebbe mai stato in grado di affrontare. Era rimasto con lui durante gli anni più difficili della sua carriera, quando non riusciva nemmeno a gestire i suoi soldi o la vita sregolata dell'ambiente e ora si trovava nell'imbarazzante situazione di essere tenuto all'oscuro di una delle cose più importanti che gli fossero capitate nell'ultimo ventennio.

Il problema era che la questione non riguardava soltanto lui, ma anche e sopratutto Eddie. Eddie che stava affrontando, ora, un complicato divorzio, Eddie che ancora non era pronto ad affrontare con il mondo la sua relazione con Richie.

«È complicato.»

«Tu sei complicato, Richard.»

«Su questo puoi metterci la firma», finse di scrivere il suo nome nell'aria, prima di tornare vagamente serio, «è che non sono sicuro che lui sia pronto ad affrontare tutto quanto. A livello pubblico. E per pubblico intendo tutto il baraccone che sta dietro a questo circo che è il mondo dello spettacolo. Non che io sia una celebrità come... Tom fottuto Cruise o Leonardo vattelapesca DiCaprio ma il livello di stress che potrebbe affrontare da una cosa del genere mi mette ansia comunque. Penso che per adesso sia meglio essere discreti. Il più discreti possibile.»

Neil annuì.

«D'accordo», fece schioccare la lingua con un gesto del tutto comprensivo, «evitiamo domande sulla tua vita sentimentale, allora. Se mai dovessero incastrarci con qualche tranello, vedremo come uscirne senza fare il nome di Eddie.»

Richie ebbe un mezzo sussulto. Nonostante avesse ipotizzato che Neil avesse compreso, sentirglielo dire ebbe comunque il suo sporco effetto.

Lo guardò rimettersi in piedi e recuperare il suo cellulare con noncuranza, come se quel segreto fosse solo una questione pratica.

«Le battute casalinghe sono un po' deboli, a proposito. Rivedrei le ultime cartelle, prima di presentare il progetto a un produttore. Per il resto, credo sia uno dei lavori più divertenti e commoventi che tu abbia mai scritto, Richie.»

Alzò lo sguardo, sorpreso e anche preso un po' alla sprovvista con quel commento.

«Pensavo fossi il mio agente, non un autore.»

«Sono anche un tuo fan.»

Neil sapeva sempre come risollevargli il morale.

 

***

 

Richie si aggrappò al lavandino, all'ennesimo, sconfinato conato di vomito.

Aveva esagerato enormemente anche la sera precedente. La sua camera d'albergo era un disastro e a giudicare da come il contenuto delle sue valige era stato rovesciato un po' ovunque, nella sua stanza, il tizio che si era portato a letto la sera prima non era esattamente lo stinco di santo che gli aveva fatto credere. Era quasi certo che se avesse controllato dentro il suo portafoglio non ci avrebbe trovato niente di più che qualche centesimo.

Niente di nuovo nella strabiliante vita di Richie Tozier. Serate in giro per gli Stati Uniti, per il comico emergente più sboccato dell'ultimo decennio, party successivi fra lo scatenato e il delirante, in un eccesso di alcool e droghe di ogni tipo, sesso occasionale con uomini di cui faticava a ricordare il nome.

Di persone che sembrano volersi approfittare della sua neonata popolarità ne aveva incontrati, uomini che non sapevano chi fosse ma avevano una buona idea del suo guadagno, anche. Ladri però... era forse la prima volta che si trovava a dover far fronte a un'emergenza simile.

Ma non aveva nemmeno la forza di andare a controllare.

Si guardò allo specchio ritrovando il volto di qualcuno che, in quel momento lo disgustava enormemente, perciò si lasciò scivolare a terra, vinto dalla nausea e da un'emicrania da primato e recuperò il suo cellulare di seconda mano. Lo usava solo ed esclusivamente per chiamare Neil, il suo nuovo manager. Voleva essere sicuro di non perdersi un solo appuntamento e, considerata la frequenza con cui molta altra gente gli telefonava sul cellulare pubblico, era la soluzione più sensata che entrambi avevano trovato per evitare spiacevoli dimenticanze.

Compose il suo numero senza starci troppo a pensare e sospirò di sollievo, quando, con l'efficienza che lo contraddistingueva, Neil rispose.

«Richard? Hai idea di che ore sono?»

«Non lo so. È buio. Mezzanotte?»

«Sono le tre del mattino», seguì un inquietante attimo di silenzio, «sei ubriaco?»

«Mh. Non al momento. Ma non mi sento molto bene. In più... credo mi abbiano appena derubato.»

«Cristo santo, Richie! Dove sei?»

«In camera mia... a pochi passi da te.»

«Aspettami lì, arrivo.»

Richie impiegò qualche istante per trascinarsi sul pavimento e raggiungere la porta della sua stanza. Si preoccupò di aprirla appena, prima di accasciarsi nuovamente contro la parete, la testa che pulsava dolorosamente.

«Richie?» la voce di Neil, la porta che si apriva e i suoi occhi che lo individuavano nella semi oscurità. Quando l'uomo accese la luce, Richie si trovò a schermarsi come un vampiro alla luce del sole. Uno spettacolo piuttosto patetico, dato che se ne stava seduto, mezzo nudo, sul pavimento di un hotel qualsiasi.

«Mio Dio, ma che diavolo è successo qui dentro?» Neil sembrava aver notato il macello fatto di bagordi. Anche se Richie era piuttosto sicuro di non aver scaraventato in giro tutto quanto per il puro gusto di farlo, per quanto piuttosto brillo.

«Mi piacerebbe ricordarlo...» gracchiò per un istante, socchiudendo le palpebre, «potresti, per favore, spegnere la luce?»

«Certo, certo...» si era abbassato e lo aveva prontamente aiutato a rimettersi in piedi e farlo sedere sul letto, «chi ti ha derubato?»

«Non lo so. Cioè credo mi abbia derubato, controlla un po' se c'è ancora il mio portafoglio...»

Neil si allontanò giusto il tempo di dare una sbirciata in giro e Richie si abbandonò sul materasso, la testa che girava e girava.

«Il tuo portafoglio è qui, mancano carta di credito e... non so, avevi dei contati?»

