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Autore: Elef    15/03/2020    0 recensioni
Nord America, 1784
***
"Si risvegliò di soprassalto, il respiro affannoso, la gola secca e la vista appannata.
«Madre...» biascicò nel suo stordimento.
Percepì un panno bagnato appoggiato sulla sua fronte e poi una forma non definita – ma indubbiamente umana – entrò nel suo campo visivo.
«Madre, sono qui…!» ripeté, allungando un braccio verso di essa. La figura prese l’arto e lo poggiò delicatamente sulla superficie su cui era coricato.
«Tranquillo, va tutto bene.» gli rispose una voce morbida. «Dormi.»
Connor lasciò che quelle parole lo guidassero in un sonno stavolta privo di incubi."
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 5

MOMENTI DI GIOIA

 

 

Una mano grande e coperta da un guanto di cuoio sfiorò con le dita snudate la lapide arrotondata.

«Vecchio mio.» pronunciò Connor in un mormorio, carezzando con il pollice la fredda pietra levigata.

Nel momento in cui sollevò gli occhi gli parve di vederlo: Achille Davenport, come se lo ricordava. Seduto di spalle che lo aspettava presso la roccia dove era solito sedersi durante le sue passeggiate, sullo spiazzo erboso della scogliera sul retro della tenuta che si affacciava sulla baia. Appoggiato al suo bastone, in testa il suo fedele cappello ad ampie falde da cui scendeva una cascata di treccine crespe e ingrigite raccolte in una coda.

In un debole fruscio di vestiti, l’imponente nativo americano gli fu vicino e si sedette a gambe incrociate a terra, appoggiando la schiena al masso. Il sole stava cominciando a tramontare, il cielo e il mare si stavano pigramente tingendo di toni caldi.

Connor.”

All’assassino sembrò di udire per davvero la voce pacata del suo mentore che gli parlava dietro di lui. Che fosse semplicemente il sussurro di quel venticello leggero? O era forse la sua immaginazione? Oppure c’entravano qualcosa gli spiriti di cui parlava spesso Oiá:ner? In fondo gli era capitato di incontrarne uno parecchi anni prima, ed era proprio grazie ad esso che aveva scelto come vivere la sua vita. L’ipotesi non era poi tanto assurda.

Ne è passato di tempo.”

«Tredici anni...» sospirò. Non aveva voglia di andare alla ricerca di risposte razionali in quel momento e in quel luogo. «Mi spiace di non essere più venuto a trovarti dopo il funerale.»

Immagino tu abbia avuto un po’ da fare.”

«Parecchio. Soprattutto qui alla tua tenuta, non ci si ferma mai.» Connor si slacciò la lama celata di dosso e si massaggiò distrattamente l’avambraccio. Mentre lo faceva, gli sembrò di avvertire la presenza di Achille che si accomodava meglio sulla roccia.

Dunque, che mi racconti? Hai fatto progressi?”

«Ne ho fatti tanti. Ne abbiamo fatti tanti. Credo che saresti contento di vedere i cambiamenti che ci sono stati in generale. Per quanto riguarda la tenuta, ho Patience al mio fianco.»

Patience? Non sarà mica quella maroon che ti ha quasi ucciso...?”

«Sì, proprio lei.» Connor abbozzò un sorriso. Gli venne in mente quel giorno di fine inverno di dieci anni prima, quando la ragazza per liberarsi della sua presenza non aveva esitato a sparargli addosso. Sembrava essere passata un’intera vita da allora.

«Ho deciso di lasciare a lei il comando: ormai è da parecchio tempo che la conosco e mi fido ciecamente di lei. Certo, è stato piuttosto difficile e doloroso conquistare la sua fiducia, ma si è dimostrata essere una delle migliori reclute che il nostro ramo della Confraternita potesse mai desiderare.»

Mmh… Sembri molto convinto. Immagino che tu abbia riflettuto a lungo su questa scelta, dopotutto.”

