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Autore: NPC_Stories    17/03/2020    13 recensioni
Anche gli amici possono ingannare, perché è il metodo più facile per ottenere ciò che si vuole. Un elfo che ha deciso di essere amico di un drow dovrebbe semplicemente metterlo in conto - anche se sono white lies.
Pun intended.
.
Storia breve con personaggi originali (che poi sono i personaggi di quasi tutti i miei racconti)
Genere: Comico, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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1357 DR: Diplomatic lies


Sul finire dell’autunno, in una locanda vicino a Secomber

“O!” Esclamò la bimba mezzadrow, tutta concentrata.
“Ma davvero?” Le domandò suo padre, sfilandole il cappellino dalla testa. Erano appena andati a far visita a Tinefein nell’infermeria, e la guaritrice aveva confermato che Jaylah era perfettamente sana. Nessuno strascico dopo il raffreddore.
“Tienila ferma mentre le tolgo le scarpe, sta continuando a scalciare” gli chiese Daren, che lo stava aiutando perché cambiare i vestiti a Jaylah era sempre una questione problematica. La piccola si trovava nel suo ambiente naturale, il suo piccolo recinto, e cercò di sfuggire girandosi e gattonando verso il bordo. Daren riuscì a sfilarle una scarpa mentre si muoveva.
“Potremmo lasciarle tenere le scarpe” propose l’elfo.
“Sono troppo calde per stare in casa…” riuscì a obiettare mentre le toglieva anche l’altra.
“O-o-o” ripeté lei, contenta per le attenzioni che stava ricevendo.
“Brava piccola” Johel le accarezzò i capelli, tutto orgoglioso. “Hai sentito, Daren? Ti sta chiamando, sta cercando di dire Osi’Tan” ipotizzò, citando la parola elfica che significava zio, più precisamente fratello della madre.
“Ah, sta cercando di dire Osi’Tan? Come sai che non cerca di dirti O’Su?”
“Non le ho mai insegnato quella parola, è troppo formale, sto cercando di insegnarle a chiamarmi Va” rispose l’elfo, sorridendo con amore alla bambina. “Invece mi riferisco sempre a te come al suo Osi’Tan.”
La piccola si aggrappò alle sbarre di legno levigato e rimase dritta sulle ginocchia. Ancora non riusciva ad alzarsi in piedi da sola, anche se ogni tanto ci provava. “Ooo!” Ripeté, stringendo le labbra come se volesse fischiare.
“Johel, tu reputi di avere un buon udito?”
L’elfo biondo corrugò la fronte, perché sentiva che c’era una trappola in quella domanda.
“Sì, come tutti gli elfi ho un ottimo udito” rispose, sulla difensiva.
“Allora non è un’ipotesi azzardata se affermo che le senti le cazzate che dici” affondò Daren, in tono colloquiale.
“Ca” ripeté Jaylah.
Johel e Daren smisero di battibeccare e l’elfo chiaro impallidì.
“Inizia a ripetere le parolacce” constatò, preoccupato.
“Finalmente!” Il drow, al contrario, aveva un sorriso da un orecchio all’altro. “Finalmente, mia discepola.”
“Non ti azzardare, brutto mascalzone” il ranger gli mise una mano sul petto e lo spinse indietro, con gesti lenti ma inequivocabili. “Da questo momento tu sei bandito dalla nursery.”
“Non puoi farle la guardia tutto il tempo, Johel” obiettò l’elfo scuro, con un ghigno che fece correre un brivido lungo la schiena dell’amico. “Ad un certo punto dovrai fare la reverie, e quando ti sveglierai la tua bambina sarà stata edotta sul giusto linguaggio da tenere in mezzo agli elfi.”
“Ah! Adesso è il mio turno di chiederti se il tuo udito funziona bene” lo prese in giro l’elfo chiaro. “Ci ho messo un secolo ad insegnarle Va, e nemmeno ha capito quando deve usarlo, figurati se riesci ad insegnarle il turpiloquio in così poco tempo.”
Daren fece un passo indietro, accettando di lasciare campo libero all’altro perché per il momento non aveva alcuna fretta.
“Non stai considerando una cosa: a me non importa che Jaylah usi le parolacce nel contesto giusto. Qualsiasi contesto è giusto quando la cosa che devi dire è sbagliata” gli fece notare, sorridendo come un sociopatico.
“Ma non hai veramente niente di meglio da fare?”
“Va-aa” Jaylah lo richiamò all’ordine, perché si sentiva ignorata.
In quel momento Johel si accorse che stava iniziando a spandersi un odore sgradevole e ormai familiare. Anche l’elfo scuro storse il naso. Sicuramente si era accorto dell’olezzo.
“Sono bandito dalla nursery” accettò Daren, fingendosi contrito. “Be’… buona fortuna.”
Il subdolo drow sparì oltre la porta prima che Johel potesse fermarlo. Quest’ultimo sospirò, sentendo sulle spalle tutta la fatica di quei giorni.
“D’accordo, piccola. Sembra che nel momento del bisogno tu possa contare solo sul tuo Va. Cerca di non dimenticarlo.” Prese in braccio la bambina e la poggiò sul fasciatoio, apprestandosi a un lavoro che ormai gli riusciva automatico.