«Più o meno duecento dollari. No, forse meno... ma insomma...»

«Okay. Chi è questo tizio? Almeno ti ricordi come si chiama?»

«Uhm... Albert? No, Andrew. Non lo so. Non me ne fregava un cazzo di come si chiamasse.»

«Ottimo», lo sentì sospirare ma Richie non si preoccupò di come potesse venir giudicato. La sua preoccupazione maggiore al momento era uscire da quell'impasse alcolica.

«Ce l'hai un'aspirina?»

«No. Ma chiedo alla reception. Intanto dobbiamo capire come bloccare la tua carta di credito.»

«Ci pensi tu, vero?»

«Hai altre opzioni?»

«Sei il mio angelo.»

«Sono il tuo agente, non il tuo angelo, non la tua babysitter. Dovremmo mettere in chiaro questa cosa, un giorno o l'altro.»

Richie sbuffò qualcosa infastidito, cercando di rimettersi seduto.

«Che stai facendo?» gli domandò Neil, vendendolo allungarsi verso il telefono sul comodino.

«Cerco di chiamare la reception per avere una cazzo di aspirina.»

«Ho detto che lo faccio io.»

«Hai detto anche che non sei la mia baby sitter.»

Neil sbuffò e gli diede una manata alla spalla per rimetterlo a posto. Operazione che ebbe davvero successo solo perché Richie, grande e grosso come era non riusciva a mantenersi eretto.

«Resta qui, torno subito.»

Lo vide sparire per qualche istante e fu certo di essere lì lì per addormentarsi quando sentì di nuovo l'uomo al suo fianco, un bicchiere d'acqua fra le mani e l'aspirina nell'altra.

«Ce la fai a prenderla?»

Richie buttò giù quello che gli veniva porto senza farsi mezza domanda. Erano solo due anni che Neil era il suo manager ma gli avrebbe affidato la sua incolumità, senza farsi alcuna domanda a riguardo.

«Grazie...» gli disse, ributtandosi sul letto, un peso sullo stomaco, la testa che ancora pulsava di alcool e malessere. Un groppo in gola che non riusciva ad espellere.

«Adesso riposa, scendo di nuovo. Devo capire come fare una denuncia alla polizia senza far sapere a chicchessia che il tizio che ti ha derubato è lo stesso che ti sei portato a letto. Perché te lo sei portato a letto, giusto?»

Richie riaprì un occhio, cominciando a realizzare proprio in quel momento, il disastro che avrebbe potuto nascere da quell'incresciosa situazione. Un vago senso di umiliazione a macerarlo, lì nel profondo dello stomaco, lo costrinse comunque ad annuire.

«Neil, io non posso permettere che sappiano che...»

«Non ti preoccupare. Ne usciremo, in qualche modo.»

Il modo in cui lo aveva detto, il calore con cui si era preoccupato di farglielo capire, gli fecero improvvisamente pensare che tutto sarebbe andato esattamente come Neil diceva. E le lacrime, quelle vere, quelle bloccate nella gola, cominciarono a scendere copiose, una dopo l'altra.

«Richard...»

«Non chiamarmi Richard per l'amor del cielo, sembri mia madre quando mi rimproverava da ragazzino...»

«Come ti pare...»

lo sentì alzarsi e gli bloccò un polso con la mano, a trattenerlo per un ultimo istante. Incerto di averlo offeso o meno.

«Mi dispiace. So che sei il mio agente, ma sei anche... un amico.»

Neil gli lanciò uno sguardo valutativo.

«Ne sono lusingato. Dio solo sa di quanto tu abbia bisogno di amici, in questo momento...»

Richie fece una smorfia.

«Sono sicuro di averne avuti. Tanto tempo fa.»

Sprazzi di ricordi che di tanto in tanto tornavano a risvegliargli la memoria. Sopratutto quando si sentiva solo. Una mesta rassegnazione e una profonda malinconia che il suo inconscio si compiaceva di stuzzicare. Ne aveva avuti, ne era certo, eppure non riusciva a ricordare i loro nomi, né i loro volti. Sentiva, incessante, il bisogno di parlare con qualcuno che potesse comprenderlo, profondamente, ma nessuno mai era mai riuscito a colmare quel vuoto che sapeva di avere una soluzione, da qualche parte, in quel vasto mondo.

«Cerca di riposare. Io provo a sistemare questo guaio.»

Il ringraziamento se ne rimase intrappolato fra le sue labbra, mentre la stanchezza prendeva il sopravvento.

 

***

 

Le luci di Natale avevano invaso Los Angeles. Nello specifico Pasadena. Sebbene Richie avesse sempre cercato di far credere, a chi non lo conosceva bene, che fosse di Beverly Hills o qualcosa di altrettanto chic, in realtà i suoi compensi da comico non arrivavano a tanto e Pasadena era, in ogni caso, un posto che riusciva a coprire tutte le sue esigenze, senza rischiare di farlo finire sul lastrico per via di affitti inconcepibili. A misura più umana e rilassante. Persino Eddie, che inizialmente era convinto di dover affrontare una stile di vita fatto di ville con piscina e strade silenziose e piene di videocamere, si era dovuto ricredere. Si era rilassato immediatamente a come in realtà la vita di Richie fosse piuttosto banale e ordinaria, da un certo punto di vista.

Il clima natalizio però non aiutava Richie in quella particolare fase della sua esistenza. Non aiutava la sua pseudo depressione, la sua forzata solitudine. Si era chiesto più volte che razza di vita avesse vissuto, fino a qualche settimana prima. Probabilmente infelice e grigia, probabilmente solo molto più impegnata e vuota dal punto di vista emotivo.

Natale in ogni caso non era una festa che amava festeggiare. Nemmeno se richiamato alle armi dai suoi genitori che ancora vivevano nel New England; lontano da Derry, ma sempre troppo vicino a un posto che preferiva evitare per un bel po'. Aveva già fatto sapere loro che avrebbe avuto degli impegni per Natale e comunque: come avrebbe anche solo potuto pensare di allontanarsi se ogni giorno sperava nella telefonata di Eddie che gli annunciava la data del suo ritorno?

Ogni volta che il suo telefono squillava, a dire il vero, sperava fosse Eddie. Ma spesso e volentieri erano impegni che non faceva che declinare.