«Sì, e sono sicuro che sia quella migliore.» L’uomo prese un bastoncino e cominciò a disegnare in modo stilizzato sul terriccio sabbioso, come faceva spesso la sua gente.

«Avresti dovuto vedere l’espressione del dottor Lyle quando mi ha visto tornare alla tenuta praticamente svenuto sul mio cavallo.» continuò, l’ombra di un sorriso sul volto. «Penso di non essere mai stato rimproverato tanto nella mia vita. Conoscendoti, probabilmente anche tu non ti saresti risparmiato una bella ramanzina.»

O magari una bella bastonata, di quelle che ti davo quando eri un pivello maledettamente testardo con pochi lustri di esperienza sulle spalle. In fondo, mi sembra che anche se sono passati un paio di decenni tu sia rimasto uguale ad allora.”

«Però ne è valsa la pena, questo te lo giuro. È principalmente grazie a Patience se sono riuscito a trasformare la nostra tenuta nel covo che è oggi. È un posto sicuro e anche il villaggio non rischia: i nostri confratelli sono bravi a tenere lontani qualsiasi genere di ostilità. Saresti fiero di loro, come lo sono io. Sai, fra di loro c’è anche Hunter.»

Il figlio di Warren e Prudence...”

Connor annuì, pensando a quel ragazzo dalla pelle scura che aveva visto nascere, anzi, che lui stesso aveva aiutato a far nascere. Lo aveva visto diventare un bimbo magrolino e sorridente, contento di dare una mano ai suoi genitori nella loro fattoria. E poi, con il passare fin troppo rapido degli anni, continuando a mettere a disposizione le sue giovani e forti braccia nei campi e nelle stalle, era diventato un robusto giovane uomo con una forte determinazione negli occhi color pece. Per qualche strano motivo, anche se le loro storie erano completamente diverse, al nativo americano aveva sempre ricordato un po’ sé stesso nel periodo in cui si era recato dal vecchio burbero proprietario della tenuta.

«L’ho visto crescere ed è ancora giovane, ma ormai è diventato un uomo. Ha sempre detto che avrebbe voluto essere come me e ha sempre dato il massimo per ottenere i migliori risultati in tutto ciò che fa. Sono molto orgoglioso di lui e lo sono anche i suoi genitori.»

Certo, lo sono anch’io.”

Ci fu un attimo in cui Connor stette in silenzio e si godette il panorama del cielo rosato riflesso su un mare dolcemente scosso dal vento. Nella baia, attraccata al piccolo porto, stava la sua amata Aquila. La maestosa nave da guerra ondeggiava placidamente sulla distesa d’acqua salata lievemente increspata. I ricordi delle avventure passate su di essa si fecero largo nella sua mente, pregni di gloria e di una punta di nostalgia.

E quella? Sei ancora il suo capitano, vero?”

Di nuovo gli parve di udire la voce di Achille dietro di lui. Ancora non riusciva a stabilire se fosse davvero lì con lui, se potesse davvero sentirlo, ma la cosa certa era che anche solamente dialogare con una parte di sé stesso lo stava rilassando. Era da settimane che non si concedeva una pausa. La sua principale fonte di sollievo era ben lontana dalla tenuta, ben lontana dalla sua vita di Assassino...

«Ufficialmente sì.» rispose, forse a sé stesso. «In pratica, il più delle volte la lascio nelle mani di Faulkner, soprattutto negli ultimi tempi. Per quanto ami solcare i mari, le mie priorità sono cambiate da qualche anno a questa parte. Faulkner non è decisamente nel fiore degli anni, ma è il mio primo ufficiale e l’uomo che mi ha affiancato fin dalla prima volta che ho imbracciato il timone: credo che nessuno sia più meritevole di lui di fare le mie veci.»

Come darti torto… Ma che vuol dire che le tue priorità sono cambiate? Non significherà mica che...”

«Ho conosciuto una persona. È stato un incontro inaspettato. Come dicevo, ha cambiato tutte le mie priorità.»

