Disclaimer: Tutti i personaggi di questa storia non appartengono a me, bensì a Stan Lee e alla Marvel. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma solo per puro divertimento.
EVERYTHING I HOLD DEAR (RESIDES IN THOSE EYES)
#2 – AN ACT OF VIOLENCE AGAINST THE SELF
“Tony, non se ne parla!”
Bruce era francamente esasperato; aveva sospettato che l’amico non avrebbe acconsentito senza lamentele, ma non avrebbe mai pensato di doverlo letteralmente trattenere dall’irrompere dalla sua stessa abitazione per lanciarsi nel mezzo di una battaglia in centro a New York.
“Hai la febbre altissima; non puoi uscire in queste condizioni, dannazione!”
Tony non sembrava prestargli alcuna attenzione. Stava cercando di vestirsi velocemente, inframmezzando i suoi movimenti con vari comandi a Jarvis, tenendo l’attenzione al televisore nella sua stanza.
“Hai sentito quello che stanno dicendo; la gente ha bisogno di me,” ribatté deciso, incurante delle preoccupazioni dell’altro.
Bruce inspirò profondamente, lanciando un’occhiata fugace al telegiornale che commentava il nuovo scontro scoppiato in città, prima di riportare lo sguardo sul suo più caro amico: i capelli disordinati schizzavano da tutte le parti, i movimenti erano lenti e il suo intero corpo tremava a causa dei brividi e del freddo.
“Se ne stanno occupando gli altri, è così difficile restare in disparte per una volta?”
Tony sbuffò; sapeva bene che “gli altri” erano Rhodey, Pepper e Happy.
“Più di metà del nostro team è in fuga, Natasha è sparita, e non posso mettere a repentaglio la vita di Peter per una cosa tanto pericolosa. Devo andare io,” insistette con un’aria decisa.
“Tony…”
“È quello che farebbe Rogers,” ammise a bassa voce, lo sguardo abbassato e le mani che sfregavano l’una contro l’altra in modo quasi spastico. “Lui saprebbe cosa fare, mentre io… io sono un disastro.”
Bruce si accigliò. Avevano fatto tutti del proprio meglio per non nominare Steve nei mesi precedenti, e Tony stesso si era comportato come se tutto quello che aveva passato in Siberia non fosse mai successo.
“Non è vero,” rispose infine, calmo seppur confuso. “Dovresti sapere che compararsi con gli altri è un atto di violenza contro se stessi. Avanti, dimmi qual è il vero problema.”
Tony esitò, poi fece cenno al calendario appeso sopra la sua scrivania; la pagina di dicembre era abbellita con piccole luci e fiocchi di neve.
“Non…” iniziò, ma venne subito interrotto.
“È l’anniversario della morte dei miei genitori,” spiegò.
“Mi dispiace, con quello che è successo―”
“Non te ne sto facendo una colpa,” lo interruppe nuovamente Tony. “È solo che ogni anno, invece di ricordare i momenti belli trascorsi insieme, tutto ciò a cui penso è la voce di mio padre che ha da rimproverarmi qualcosa. Oggi è stata la mia inadeguatezza a fare la cosa giusta, poi la battaglia è scoppiata, e…”
Bruce lo trasse a sé d’istinto e gli circondò le spalle con le sue possenti braccia, stringendolo forte e lasciando trasparire tutto l’amore e l’ammirazione che nutriva nei suo confronti.
“Non hai niente da dimostrare; non a me, non alla squadra, e sicuramente non a tuo padre,” disse deciso. “Tu sei il nostro genio, miliardario, playboy, filantropo, ricordi?”
Conosco persone che non sono niente di tutto ciò e che valgono dieci volte più di te.
Tony scosse la testa, tentando di simulare un sorriso sincero e concentrandosi sul corpo caldo dell’altro. “Grazie, Bruce.”