Più tardi, verso mezzogiorno, Johel stava cercando di far mangiare Jaylah, nella chiassosa confusione del refettorio comune. Qualcuno aveva cucinato per tutti i bambini, l’elfo non era sicuro di chi fosse stato, ma chiunque fosse aveva tenuto da parte per Jaylah un po’ di radici bollite e pestate e le aveva mischiate a del brodo di carne.
La bimba non era ancora completamente svezzata ma stava imparando a mangiare un po’ di tutto… solo che spesso non aveva voglia di mangiare e bisognava penare per farla arrivare al fondo della ciotola. Johel non se lo spiegava, era sempre stata una bambina sana che mangiava senza fare storie, finché era Krystel a darle la pappa. Forse la piccola sentiva semplicemente la mancanza di sua madre.
Ah, Krystel, ma quando tornerai? Si chiese Johel, sospirando sconsolato. La strega era una presenza fondamentale alla locanda, i suoi figli potevano mandare avanti la gestione in sua assenza ma solo fino a un certo punto. I tre più grandi avevano da tempo lasciato il nido. Tinefein, la sua quarta figlia, aveva l’infermeria a cui badare. Gli altri non erano molto affidabili perché Amber e Tek’ryn avevano appena quarant’anni, e anche se erano benintenzionati non avevano il buonsenso e la voglia di lavorare degli adulti; Luel era semplicemente un ragazzino irresponsabile. E poi c’era Jaylah… ovviamente il massimo che si poteva chiedere a Jaylah era di mangiare senza fare i capricci e dormire per più di tre ore di fila.
Johel sollevò il cucchiaio portandolo davanti alle labbra della figlia, ma lei quel giorno era distratta. Di solito mangiava in cucina, non nella taverna con gli altri bambini, ma l’elfo aveva pensato che fosse meglio iniziare a farla socializzare.
Forse non era stata la migliore delle idee, la piccola era sovrastimolata e agitata per tutto quel chiacchiericcio. Ogni ragazzina umana aveva trovato almeno una scusa per passare di lì e salutare l’ultima nata della locanda. Jaylah era adorabile, con quei suoi enormi occhi verdi e i riccioli biondi, quindi naturalmente era al centro dell’attenzione di tutti. La cosa le piaceva tantissimo, faceva smorfiette buffe a ogni ragazzina per strappare loro una risata o una carezza. Ma continuava a non mangiare.
Poi all’improvviso la porta della taverna si spalancò.
“Sono a casa!” Gridò una voce femminile che lì tutti conoscevano bene.
Johel si sentì invadere dal sollievo, perché aveva atteso per due settimane di udire quella voce e quelle parole.
Krystel era tornata. Era finito il tempo dell’andare alla deriva.