Capisco… Quindi alla fine anche tu hai trovato un po’ di stabilità in questa nostra disperata ricerca della libertà.”

«Già. Non credevo che sarebbe accaduto così presto… Ma sono felice, lo sono davvero. Otsísto è stata la mia guida in un momento di quasi totale smarrimento ed è tutto ciò che posso desiderare anche in una vita impegnativa come la mia.»

Lo stesso era Abigail per me. Credo che tu abbia infine visto l’immagine del quadro che ti ho chiesto di riportare alla tenuta da New York. Siamo io, mia moglie e mio figlio.”

«Sì… L’ho appeso nella sala da pranzo poco dopo la tua dipartita.»

Immagino tu abbia anche capito che non è stato un caso che ti abbia suggerito di adottare il nome Connor. È l’amore l’unica vera fonte di sollievo, ragazzo mio. In tutte le sue forme. Se c’è amore, ci sono gioia e pace. Senza l’amore, il fardello sarebbe troppo pesante da sopportare, persino per noi.”

«Sì, l’ho provato sulla mia pelle. Stavo per arrendermi, poi ho incontrato lei: mi ha aiutato a guarire e sono tornato alla tenuta. Gli amici che ho qui alla tenuta hanno organizzato una festa in mio onore e mi hanno reso partecipe del loro affetto per me. Al covo, le mie reclute mi hanno dimostrato il loro impegno e mi hanno dato speranza. Sull’Aquila, i membri dell’equipaggio hanno composto delle canzoni in onore delle nostre avventure. Tutte queste persone mi sono state e mi sono ancora accanto. Ma se non ci fosse stata Otsísto a farmelo capire, non so quanto sarei andato avanti. E poi, sono arrivati loro...»

Loro?”

«I nostri tre figli.»

Oh… Accidenti a te, ragazzo, non ci vediamo per tredici anni e mi riempi di sorprese in questo modo!”

Connor sorrise. «Già... Scusa. Sai, sono già passati sette anni, ma ricordo bene quando ho preso in braccio la mia primogenita per la prima volta: penso di non aver mai visto nulla di così piccolo e fragile. Mi stava quasi interamente sul palmo di una mano… Temevo di farla cadere dal fremito che scuoteva il mio corpo. Quel giorno non lo dimenticherò mai.»

Conosco bene quella sensazione. Sette anni, hai detto... Saranno passati in fretta con tutto quello che hai avuto da fare.”

«Fin troppo, effettivamente. Però nei primi tempi ho cercato di essere molto più presente per la mia famiglia piuttosto che per la Confraternita. Alle missioni più urgenti e impegnative ci ha pensato il ramo di New Orleans: Aveline e i suoi uomini sono molto più adatti di me a gestire le ribellioni degli schiavi, come ha dimostrato l’episodio del reclutamento di Patience. Così, io ho potuto concedermi di rallentare un po’. Però non mi sono mai fermato.»

Forse potresti farlo ora. Hai detto che ne hai tre di figli, no? Dovresti essere presente per tutti loro e per tua moglie.”

«Sì, dovrei esserlo di più. Infatti sono qui perché ho voluto salutare tutti un’ultima volta.» affermò, sentendo il cuore stringersi un po’ per la nostalgia. «Come dicevo prima, stamane ho parlato con Patience e ho lasciato a lei il comando di questo ramo della Confraternita. Con ciò, la mia dedizione alla nostra causa non verrà mai meno, e non dico che non tornerò mai più alla tenuta ma sicuramente non lo farò per molto tempo.»

Capisco. E per quanto riguarda l’addestramento delle reclute?”

«Anche a quello può pensare Patience, insieme ai confratelli che ho reclutato personalmente durante la Guerra d’Indipendenza. È tempo di lasciare agli altri il ruolo di mentore: io lo assumerò nuovamente soltanto per i miei figli e solo se la loro madre me lo permetterà.»