In quel preciso momento il suo impegno telefonico si chiamava Beverly Marsh.

Stava fissando una vetrina particolarmente zuccherosa e carica di quel melenso spirito natalizio che Richie tanto denigrava, quando si trovò quasi a far cadere il cellulare, per la foga di rispondere.

«Pronto!», disse, dopo averlo recuperato in corner, a seguito di un paio di rimbalzi piuttosto comici, sul palmo della sua mano.

«Richie, tesoro... ?»

«Bev! Luce dei miei occhi.»

«Tutto bene? Ho sentito un certo rumore, prima...»

«Tutto perfettamente nella norma. Stavo imparando il nuovo numero da circo per il mio prossimo spettacolo...»

«Scusa?»

«Niente. Non ci fare caso. Sono in giro a fare shopping.»

«Uuuuh, hai deciso di dare una spolverata al tuo armadio di camice hawaiane tutte uguali?»

«Signorina Marsh il solo fatto che lavori nella moda, non le da certo il diritto di giudicare il mio guardaroba. Dovrebbe riconoscere una sfumatura turchese da una carta di zucchero...»

La sentì ridere e si trovò a fare altrettanto, come non faceva da giorni. Come se ne avesse perso la capacità. Doveva decisamente fare qualcosa per tirarsi su di morale. Entrò in un Café, deciso a stordirsi di zuccheri.

«Che buone novelle porti, oh mia dolce Beverly?»

«Nessuna in particolare, volevo solo sapere come te la passavi.»

Richie si prese un istante per ordinare un frappè al cioccolato da portar via e una ciambella vegana come solo a Los Angeles potevi trovarne in grosse quantità.

«Alla grande. Mi abbuffo per non pensare al fatto che ho deciso di smettere di fumare.»

«Stai scherzando, Richie?»

«Nope, my darling. Questo ragazzo ha deciso di darsi una regolata. Niente più fumo attivo a riempire i polmoni, che ci pensi lo smog!»

Pagò il cassiere, lasciandogli una cospicua mancia per impedirgli di chiedergli un autografo. Di certo lo aveva riconosciuto, perché era arrossito in modo del tutto inadeguato alla situazione. Richie non si reputava certo un qualunque sex symbol da passione istantanea.

«Non è vero! È merito di Eddie, vero? Non è possibile che tu abbia deciso di smettere di tua iniziativa.»

«Dio, Bev, non sono uno zerbino di siffatta natura!» prese un sorso del suo frappè e si sentì subito un po' meglio. O forse era solo avere a che fare con Beverly a farlo sentire meglio, «Sì, d'accordo, forse è colpa di quel nano schiavista.»

«Aw, cosa non si fa per amore.»
«Piantala.»

«Dai, Richie, è una cosa carina, un sacrificio davvero lodevole.»

«Dillo al cadavere del mio manager che giace sul pavimento del mio salotto. Non sono avvezzo a fare a meno della nicotina...»

«Ancora tanto nervoso?»

«Non ne hai idea. L'altro giorno quasi lanciavo una pianta dalla finestra perché ancora non faceva fiori, e poi ho scoperto che era finta.»

«Che idiota...» la sentì ridere di nuovo, «sei sicuro che sia il momento giusto per smettere di fumare? Mi sembri già piuttosto stressato di tuo. Notizie di Eddie?»

Non aveva davvero tutti i torti, ma l'idea di sorprendere Eddie al suo ritorno con uno stile di vita non certo sanissimo ma più tollerabile, era una cosa che aveva deciso nell'esatto momento in cui lo aveva visto partire; non avrebbe certo smesso ora per poi dover ricominciare tutto da capo.

«Non esattamente. È molto... uhm, impegnato.»

Beverly sospirò dall'altro capo della cornetta.

«E tu, Rich, tu sei impegnato?»

«In questo momento a farmi fuori un frappè al cioccolato. Stasera credo ordinerò una pizza e poi...»

«Richie...»

Si fermò di fronte all'ennesima vetrina addobbata a festa, ad osservare il suo patetico riflesso dal vetro. Si sentiva uno sciocco a mentire a se stesso e agli altri su quanto fosse... stupidamente triste.

«Cosa... ?», sospirò, sapendo che Beverly non gli avrebbe permesso di tergiversare ancora per molto, «Non sono esattamente impegnato. Ho un paio di interviste la prossima settimana. E sto cercando di piazzare uno show nuovo per la tv. Probabilmente sarò molto impegnato a breve. Magari dopo Natale, a questo punto.»

«Perché non vieni da noi? Ben ed io saremmo molto felici di averti qui per qualche giorno.»

«Nel Nebraska?» lo disse con aria più sorpresa che schifata, ma Beverly lo rimproverò comunque.

L'invito aveva stuzzicato la mente di Richie più di quanto si fosse concesso di fare fino a quel momento. L'idea di andarsene per qualche giorno, raggiungere amici che lo avrebbero fatto sentire amato, al sicuro e meno solo. Che forse gli avrebbero fatto dimenticare il Natale imminente e tutte le paranoie amplificate dal quel clima d'amore forzato e portato all'ennesima potenza, quando lui si sentiva così frustrato all'idea che qualcuno avesse costretto Eddie a restarsene a New York tanto a lungo.

«Anche volendo non potrei. Sto aspettando che...»

«Eddie torni a Los Angeles.»

Richie annuì ben consapevole di non essere visto, ma conscio che Beverly avesse ugualmente compreso, dal suo silenzio, la sua risposta.

«E poi non credo di essere pronto a vivere qualche giorno con la coppia perfetta per antonomasia. Un colpo al cuore non indifferente per un comico appena passabile.»

«Oh, Richie... potremmo sempre fare un threesome, sono sicuro che, se lisciato a dovere, Ben potrebbe accettare...»

«Ah non tentarmi, Bev.»

Sulle retrovie, da qualche parte, dalla cornetta di Beverly gridò: accettare cosa?

«Manda a Covone tutto il mio amore. Un bacio con la lingua. Ma digli di non preoccuparsi, è comunque troppo etero per i miei gusti.»

Beverly rise di nuovo.

«Tesoro, sappi che siamo qui, per qualsiasi cosa tu abbia bisogno, d'accordo?»