Quasi trenta ragazzini, una poppante, un elfo e due giovani drow si voltarono all’unisono verso la porta.
“Mamma!” Amber fu la prima a salutarla, con un’espressione così sollevata che era quasi comica sul volto di un’elfa scura. Il bambino halfling seduto accanto a lei si approfittò di quella distrazione per rubarle l’ultima polpetta.
“Puoi avere le mie polpette se hai ancora fame, Ricry” gli sussurrò Tek’ryn, indicando il suo piatto ancora mezzo pieno.
“Uh, no” il ragazzino abbassò la testa, un po’ in imbarazzo. “Non è divertente se me le offri, Tek’ryn.”
Amber si alzò, scompigliò con una mano i capelli castani dell’halfling e gli rubò dal piatto una polpetta per tornare pari. Se la cacciò in bocca tutta intera, riempiendosi una guancia come un criceto, poi si diresse verso la locandiera appena tornata. Si fermò, incerta, quando vide che un estraneo stava entrando dalla porta appena dietro di lei.
Il nuovo arrivato era un elfo; dalla carnagione ramata doveva essere un elfo dei boschi. Aveva i capelli castani scuri, a differenza di Johel, ma gli stessi occhi del colore delle foglie in primavera. Amber masticò velocemente la polpetta e la mandò giù.
“Mamma, bentornata” la salutò più compostamente. “Ti stavamo aspettando.”
“Lo vedo” Krystel fece scorrere lo sguardo sulla sala. “Come puoi vedere ho portato con me un ospite. I ragazzi dalle fattorie vicine sono già arrivati?”
“Dai dintorni di Uluvin e da Secomber, alcuni dalle fattorie qui intorno. Ci aspettiamo una grande affluenza quest’anno, i ragazzi di una dozzina di fattorie non sono ancora arrivati. Specialmente dalla zona verso le colline” spiegò, riferendosi alla regione a ovest della locanda.
“Bene, potete continuare a fare a meno di me per un po’? Vorrei occuparmi di Geyla.”
“C’è Johel con lei adesso” spiegò la giovane drow, indicando il fondo della sala.
“Ottimo, cercavo anche lui” la strega fece un impercettibile cenno del capo all’elfo che era entrato con lei, poi si avviò verso l’angolo dove si erano sistemati Johel e Jaylah.

Llarm Sarsantyr non era tranquillo. Sapeva che c’erano dei drow che vivevano nel territorio umano a ovest della Grande Foresta; suo cugino Aesar gli aveva raccontato di aver conosciuto quella famiglia alcuni decenni prima, però non aveva voluto scendere nei particolari. Era come se la cosa lo imbarazzasse o gli causasse disagio. Che fosse stato sedotto anche lui, come l’amante della strega?
Quando Llarm era arrivato alla locanda per indagare di persona, era diventato ancor meno tranquillo. Tanto per cominciare il posto pullulava di giovani umani. La strega forse li chiamava a sé con la magia? E per farne cosa? Lui aveva alcuni sospetti, ma erano uno più fosco dell’altro.
L’elfo non amava quella razza fastidiosa dalla vita breve, non trovava nulla di interessante in quegli esseri grezzi, sporchi e invadenti; i bambini però erano bambini, erano innocenti. Avrebbe dovuto indagare e cercare di liberarli? E poi che ne avrebbe fatto?
Come se non bastasse, la locanda era infestata da drow. Ne aveva contati almeno due nel refettorio, oltre a Krystel, la poppante mezza elfa… e prima, entrando, aveva visto uno strano essere completamente nero che suonava un violino seduto sul tetto. Era un altro drow, o forse un mezzo drow? Gli era sembrato anche di vedere, nel cortile esterno, un’altra nera creatura che entrava e usciva da un edificio secondario. Cominciava a sentirsi circondato.
Llarm Sarsantyr era il miglior guerriero del suo villaggio. Sapeva che le sue abilità marziali gli imponevano delle responsabilità. Non era un elfo qualsiasi, era un eroe, un Campione di Corellon, se c’erano dei drow in Superficie si sentiva in dovere di indagare. Non aveva mai trovato un pretesto per farlo, fino a questo momento. Loro se ne stavano ben alla larga dal territorio elfico, sforando ogni tanto solo nella zona di confine della Grande Foresta, ma lo stesso facevano gli umani. Quando la sua strada aveva incrociato per caso quella della strega, aveva riconosciuto un’occasione da cogliere al volo.