Se anche solo uno di loro dovesse aver ereditato il dono che hai tu, ti consiglierei vivamente di cercare di convincere tua moglie nel caso non sia d’accordo. L’”occhio dell’aquila” è un’abilità che non va trascurata. Chiunque ne sia dotato, potrebbe ricoprire un ruolo molto importante per la nostra causa.”

«Sì, lo so. Forse è un po’ troppo presto per dirlo ma ho il sospetto che mia figlia più giovane ne sia dotata. Ha solamente tre anni ma sta già dimostrando una certa qual propensione per la caccia. Mia figlia più grande e mio figlio sono anch’essi agili e perspicaci ma Io:nhiòte ha una luce particolare negli occhi che conosco molto bene.»

Se così fosse, mi auguro che un giorno seguirà le tue orme.”

«È anche la mia speranza, ma come dicevo mi importa anche di ciò che pensa Otsísto a riguardo. Per me e la mia gente la figura della madre è quella a cui spettano le decisioni più importanti. Non verrò meno alle mie tradizioni e nemmeno al rispetto che io e mia moglie ci portiamo sempre in egual modo. Inoltre, non voglio essere il padre che mio padre è stato per me.»

Haytham è mai stato un padre? Quando vi siete incontrati per la prima volta oramai eri un uomo. Non credo che tu potresti mai raggiungere un tale livello di assenza nella vita dei tuoi figli.”

«Non è solo l’assenza il problema. Mio padre non fu informato in alcun modo della mia esistenza se non molti anni più tardi, questo glielo devo concedere. E se le cose fossero andate diversamente, se mia madre non avesse perso la vita in quell’incendio e io avessi incontrato lui prima di fraintendere le intenzioni dei templari nei confronti della mia gente, forse e solo forse, avremmo anche potuto avere un buon rapporto.»

Connor volse gli occhi al cielo e si mordicchiò appena il labbro inferiore. Era da tanto che non gli capitava di ripensare a Haytham Kenway, a quello che sarebbe potuto accadere se lo avesse conosciuto in altre circostanze. Si era messo d’impegno in quei lunghi anni al fine di accantonare i rimpianti per una situazione che non avrebbe mai potuto alterare nemmeno se avesse voluto farlo. Tuttavia il dolore che quel rapporto travagliato aveva inferto negli animi di entrambi aleggiava ancora, gettando mestizia sul solo fra i due ancora in vita e in grado di essere tormentato da esso. A conti fatti, il dolore era sempre con l’assassino, per quanto cercasse di ricacciarlo indietro. Ma sapeva anche che la sua condizione di tormento non era unica: la sofferenza faceva parte della vita di tutti gli esseri umani, più o meno presente che fosse. Tutto dipendeva dalla capacità individuale di dare ad essa il giusto valore e in questo modo riuscire ad affrontarla.

«Comunque i fatti passati non possono essere cambiati...» proseguì. «...e il vero problema è che dal primo momento in cui ci incontrammo, non fece altro che cercare di inculcarmi una causa che non sentivo mia. La vita che conducevamo e i nostri pensieri erano diametralmente opposti e insistere sui rispettivi punti di vista non ha fatto altro che dividerci finché uno non ha per forza dovuto uccidere l’altro. Il nostro fu un rapporto alquanto singolare ed è quasi inutile specificare che quello che ho io con i miei figli è quanto di più diverso possa esserci. Ad ogni modo, non ho di certo intenzione di creare rancori: se crescendo avranno idee e propensioni diverse da quelle che io vorrei per loro, lascerò che decidano per loro stessi e non li forzerò in alcun modo ad andare incontro alla mia volontà.»

Sì, capisco cosa intendi. Ma fa’ attenzione, Connor. Più andiamo avanti e più servirà gente per sostenere la nostra causa. Hai svolto un ottimo lavoro in questi anni, eliminando la minaccia templare e riportando in auge la Confraternita lungo tutto il continente americano, ma sappiamo bene entrambi che un ideale non può essere ucciso come può essere ucciso un uomo. Non devi mai abbassare la guardia e soprattutto non devi sperare che le persone che hai reclutato fin qui bastino per contrastare un’ideologia.”