«Lo so. E chi si libera più di voi, ormai?»

«Cretino. Saluta Eddie da parte nostra. E chissà mai che un giorno non giri a noi l'idea di passarvi a trovare.»

«Questa sì che sarebbe un vero evento. Recuperiamo Bill e Mike, ovunque egli sia in questo momento, e organizziamo una reunion di quelle epiche stile Guns n' Roses! Ogni forma d'intrattenimento prevista, tranne i clown. Quelli preferirei evitarli per il resto della mia vita.»

«Beep-beep, Richie.»

«Già, ma per il resto, tutto sarà concesso», smorzò i toni, prendendo un altro sorso di frappé, «è stato bello risentirti Bev.»

«Anche per me, tesoro. Ci sentiamo presto e cerca di non impazzire...»

«Ah, per quello è già tardi. A presto.»

La sentì riagganciare e fece altrettanto. Ancora fermo di fronte a quell'insulsa vetrina che vendeva capi d'abbigliamento sportivo.

Era uscito per fare shopping e nemmeno ricordava più perché. La telefonata di Beverly lo aveva piacevolmente destabilizzato e solo in quel momento decise che se tanto valeva aspettare il Natale, lo avrebbe fatto, cominciando a cercare un regalo per Eddie.

Entrò in quel dannato negozio sportivo e gli dei tutti gli sarebbero stati testimoni se non fosse uscito con i pantaloncini da corsa più aderenti e vistosi che avrebbe trovato.

 

***

 

«Questo è per te...» Richie aveva allungato a Eddie un pacchetto tenuto insieme da pagine di giornale e spago. Un disastroso tentativo di pacchetto regalo. Ma Richie era certo di averci messo tutto l'impegno possibile. Era stato così incredibilmente elettrizzato all'idea di aver trovato il regalo giusto per Eddie da non aver pensato di acquistare anche una carta regalo che potesse fare al caso suo. Ma dopotutto, chi ce li aveva i soldi anche per la carta regalo? Era già tanto fosse riuscito a farsi fare uno sconto dal commesso che era rimasto impressionato dal suo racconto, del perché avesse deciso di fare quel particolare regalo. Il suo potere di persuasione non era poi così malaccio, dopotutto.

Lui e Eddie erano seduti sulle panchine, sul retro del cortile scolastico, quella mattina. Gli ultimi giorni di scuola, prima delle vacanze natalizie. Avevano dodici anni e nessuna preoccupazione al mondo.

«E questo cosa sarebbe?» Eddie sembrava sinceramente sorpreso e altrettanto sospetto sulla natura di quel gesto. Aspettava che l'inganno balzasse fuori all'improvviso, magari proprio fuori da quel pacchetto dall'aria disordinata.

«Un regalo? Forse ti sei scordato di farti il promemoria, Spaghetti, ma fra due settimane è Natale.»

«Oh...» Eddie guardò il pacchetto e poi di nuovo Richie, «giuro che se questo è uno scherzo...»

«Ma perché reagite tutti nella stessa maniera? Per una volta tanto che voglio fare qualcosa di carino per i miei amici!»

Eddie si strinse nelle spalle e recuperò il pacchetto, rigirandoselo fra le mani.

«Posso aprirlo?»

«No. Devi conservarlo così, fino a che non avrai quarant'anni», stronfiò Richie, «certo che devi aprirlo, testa di cavolo.»

«Sì, ma stai calmo...» gli lanciò uno sguardo in tralice, prima di cercare di sciogliere il nodo dello spago con cautela. E poi di scartare il resto, con una lentezza tale che Richie, nonostante l'eccitazione del momento, si appiattì sulla panchina e cominciò a russare sonoramente per fargli capire quanto la cosa fosse frustrante.

«Piantala Richie! Se non lo avessi stretto con tanta forza lo avrei già aperto!»

«Dovresti strappare la carta, non emulare nove settimane e mezzo!»

«Non lo hai nemmeno visto, quel film.»

«Non puoi saperlo...»

Eddie scosse la testa e cominciò a strappare davvero, forse per placare uno degli scatti d'ira che solo Richie era in grado di provocargli.

L'istante successivo si trovò a fissare un paio di paraorecchie color rosso fuoco. Li tirò fuori dal pacchetto, osservandoli con seria curiosità.

«Allora, Eds? Sono di tuo gusto?» saltò su Richie, ora decisamente più elettrizzato dallo scoprire la reazione dell'amico, «un regalo che nemmeno mamma Kappa potrà disapprovare, non credi?»

Eddie fissava il regalo e Richie alternativamente, apparentemente a corto di parole. Ancora incredulo, forse, non si trattasse di uno stupido scherzo.

«Magari con questi ti permetterà di uscire più spesso con noi, durante le vacanze.»

«Io non so cosa...»

«Cosa?»

«Non so cosa dire.»

«Grazie? Di solito si dice grazie, credevo te lo avessero insegnato.»

Richie cominciò a perdere un po' della sua baldanza. La reazione dell'amico non era esattamente quella che si era augurato. Troppo tiepida, troppo cauta e quieta. Non che si aspettasse gli saltasse al collo (anche se una parte microscopica e inconscia del suo cervello, forse si augurava davvero sarebbe andata così), ma che quantomeno reagisse con gratitudine, sì.

«Se non ti piacciono posso sempre andare a restituirli...» fece per allungare una mano e riprendersi il regalo, così come glielo aveva porto con entusiasmo solo pochi attimi prima.

«No!» esclamò allora Eddie, ritraendosi, tenendoseli stretti come fossero la cosa più preziosa che avesse, «sono miei...»

Lo guardò estenderli e solo dopo un istante, indossarli così come si presupponeva facesse.

Sembrava un elfo di babbo Natale. Quel suo giubbotto verde scuro e il cappello di lana, bianco crema, ora aveva anche i paraorecchie a tema. Richie si astenne dal commentare però: sapeva, per una volta tanto, che sarebbe stato decisamente troppo stupido interrompere un momento simile con la sua boccaccia. E poi lo trovava davvero carino. Più del solito, comunque.

«Mi piacciono un sacco, Richie» lo vide sorridere e il suo mondo esplose. L'entusiasmo ripagato.