Krystel aveva fatto cenno all’elfo di seguirla, ma poi non si era preoccupata di controllare che la seguisse davvero. Aveva cose più urgenti a cui pensare, ad esempio la sua ultima bambina che non vedeva da molti giorni. Si diresse subito verso l’angolo in cui Johel aveva sistemato il seggiolone, e il suo cuore trovò finalmente un po’ di sollievo quando Jaylah e Johel l’accolsero con due sorrisi quasi identici. Il sorriso di Jaylah aveva meno denti e manifestava emozioni meno complesse. L’elfo la stava guardando con affetto, amicizia, ma soprattutto sollievo. La bimba, con pura felicità.
“Ma! Ma!” La chiamò la piccina, stendendo le braccia verso di lei.
Geyla gli somiglia, pensò Krystel con tenerezza. In tutto, tranne che nel colore della pelle. Si vede che sono padre e figlia.
Man mano che si avvicinava, lo sguardo del suo amante cominciò a tradire sentimenti diversi dal semplice sollievo. Quando finalmente li raggiunse, lui non la stava più guardando in faccia.
“Ehi” Krystel gli prese il mento fra il pollice e l’indice e lo costrinse con gentilezza ad alzare il volto. “Il mio viso è quassù.”
“Il tuo viso lo conosco ed è grazioso come lo ricordavo” lui aveva la risposta pronta, come sempre, e un sorriso aperto e disarmante che le rendeva impossibile arrabbiarsi. “Loro due però sono nuove” obiettò, tornando imperterrito a fissare il suo petto.
“Johel” la drow lo costrinse di nuovo ad alzare il volto. “Non allatto da due settimane, ho usato degli incantesimi per rallentare i ritmi del mio corpo ma non è che possano fare miracoli. In questo momento mi fanno male solo a guardarle.”
L’elfo sembrò improvvisamente perdere tutto il suo buonumore.
“Ah… mi dispiace. Non è che potrei ammirarti per bene, una volta sola, così da poter serbare questo ricordo per sempre?”
Krystel sospirò, fece un passo indietro e si slacciò il mantello. “Sei rozzo per essere un elfo, lo sai?” Lo punzecchiò, restando in posa per qualche secondo perché lui potesse memorizzare per bene la sua figura.
“Preferisco definirmi un tipo diretto” il ranger cercò di mitigare l’epiteto, con un sorriso di scuse.
Lei lasciò correre. Erano passati molti giorni dall’ultima volta in cui un elfo l’aveva guardata con un sentimento diverso dal sospetto o dall’ostilità. Johel era solo il suo amante e il padre di sua figlia, non era certo l’amore della sua vita, eppure in qualche modo era importante per lei. La sua positività riusciva a metterle allegria e a darle speranza.
La bambina cominciò a fare i capricci, sentendosi ignorata dai genitori.
“Adesso rubo Geyla. Non ha già mangiato, spero?” Domandò Krystel, facendo cadere lo sguardo sulla ciotola di pappa ancora quasi intonsa.
“La sua maglia ha mangiato più di lei” sospirò l’elfo chiaro, “te ne accorgerai prendendola in braccio.”
“Oh, Johel, devi mettere uno straccio pulito o un tovagliolo nel suo colletto…”
“Lo sfila e lo getta a terra” spiegò lui, stringendosi nelle spalle.
“Ah. Penserò a qualcos’altro” promise la locandiera. Sollevò Jaylah dal seggiolone, con grande gioia della piccola. “Vieni, zuccottina. Saluta il papà.”
“Ma!” Trillò lei, perché in quel momento non aveva occhi per nessun altro.