«Ne sono consapevole.» sospirò. Era stanco ma deciso. Sempre deciso. «Per quanto mi riguarda, al momento sento di aver fatto tutto ciò che è in mio potere per portare gli Assassini in vantaggio. Se poi in futuro ci sarà ancora bisogno di me non esiterò ad intervenire. Ora tutto ciò che desidero è dedicarmi completamente al ruolo di padre, lasciando da parte quello di Assassino. Non credo sia opportuno rivestirli entrambi nello stesso momento, non fin quando scorgerò candore ed inesperienza negli occhi dei miei figli. Più avanti, quando cominceranno ad avvicinarsi alla soglia del mondo adulto, se ne riparlerà.»

Comprensibile. Dunque non posso far altro che augurarti il meglio. L’esperienza di padre è molto diversa da quella di Assassino ma non per questo meno intensa. Ne so qualcosa.”

Il nativo americano stette per un attimo in silenzio ed accennò ad un sorriso. Poi disse: «Ammetto che è stata piuttosto dura convincerti ad accogliermi in casa tua. Spero che tu non ti sia mai pentito di averlo fatto.»

Pentito? No… Di sicuro la tua cocciutaggine mi ha fatto infuriare e anche più di una volta. Ma non potrei mai pentirmi di una scelta che mi ha portato a vivere gli ultimi anni della mia vita con serenità e mi hanno reso orgoglioso dell’uomo che sei diventato.”

Connor non sapeva se quelle parole arrivassero direttamente da Achille o se fossero semplicemente il frutto dei suoi pensieri. Magari entrambe le cose. Magari nessuna. Sapeva solo che quell’uomo era stato più che un semplice mentore per lui. E allo stesso modo sapeva anche di essere sempre stato più di un semplice pupillo, o Achille non lo avrebbe mai chiamato con il nome che era stato di suo figlio.

«Ti ringrazio, vecchio. Per tutto.»

Stette ancora lì immobile per qualche istante, ad ascoltare e sentire sulla sua pelle la brezza leggera che si intrufolava giocosamente tra i suoi lunghi capelli raccolti nel consueto mezzo codino. Poi si rialzò, scosse via il terriccio dalle mani e dalla sua fedele uniforme bianca e blu. Passò nuovamente vicino alla lapide e la sfiorò delicatamente con le dita.

Mentre tornava dentro il grande edificio in cui aveva vissuto per anni, udì un lupo lanciare il suo ululato di libertà verso la prima stella comparsa in quel crepuscolo di fine primavera. D’istinto, distese lievemente le labbra.


 

***


 

Tra le frasche degli alberi del bosco cominciò ad intravedersi la palizzata del villaggio. Il destriero bruno sbuffò appena, come se fosse stato contento quanto lui di essere finalmente giunto a destinazione dopo quei giorni di viaggio che erano sembrati interminabili.

Erano passati almeno tre mesi dall’ultima volta che Connor era stato per un po’ insieme alla sua famiglia. Ora, dopo quegli ultimi anni costellati di missioni per potenziare la Confraternita e rendere completamente inoffensiva la minaccia templare nelle Americhe, poteva finalmente concedersi solo al ruolo di padre, esattamente come aveva detto ad Achille – o a sé stesso – qualche giorno prima.

Mentre si avvicinava sempre di più, notò un gruppo di bambini che si rincorrevano in prossimità dell’ingresso del villaggio. Assisteva spesso a scene del genere quando faceva ritorno e ogni volta gli scaldavano il cuore. Gli ricordavano del periodo più felice che avesse vissuto, l’infanzia. La vita era stata dura con lui ma era riuscito comunque a tirare avanti, nutrendosi di speranza e di quei momenti di benessere che non erano poi tanto rari, soprattutto da quando si era sposato ed era diventato padre.