«Bene! Anche perché ho fatto fuori tutta la mia paghetta!»

«Ah, cavolo Richie, io però non ti ho preso nulla...»

«Non importa... non mi aspettavo un regalo.»

Eddie si sfilò la sciarpa che lo ingolfava come un pinguino e si tirò su, fin sotto al mento, la zip del giubbotto che in ogni caso lo riparava a sufficienza dal freddo.

La sciarpa finì in un nano secondo attorno al collo di Richie, che invece sembrava essersi dimenticato fosse pieno inverno. La giacca semiaperta e il vento a scompigliargli i capelli.

«Che fai?», gli domandò un po' confuso. Il calore improvviso che lo investì non del tutto causato dalla lana attorno al collo.

«Te la regalo. Così siamo pari. E magari eviti di prenderti un malanno.»

«Ouch... ma non ne ho bisogno, io. Sono sano come un pesce persico!», però non se la sfilò quella sua sciarpa. Si rese conto che profumava di Eddie, «tua madre ti ucciderà appena scoprirà che me l'hai regalata.»

«Non mi ucciderà, perché non glielo dirò», fece Eddie con ovvietà, e per un istante parve a Richie quasi imbarazzato per ragioni a lui del tutto oscure, «non è la prima volta che qualcuno mi ruba qualcosa a scuola: i guanti, l'ombrello... di sciarpe ne ho a bizzeffe a casa, non sarà un problema.»

«Insomma il tuo regalo è un riciclo», palesò Richie, con aria di annoiato scherno.

«Se fai così me la riprendo e vaffanculo.»

«Aw, no, ormai mi ci sono abituato, ha lo stesso odoraccio del tuo fiato puzzolente.»

«Richie!» Eddie gli fu addosso, cercando di riprendersi la sciarpa. Finirono a beccarsi per un minuto buono finché non finirono, senza fiato, a causa del movimento e delle risate incontrollate.

«Buon Natale, Eddie Spaghetti» si risolse a dire Richie, una volta recuperato un po' di fiato.

«Buon Natale, Boccaccia.»

 

***

 

La sera porta consiglio, dicono. Ma a Richie portava più paranoie che altro. Seduto di nuovo, da solo, su quel divano che ora gli sembrava troppo grande senza Eddie, a guardare un programma televisivo che, se fossero stati insieme, Richie si sarebbe divertito a interrompere di continuo per stizzirlo.

A volte gli sembrava di essere tornato al periodo che gli piaceva definire AntiEddie, come se il giorno in cui era approdato a Los Angeles fosse stato il giorno X da cui aveva ripreso il conteggio della sua nuova esistenza.

Al periodo in cui si interrogava su cosa stesse facendo Eddie, tornato a New York dopo il ricovero a Derry. Come stesse vivendo la sua vita. Come avesse organizzato la sua esistenza, per riprendersi da un simile trauma. Quando pensava a Eddie, confinato in un appartamento a New York, asfissiato dalle amorevoli cure e dell'ingombrante presenza (di nome e di fatto) di sua moglie Myra. Una donna che gli aveva vissuto accanto più a lungo di quanto a lui fosse mai stato concesso. Che aveva il diritto di amarlo in qualsiasi modo possibile, come mai a Richie, credeva, gli sarebbe mai stato permesso di fare.

Sapeva di non doverla odiare. Di non avere alcun diritto di odiare una persona che a malapena conosceva e che si era sempre presa cura di Eddie. E che probabilmente Eddie, in qualche bislacco modo, amava. Così come aveva amato sua madre (si possono non amare le madri per quanto ce la mettano tutta a rovinarti la vita?). Ma non riusciva a pensare a Myra e non provare un prepotente senso di indignazione, frustrazione e malessere, come se in lei si concentrasse tutto ciò che lui, come uomo, non avrebbe potuto sperare di avere mai.

Ora che invece Eddie era suo, suo per davvero, era ancora Myra a frustrare e allontanare la conquista definitiva di quella felicità che aveva rincorso, più o meno inconsciamente, per tutta la sua vita.

Eddie era sempre irraggiungibile su quel dannato telefono, e quando finalmente riusciva a stabilire un contatto, era talmente stanco fisicamente e mentalmente che le loro conversazioni si limitavano a qualche inutile aggiornamento sulle loro giornate, prima che Eddie lo pregasse, più o meno velatamente, di potersene andare a dormire e poter scacciare un'imminente mal di testa, gastrite o qualsiasi malanno del tutto giustificato, dal clima e dallo stress.

Per quello Richie si era impedito di telefonargli nelle ultime ore. Sempre attento a lasciargli un messaggio incoraggiante. Messaggi ai quali, di regola, Eddie rispondeva prontamente, ma non quella sera.

Richie si trovò ad osservare di nuovo il suo telefono. Nessuna notifica a parte un messaggio di un paio di conoscenti che lo invitavano a uno stupido aperitivo, la sera seguente.

A Richie non fregava un cazzo degli apertivi, anche se avrebbe volentieri affogato tutta la sua frustrazione in una bottiglia di Bourbon. O un'intera stecca di sigarette.

Fu all'ennesima televendita idiota e l'ennesimo sguardo vano al cellulare che si mise in piedi, andando davvero a cercare qualcosa in cucina che frenasse, in qualche modo, quella delirante voglia di fumare.

E trovò la risposta in una bottiglia di whisky ancora intatta, nascosta sotto al lavandino.

La osservò a lungo, ripercorrendo mentalmente tutte le volte che aveva fatto uso di alcool per stordirsi e non pensare e a quanto si sentisse da schifo, il giorno seguente.

I ricordi della sua gioventù, della necessità di tramortire il senso della realtà per non realizzare quanto odiasse la sua esistenza al di fuori della sua carriera. Il senso di colpa ad abbatterlo ancora più del necessario.

Ma ora non era felice? Si era considerato felice nelle ultime settimane, sapeva di essere stato finalmente felice. Un sopravvissuto, in tutti i sensi, che aveva stabilito un equilibrio nella sua esistenza e aveva ritrovato qualcuno, a parte se stesso, per cui valesse davvero viverla appieno quella sua vita.