Johel le guardò uscire dalla taverna, sparendo oltre la porta che conduceva nelle cucine. La sua mente era invasa da pensieri contrastanti. Era contento del ritorno di Krystel, ma nel momento in cui lei aveva preso in braccio la figlia capì che gli sarebbe mancato essere l’unico punto di riferimento di Jaylah. Era un pensiero egoistico, e se ne vergognò subito. Jaylah amava sua madre, e l’elfo non poteva nemmeno dire che Krystel monopolizzasse il tempo e le attenzioni della bimba. Per essere una drow, una madre abituata a crescere da sola i suoi figli, era stata inaspettatamente collaborativa e felice di dividere i compiti della genitorialità con lui.
Era sposata, una volta, ricordò a se stesso. Una sera, poco prima che Jaylah nascesse, lui e Krystel avevano parlato seriamente di che tipo di famiglia volevano dare alla bimba. Quella sera per la prima volta la strega si era aperta davvero sul suo passato, rivelando di non essere una matriarca eternamente zitella per scelta. Non era nemmeno zitella in realtà, era vedova, e anche se aveva avuto molti figli da altri uomini non aveva più amato nessuno dopo il suo primo grande amore. Ricordando tutto questo, Johel realizzò che Krystel non aveva avuto solo un marito, ma anche un compagno con cui condividere le gioie e il fardello di un bambino.
Il primogenito di Krystel aveva un padre molto presente. Lei quindi sa come funziona una famiglia normale. Non vuole tagliarmi fuori dalla vita di nostra figlia. Allora perché mi sento come se fossi appena diventato una seconda scelta, per Jaylah?
Mi ero solo abituato a essere il centro del suo mondo. Dover dividere quel posto al sole adesso mi pesa. Perché sono così egoista?
Sarebbe diverso se io e Krystel ci amassimo? Oh cielo, Jaylah se ne accorgerà? Il nostro legame troppo debole le causerà dei problemi?


Le sue preoccupazioni forse erano fin troppo palesi, perché Johel era un elfo schietto e genuino e non si curava di nascondere le emozioni. L’altro elfo dei boschi però non lo sapeva.
Quando Llarm Sarsantyr si avvicinò al suo simile e vide la sua espressione preoccupata e rapita, fece subito mille turpi congetture su come la strega l’avesse avvinto con la magia, schiacciando il suo spirito e costringendolo ad amarla… Sospirò, facendosi forza e pensando a chi conosceva, fra gli elfi del suo villaggio, che potesse spezzare un incantesimo di influenza mentale. Forse sarebbe stato necessario viaggiare fino a Reitheillaethor, o addirittura fino a Evereska.
Ad ogni modo era una sua responsabilità, come Campione di Corellon, prestare aiuto a questo elfo che aveva perso la via.
Per puro caso Johel si girò verso di lui proprio mentre Llarm tossicchiava per richiamare la sua attenzione. L’elfo biondo spalancò gli occhi, sorpreso di trovarsi davanti un suo simile.
“Oh… buongiorno. Che strano vedere un altro elfo in questa locanda. Posso aiutarvi in qualche modo?” Lo disse con voce normale, come se non fosse stregato. Llarm esitò. Aprì la bocca e la richiuse, in silenzio. L’altro elfo lo guardò perplesso. “Vi sentite poco bene? Vi manca la voce?”
“No” riuscì a rispondere Llarm, dopo un silenzio imbarazzante. “No, io sto bene. Mi chiamo Llarm Sarsantyr del villaggio di Nordahaeril, e sono qui per” cercò un modo per porre la questione in modo che non sembrasse un insulto “fare la vostra conoscenza.”
L’elfo biondo seguitò a guardarlo dubbioso. Ah, in effetti suona un po’ inquietante, si rimproverò Llarm.
“Ma… io non sono famoso. Non capisco cosa possiate volere da me” si schernì l’altro elfo con modestia. “Se proprio ci tenete, sono Johlariel Arnavel di Sarenestar, al vostro servizio.” Si presentò, chinando la testa in un saluto informale ma che esprimeva rispetto.
“Siete molto lontano dalla vostra casa, Johlariel Arnavel di Sarenestar” notò Llarm, perché era un elfo istruito e sapeva che la foresta dell’altro si trovava molte centinaia di miglia più a sud. Mentre parlava, cercò di notare qualche traccia di comportamento insolito nelle movenze e nello sguardo dell’elfo Arnavel.
“È vero, ma sono sempre stato un girovago. Adesso ho una buona ragione per restare in questa zona per un po’. Diciamo… una piccola ragione” affermò, con sguardo sognante.
Llarm ci mise qualche secondo a rimettere insieme i pezzi. “Vostra figlia?”
Johlariel sorrise come se avesse appena visto il sole dopo un mese di pioggia. “Ve lo ha detto Krystel?” Domandò, ma non si curò di aspettare la risposta. “Sì, quella cosetta piccola e fragile è il più grande amore della mia vita. Non ha neanche un anno, come potrei lasciarla? Sono certo che la mia famiglia capirebbe. Avrò sempre tempo per tornare a casa dopo, ma Jaylah sarà bambina una volta sola.”
“Quindi è per vostra figlia che siete rimasto qui? In un territorio umano, nella casa di una drow?”
L’elfo biondo corrugò la fronte, come se non capisse la domanda. “Non mi dà fastidio trovarmi in territorio umano. Come vi accennavo, sono un girovago. Non era la prima volta che visitavo questa locanda, Krystel è la sorella di un mio caro amico. Ma sì, sono qui per Jaylah. Se non fosse per lei me ne sarei andato un annetto fa, non ho altri affari in questa zona.”
Llarm accolse questa spiegazione con sollievo, perché l’altro elfo non sembrava stregato, ma anche con una punta di inquietudine. C’era una cosa, che l’altro aveva detto, che gli era sembrata fuori posto.
“Un momento… la sorella di un vostro amico? State dicendo che siete amico di un drow?” Balbettò, incredulo. Perché un conto era restare ammaliati dalle grazie femminili (e perfino Llarm doveva ammettere che Krystel era affascinante, lui stesso l’avrebbe desiderata se lei fosse stata un’elfa di Superficie e non una drow), ma un altro conto era stringere amicizia con un nemico del popolo elfico.
Johlariel di Sarenestar lo guardò come a chiedere ‘Che ho fatto di male?’ e si strinse nelle spalle.