«Kà:ts kenh nonkwá!» (*) esclamò una voce cristallina. Connor sorrise in modo spontaneo al solo sentirla. Dalla soglia del villaggio comparve una donna dai lunghi e sciolti capelli neri, con una bimba di tre anni in braccio impegnata a tenere tra le manine l’elaborato girocollo che indossava. Quando Otsìsto si voltò verso il sentiero e vide chi stava arrivando, gli occhi le brillarono come stelle in un cielo limpido e il sorriso che gli rivolse fu più luminoso del sole estivo.

Dal gruppetto di bambini che stavano rientrando se ne separarono due, una femmina di sette anni dalle lunghe trecce scure e un maschio di quasi sei anni dai lunghi e ribelli capelli corvini. Anche a loro gli occhi brillavano, pieni di felicità oltre ogni limite.

«Ráke’ni(*) urlarono in coro rivolti a Connor, il quale aveva fermato il cavallo e stava smontando dalla sella.

I suoi figli gli andarono incontro mentre l’uomo si accovacciava e apriva le braccia, il cuore che per un attimo parve fermarsi per l’indescrivibile gioia che provava nel vedere i loro volti.

I bambini gli si gettarono addosso, facendolo sbilanciare. Caddero tutti e tre all’indietro, si strinsero forte e risero di gusto.

«Ti dobbiamo raccontare tante cose!» esclamò entusiasta la figlia maggiore.

L’uomo le carezzò la testa. «Non vedo l’ora di sentirle tutte.»

«Atená:ti mi ha portato con lui a caccia!» aggiunse il figlio senza riuscire a trattenersi.

«Io invece sto imparando a ricamare bene come la mamma!»

«Buoni, piccoli lupi!» ridacchiò Otsísto che nel frattempo li aveva raggiunti, con la figlia più piccola in braccio. «Lasciate a vostro padre almeno il tempo di respirare dopo il lungo viaggio che ha compiuto. Da bravi, rientrate nel villaggio insieme agli altri, fra poco arriviamo anche noi.»

I due fratelli obbedirono e trotterellarono allegramente verso il varco laterale nella palizzata.

A quel punto, anche la figlia più piccola cominciò a scalpitare dall’entusiasmo in braccio alla madre e allungò le piccole braccia verso Connor. Lui si rialzò e la prese tra le sue, dandole un affettuoso bacio sui setosi capelli neri. Il suo sguardo si riflesse nei grandi occhi curiosi della sua piccola Io:nhiòte.

«Ratonhnhaké:ton.» disse semplicemente Otsísto per salutarlo, allungando una mano per carezzargli il volto. Era sempre bello sentirsi chiamare con il nome con cui era nato, quello che nonostante il greve significato che portava con sé sapeva di infanzia, di felicità, di libertà. Allungò il collo verso sua moglie e posò brevemente le labbra sulle sue.

«Sono a casa.» affermò, sicuro che lei avrebbe capito la profonda implicazione di quella semplicissima frase. E difatti, lei capì e sorrise di nuovo come poco prima, come quando lo aveva visto arrivare. Come il giorno in cui avevano deciso di vivere insieme per sempre, come in quello in cui si erano sposati e come in quello ancora in cui avevano condiviso la travolgente emozione di essere diventati per la prima volta genitori. Sorrise e da quel semplice gesto scaturirono le miriadi di momenti di gioia che lui aveva vissuto e conservato gelosamente dentro di sé per poter far fronte a ogni difficoltà che la vita aveva in serbo per lui. In quel sorriso riecheggiarono quelli di tutte le altre persone che aveva incontrato e che in qualche modo gli erano rimaste nel cuore. E pensando a quelle persone gli sovvenne il suo vivace villaggio natale, la silenziosa foresta in cui aveva imparato a cacciare, la tranquilla tenuta di Davenport, la maestosa nave su cui aveva vissuto delle gloriose avventure, e persino le caotiche città di Boston e New York. Infine gli venne in mente dell’accogliente villaggio della sua gente in cui aveva deciso di stabilirsi per il resto dei suoi giorni. E ricordandosi di tutto questo rispose a quel sorriso con il suo aperto, mite e sincero.