Che fine avevano fatto tutte le sue buone intenzioni? Eddie era riuscito a renderlo migliore. Eddie e i suoi ritrovati amici lo avevano spinto a capire quanto potesse essere migliore. Stan persino, con quella sua lettera, lo aveva spronato a farlo. E allora da dove nasceva quello stupido, frustrante, inadeguato, ingrato senso di abbandono? Sapeva che si trattava di una situazione temporanea, sapeva che nonostante gli inconvenienti degli ultimi giorni la situazione prima o poi si sarebbe risolta. Preoccuparsi era nella sua natura più di quanto avesse mai realizzato. Un buono spunto di discussione, la prossima volta che sarebbe finito seduto sul divano della sua terapista.

Ricacciò sotto al lavandino quella bottiglia che sapeva di dannazione e inspirò a fondo, focalizzando sulla situazione.

Eddie non rispondeva al telefono perché era un periodo difficile e complesso.

Lui si sentiva solo perché ripercorreva tristemente gli anni più bui della sua vita, prima del ritorno a Derry.

Aveva appena smesso di fumare.

E apparentemente il lavoro aveva subito una frenata, che invece avrebbe dovuto considerare come una meritata vacanza.

I suoi amici comunque erano là fuori, pronti ad ascoltarlo e ad accoglierlo a braccia aperte.

Un'eventualità confortante.

Riaprì gli occhi e annuì a se stesso.

Andò in camera, recuperò una maglia sgualcita, la stessa che Eddie usava per le sue sessioni di jogging mattutino, infilò un paio di bermuda estivi a basso costo, un paio di scarpe da ginnastica del tutto inadeguate, il suo ipod datato e pieno di canzoni d'annata e decise di uscire a correre.

Non avrebbe certo permesso che a ucciderlo fosse la tristezza.

Ci avrebbe pensato la buona salute.

Quando Eddie sarebbe tornato, avrebbe stentato a riconoscerlo.

 

Una settimana dopo, Richie era riuscito ad arrivare a un quarto d'ora buono di corsa ininterrotta, senza rantolare come una medusa sciolta al sole. I suoi progressi erano più che lodevoli, considerato il fatto che l'unica attività fisica che si era concesso negli ultimi mesi era la ginnastica da letto.

Era piuttosto orgoglioso dei risultati. Tanto da averlo spinto persino a parlarne in un paio di interviste televisive alle quali si era sottoposto i giorni precedenti. Non sarebbero andate in onda che dopo Natale perciò era piuttosto certo che, in ogni caso, la sorpresa per Eddie sarebbe stata comunque tenuta al caldo.

L'aveva messa sul ridere, come suo solito, ma la verità era che aveva preso la questione molto più seriamente di quanto avesse preventivato.

Il suo obiettivo era quello di arrivare a correre per almeno un'ora, senza fermarsi. Cosa che, per il momento, gli sembrava una chimera.

Andava a correre la sera principalmente, prima di cena, al tramonto, quando le vie di Pasadena erano più quiete, quando la gente rientrava dalle faccende pomeridiane per tornare a casa, per prepararsi ai bagordi serali. E in ogni caso, momento della giornata preferito a parte, per quanto ligio al dovere, Richie non era ancora pronto a sacrificare le sue ore di sonno mattutino per diventare un cazzo di maniaco della corsa.

Le strade erano addobbate a festa, ma nel tentativo di non sprecare fiato, era concentrato su quello più di quanto non si sfiancasse ad ignorarle.

Mancava meno di una settimana a Natale e Eddie ancora non era certo di poter tornare.

Aveva valutato l'ipotesi di essere lui a muoversi per raggiungerlo a New York, ma si era frenato dal proporglielo per non sembrare ancora tanto disperato. E dopotutto non era sicuro fosse una buona idea farsi vedere assieme in una città a Eddie tanto familiare.

Perciò correva, lavorava e si teneva impegnato con cose che di regola erano ben oltre la sua consueta routine. Chiamando persino i suoi genitori di tanto in tanto, oltre che i suoi amici lontani, e forzandosi di uscire per una cena o un aperitivo con alcuni amici dell'ambiente dello spettacolo che non erano poi tanto malaccio.

Era sul punto di decidersi a fare una pausa per prendere un sorso d'acqua quando il suo cellulare prese a vibrare.

Accese il bluetooth e si fermò accanto a un palo della luce, con la scusa di fare stretching.

«Neil...» rispose, la voce affettata dal fiatone.

«Oddio, non dirmi che stai continuando con quella tua follia del jogging.»

«Invero, mio caro, sono nel bel mezzo di un baccanale... perciò muoviti a dirmi quello che vuoi dirmi così torno a farmi quel tizio con l'uva nei capelli.»

«Spiritoso...» lo sentì stronfiare e sorrise di rimando, stirando il muscolo di una gamba all'indietro, aggrappandosi alla sua scarpa «Sarò rapido. Netflix sembra piuttosto interessata a sviluppare uno speciale con il materiale che gli abbiamo mandato la scorsa settimana...»

Richie quasi cadde a terra per la sorpresa.

«Scusa, come?» si aggrappò al palo come fosse l'unica cosa a mantenerlo stabile.

«Netlix ha mostrato interesse nella sceneggiatura che gli abbiamo inviato la scorsa settimana», ripeté Neil con pazienza, ben consapevole di quello che doveva aver scatenato quell'informazione nella mente di Richie.

«Non ci credo! Non eravamo nemmeno sicuri fosse materiale per quella piattaforma!»

«E invece... Ho fissato un appuntamento con la produzione lunedì prossimo.»

«Lunedì prossimo è il 23 dicembre.»

«E quindi? Credevo non ti importasse nulla del Natale.»

«In effetti... no, non mi importa nulla. Cazzo, sì! Ah, Netflix!»

Richie non si sentiva tanto euforico da... nemmeno ricordava più quanto. O almeno, sì, lo ricordava, ma niente che lo riportasse indietro meno di tre o quattro settimane.

«Segnatelo. Non ho intenzione di mandarti un memo ogni giorno da qui a lunedì prossimo.»
«Non c'è rischio me lo dimentichi, Neil. Netflix! Ho un abbonamento lo sai? Quello a quattro schermi. Pensi che me lo abbuonino nel caso dovessero produrre il mio show?»