Johel cominciava ad averne abbastanza di quell’interrogatorio. L’atteggiamento di questo elfo gli sembrava fin troppo insistente, e anche se poteva capire quelle preoccupazioni in un elfo che presumibilmente viveva nei paraggi, ormai stava rasentando i limiti della maleducazione.
“Sì. So che può sembrare strano, ma lui…” pensò rapidamente a come descrivere il suo vecchio compagno di molte avventure: è un amichevole pezzo di merda sarebbe stata la definizione più calzante, ma avrebbe richiesto troppe spiegazioni. “Ha una personalità un po’ difficile, ma è molto leale.”
“Leale? Un elfo scuro?” L’altro sollevò un sopracciglio, poco convinto.
Johel sapeva che era perfettamente inutile sostenere la sua posizione con qualcuno che tanto non gli avrebbe creduto.
“Credermi o non credermi è una vostra libera scelta” sancì, per mettere un punto alla conversazione. “Ad ogni modo non credo che la mia vita vi riguardi.”

“Krystel è tornata!” Gridò una voce in elfico, e siccome tutti sapevano già del suo ritorno e quasi nessuno lì parlava l’elfico, Johel capì all’istante due cose: era stato Daren a parlare, e il messaggio era diretto a lui.
Infatti proprio in quel momento il suo amico dalla pelle nera aveva spalancato la porta con foga.
“Johel, sai cosa significa? Libertà!” Continuò, felice come un bambino la mattina del solstizio d’inverno.
“Daren, so che per te è una cosa impensabile, ma a me piace occuparmi di Jaylah” gli rispose nella stessa lingua, senza preoccuparsi di parlare lentamente perché tanto il suo amico parlava fluentemente l’elfico.
Facendosi strada verso di lui, Daren si accorse della presenza dell’altro elfo dei boschi. Il biondo fu colpito dal pensiero che vista da fuori quella fosse una scena piuttosto comica: il sorriso del drow non aveva vacillato, Daren sembrava incurante della presenza dell’elfo, mentre Llarm Sarsantyr era diventato un fascio di nervi. Johel sapeva che avrebbe potuto fare qualcosa per alleviare la tensione, e forse avrebbe dovuto, ma decise di non immischiarsi e di godersi la scena.
“Mi giro un istante e ti trovi un nuovo amico?” Scherzò Daren, indicando lo sconosciuto con un cenno del capo.
“Solo perché anche lui è un elfo dei boschi tu supponi subito che siamo amici? Non ti suona un po’ razzista?” Rispose il ranger, stando al gioco.
“No, non mi pare di aver chiesto se ti sei trovato un nuovo compagno” continuò il drow, in tono semiserio. “Tutto sommato non era un commento razzista, ma sai che se mi metti davanti una sfida…”
“No” sbottò Johel, interrompendolo prima che aprisse bocca di nuovo. “Per carità, no. Costui è Llarm Sarsantyr, è venuto in visita da… dalla Grande Foresta? Credo dalla Grande Foresta” tentò, gettando uno sguardo all’ospite.