Sì, finalmente era a casa.


 


 


 


 


 


 

ANGOLO DELL’AUTRICE

Comincio subito con lo scusarmi con chi ha seguito fin qui questa breve storia, mi dispiace che quest’ultimo capitolo sia giunto con così tanti mesi di distacco. Ho cominciato a scriverlo subito dopo il penultimo ma un po’ perché sono stata risucchiata da altre questioni e un po’ perché ho perso per strada la voglia di scrivere, i tempi si sono allungati un tantino…!

Poi è arrivata questa situazione surreale di quarantena in cui ci troviamo tutti (già, per chi leggerà in futuro, qui siamo nel pieno del periodaccio “Coronavirus”) e tra le altre cose sono rientrata nel mood... Ma questo non credo possa interessare quindi passo direttamente al contenuto del capitolo che è meglio!

Anche qui è stata un po’ dura, ho avuto vari ripensamenti (quando mai non ne ho…!) e comunque questa versione definitiva non è che mi soddisfi troppo... L’idea originale è rimasta, infatti fin da subito volevo scrivere un capitolo ambientato molti anni dopo il penultimo in cui fosse Connor a spiegare cos’era successo in quel lasso di tempo. All’inizio doveva essere un monologo ed ero partita con lui che parlava da solo sulla tomba di Achille, poi mi stuzzicava anche l’idea del dialogo e così ho scritto un’altra versione in cui andava a trovare Norris e Miriam per parlarne con loro. Alla fine ho optato per una metà via tra le due cose e non sono convinta se in questo modo sia effettivamente bello da leggere ma è stato sicuramente interessante scriverlo.

Non so se sia utile specificarlo ma come ho già detto all’inizio del primo capitolo, gran parte delle cose descritte non sono ufficiali: di Connor, dopo la storia del gioco si sa ben poco, quindi non resta che dare spazio più che altro ad interpretazioni personali.

Sicuramente avrei potuto approfondire. Magari alcuni di voi staranno storcendo il naso per questo finale forse un po’ banale e melenso. Magari avreste voluto leggere qualche cosa in più e vedere i miei personaggi inventati (specialmente Otsísto ma anche i fratelli cacciatori) essere maggiormente studiati e caratterizzati e per questo mi scuso. In realtà fin da quando ho avuto quest’idea non ho mai avuto intenzione di tirarla troppo per le lunghe... Non è una vicenda piena di azione e dalla trama complessa che vale la pena esplorare e districare. Quindi naturalmente quello che spero è che anche se si tratta di qualcosa di corto, istintivo e poco approfondito, vi sia piaciuto darci un’occhiata! E mi complimento sinceramente con quelli che sono arrivati fin qui, io mi sarei già stufata :P

Prima di passare alle traduzioni, per chi fosse curioso, volevo approfittarne per specificare che le mie ricerche riguardo alla cultura Mohawk sono state fatte sulla base di siti e gruppi di cui fanno parte persone che appartengono proprio a quella cultura. In particolare, c’è un gruppo su Facebook che mi è tornato particolarmente utile: si chiama Kanien'kéha Dictionary e tra l’altro ne fa parte anche uno dei consulenti linguistici Mohawk di Assassin’s Creed III, oltre che doppiatore di Kanen’tó:kon. È stato principalmente lì che ho trovato parole e frasi e il loro corrispettivo in inglese.

Per concludere, vorrei ringraziare tutte le persone che hanno anche solo dato un’occhiata e a quelle che hanno messo questa fanfiction nelle seguite e nelle preferite! Ringrazio pubblicamente Hoel, che mi ha dato ispirazione con le sue recensioni! Infine, ringrazio in anticipo chi leggerà in futuro e chi deciderà di lasciarmi il suo parere!

Un caloroso saluto a tutte e tutti!

xxx

Elef


 

(*) Parole in Mohawk

Kà:ts kenh nonkwá (pr. Kàz, kan, nùn-qua) = venite qui

Rake’ni (pr. Ra-ghé-ni) = papà

  
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