«Certo, come no. Ora torna pure al tuo baccanale in tutina sportiva.»

«Neil...», lo frenò prima che riattaccasse, «lo sai che sei il mio angelo, vero?»

«Sono il tuo manager.»

«Yup... metto in agenda di non ringraziarti più.»

«Bravo.»

Richie riattaccò di nuovo, riprendendo a camminare verso casa, assolutamente dimentico che fosse uscito principalmente per fare esercizio. Camminava quasi sulle nuvole, tanto la notizia lo aveva sorpreso.

Se solo qualche mese fa gli avessero detto che avrebbe finalmente potuto arrivare a tanto...

Teneva ancora all'orecchio il suo auricolare bluetooth, quando prese coscienza che la prima persona a cui voleva comunicare la notizia fosse proprio Eddie.

Non ci pensò due volte quindi a far partire la chiamata, sperando di rallegrare anche lui, in qualche assurdo modo.

Ma come prevedibile nessuno rispose, nemmeno dopo un innumerevole quantitativo di squilli a vuoto.

L'entusiasmo si smorzò nuovamente, maledì se stesso per averci anche solo provato e aver così abbattuto la prima vera buona notizia dell'ultimo mese.

Riprese il cellulare e scrisse.

 

Eddie, mi chiami, quando puoi? Ho una bella notizia, magari ti tirerà su di morale.

 

Lasciò cadere di nuovo la mano e riprese a camminare, cercando di restare positivo, per quanto possibile.

Fu solo pochi istanti dopo aver imboccato la via di casa che il cellulare vibrò di nuovo. Non una chiamata ma un messaggio.

Da Eddie.

 

Ne ho una anche io.

 

E a seguire.

 

Alza gli occhi da quel cazzo di cellulare.

 

Richie si fermò di nuovo, osservando come inebetito il messaggio, prima che tutte le sinapsi del suo cervello si connettessero per arrivare alla soluzione più ovvia di quell'enigma.

Rialzò lo sguardo mentre un taxi gli passava accanto. Di fronte ai gradini del suo palazzo, a pochi metri di distanza, c'era Eddie. Eddie e una valigia grossa almeno quanto lui. Eddie con quei suoi vestiti impeccabili da Newyorchese asettico.

«Figlio di...» gli uscì dalle labbra in uno sbuffo, mentre quel piccolo bastardo alzava una mano in segno di saluto, come se nulla fosse. Come se non fosse partito da un intero mese e gli avesse negato le ultime telefonate e risposto a malapena a tutti i messaggi.

Richie cercò di mantenere un certo contegno, auto infliggendosi la pena di riservargli un infastidito benvenuto, cercando di ignorare il rimescolio allo stomaco e il formicolio alle mani, alla gola.

Era certo se la meritasse, un po' di freddezza, quello stronzo.

Ma man mano che si avvicinava e la silhouette di Eddie diveniva più nitida e riconoscibile, il suo sorriso tirato ed esausto dal viaggio si faceva più evidente e quei grandi, immensi occhi nocciola lo guardavano con una certa aspettativa, il contegno andava a farsi benedire, tanto che gli ultimi passi, Richie, li fece praticamente correndo.

E gli finì tra le braccia, serrandolo in una stretta così forte che quasi avvertì l'aria dei suoi polmoni uscire in un rantolo di protesta. Eddie però non sembrò in procinto di lamentarsene dacché gli stava restituendo l'abbraccio con la stessa forza, la stesso identico confortato trasporto.

Richie ne riconobbe il profumo, ne riconobbe il calore e finalmente sentì scivolargli di dosso tutta l'ingiustificata angoscia delle settimane appena trascorse.

Avrebbe voluto dirgli tante di quelle cose che non avrebbe saputo da dove cominciare.

Perciò preferì tacere tutto, tenere i discorsi per un secondo momento, prima di districarsi da quell'abbraccio e coinvolgerlo in un bacio che sapeva non avrebbe potuto rimandare.

 

Se lo trascinarono a lungo quel bacio, mentre cercavano, invano, di raggiungere il loro appartamento, senza riuscire a togliersi le mani di dosso, cercando di non dare inutile spettacolo.

Il tramonto aveva ormai lasciato spazio alle tenebre notturne e Richie se ne stava ancora aggrovigliato a Eddie, nella penombra della sua stanza, su quel letto che sembrava più un campo di battaglia adesso. Lo sentì muoversi e, per l'ennesima volta, gli impedì di allontanarsi troppo.

«Rich... per favore, lasciami andare», la divertita supplica, non fece che causare l'effetto contrario. La sua stretta di fece più serrata.

«Non posso. È una prescrizione medica la mia, dovresti prenderla seriamente.»

«La sto prendendo seriamente, ma se non mi alzo adesso, domani avrò bisogno di un fisioterapista... altro che prescrizione medica.»

«Esagerato. Sempre così drammatico, Spaghetti.»

«Ah, io sarei drammatico?» lo sentì sbuffare una risata e alzò lo sguardo.

«Ehi, non sono io quello ad essere praticamente sparito per un mese in quella orribile città di pazzi furiosi.»

Eddie lo guardò negli occhi, il sorriso che si faceva più quieto, affettuoso.

«Sai che é stata una scelta obbligata... le cose sono state più complesse del previsto», gli accarezzò i capelli e Richie fu quasi sul punto di ritrattare tutto, di chiedergli scusa. Quel piccolo bastardo dagli occhi enormi e irresistibili, «non è stato facile nemmeno per Myra. Se siamo riusciti a trovare un accordo che non mi spezzasse del tutto le gambe, è stato anche perché le ho concesso del tempo per rielaborare le cose.»

«Non sono sicuro di poterla giustificare, a prescindere. Ti ha tenuto in ostaggio per un intero mese», disse Richie. Il risentimento ancora latente che cercava di non far emergere, per amore di Eddie.

«Lo so, ma prova a metterti nei suoi panni. Quando le ho parlato si è subito convinta l'avessi lasciata per te. Quando era già stato stabilito che avevo chiesto il divorzio per altri motivi.»

«Quindi sa che... stiamo insieme?»

«Non le ci è voluto molto per mettere insieme gli indizi.»

«Mi spiace, Eds...»

