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Autore: NeveDelicata    15/03/2020    11 recensioni
Questi personaggi non mi appartengono, sono di proprietà di Mann Yzawa. Questa storia è stata scritta senza fini di lucro.
La voce concitata che lo chiamava, era quella di suo fratello. Il suo amato fratello.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Abel Butman, Arthur Butman
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi non mi appartengono, sono di proprietà di Mann Yzawa. Questa storia è stata scritta senza fini di lucro.


La corsa campestre dei cavalli stava sollevando un polverone nelle vie di Londra, ma la cosa più fastidiosa era che la lunga fila di cavalli al galoppo aveva fatto la sua irruenta quanto sconsiderata comparsa anche tra le vie signorili; destando non poco scompiglio nonché indignazione, per il fatto che una simile dimostrazione fosse stata autorizzata, quanto permessa, in zone altolocate.
Per più di un lord si sarebbe dovuta correre esclusivamente nella città bassa, ovvero la zona popolare, dove i nobili avrebbero potuto se di loro gradimento andarla a vedere senza incorrere nel disagio di modificare i propri tragitti nonché interrompere le proprie passeggiate; avendo una intollerabile limitazione nei propri spostamenti.
Se Irwin Dangering aveva precisato il suo fastidio per quell’evento, durante la discussione con suo padre, il duca, avvenuta quella mattina, s’era come tanti trovato impreparato a quel putiferio di polvere che gli salì agli occhi sgradevole proprio sulla soglia del cancello di casa mentre s’apprestava a salire nella propria carrozza.
Andare a prendere la sorella Maria, per il bello e raffinato giovane, quel giorno sarebbe stato più che una seccatura e, sia per lui, come per il ragazzo che gli era accanto, avrebbe significato veder conciare di polvere il proprio costoso soprabito dalla mantella a campana, in maniera disdicevole.
Eppure nell’animo del ragazzo più giovane, che affiancava Irwin, quella corsa apparve come una lirica per il cuore.
Per Cain, come tutti credevano si chiamasse veramente quel ragazzo, dai bei lineamenti e lo sguardo triste e malinconico, quei cavalli che li sorpresero con il loro passaggio, fuori del cancello della sontuosa residenza dei Dangering, dove ora viveva, erano niente meno che meravigliosi.
Erano stalloni bellissimi, dal manto lucido, dalle forme aggraziate eppure muscolose; avevano tendini fluidi, che si stiravano nella corsa.
Da loro emanava libertà. Quella libertà che a Cain era negata.
Il ragazzo avrebbe voluto cavalcare con loro, galoppare veloce via da quell’incubo che lo intrappolava in una realtà fittizia e dal futuro incerto.
Restò incerto di salire in carrozza, pregando di riuscire ad ammirare il loro sfilargli davanti agli occhi nonostante la polvere che saliva dal fondo della strada.
Portatemi via con voi! avrebbe gridato il ragazzo con tutta l’anima, ma restò muto a guardarli.
Il suo cuore lacerato e privo di speranza.
Finché un nome attirò la sua attenzione.
Un nome: il suo, Quello vero.
“Arthur!” il suo nome fu chiamato; gridato chiaro e distinto, dal fondo della via. Una voce che anticipava il passaggio della più sostanziosa fiumana di stalloni, e che si librava da un cavallo più scalpitante rispetto agli altri.
La voce concitata che lo chiamava, era quella di suo fratello. Il suo amato fratello.
Abel. Colui che da sempre era stato il suo eroe e l’aveva sempre protetto dagli abbattimenti, dai traumi delle disgrazie successe alla sua famiglia; persino da un attacco di feroci lupi.
Abel. Abel. Il suo Abel.
Gli era così vicino e, lo chiamava per salvarlo. Arthur doveva solo riuscire  a dargli la mano. Correre verso di lui e lanciare la propria mano perché l’afferrasse.
I suoi occhi azzurri vedevano avvicinarsi il cavallo in corsa.
Vedevano il viso risoluto di suo fratello, dagli occhi blu come l’oceano, privo di timore nel suggerirgli di fidarsi della presa della sua mano, una volta sorpassata la carrozza, che avrebbe schermato la sua  azione.
Abel sarebbe stato pronto a trarlo in salvo.
La polvere ch’era salita agli occhi di Arthur non sarebbe stata sufficiente a intralciargli la vista, nonostante i suoi occhi lacrimavano per l’insofferenza delle ciglia. Bastava solamente afferrasse quella mano, che tuttavia sarebbe stata per pochi istanti alla sua portata. Forse già lontana per permettergli di afferrarla nella veloce corsa del purosangue.
Arthur si bloccò tra cancello e carrozza.
“Cain” si sentì richiamare. Sentì la mano di Irwin muoversi nel tentare di afferrargli la mano sinistra che teneva ancora lungo il fianco: un tentativo delicato e cordiale ma allo stesso tempo ferreo e autoritario per farlo decidere a spicciarsi nel salire in carrozza.
Arthur si voltò scosso ed impaurito verso quel giovane: i suoi occhi azzurri come il cielo fronteggiavano quelli verde scuro di Irwin che sembravano sorvolare ironici di quella ribellione.
Il ragazzo negò col volto, disprezzò il sorriso mellifluo che si celava sotto quegli occhi verde scuro, negò di voler restare come un uccellino in attesa che la gabbia rimasta aperta si chiudesse nuovamente.
Arthur negò, proprio per ricacciare indietro ogni indecisione, allontanandosi di scatto da quella mano che non voleva più sentire su di sé, da cui per forza doveva fuggire.
A costo d’essere travolto da quei cavalli in corsa avrebbe tentato di raggiungere la mano di suo fratello, lanciando se stesso, l’intero suo corpo verso di lei.
Scattò avanti a sé, come in un balzo senza ritorno. Focalizzò i suoi occhi su quella mano che ora gli era così prossima, non pensando al baratro sotto ai suoi piedi ma alla distanza che doveva colmare con un salto.
Sentì di venir stretto saldamente, come se la forza di suo fratello fosse racchiusa in quella mano, che con una forza inaudita lo traeva per portarlo a sé. Con sé.
Arthur sentì tutto il proprio corpo tremare quando strinse in vita suo fratello con entrambe le braccia. Allacciandosi a lui.
Si artigliò a lui come un naufrago ad un legno galleggiante nell’oceano. Chiuse gli occhi, temendo di aprirli, temendo fosse solo un sogno. Temendo che da sogno il suo si sarebbe tramutato in un incubo. Ma sentiva l’aria sferzargli il viso, entrare tra i risvolti della mantella, così incredibilmente piacevole. Era come se fuggisse su di una nuvola, una nuvola veloce.
Strinse gli occhi al riecheggiare vicino al suo orecchio di uno sparo a cui tuttavia non ne seguirono altri, svoltata la via.
Solo il rumore degli zoccoli, che procedevano veloci. Non una parola.
Arthur stringeva solo la vita di suo fratello, si appoggiava alla sua schiena, la testa raccolta all’altezza del suo cuore di cui sentiva l’accelerato battito.
Sentì d’un tratto una mano rassicurare le sue, che ancora incrociavano la vita di Abel. Calda, fraterna.
“Abel.” In quel nome racchiuso ogni sua parola di gratitudine, di gioia. Le lacrime che ne bagnavano involontariamente la schiena.
Solo una risposta “Sei al sicuro. Va’ tutto bene!”.
 
   
 
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