Llarm raggelò, perché per i suoi gusti quell’elfo traditore aveva detto anche troppo.
C’erano molte cose che avrebbe potuto dire a quel punto. Avrebbe potuto presentarsi con educazione e decidere di mantenere una facciata di cortesia, perché poteva accadere che elfi e drow si tollerassero a vicenda in territorio umano. Era raro, ma poteva accadere. Oppure avrebbe potuto dichiarare espressamente la sua ostilità e sfidare il drow a combatterlo apertamente, ma finora nessuno gliene aveva dato motivo. Ma non riusciva a mettere insieme un pensiero coerente, perché la sensazione di essere circondato si stava amplificando: si trovava a miglia dalla sua foresta, il suo unico alleato era un elfo che aveva perso il cervello e credeva di essere amico dei drow, e questo nuovo arrivato aveva chiaramente le movenze di un guerriero e gli stava già abbastanza vicino da poterlo infilzare con un pugnale nascosto nella manica.
Avrebbe potuto dire molte cose, Llarm Sarsantyr, invece disse: “Ma quanti drow ci sono in questo posto?”, e per giunta con una voce abbastanza patetica.
L’elfo scuro assunse un’espressione assorta e gli fece la cortesia di contare e rispondere per davvero: “Quattro, più tre mezzi drow. Naturalmente una di loro ha dieci mesi, ma mi sembrate così sconvolto che credo che anche lei potrebbe darvi del filo da torcere in questo momento…”
Llarm lasciò correre la provocazione quasi senza sentirla. Sei nemici. Non riusciva a pensare ad altro. Sei nemici sicuramente addestrati a uccidere, tutti intorno a lui, uno perfino sul tetto. La sua mano corse automaticamente alla spada, ma non la sguainò: si trovava ancora in una stanza piena di bambini umani, se avesse scatenato un combattimento lì di sicuro qualcuno si sarebbe fatto molto male. Era in trappola.
Suo malgrado, le sue labbra si piegarono in un sorriso amaro.
“Non c’è alcuna possibilità che io me ne vada di qui sulle mie gambe, vero?” Mormorò.
Il drow naturalmente aveva un ottimo udito. Colse il suo commento e sollevò entrambe le sopracciglia, come se fosse sorpreso dalla domanda.
“No. Certo che no.” Rispose, con chiarezza e in tono cortese. Llarm sentì il ghiaccio della morte entrargli nel sangue, eppure era anche stranamente calmo. “In effetti, se continuate a insultare la mia famiglia ve ne andrete volando” continuò il drow.
Llarm piegò la testa di lato, perché non si aspettava quel cambiamento di rotta. Forse era una minaccia drow? L’elfo scuro si chinò verso di lui, con l’aria di volergli confidare un segreto. Sempre con quel sorriso gentile e voce tranquilla, concluse il suo pensiero.
“Perché vi accompagnerò io stesso fino alla Grande Foresta prendendovi a calci nel culo.”

Johel gemette, rimpiangendo di non essere intervenuto quando ancora poteva farlo.
Aveva dimenticato che il suo amico aveva uno stranissimo concetto di diplomazia.

   
 
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