Eddie gli diede un buffetto sulla testa.

«A me no. Per niente. Ora che lei sa, tutti gli altri possono sapere.»

E Richie capì che lo pensava davvero, riscaldandogli il cuore, frantumando definitivamente ogni inutile, stupida incertezza.

«Adesso...» riprese Eddie con aria decisamente più pratica, «me la vuoi dare la bella notizia che mi avevi promesso o dobbiamo restare qui a deprimerci ancora?»

Richie sorrise e si tirò un po' su, sentendo la schiena incriccata, comprendendo rapidamente quello che voleva dire prima Eddie, riguardo al fisioterapista.

«Certamente, my love. Quale notizia preferisci prima?»

«Ah, perché ce n'è più di una?» gli domandò divertito, la schiena ora appoggiata alla testiera del letto, l'aria sfatta ma deliziosa.

«Yep. Mi sono preoccupato di farti trovare diverse sorprese, per quando saresti tornato.»
«Uuuh, adesso sì che non sto più nelle mutande dalla curiosità.»

«Le tue mutande sono ancora sul pavimento, Eddie.»

«Allora!» lo sentì stronfiare, lanciandogli addosso il cuscino, «vuoi dirmi di che si tratta o devo torcerti il collo, prima?»

«D'accordo, d'accordo...» si ricompose, «La prima notizia è che... potrei aver smesso di fumare.»

Gli occhi di Eddie si fecero grandi, enormi.

«No!»

«Yesss! Un mese intero senza sigarette.»

«Nemmeno quelle elettroniche aromatizzate?»

«Pwah, per chi mi hai preso? Un hippie californiano?»

«Ah! Questa non me l'aspettavo, Rich.»

«Nah, nemmeno io. Ma c'è di più... ho cominciato ad andare a correre. Certo non sono in forma come te, ma... ehi, finché non stramazzo al suolo...»

Eddie cominciò a ridere, incredulo.

«Che cazzo è successo quando sono partito: sei caduto sui gradini di casa e hai sbattuto la testa?»

Richie finse una sorta di sconvolta indignazione.

«Razza di demonio senza cuore...», lo apostrofò di malagrazia, «d'accordo non è ancora finita.»

«Oddio no, che altro hai fatto mentre non c'ero?»

«Hai presente Netflix?»

«Sì... ? Non dirmi che hai disdetto l'abbonamento o potrei ucciderti per davvero.»

«Nope. Però magari avremo l'abbonamento gratuito visto che la produzione si dice interessata a sviluppare uno speciale con la sceneggiatura a cui ho lavorato di recente.»

Adesso Eddie non sembrava né divertito né incredulo. Solo sinceramente sconvolto e forse... estremamente, emotivamente orgoglioso.

«Cazzo, Richie! Sono... sono...» sull'orlo delle lacrime o qualcosa di simile, ma Richie non arrivò mai a capirlo perché Eddie lo ricompensò con un bacio l'ennesimo, fra lo scomposto e l'entusiasta.

Le cose si stavano assestando, Richie riusciva finalmente a realizzarlo.

«Ce l'ho anche io una sorpresa per te...» disse Eddie, non appena si decise a lasciarlo respirare.

«Già... lo sento...» fece Richie, infilandogli una mano fra le gambe, sotto le lenzuola.

«No, deficiente», lo schiaffeggiò divertito, prima di allontanarsi e rimettersi in piedi, «una sorpresa vera. Aspetta.»

Si passò una mano fra i capelli, sospirando appena per quella ritrovata serenità, esausto ma felice, dannatamente felice.

Si sistemò di nuovo su quel materasso ormai allo stremo, guardandolo frugare nella sua enorme valigia che si chiese se non avesse comprato nuova di zecca per portare via molte delle cose lasciate a New York.

Quando ne emerse, lo vide armeggiare per qualche istante, prima di ritrovarselo di nuovo seduto sul letto, nudo, ma con un paio di vecchi, malconci paraorecchie color rosso sbiadito sulla testa.

Ci mise qualche istante a fare il collegamento, ma all'improvviso ricordò tutto. E il suo cuore ebbe un sussulto inaspettato.

La panchina, il pacchetto fatto di carta di giornali e spago, la sciarpa di Eddie.

«Non... ci credo. Li hai... conservati per tutti questi anni?»

Eddie sorrise.

«A quanto pare. Credo sia una delle poche cose che mi sono sempre portato appresso da quando ero ragazzino. Nemmeno so perché... ma ora forse... lo so perché.»

Perché era un suo regalo. Il fottutissimo regalo di un ragazzino che aveva sacrificato la sua paghetta solo per fare una sorpresa al ragazzino per cui aveva una cotta.

«E nemmeno questa volta sono riuscito a farti un regalo di Natale come si deve, ma... magari apprezzi ugualmente il pensiero.»

Richie nemmeno sapeva che dire. Il regalo più grande era stato quello di vederlo tornare, senza preavviso, prima di Natale. Ma la conferma che nemmeno Eddie lo aveva mai inconsapevolmente dimenticato, per tutti quegli anni, fu un regalo ancora più commovente.

Alla faccia di tutti quei giorni passati, ricamati con strati di paranoia.

«Ci moriremo su questo letto, Spaghetti, perché dopo questa, col cavolo che ti lascio andare...»

Lo attirò a sé per il polso deciso a tenerlo inchiodato lì tutta la notte, paraorecchie compresi.

 

Continua...

 

 

Note: avete sentito la mancanza di Eddie per tre quarti del capitolo? Sì, anche Richie. L'idea era proprio quella. Alla fine del capitolo però ci ho preso un po' la mano, e non sono riuscita a esimermi dal farli interagire di nuovo perché avevo bisogno di un po' di sano fluff, perdonatemi. So che questa è una sezione horror ma... con la prossima storia mi impegnerò di più.

Questa nota solo per dire che probabilmente il prossimo sarà l'ultimo capitolo. Devo ancora decidere se metterci anche un epilogo o meno ma... insomma, siamo decisamente alla fine.

In questi giorni leggere e scrivere mi sta aiutando molto e magari ci sarà una piccola sorpresa 'grafica' al prossimo aggiornamento :)

Nel frattempo, saluti a tutti!

  
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